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visitation2Vorrei meditare con voi questo mistero che mostra come Maria affronta il cammino della sua vita, con grande realismo, umanità, concretezza. Tre parole sintetizzano l’atteggiamento di Maria: ascolto, decisone, azione; parole che indicano una strada anche per noi di fronte a ciò che ci chiede il Signore nella vita. 1. Ascolto. Da dove nasce il gesto di Maria di andare dalla parente Elisabetta? Da una parola dell’Angelo di Dio: «Elisabetta tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio…» (Lc 1,36). Maria sa ascoltare Dio. Attenzione: non è un semplice “udire” superficiale, ma è l’“ascolto” fatto di attenzione, di accoglienza, di disponibilità verso Dio. Non è il modo distratto con cui a volte noi ci mettiamo di fronte al Signore o agli altri: udiamo le parole, ma non ascoltiamo veramente. Maria è attenta a Dio, ascolta Dio. Ma Maria ascolta anche i fatti, legge cioè gli eventi della sua vita, è attenta alla realtà concreta e non si ferma alla superficie, ma va nel profondo, per coglierne il significato. La parente Elisabetta, che è già anziana, aspetta un figlio: questo è il fatto. Ma Maria è attenta al significato, lo sa cogliere: «Nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37). Questo vale anche nella nostra vita: ascolto di Dio che ci parla, e ascolto anche della realtà quotidiana, attenzione alle persone, ai fatti perché il Signore è alla porta della nostra vita e bussa in molti modi, pone segni nel nostro cammino; a noi la capacità di vederli. Maria è la madre dell’ascolto, ascolto attento di Dio e ascolto altrettanto attento degli avvenimenti della vita. 2. Decisione. Maria non vive “di fretta”, con affanno, ma, come sottolinea san Luca, «meditava tutte queste cose nel suo cuore» (cfr Lc 2,19.51). E anche nel momento decisivo dell’Annunciazione dell’Angelo, Ella chiede: «Come avverrà questo?» (Lc 1,34). Ma non si ferma neppure al momento della riflessione; fa un passo avanti: decide. Non vive di fretta, ma solo quando è necessario “va in fretta”. Maria non si lascia trascinare dagli eventi, non evita la fatica della decisione. E questo avviene sia nella scelta fondamentale che cambierà la sua vita: «Eccomi sono la serva del Signore…» (cfr Lc 1,38), sia nelle scelte più quotidiane, ma ricche anch’esse di significato. Mi viene in mente l’episodio delle nozze di Cana (cfr Gv 2,1-11): anche qui si vede il realismo, l’umanità, la concretezza di Maria, che è attenta ai fatti, ai problemi; vede e comprende la difficoltà di quei due giovani sposi ai quali viene a mancare il vino della festa, riflette e sa che Gesù può fare qualcosa, e decide di rivolgersi al Figlio perché intervenga: «Non hanno più vino» (cfr v. 3).Nella vita è difficile prendere decisioni, spesso tendiamo a rimandarle, a lasciare che altri decidano al nostro posto, spesso preferiamo lasciarci trascinare dagli eventi, seguire la moda del momento; a volte sappiamo quello che dobbiamo fare, ma non ne abbiamo il coraggio o ci pare troppo difficile perché vuol dire andare controcorrente. Maria nell’Annunciazione, nella Visitazione, alle nozze di Cana va controcorrente; si pone in ascolto di Dio, riflette e cerca di comprendere la realtà, e decide di affidarsi totalmente a Dio, decide di visitare, pur essendo incinta, l’anziana parente, decide di affidarsi al Figlio con insistenza per salvare la gioia delle nozze. 3. Azione. Maria si mise in viaggio e «andò in fretta…» (cfr Lc 1,39). Domenica scorsa sottolineavo questo modo di fare di Maria: nonostante le difficoltà, le critiche che avrà ricevuto per la sua decisione di partire, non si ferma davanti a niente. E qui parte “in fretta”. Nella preghiera, davanti a Dio che parla, nel riflettere e meditare sui fatti della sua vita, Maria non ha fretta, non si lascia prendere dal momento, non si lascia trascinare dagli eventi. Ma quando ha chiaro che cosa Dio le chiede, ciò che deve fare, non indugia, non ritarda, ma va “in fretta”. Sant’Ambrogio commenta: “la grazia dello Spirito Santo non comporta lentezze”. L’agire di Maria è una conseguenza della sua obbedienza alle parole dell’Angelo, ma unita alla carità: va da Elisabetta per rendersi utile; e in questo uscire dalla sua casa, da se stessa, per amore, porta quanto ha di più prezioso: Gesù; porta il suo Figlio. A volte, anche noi ci fermiamo all’ascolto, alla riflessione su ciò che dovremmo fare, forse abbiamo anche chiara la decisione che dobbiamo prendere, ma non facciamo il passaggio all’azione. E soprattutto non mettiamo in gioco noi stessi muovendoci “in fretta” verso gli altri per portare loro il nostro aiuto, la nostra comprensione, la nostra carità; per portare anche noi, come Maria, ciò che abbiamo di più prezioso e che abbiamo ricevuto, Gesù e il suo Vangelo, con la parola e soprattutto con la testimonianza concreta del nostro agire. Ascolto, decisione, azione.

Papa Francesco

Omelia, Conclusione Mese mariano 2015

© Editrice Vaticana

Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo…

Dal vangelo di Matteo   Mt 28,16-20

TRINITA1Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

………………………………….

«Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo»; è la consolante rassicurazione del Cristo risorto ai suoi, convocati presso quel monte dal quale sarebbe asceso al Padre, scomparendo alla vista degli uomini.

Concluso il tempo liturgico che celebra il mistero della Pasqua, ecco aprirsi il cosiddetto Tempo Ordinario, il tempo del nostro quotidiano cammino sui passi del Cristo, del quale abbiamo contemplato l’incarnazione, la passione, la morte e la resurrezione; ora, domenica dopo domenica, approfondiremo la sua parola di Maestro, che è Via, Verità e Vita.

Non un tempo qualunque, dunque, il Tempo Ordinario, né un tempo liturgico meno importante degli altri; ma un Tempo che è un po’ la nostra risposta al dono che il Padre ci ha fatto nel Figlio e nello Spirito; e, in questo tempo ci accompagna la certezza che ogni giorno il Signore è con noi, ed è con noi, in Lui, anche il Padre e lo Spirito.

Ed ecco la solennità della Santissima Trinità, che la Chiesa offre alla nostra contemplazione, proprio all’inizio di questo ciclo liturgico, che si ripresenta, ma che non è mai ripetitivo, se noi siamo, realmente, in cammino sui passi del Cristo, e desideriamo entrare sempre più profondamente, per quanto è consentito all’uomo, nel Mistero grande di Dio.

Il Mistero della Trinità: un’altezza vertiginosa verso la quale il nostro sguardo di creature non può spingersi; ma dalla quale Dio si è fatto incontro alla sua creatura, la più bella e la più amata; cos’è, infatti, l’uomo di fronte al Mistero di Dio?

Di fronte all’Essere misterioso e sovrano, l’uomo non può che tacere; ma non in un silenzio che sgomenta, infatti, dall’insondabile infinito di Dio, giunge a noi la luce della Parola, giunge, consolante, la Rivelazione che si dispiega in tutta la storia della salvezza, quella Storia che è Sacra per eccellenza, perché vede Dio, creatore e Padre, piegarsi sulla storia degli uomini, e, tra essi, scegliersi un luogo e un popolo cui manifestarsi, perché da lì si diffonda a tutti gli uomini della terra la conoscenza di Lui, così che a Lui, ogni uomo si volga con fede ed amore.

L’Altissimo, l’Onnipotente, Colui che assolutamente Altro, si fa’, dunque, vicino all’uomo, la creatura che è Sua immagine, e che è specchio della Sua gloria; e la prima lettura di questa domenica ce lo ricorda col passo tratto dal Deuteronomio, che così recita: “Mosè parlò al popolo dicendo: «Interroga pure i tempi antichi, che furono prima di te, dal giorno in cui Dio creò l’uomo sulla terra, e da un’estremità dei cieli all’altra; vi fu mai cosa grande come questa e si udì mai cosa simile a questa? Che, cioè, un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come l’hai udita tu, e che rimanesse vivo? 0 ha mai tentato un Dio di andare a scegliersi una nazione in mezzo a un’altra con prove, segni, prodigi e battaglie, con mano potente e braccio teso e grandi terrori, come fece per voi il Signore vostro Dio in Egitto, sotto i vostri occhi? Sappi dunque oggi e conserva bene nel tuo cuore che il Signore è Dio, lassù nei cieli e quaggiù sulla terra; e non ve n’è altro…».

Una verità consolante, da tener viva, come Mosè esortava, già in quel lontano tempo, nel cuore: Dio è tra noi, qui sulla terra, nella nostra faticosa Storia, inquinata dal male; Lui non ci abbandona, ma, come un padre, consumato dall’amore, attende che ogni uomo, anche il più lontano, ritorni a Lui; anzi, fa di più, ci viene incontro, nella Persona del Figlio, il Verbo, che si incarna nell’uomo Gesù di Nazareth e dà pienezza al tempo, dà salvezza alla Storia, nella quale si immerge, per vincere alla radice il male.

È la Storia della nostra redenzione, nella quale si rivela il Mistero grande del Cristo, il Dio tanto vicino all’uomo, da farsi egli stesso uomo.

Il Dio vicino è il Dio con noi, l’Emmanuele, Figlio di Dio e Figlio dell’Uomo, che abbiamo contemplato nei tempi forti dell’anno liturgico; è Gesù di Nazareth, il Cristo, che ci ha rivelato il vero volto del Padre, la ricchezza del Suo amore misericordioso, e ci ha insegnato a rivolgerci a Lui con quelle parole di insuperabile bellezza e intensa commozione, che ci fanno ripetere: «Padre nostro…».

Il Dio vicino è il Cristo, che ritornando al Padre, ci ha fatto dono dello Spirito, come abbiamo celebrato la scorsa domenica.

Ora, è quello stesso Cristo, il Redentore pienamente glorificato, che oggi ci ripete: «Andate, dunque, e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, e del Figlio e dello Spirito Santo…»; Lui che ci ha messo a parte dei segreti del Padre; Lui che ci tiene uniti a sé, come tralci alla vite, e, col suo amore si fa nostra dimora, Lui, con la potenza della sua divinità, ci invia nel mondo a battezzare e a insegnare, perché ogni uomo possa vivere immerso in Dio, possa sperimentare la gioia immensa della vicinanza del Padre, che ci avvolge col suo amore, e possa aver coscienza, nello Spirito, della sua vera dignità, che è la libertà dei figli di Dio, affrancati dalla schiavitù del peccato e dalle inconsistenti paure.

Il Mistero grande della Trinità, pur nella sua insondabilità, dunque, ci avvolge e ci penetra; è vero, noi, pur con tutta la più alta sapienza, non potremo mai comprenderlo, tuttavia, per dono di grazia, la grazia, appunto del battesimo, possiamo farne esperienza, un’esperienza di fede, che procede tra chiarezze e oscurità, ma, non per questo è meno valida e vera.

C’è un’immagine di santa Caterina da Siena, un’immagine semplice e chiara, che solo una donna come lei poteva inventare: è l’immagine del pesce che vive e si muove nell’acqua del mare sconfinato; il pesce vive nell’acqua e dell’acqua, e questa entra in lui; ma questa piccola creatura non sa quanto grande, potente e benefico sia l’elemento in cui egli vive; tuttavia, nel mare il pesce vive, gioca, cresce e si moltiplica.

Allo stesso modo è dell’uomo di fronte al Mistero di Dio Trinità, egli è troppo piccolo per comprenderlo, tuttavia, per grazia, la vita di Dio scorre in lui, per grazia Dio si piega fino a lui e gli parla, con la tenerezza del Padre, con la confidenza dell’Amico, con la forza dell’Amore; la realtà del Dio che è Uno ed è Tre, pur restando misteriosa, avvolge, tuttavia, l’uomo, che in essa vive e di essa vive, perché immagine del Padre, perché innestato a Cristo salvatore, perché animato, vivificato e illuminato dallo Spirito, dono del Risorto.

«Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo», ci assicura Cristo Gesù, mentre ci invia ad illuminare chi ancora percorre vie che non conducono alla salvezza; chi, ancora, tenta di sfuggire all’abbraccio del Padre, ignorando che lontano da Lui non è possibile trovare felicità; Cristo ci manda incontro agli uomini, perché anche i più restii e lontani aprano il cuore a Dio ed entrino in quel circuito di amore e di pace che è la Trinità beata.

sr Maria Giuseppina Pisano o.p.

 

 

La Bibbia è piena di immagini di donna…

al primo capitolo del libro della Genesi agli ultimi versetti del libro dell’Apocalisse, la Bibbia è piena di immagini di donna. Poiché le donne ai tempi biblici erano subordinate agli uomini, i ritratti delle donne che emergono con più forza sono quelli di chi mostra un coraggio inusuale nell’andare oltre i ruoli convenzionali. Basti solo menzionare l’eroismo delle donne nei racconti della passione: le donne hanno seguito Gesù fin presso la croce e sofferto al suo fianco, hanno accompagnato il suo cadavere alla tomba e preparato gli unguenti per imbalsamarlo, sono state discepole e testimoni della crocifissione e prime testimoni della risurrezione.

Da Sara a Rebecca, da Rut a Betsabea, senza dimenticare naturalmente Maria, Anna e Maria di Magdala, un ritratto – firmato da due donne – delle più importanti figure femminili presenti nelle Scritture.

 

Antonella Anghinoni – Elide Siviero

Donne di Dio

Scorci biblici

pp. 176, euro 14,00

 

 

 

 

La “rivoluzione” dell’Infanzia Missionaria:

da 175 anni “i bambini aiutano i bambini”

INFANZIA“Con l’Opera della Santa Infanzia è nato un nuovo stile di missione che mette al centro la grazia del battesimo, dal quale scaturisce la missionarietà di ogni cristiano, e riconosce anche ai bambini il diritto di riceverla e il dovere di donarla. Per la prima volta nella Chiesa i bambini sono diventati soggetti attivi dell’evangelizzazione, protagonisti della pastorale, nella loro semplicità e umiltà.

Sono 175 anni che quest’Opera, chiamata anche dell’Infanzia Missionaria, adempie alla missione di salvare i bambini con i bambini”.

Con queste parole suor Roberta Tremarelli, AMSS, Segretaria generale della Pontificia Opera dell’Infanzia Missionaria, spiega all’Agenzia Fides la particolarità e la novità portata da questa Opera nel campo dell’animazione missionaria e della pastorale dei bambini, in occasione del 175° anniversario di fondazione.

Il 19 maggio 1843 nasce ufficialmente l’Opera della Santa Infanzia, e nel suo nome è espressa la volontà del fondatore, Mons. Charles de Forbin Janson, di affidarla alla protezione di Gesù Bambino.

Nato a Parigi nel 1785, in una famiglia nobile e cattolica, Charles de Forbin Janson durante il Seminario frequenta la Cappella dell’Istituto delle Missioni Estere di Parigi, entrando così in contatto con i missionari.

Ascolta i racconti del loro lavoro in Cina e delle migliaia di bambini che sacerdoti e suore accoglievano, curavano, educavano, battezzavano.

Il suo spirito missionario si rafforza ulteriormente dopo l’ordinazione sacerdotale. A 38 anni è ordinato Vescovo di Nancy e inizia subito ad organizzare ritiri e missioni in tutte le parrocchie della sua diocesi. Distribuisce generosamente le sue ricchezze di famiglia e tiene per sé solo l’indispensabile. Durante una sua assenza dalla diocesi per impegni pastorali, gli anticlericali saccheggiano il seminario vescovile e gli impediscono di rientrare a Nancy. Inizia così il triste periodo dell’esilio durante il quale però continua a pensare ai missionari e ai bambini della Cina. Dopo tre anni di missione in America del Nord, rientra in Francia e, a Lione, incontra Pauline Jaricot, la fondatrice dell’Opera della Propagazione della Fede. Ciò che lei aveva organizzato per gli adulti in Francia, lui lo avrebbe organizzato per i bambini della Francia e dell’intera Europa.

I bambini avrebbero aiutato i loro fratelli e sorelle, non solo quelli della Cina ma di tutte le missioni del mondo, con una breve preghiera giornaliera e un piccolo sacrificio mensile.

“L’Opera ha risvegliato i bambini europei ai bisogni degli altri bambini, con una nuova dimensione della coscienza missionaria: trasmettere uno sguardo e un cuore missionario sin dall’infanzia” sottolinea la Segretaria generale dell’Infanzia Missionaria, che prosegue: “Oggi l’Opera ha messo radici in più di 150 paesi. Attraverso il Segretariato Internazionale, che ha la sua sede a Roma presso il Palazzo di Propaganda Fide, e le offerte raccolte in ogni parte del mondo, sostiene migliaia di progetti di solidarietà che aiutano i bambini dei 5 continenti con l’intento di fornire loro gli strumenti necessari per poter vivere in modo dignitoso la propria vita, sia fisica che spirituale. Gli ambiti di impegno sono: animazione e formazione cristiana e missionaria, pastorale dell’infanzia, educazione prescolare e scolare, protezione della vita”.

In tutto il mondo l’Opera sta aiutando circa 20 milioni di bambini.

Nel 2017 sono stati finanziati 2.834 progetti per un totale di 17.431.260 dollari, attraverso il Fondo Universale di Solidarietà costituito dalle offerte dei bambini di tutto il mondo. Ogni tipologia di progetto finanziato può e deve essere occasione e strumento di animazione missionaria.

“Anche attraverso quest’Opera la Chiesa mette la sua maternità al servizio dei bambini e delle loro famiglie – conclude suor Roberta Tremarelli – prendendosene cura come ci dice Papa Francesco: ‘…avvicinarci per toccare, per prenderli per mano e portarli al loro posto di dignità, facendoli camminare con le loro gambe. Aiutarli affinché siano restituiti alla vita quotidiana. Aver cura di loro così che possano inserirsi nella società’.”

Fonte: Agenzia Fides

La Sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa

sinodo1Dare nuovo impulso alla sinodalità, anche con riforme di tipo strutturale, come rendere obbligatori in ogni diocesi i Consigli Diocesani. Attuare pienamente la collegialità del Concilio, anche trovando nuove procedure per la convocazione del Sinodo dei Vescovi che coinvolgano maggiormente il popolo di Dio.

Sono proposte contenute in “La Sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa”, il nuovo documento della Pontificia Commissione Teologica Internazionale pubblicato lo scorso 2 marzo. Ma come è nato, e cosa vuole dire, il nuovo documento? Monsignor Piero Coda, rettore dell’Università Sophia di Loppiano e membro della sottocommissione che ha lavorato al documento, lo spiega ad ACI Stampa.

Monsignor Coda, quale è stata la genesi del documento?

Il tema della sinodalità è antico quanto la Chiesa. Papa Francesco, nell’importante discorso tenuto tre anni fa in occasione del Cinquantesimo dell’istituzione del Sinodo dei vescovi, riportava una affermazione di San Giovanni Crisostomo che diceva che “Sinodo è il nome della Chiesa.” Vale a dire che la Chiesa è sinodo, è cammino insieme.

Se questa è una realtà così antica, perché c’era bisogno di un documento?

Dopo il Concilio Vaticano II, si è progressivamente affermata la consapevolezza della sinodalità nella Chiesa Cattolica. C’era, dunque, bisogno di un documento di puntualizzazione, che ne spiegasse teologicamente il significato e le sue applicazioni concrete. Infatti, il concetto di sinodalità, pur essendo antico quanto il cammino della Chiesa, non aveva avuto l’attenzione che meritava, mentre ci si era concentrati su una serie di problematiche di necessità, specialmente riguardo il primato del Pontefice.

Da qui il documento della Pontificia Commissione Teologica Internazionale?

La sinodalità era tra i temi proposti all’attenzione nel momento dell’insediamento della Commissione Teologica Internazionale. La Commissione dura in carica per cinque anni, ed è legata alla Congregazione per l’Educazione Cattolica. I temi possibili vengono anche suggeriti dal Papa e dalle necessità della Chiesa, ma la commissione è libera di scegliere quali temi ritiene più opportuno approfondire. Si arrivò così ad una scelta di tre temi: la libertà religiosa nel contesto internazionale oggi, il rapporto tra fede e sacramenti soprattutto in relazione al matrimonio e la sinodalità. Quest’ultimo fu subito il più gettonato, sebbene fosse considerato più spinoso. Ciononostante, la sotto commissione che ha lavorato sul testo (la Pontificia Commissione Internazionale è composta da 30 membri, divisi in 10 sottocomissioni), ha lavorato bene, e già a dicembre si è arrivati alla presentazione di un testo che ha ricevuto l’approvazione della maggioranza della Commissione.

Nel documento si parla anche di cambiare le procedure della convocazione del Sinodo dei vescovi. Cosa si intende?

Non c’è una indicazione sulla procedure, che devono essere anche “originate”. Viene sollevata la questione che la convocazione del Sinodo dei vescovi debba coinvolgere maggiormente le Chiese locali. Attualmente, il Sinodo raccoglie una rappresentanza dei vescovi di varie parti del mondo e delle varie conferenze episcopali, ma i temi che vengono dibattuti al Sinodo non vengono sempre precedentemente discussi con le Chiese. Viene richiesto invece che il vescovo possa ascoltare sul tema anche il parere del popolo di Dio nel suo insieme, perché una chiave fondamentale della sinodalità è l’ascolto.

Significa che i vescovi dovrebbero avere possibilità di discutere i temi prima che questi arrivino al tavolo del Consiglio del Sinodo?

Direi, prima che arrivi alla discussione stessa dell’assemblea. Siamo già in quella direzione, Papa Francesco ha già messo in moto quel processo, sia per il Sinodo sulla Famiglia, sia per il Sinodo sui giovani. In quest’ultimo caso, Papa Francesco ha fatto precedere l’assemblea da una assemblea preparatorio, il pre-sinodo dei giovani. Si tratta di inventare delle procedure che coinvolgano il più possibile le varie espressioni del popolo di Dio.

Il documento chiede anche di rendere obbligatoria l’istituzione dei Consigli diocesani, nonché una serie di strutture necessarie alla sinodalità. Si parla, dunque, non solo di una riforma teologica. In che modo questa coinvolge le strutture?

Una riforma solamente teologica, che non incide sulle istituzioni e sulle strutture, rimane un flatus vocis. Il Vaticano II ha introdotto tra i vescovi il tema e la prassi della collegialità, e per questo Paolo VI istituì il Sinodo dei Vescovi, un atto di grande portata ecclesiologica. Fu al Concilio che si auspicò la promozione di questi consigli presbiteriali e pastorali, a livello parrocchiale e a livello diocesano, per incentivare la ecclesiologia di comunione.

Se il processo era già partito, perché c’è bisogno di fare richieste precise?

Perché si nota oggi che queste strutture di comunione devono essere promosse e incentivate in molte dimensioni della Chiesa. Lo diceva anche Giovanni Paolo II nella Novo Millennio Ineunte. Il richiamo del documento a costituire come obbligatori i consigli pastorali all’interno delle parrocchie è un input che è venuto dal Sinodo diocesano della Chiesa di Roma.

In che modo?

Il Sinodo Pastorale diocesano sul tema “Comunione e missione della Chiesa di Dio che è in Roma alle soglie del terzo millennio” si concluse nel 1993, e il documento finale, approvato a maggioranza e poi ratificato da San Giovanni Paolo II, stabiliva che nella Chiesa di Roma, a livello parrocchiale, i consigli diocesani non sono solamente auspicati, ma sono obbligatori! Non so quanto questo sia stato effettivamente realizzato, ma la disposizione è citata nel libro del Sinodo.

Perché è così importante la Chiesa di Roma?

Sin dall’inizio, la Chiesa di Roma ha avuto questo ruolo centrale. Era la sede di Pietro e di Paolo, e, alla luce di questa origine apostolica, ha sempre sviluppato un dinamismo sinodale. È sempre stata un prototipo per tutte le Chiese. Per fare un esempio, il collegio dei cardinali a livello universale nasce da questa espressione di sinodalità all’interno della Chiesa locale di Roma.

Si può dire che questo documento è uno sviluppo nella discussione teologica?

Certamente è uno sviluppo. È parte di un cammino, una riflessione che ha visto nel 2003 l’Associazione Teologica Italiana celebrare un congresso sul tema della sinodalità. Mancava ancora una presa di posizione teologicamente fondata da un punto di vista ufficiale, ma non ci sono state rotture. Il documento della Commissione Teologica Internazionale si riunisce nel dibattito con una certa autorevolezza e funge da stimolo a proporre questa realtà all’interno delle Chiese locali e ad incentivare la riflessione teologica sul tema, ma anche a creare delle dinamiche che rendano possibile l’esercizio della sinodalità all’interno delle Chiese.

Il tema è particolarmente cruciale anche nel dialogo ecumenico. Come si possono combinare sinodalità, collegialità e primato?

È un tema che è dibattuto nella Commissione Teologica Internazionale mista tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Ortodossa, e se ne è parlato nei documenti di Ravenna e in quello più recente di Chieti. Si sta attuando sempre più una convergenza tra Chiesa Cattolica e Chiesa Ortodossa, e il dibattito ha permesso di capire sempre meglio che l’esercizio dell’autorità primaziale e la sinodalità sono due realtà interdipendenti. Nella Chiesa, non ha senso un esercizio di una autorità che non interagisca sempre, non interpreti e non dia orientamento alla comunione di tutti, come non ha senso la comunione intesa come realtà orizzontale, mera partecipazione senza il sigillo di una conferma del carattere apostolico e spirituale che viene dato appunto dall’esercizio dell’autorità in comunione. Questo tema è una delle frontiere più importanti della Chiesa nel prossimo futuro!

Fonte: acistampa.com

Lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità…

Dal Vangelo di Giovanni                   Gv 15,26-27 16,12-15

PENTEC1«Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio».

«Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

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Il vangelo di Giovanni nei discorsi della cena di addio di Gesù con i suoi (in particolare nei capitoli 14-16), offre numerose indicazioni sul dono dello Spirito Santo e sull’opera che egli compie; per uno sguardo di insieme dei passi vedere lo schema riportato nella traccia di meditazione. Per la domenica di Pentecoste del ciclo B ci vengono proposti il terzo e il quinto dei piccoli testi relativi a questa catechesi sullo Spirito, che riprendono il tema della testimonianza e della verità. Il testo evangelico poi va letto in parallelo con le altre letture proposte: quella dal libro degli Atti degli Apostoli (2,1-11) e l’epistola di san Paolo (Gal 5,16-25); anche il contesto liturgico, la festa della Pentecoste ebraica e il riferimento al dono della legge sono importanti per comprendere l’indicazione dello Spirito come Legge nuova del cristiano. (Gesù disse ai suoi discepoli): «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; Il termine parāklētos, che l’evangelista ha preso dal suo ambiente culturale, è in Giovanni un nome tipico dello Spirito Santo (cfr. 14,26) anche se il suo significato proprio non è certo. Anche il titolo Spirito di verità è una dizione propria del quarto vangelo e con il precedente è apertamente scelto per sottolineare l’attività specifica dello Spirito Santo nel mondo e presso i credenti. In questo versetto si annuncia l’invio dello Spirito, ma a differenza di 14,16.26, è Gesù stesso a mandarlo, seppur dal Padre, che indica ad un tempo la provenienza dello Spirito e il luogo da dove Gesù lo invia. Il verbo testimoniare (martyrein), molto frequente in Giovanni, nel v. 26 fa la prima comparsa nei discorsi di addio. Sebbene anche nei sinottici appaia l’opera dello Spirito nei testi che annunciano la persecuzione dei credenti (ricordiamo che Gv 15, 18-25 ha appena parlato dell’odio del mondo per chi crede in Cristo; cfr. Mt 10,20s; Lc 12,12; At 6,10) qui non sembra si tratti della stessa cosa. Infatti Giovanni non parla di processi o azioni specifiche. La testimonianza dello Spirito è rivolta direttamente al mondo, in favore di Gesù, come pure ai credenti, per sostenere il loro annuncio. e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio. Questa testimonianza è insieme dello Spirito e dei discepoli, come precedentemente Giovanni aveva affermato che il Padre rende testimonianza a Gesù (cfr. 5,32.37; 8,18-18). I discepoli sono con Gesù dal principio, inteso come condizione stabile di chi crede, di chi è stato scelto, quindi ogni cristiano. E’ perché il credente è con Gesù che può, fortificato dallo Spirito, testimoniare la verità. Ma la testimonianza dei discepoli e dello Spirito non sono indipendenti, i primi danno voce allo Spirito. Come diceva sant’Agostino: “Lo Spirito parla al cuore, voi in parole; egli attraverso l’ispirazione, voi mediante dei suoni”. Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. La pericope cuce insieme ai due versetti precedenti del cap. 15 l’ultimo testo sullo Spirito, nel cap. 16; si stabilisce in primo luogo che ci sono due tempi. Quello di Gesù e quello dello Spirito. Ora i discepoli non possono ancora (poiché Gesù non ha ancora vissuto la sua pasqua, cfr. 16,7) comprendere le molte altre cose che Gesù deve dire loro. Il tutto della rivelazione, annunciato in 15,15, non può ancora essere compreso appieno, in profondità; questa sarà l’opera dello Spirito. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, Sarà lo Spirito a guidarci (cfr. Es 15,13; Is 49,10; Sal 24,5; Sap 18,3 per il tema di Dio che guida il suo popolo) alla verità tutta intera. Cosa significa? Non solo che lo Spirito ci farà comprendere il passato di Gesù, ma anche la sua condizione presente, di Figlio glorificato, ossia la pienezza del mistero di Gesù Cristo (la verità, al singolare). perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. L’azione di Gesù e dello Spirito indicata come disgiunta, ora viene riunificata; come Gesù non parlava da se, ma la sua autorità veniva dal Padre come Gesù stesso ascolta il Padre (8,26; cfr. 5,19; 8,28), così lo Spirito ascolta Gesù. Il verbo annunciare (anaggéllein) che è ripetuto per tre volte in questi ultimi tre versetti, significa rivelare una cosa sconosciuta, ma il prefisso ana indica che si tratta di un ripetere. Chi parla annuncia qualcosa che ha a sua volta ricevuto. Di nuovo dunque lo Spirito non parla da sé, ma ripete ciò che ha detto Gesù. Le cose future, annunciate dallo Spirito non sono predizioni, piuttosto la capacità di comprendere ed affrontare che avvenimenti futuri della storia della comunità dei credenti. Potremmo meglio tradurre vi comunicherà, che si adatta meglio anche ai due versetti successivi, dove il verbo è riproposto. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Lo Spirito infatti comunicherà ai credenti ciò che è di Gesù, il suo patrimonio potremmo dire: ossia una conoscenza di Lui, ma anche la partecipazione alla sua stessa vita. Facendo questo glorificherà il Figlio la cui missione aveva come scopo la partecipazione dei credenti alla vita eterna del padre e del Figlio (cfr. 3,16; 10,28); l’idea sarà chiarita al capitolo seguente: “Ho dato loro la gloria che tu mi hai dato…, l’amore con cui mi hai amato, sia in loro, ed io in loro (cfr. 17,22.26). Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà». La precisazione dell’unione tra Padre e Figlio ci riporta nell’unità di essenza e di azione della Trinità (cfr. 5,26; 17,5.10.24); la rivelazione del Padre attraverso Gesù continua, essa è unica ma trasmessa in due modi diversi. Prima dal Figlio e poi dallo Spirito e dalla Chiesa che lo accoglie. In che cosa lo Spirito è diverso da Gesù? E’ “altro” nella durata, che è definitiva, e nel suo modo di agire: non più attraverso parole, ma attraverso evidenze che danno senso alle parole di Gesù e ne manifestano la portata attuale (X. Lèon-Dufour).

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perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

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Il vangelo di Giovanni nei discorsi della cena di addio di Gesù con i suoi (in particolare nei capitoli 14-16), offre numerose indicazioni sul dono dello Spirito Santo e sull’opera che egli compie; per uno sguardo di insieme dei passi vedere lo schema riportato nella traccia di meditazione. Per la domenica di Pentecoste del ciclo B ci vengono proposti il terzo e il quinto dei piccoli testi relativi a questa catechesi sullo Spirito, che riprendono il tema della testimonianza e della verità. Il testo evangelico poi va letto in parallelo con le altre letture proposte: quella dal libro degli Atti degli Apostoli (2,1-11) e l’epistola di san Paolo (Gal 5,16-25); anche il contesto liturgico, la festa della Pentecoste ebraica e il riferimento al dono della legge sono importanti per comprendere l’indicazione dello Spirito come Legge nuova del cristiano. (Gesù disse ai suoi discepoli): «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; Il termine parāklētos, che l’evangelista ha preso dal suo ambiente culturale, è in Giovanni un nome tipico dello Spirito Santo (cfr. 14,26) anche se il suo significato proprio non è certo. Anche il titolo Spirito di verità è una dizione propria del quarto vangelo e con il precedente è apertamente scelto per sottolineare l’attività specifica dello Spirito Santo nel mondo e presso i credenti. In questo versetto si annuncia l’invio dello Spirito, ma a differenza di 14,16.26, è Gesù stesso a mandarlo, seppur dal Padre, che indica ad un tempo la provenienza dello Spirito e il luogo da dove Gesù lo invia. Il verbo testimoniare (martyrein), molto frequente in Giovanni, nel v. 26 fa la prima comparsa nei discorsi di addio. Sebbene anche nei sinottici appaia l’opera dello Spirito nei testi che annunciano la persecuzione dei credenti (ricordiamo che Gv 15, 18-25 ha appena parlato dell’odio del mondo per chi crede in Cristo; cfr. Mt 10,20s; Lc 12,12; At 6,10) qui non sembra si tratti della stessa cosa. Infatti Giovanni non parla di processi o azioni specifiche. La testimonianza dello Spirito è rivolta direttamente al mondo, in favore di Gesù, come pure ai credenti, per sostenere il loro annuncio. e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio. Questa testimonianza è insieme dello Spirito e dei discepoli, come precedentemente Giovanni aveva affermato che il Padre rende testimonianza a Gesù (cfr. 5,32.37; 8,18-18). I discepoli sono con Gesù dal principio, inteso come condizione stabile di chi crede, di chi è stato scelto, quindi ogni cristiano. E’ perché il credente è con Gesù che può, fortificato dallo Spirito, testimoniare la verità. Ma la testimonianza dei discepoli e dello Spirito non sono indipendenti, i primi danno voce allo Spirito. Come diceva sant’Agostino: “Lo Spirito parla al cuore, voi in parole; egli attraverso l’ispirazione, voi mediante dei suoni”. Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. La pericope cuce insieme ai due versetti precedenti del cap. 15 l’ultimo testo sullo Spirito, nel cap. 16; si stabilisce in primo luogo che ci sono due tempi. Quello di Gesù e quello dello Spirito. Ora i discepoli non possono ancora (poiché Gesù non ha ancora vissuto la sua pasqua, cfr. 16,7) comprendere le molte altre cose che Gesù deve dire loro. Il tutto della rivelazione, annunciato in 15,15, non può ancora essere compreso appieno, in profondità; questa sarà l’opera dello Spirito. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, Sarà lo Spirito a guidarci (cfr. Es 15,13; Is 49,10; Sal 24,5; Sap 18,3 per il tema di Dio che guida il suo popolo) alla verità tutta intera. Cosa significa? Non solo che lo Spirito ci farà comprendere il passato di Gesù, ma anche la sua condizione presente, di Figlio glorificato, ossia la pienezza del mistero di Gesù Cristo (la verità, al singolare). perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. L’azione di Gesù e dello Spirito indicata come disgiunta, ora viene riunificata; come Gesù non parlava da se, ma la sua autorità veniva dal Padre come Gesù stesso ascolta il Padre (8,26; cfr. 5,19; 8,28), così lo Spirito ascolta Gesù. Il verbo annunciare (anaggéllein) che è ripetuto per tre volte in questi ultimi tre versetti, significa rivelare una cosa sconosciuta, ma il prefisso ana indica che si tratta di un ripetere. Chi parla annuncia qualcosa che ha a sua volta ricevuto. Di nuovo dunque lo Spirito non parla da sé, ma ripete ciò che ha detto Gesù. Le cose future, annunciate dallo Spirito non sono predizioni, piuttosto la capacità di comprendere ed affrontare che avvenimenti futuri della storia della comunità dei credenti. Potremmo meglio tradurre vi comunicherà, che si adatta meglio anche ai due versetti successivi, dove il verbo è riproposto. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Lo Spirito infatti comunicherà ai credenti ciò che è di Gesù, il suo patrimonio potremmo dire: ossia una conoscenza di Lui, ma anche la partecipazione alla sua stessa vita. Facendo questo glorificherà il Figlio la cui missione aveva come scopo la partecipazione dei credenti alla vita eterna del padre e del Figlio (cfr. 3,16; 10,28); l’idea sarà chiarita al capitolo seguente: “Ho dato loro la gloria che tu mi hai dato…, l’amore con cui mi hai amato, sia in loro, ed io in loro (cfr. 17,22.26). Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà». La precisazione dell’unione tra Padre e Figlio ci riporta nell’unità di essenza e di azione della Trinità (cfr. 5,26; 17,5.10.24); la rivelazione del Padre attraverso Gesù continua, essa è unica ma trasmessa in due modi diversi. Prima dal Figlio e poi dallo Spirito e dalla Chiesa che lo accoglie. In che cosa lo Spirito è diverso da Gesù? E’ “altro” nella durata, che è definitiva, e nel suo modo di agire: non più attraverso parole, ma attraverso evidenze che danno senso alle parole di Gesù e ne manifestano la portata attuale (X. Lèon-Dufour).

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Suor Anita Maryam Mansingh…

La prima suora cattolica della tribù Kacchi Kohli

suora1La Chiesa cattolica in Pakistan ha accolto la prima suora della tribù Kacchi Kohli, dopo 70 anni di missione tra quelle popolazioni tribali stanziate in Sindh. Qui i frati francescani olandesi iniziano il loro ministero di apostolato tra i gruppi tribali nel 1940, sotto la guida di p. Farman OFM e con il sostegno di due catechisti. Suor Anita Maryam Mansingh, della congregazione della Presentazione della Beata Vergine Maria (PBVM), ha emesso i voti perpetui insieme con un’altra suora in una celebrazione tenutasi nei giorni scorsi al Centro Culturale e Educativo Joti della diocesi cattolica di Hyderabad.

Suo zio, p. Mohan Victor OFM, è stato il primo prete cattolico e frate francescano proveniente dallo stesso gruppo tribale dei Kacchi Kohli. Sr. Anita è nata l’8 settembre 1989 a Tando Allahyar, piccola città vicino a Mirpur Khas, e si è unita alla comunità religiosa delle suore della Presentazione nel settembre 2008 dopo aver completato gli studi universitari in scienze dell’educazione. Ha emesso la sua professione temporanea il 14 settembre 2011. Durante il periodo della sua formazione ha lavorato in diverse comunità a Rawalpindi e Hyderabad. . Parlando a Fides, suor Anita ha detto: “Mio zio p. Mohan Victor mi ha ispirato a scegliere la vita religiosa e mi ha aiutato a discernere la mia vocazione. So che oggi intercede per me dal cielo. Sono grata ai miei genitori e ai fratelli per avermi sempre supportato in questa scelta”.

Le Suore della Presentazione hanno iniziato il loro apostolato a Rawalpindi nel 1895. Un gruppo di suore venne da Chennai (oggi India) e aprì delle scuole per servire i bambini dei soldati britannici e irlandesi. Oggi ci sono 60 suore della congregazione impegnate in Pakistan nel campo dell’educazione, dell’assistenza sanitaria e del lavoro pastorale.

Il Vescovo Samson Shukardin, che guida la diocesi cattolica di Hyderabad, dichiara a Fides : “È un momento di gioia vedere una suora cattolica della tribù Kacchi Kohli.

Il popolo tribale esprime la bellezza della nostra Chiesa in Sindh. Incoraggio le monache ad essere una speranza per le persone abbandonate e più vulnerabili.

Le ringrazio soprattutto per il servizio che offrono, fornendo un’istruzione di qualità al popolo del Pakistan nelle province di Sindh, Punjab e Khyber Pakhtunkhwa, verso allievi di ogni cultura, religione, etnia” .

Fonte: Agenzia Fides

IL DECRETO ZERO-SEI ANNI…UN PASSO IMPORTANTE

zero-sei1Chi scrive – e sicuramente almeno qualcuno di chi legge – ha guardato con fiducia ai decreti della Legge 107/15 ed è evidente che solo un’azione culturale competente e coraggiosa può colmare i vuoti di non conoscenza. O di insipienza ideologica. Tra questi, il Decreto zero-sei anni deve essere considerato un passo importante per due ragioni: a) perché riconosce con chiarezza la pluralità dell’educazione all’interno del sistema pubblico b) perché mette in evidenza la responsabilità di ciascuno di noi, a cui non è possibile sottrarsi. A questo punto, infatti, spetta alle famiglie e alle associazioni trattare con i sindaci per accedere ai fondi, favorendo un sistema integrato senza alcuna discriminazione fra bambini. 

Il 28.05.2017 da Il giornale sorgeva, addirittura, spontanea la domanda: “Se alla famiglia del bambino 0-6 anni viene riconosciuta la possibilità di esercitare la propria responsabilità educativa nell’ambito del sistema integrato di educazione e istruzione, quale depotenziamento in umanità o quale cataclisma giuridico impediranno mai alla famiglia del bambino 7-14 anni di vedersi riconosciuto e di esercitare lo stesso diritto? Al compimento del settimo anno si piomba forse nel regno vegetale?” Un punto d’arrivo insperato ma anche un punto di partenza ove il Re è nudo. Il diritto di apprendere dello studente senza discriminazioni economiche, il diritto di scelta dei genitori che possano esercitare la propria responsabilità educativa in un pluralismo formativo sono o non sono per il cittadino italiano dei diritti che lo interpellano? Ormai è stato abbondantemente dimostrato che è possibile garantire la libertà di scelta educativa dei genitori in un pluralismo educativo a costo zero attraverso il costo standard di sostenibilità. Si tratta di capire se tale libertà di scelta interessa o no ai Genitori…

Sicuramente ad Arona, provincia di Novara, interessa, e molto! Quattro scuole, tre paritarie (Istituto Marcelline, Giovanni XIII, Asilo nido di Montrigiasco ) e una comunale, dopo un lavoro di sinergia hanno siglato l’accordo che, alla luce del decreto 0-6 anni, favorisce un sistema integrato. La lungimiranza del sindaco Gusmeroli, attento all’offerta formativa pluralista e ai conti – l’ideologia ha sempre un costo, Friedman ha già dimostrato che favorire il pluralismo educativo oltre ad innalzare il livello di rendimento scolastico rappresenta un risparmio – ha fatto la differenza: chi gestisce la cosa pubblica, come fa un sindaco, sa bene che non può depauperare i contributi che provengono dalla tassazione dei cittadini. Questo è un esempio di istituzioni al servizio della res-publica. Istituzioni responsabili domandano cittadini seri. Sono certa che quello di Arona non sia l’unico Comune virtuoso. Sarebbe interessante capire in quali comuni italiani si è giocata una simile azione di grande responsabilità. Infatti il decreto legislativo 0-6 anni, pubblicato il 16 maggio 2017, riafferma innanzitutto il diritto inviolabile all’educazione, che spetta a tutti i bambini senza alcuna discriminazione. Nulla di nuovo: il decreto cita testualmente la Costituzione del 1948. Ma quali passi mette in atto per garantire il diritto riconosciuto? Innanzitutto si ribadisce che, se il diritto di apprendere spetta al bambino, la responsabilità educativa è della famiglia, che difatti ha un ruolo di co-protagonista. “Diritto di apprendere” e “responsabilità educativa” implicano necessariamente – pena la contraddizione – che alla famiglia sia anche garantita la necessaria libertà di scelta formativa: «Il Sistema integrato di educazione e istruzione […] promuove la qualità dell’offerta educativa avvalendosi di personale educativo e docente con qualificazione universitaria e attraverso la formazione continua in servizio, la dimensione collegiale del lavoro e il coordinamento pedagogico territoriale».  Evidentemente, se per un verso non c’è più spazio per una scuola intesa come ammortizzatore sociale, la prospettiva di una scuola di qualità, fondata sulla scelta libera di chi ne fruisce, non può essere ingabbiata nella fascia 0-6 anni… Parrebbe uno spiraglio l’affermazione che «sulla base delle richieste degli enti locali, le risorse sono erogate direttamente ai Comuni, con priorità per quelli privi o carenti di scuole statali dell’infanzia». È il Sindaco, insomma, a dover essere così lucido da accedere al fondo, favorendo, in assenza della scuola statale, le risorse territoriali (scuole pubbliche paritarie gestite dal comune o da enti privati). Altrimenti è la fine, per il Sindaco, per il Comune, per il Paese. Rebus sic stantibus, il decreto, avendo aperto e fissato uno spiraglio sull’evidenza del diritto di educare il proprio rampollo in una pluralità di scelta formativa oltre il sesto anno di età, conferma che il cittadino non può essere né distratto né assente…

sr Anna Monia Alfieri

GUINEAFormare gli studenti all’uso e alle tecniche dei mass media, per introdurli ai segreti della comunicazione sociale, vista come mezzo per aiutare la diffusione del Vangelo: questo il fine del terzo Seminario sull’Educazione ai Media, destinato a studenti cattolici, organizzato nei giorni scorsi a Bomana dall’Ufficio comunicazione della Conferenza Episcopale della Papua Nuova Guinea e Isole Salomone, e destinato a 50 studenti di sette scuole locali. Il programma, curato dal Salesiano p. Ambrose Pereira, Direttore dell’Ufficio comunicazione, ha incoraggiato i presenti a riflettere sui vari aspetti del loro vivere quotidiano, “accostandoli ai problemi e alla ricerca di soluzioni” riferisce il Direttore in una nota inviata a Fides.

Una sessione è stata concentrata sulla radio e sugli elementi basilari per il montaggio dei video, con una partecipazione dell’emittente radiofonica “Radio Maria” che ha dato ai giovani la possibilità di registrare e pubblicare i gingle creati dagli studenti. Parlare di fronte alla telecamera e visualizzare i loro brevi discorsi ha permesso ai partecipanti di parlare davanti a un pubblico e vedere la resa. Ma la formazione non è stata solo tecnica: “Ho capito che sono chiamata ad amare la vita e viverla al massimo” ha dichiarato uno studente alla fine del corso. Al termine dei tre giorni di formazione i presenti hanno espresso soddisfazione del lavoro di interazione ed apprendimento, nella consapevolezza di poter utilizzare i mass media come strumenti di evangelizzazione.

Fonte: Agenzia Fides, 11/5/2018

Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio…

Dal vangelo di Marco                                            Mc 16,15-20

ASCENSIONE1E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno». Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

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“Il Signore Gesù, dopo, aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio.”; con poche parole l’evangelista Marco, che quest’anno ci accompagna di domenica in domenica, dà notizia dell’ascensione del Signore al cielo; nessuna descrizione dell’evento, come, invece, leggiamo, nel racconto di Luca e nel libro degli Atti, che oggi la Chiesa propone come prima lettura. Marco, secondo il suo stile sobrio ed essenziale, racchiude l’evento in due sole espressioni: “fu assunto in cielo”, e “sedette alla destra del Padre”, due azioni in cui è concentrato, simbolicamente, il significato profondo della Pasqua: il Cristo per la potenza divina che è in lui, ha vinto la morte ed è entrato nell’eternità, dalla quale era venuto, inviato dal Padre, per la redenzione dell’uomo; ora, la missione del Figlio di Dio è compiuta, ed è compiuto anche il tempo della sua presenza visibile tra gli uomini, ed egli ritorna al Padre.

Nel lungo discorso di addio, durante l’ultima cena coi suoi, Gesù aveva detto loro: “Figlioletti miei, ancora un poco sarò con voi. Mi cercherete, ma dove io vado, voi non potete venire” (Gv.13,33); il Cristo storico, l’uomo Gesù, come ogni altro uomo, doveva lasciare la scena di questo mondo, per ritornare là, da dove era venuto; là nella pienezza di Dio, dove lo sguardo dell’uomo non può spingersi; nell’eterno infinito, l’assolutamente Altro, che è solo gloria, quella gloria che il Figlio aveva, prima che il mondo fosse creato, e in questa gloria, divina ed ineffabile, egli ora sta, con quell’umanità assunta nel tempo dalla Vergine Maria, e che è, anche, la nostra umanità.

È’ una verità importante per noi, una verità consolante, che rischiara la nostra esistenza di uomini, pellegrini nel tempo, che in Cristo, uomo e Dio, già, abbiamo raggiunto la gloria eterna; scrive Sant’Agostino: “… Egli è disceso dal cielo per la sua misericordia, e non vi è salito, se non lui, mentre noi, unicamente per grazia, siamo saliti con lui… perché l’unità del corpo non sia separata dal capo” ( dal Discorso sull’Ascensione).

Il nostro destino, dunque, è già compiuto in Cristo, anche se, ancora, noi viviamo nel tempo, ma non separati da lui, sempre invisibilmente presente tra noi, conforme alla promessa fatta, di restare con noi, ogni giorno, sino alla fine del mondo (Mt. 28,30).

In questo tempo di Pasqua, abbiamo parlato della vite, quella mistica, feconda vite, che è Cristo stesso, al quale noi restiamo legati come tralci; abbiamo parlato di una dimora, in cui stabilirci, e l’abbiamo individuata nell’amore che Dio ci offre; sappiamo, dunque, di non esser soli, ma intimamente legati al Signore Gesù, il Salvatore risorto, nostro capo, nel quale il Padre, da sempre, ci ha scelti, e ci ha scelti, come abbiamo letto la scorsa domenica, perché andiamo per le strade del mondo, a portare un frutto duraturo quale è l’annuncio della salvezza, e le opere dell’amore; ed è quel che il passo del Vangelo di oggi ci ricorda con le parole del Signore: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura».

Si chiude, ormai, il tempo della presenza visibile del Cristo, e si apre quello della sua nuova presenza, attraverso l’opera e l’azione della Chiesa, di cui Egli è il capo: un capo glorioso, mentre le membra, ancora vivono nel tempo, nella Storia, dove lo manifestano vivo ed operante; e queste membra siamo noi, che compiamo le stesse opere del nostro Signore e Maestro: Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio; noi, oggi siamo i suoi testimoni e gli annunciatori del Vangelo che salva, che libera, che illumina e che risana.

“Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura”; è l’impegno dell’amore operoso, della carità fattiva, attenta a tutti, senza alcuna discriminazione; è l’impegno della Chiesa santa, della quale siamo membra vive, quella Chiesa che è madre si piega sugli ultimi, che cura ogni piaga del corpo e dello spirito, che soccorre ogni bisogno, che ascolta, che conforta, che corregge, e che indica la via sicura, quella che reca le orme dei passi di Cristo redentore, unica via di salvezza.

“Allora essi partirono e predicarono dappertutto…”; con queste parole, l’Evangelista ci dà un’indicazione preziosa: l’ascensione di Cristo, la sua assunzione nella gloria, è, si, un evento grande che apre al nostro cuore gli spazi infiniti della contemplazione, ma questa, se è autentica, non è evasione dagli impegni che la fede in Cristo comporta; anche noi, come gli Undici, siamo portati, e siamo felici, di fermare il nostro sguardo sul Signore pienamente glorificato accanto al Padre, ma anche a noi, come a loro, qualcuno dice: «perché state a guardare il cielo? Questo Gesù che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno, allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo» (At.1,11); il Cristo ritornerà, per raccogliere il frutto di quella simbolica semina di salvezza, che ora passa attraverso le nostre mani di discepoli fedeli e operosi.

Lo sguardo rivolto al Cristo, che ascende al Padre, è, dunque, uno sguardo che ci radica nel segmento di storia in cui viviamo, con l’impegno di combattere il male che in essa si trova, mediante la Parola del Vangelo, aiutati dalla forza dello Spirito, animati dall’amore che da esso proviene, e che ha il potere, non solo di neutralizzare le insidie, ma anche quello di illuminare le menti e trasformare i cuori, perché si aprano alla fraternità e alla solidarietà, le sole capaci di instaurare, nel mondo, la giustizia e la pace.

È, questa, la nostra “ascensione”, la salita di quel simbolico monte che ci eleva dalla terra al cielo, una salita, spesso faticosa, ma animata, sempre dalla gioia e dalla fede nella parola del Cristo che ci ha lasciato, come sua eredità il comandamento dell’amore che non conosce limiti, quell’amore, che talvolta, costa, ma che ci ricongiunge a Dio, che ci fa sentire il Signore Gesù presente ed operante con noi, e ci dà la grazia di testimoniarlo a tanti, che, forse, non riescono a vederlo, ma che hanno, tuttavia, uno struggente bisogno di Lui.

suor Giuseppina Pisano, o.p.