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Vestirsi di luce

VESTIRSI DI LUCE

FORLAI_P1Come risvegliarsi dal torpore in cui è spesso immersa la vita spirituale? Come esporsi alla luce della grazia per uscire da una fede sonnecchiosa e non in grado di rivestire di senso quello che si vive, quello che si muove dentro e attorno a noi? La risposta è forse da cercare nell’incapacità di prestare al Sole divino il cuore ‒ cioè tutto quello che si è, la totalità del corpo, della «carne» ‒ e non soltanto la testa, i pensieri… È quanto attesta la sapienza monastica che «da sempre gusta Dio con il corpo perché cadenza il tempo con il suono della campana e ordina lo spazio intorno al chiostro».

Rifacendosi all’esperienza dei Padri monastici, l’Autore propone un itinerario per trovare nel cuore il proprio chiostro e la propria campana. Il libro consta di tre parti, di sei capitoli ciascuna; ogni capitolo è autonomo e compiuto in se stesso, così da poter leggere il volume a seconda delle esigenze del proprio itinerario spirituale. Completano il testo due appendici: la Piccola Regola di vita tratta dal Discorso ascetico di san Basilio Magno e indicazioni su: Modo di pregare la Parola, Esame di coscienza, Esame serale.

Scrive l’autore nell’introduzione: “Un cristianesimo sciatto non ha tempi né spazi e rimane inesorabilmente insipido per chi lo sposa. La sapienza monastica, invece, gusta Dio con il corpo perché cadenza il tempo con il suono della campana e ordina lo spazio intorno al chiostro. In un vero monastero è impossibile sia annoiarsi che perdersi, sebbene vi ci si rechi per la prima volta. Ogni cristiano può trovare nel cuore il suo chiostro e la sua campana. Allora ‒ e solo allora ‒ la luce della grazia non si limiterà semplicemente a toccare la mente, ma riscalderà anche il cuore e il corpo. Se ciò non fosse vero, l’incarnazione del Verbo e la risurrezione del Cristo non sarebbero altro che una geniale burla”.

Note sull’Autore

Giuseppe Forlai (Roma 1972) è un cristiano che cerca di seguire il Signore vivendo i consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza. Ordinato presbitero nel 1998, è stato vicario parrocchiale, cappellano in istituti penitenziari e docente di religione in un liceo statale. Attualmente è direttore spirituale del Pontificio Seminario Romano Maggiore. Insegna teologia presso l’ISSR “Ecclesia Mater” e l’Istituto di Teologia della Vita Consacrata “Claretianum”. Autore di molti libri, con Paoline ha pubblicato: Incontrare l’Inatteso. Vita cristiana per gente perplessa (Milano 2010); Cristo vive in me. La proposta spirituale di Don Alberione (Milano 2013); Io sono Vangelo. Decidersi per Cristo alla scuola di Paolo (Milano 2015).

 

Giuseppe Forlai

VESTIRSI DI LUCE

Introduzione pratica alla vita nello Spirito

  1. 192 – euro 14,00

L’assistenza gratuita delle suore comboniane per donne rifugiate

SUDAN3In Sudan la sanità è a pagamento e in ogni ospedale pubblico di Khartoum, capitale del Sudan, si deve pagare tutto: visita nel pronto soccorso, farmaci, flebo, siringhe e cerotti; si pagano gli esami, il ricovero e – una volta ricoverati – non si ha diritto ai medicinali necessari, ma nemmeno al cibo e all’acqua. A patire in forma più evidente di queste condizioni, sono le tante donne di diverse culture e realtà sociali stabilitesi nei villaggi della periferia, soprattutto di Khartoum e Omdurman, spesso per sfuggire a situazioni insostenibili nei loro paesi di origine, prevalentemente Ciad, sud Sudan e Darfur. Secondo le stime si calcolano 2 milioni di profughi interni e più di 706.000 nei paesi limitrofi. Si tratta di uno dei posti col più alto tasso di mortalità materna e infantile al mondo. La maggior parte non hanno lavoro e anche quelle che lo trovano sono di solito mal retribuite. In molte comunità la tradizione del parto in casa è molto forte, e lo è altrettanto la diffidenza verso la medicina e le cure fornite dalle strutture mediche. Spesso, inoltre, le cliniche sono molto lontane e difficili da raggiungere a causa del pessimo stato delle strade e dell’alto costo dei trasporti.

Per far fronte a questa emergenza, le suore Comboniane si sono impegnate nel St. Mary Maternity, aperto a Khartoum già nel 1954, con un progetto specifico per assistere le donne incinte. “Indipendentemente dal loro credo religioso, sono molte le donne che affollano gli ambulatori del St. Mary’s per esami clinici e visite mediche in preparazione al parto”, si legge in una nota inviata all’Agenzia Fides dalla responsabile del progetto, suor Elizabet Robles Ibarra.

“Nell’area prenatale della clinica – continua sr Elizabet, sono accolte donne bisognose a partire dal quarto mese di gravidanza. Vengono per una prima visita, per esami di laboratorio e per le ecografie prima del parto. Diverse volte riscontriamo situazioni a rischio e interveniamo.

L’amministrazione dell’ospedale provvede a coprire le spese, grazie all’aiuto dato dei donatori. Molte volte, poi, i neonati hanno bisogno di cure specifiche e rimangono sotto osservazione. Anche queste spese, che possono essere un peso per la famiglia, vengono ridotte al minimo o la prestazione medica è offerta gratuitamente per venire incontro a queste persone disagiate”.

“Tra gli obiettivi del nostro Centro, ci impegniamo ad offrire assistenza alle mamme che durante la loro gravidanza e nel periodo post-parto; aiutare le famiglie povere a coprire le spese mediche; sostenere le famiglie nei primi mesi di vita dei nascituri”, conclude la comboniana.

Attualmente sono circa 100 le mamme che vengono seguite durante la gestazione e i loro bambini.

(Articolo tratto da www.fides.org)

Gaudete et exsultate

Gaudete et exsultate

Gaudete_Exultate1Fin dai primi passi dopo l’elezione al soglio pontificio nel 2013 – sottolinea il sito www.vaticannews – Francesco si è soffermato sulla santità nella Chiesa e in più occasioni ha tracciato non solo un profilo di ciò che contraddistingue l’essere santi – la gioia, l’umiltà, il servizio e non di rado il nascosto -, ma ha anche indicato che cosa un santo non è: un superbo, un vanitoso, un «cristiano di apparenza», un «supereroe».

Il 19 novembre 2014, all’udienza generale, Papa Francesco affrontò il tema della vocazione universale alla santità richiamata dal Concilio, spiegando innanzitutto che “la santità non è qualcosa che ci procuriamo noi, che otteniamo noi con le nostre qualità e le nostre capacità. La santità è un dono, è il dono che ci fa il Signore Gesù, quando ci prende con sé e ci riveste di sé stesso, ci rende come Lui”. La santità, affermava Bergoglio, “non è una prerogativa soltanto di alcuni: la santità è un dono che viene offerto a tutti, nessuno escluso, per cui costituisce il carattere distintivo di ogni cristiano”. E per essere santi, “non bisogna per forza essere vescovi, preti o religiosi” o per chi ha la possibilità di “staccarsi dalle faccende ordinarie, per dedicarsi esclusivamente alla preghiera”.

 La santità, spiegava ancora Francesco, “è qualcosa di più grande, di più profondo che ci dà Dio. Anzi, è proprio vivendo con amore e offrendo la propria testimonianza cristiana nelle occupazioni di ogni giorno che siamo chiamati a diventare santi. E ciascuno nelle condizioni e nello stato di vita in cui si trova… Ma tu sei consacrato, sei consacrata? Sii santo vivendo con gioia la tua donazione e il tuo ministero. Sei sposato? Sii santo amando e prendendoti cura di tuo marito o di tua moglie, come Cristo ha fatto con la Chiesa. Sei un battezzato non sposato? Sii santo compiendo con onestà e competenza il tuo lavoro e offrendo del tempo al servizio dei fratelli”.

Quando il Signore ci invita a diventare santi – affermava il Papa in quella catechesi – non ci chiama a qualcosa di pesante, di triste… Tutt’altro! È l’invito a condividere la sua gioia, a vivere e a offrire con gioia ogni momento della nostra vita, facendolo diventare allo stesso tempo un dono d’amore per le persone che ci stanno accanto». Il richiamo alla gioia rappresenta un rimando sia a Evangelii gaudium sia ad Amoris laetitia . Quest’anno, come ha comunicato lo stesso Francesco, si celebrerà la canonizzazione di Paolo VI, il Papa che il 9 maggio 1975, in pieno Anno Santo, pubblicò un’esortazione apostolica dedicata alla gioia cristiana, Gaudete in Domino.

Gaudete et exsultate è la terza esortazione apostolica firmata da papa Bergoglio dopo Amoris laetitia sull’amore nella famiglia (19 marzo 2016) e dopo Evangelii gaudium sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale (24 novembre 2013). A questi documenti si aggiungono le due encicliche Laudato si’ (24 maggio 2015) e Lumen fidei (29 giugno 2013). La nuova esortazione apostolica è stata presentata alla stampa lunedì 9 aprile c.m. dall’arcivescovo Angelo De Donatis, vicario generale di Sua Santità per la diocesi di Roma, dal giornalista Gianni Valente e da Paola Bignardi, ex presidente dell’Azione cattolica.

Non un trattato sulla santità ma il desiderio di incarnarla nel contesto attuale. Questo l’obiettivo che Papa Francesco si propone con la nuova Esortazione Apostolica. La sfida è quella di proporre a tutti la chiamata alla santità come meta perché  viverla significa avere una vita felice e non annacquata, ha spiegato il Vicario del Papa per la diocesi di Roma, mons. Angelo De Donatis. “È un aiuto a tenere il nostro sguardo ben largo”. “È contro la tentazione di ridurre la visuale o di perdere l’orizzonte. Accontentarci a vivacchiare”, sintetizza. Una santità, dunque, non appannaggio di chi dedica la sua vita alla preghiera o ad un particolare ministero ma che è una proposta nella vita di  tutti, ogni giorno. Non a caso Papa Francesco parla della “santità della porta accanto”, cioè ad esempio dei padri e delle madri, che lavorano per portare il pane a casa e crescono con amore i loro figli. “Non si possono fare strategie o piani pastorali per produrre la santità”, sottolinea anche il giornalista Gianni Valente, che ha illustrato il secondo capitolo. Due le falsificazioni della santità che per il Papa possono affacciarsi: due eresie dei primi secoli, pelagianesimo e  gnosticismo, che possono ancora sedurre il cuore dei cristiani. Da una parte per il pelagianesimo Cristo sarebbe venuto per dare il buon esempio, la natura umana non sarebbe ferita dal peccato e quindi tutto dipende dallo sforzo umano. Invece – spiega Valente – è il lavoro della grazia a trasformarci in modo progressivo. L’altro rischio è lo gnosticismo quando si concepisce la fede come cammino di conoscenza di verità. Ma “se il cristianesimo viene ridotto a una serie di messaggi e a una serie di idee – fossero pure l’idea della grazia o l’idea di Cristo – a prescindere però dal suo operare reale, allora inevitabilmente la missione della Chiesa si riduce ad una propaganda, ad un marketing: cioè alla ricerca di metodi per diffondere quelle idee e convincere altri a sostenerle”, spiega il giornalista ricordando anche che Francesco non vuole fare battaglie culturali ma chiedere che sia il Signore a liberare dalle forme di gnosticismo e pelagianesimo.

Su terzo e quarto capitolo, le riflessioni di Paola Bignardi. Carta di identità del cristiano sono le Beatitudini. Soprattutto riguardo alla misericordia, la Bignardi ricorda l’esempio riportato al numero 98 del documento  “che – dice – dà l’idea, in maniera molto concreta, di che cosa questo significhi, e in qualche modo mostra il discrimine tra l’essere cristiani e il non esserlo”: “quando incontro una persona che dorme alle intemperie, in una notte fredda”, posso considerarlo un imprevisto fastidioso o riconoscere in lui un essere umano con la mia stessa dignità, come me infinitamente amato dal Padre.

“Dio è sempre novità, che ci spinge continuamente a ripartire e a cambiare posto per andare oltre il conosciuto, verso le periferie e le frontiere, afferma l’Esortazione; ci conduce là dove si trova l’umanità più ferita e dove gli esseri umani, al di sotto dell’apparenza della superficialità e del conformismo, continuano a cercare la risposta alla domanda sul senso della vita. Dio non ha paura! Non ha paura! Va sempre al di là dei nostri schemi e non teme le periferie. Egli stesso si è fatto periferia (cfr Fil 2,6-8; Gv 1,14). Per questo, se oseremo andare nelle periferie, là lo troveremo: Lui sarà già lì. Gesù ci precede nel cuore di quel fratello, nella sua carne ferita, nella sua vita oppressa, nella sua anima ottenebrata. Lui è già lì”.

“La santificazione è un cammino comunitario; la comunità è chiamata a creare quello «spazio teologale in cui si può sperimentare la mistica presenza del Signore risorto». Condividere la Parola e celebrare insieme l’Eucaristia ci rende più fratelli e ci trasforma via via in comunità santa e missionaria. La vita comunitaria, in famiglia, in parrocchia, nella comunità religiosa o in qualunque altra, è fatta di tanti piccoli dettagli quotidiani. Ricordiamo come Gesù invitava i suoi discepoli a fare attenzione ai particolari. Il piccolo particolare che si stava esaurendo il vino in una festa. Il piccolo particolare che mancava una pecora. Il piccolo particolare della vedova che offrì le sue due monetine. Il piccolo particolare di avere olio di riserva per le lampade se lo sposo ritarda. Il piccolo particolare di chiedere ai discepoli di vedere quanti pani avevano. Il piccolo particolare di avere un fuocherello pronto e del pesce sulla griglia mentre aspettava i discepoli all’alba.

La comunità che custodisce i piccoli particolari dell’amore, dove i membri si prendono cura gli uni degli altri e costituiscono uno spazio aperto ed evangelizzatore, è luogo della presenza del Risorto che la va santificando secondo il progetto del Padre”.

“Malgrado sembri ovvio, la santità è fatta di apertura abituale alla trascendenza, che si esprime nella preghiera e nell’adorazione. E poi “come sapere se una cosa viene dallo Spirito Santo o se deriva dallo spirito del mondo o dallo spirito del diavolo? L’unico modo è il discernimento, che non richiede solo una buona capacità di ragionare e di senso comune, è anche un dono che bisogna chiedere. Se lo chiediamo con fiducia allo Spirito Santo, invita il Papa, e allo stesso tempo ci sforziamo di coltivarlo con la preghiera, la riflessione, la lettura e il buon consiglio, sicuramente potremo crescere in questa capacità spirituale”.

“Spero che queste pagine siano utili perché tutta la Chiesa si dedichi a promuovere il desiderio della santità”, così quasi a conclusione l’Esortazione e prosegue: “Chiediamo che lo Spirito Santo infonda in noi un intenso desiderio di essere santi per la maggior gloria di Dio e incoraggiamoci a vicenda in questo proposito. Così condivideremo una felicità che il mondo non ci potrà togliere”.

D.S.

IL FUOCO

FUOCO_2Non c’è religiosità che non ponga il fuoco al centro del proprio culto come segno per esprimere la divinità e il suo operare. Il fuoco illumina, purifica, riscalda, consuma, distrugge e trasforma. È insieme ad aria, acqua e terra uno dei quattro elementi fondamentali del creato, secondo le antiche concezioni, e come tale ricco di messaggi per ogni cultura e in ogni tempo poiché porta in qualche modo, se così possiamo dire, la firma del Creatore.

II fuoco pertanto non poteva non diventare uno strumento fondamentale anche nella rivelazione di Dio e nel culto cristiano.

Il termine fuoco nella Bibbia è usato frequentemente sia nel significato naturale e tecnico che nella valenza simbolica. Nella traduzione greca della LXX ricorre 490 volte.

In tutta quanta la Scrittura notiamo che Dio ama manifestarsi particolarmente attraverso il fuoco per sigillare la sua alleanza con Abramo (Gn 15,17), per entrare in dialogo con Mosè (Es 3,2); per guidare il popolo nel deserto (Es 13,21); per sigillare l’alleanza con il suo popolo al Sinai (Es 19,18; 24,17). Non c’è quindi da meravigliarsi se la funzionale accensione dei lumi al tramonto del sabato divenne per il popolo d’Israele un rito profondamente religioso, il lucernario, dal quale prenderà origine il rito della benedizione del cero nella veglia pasquale cristiana. Il fuoco infatti evoca all’uomo biblico, quindi all’ebreo come al cristiano, l’azione salvifica di Dio. Un’azione che trova il suo vertice nel Nuovo Testamento dove il battesimo cristiano viene assimilato al fuoco (Mt 3,11 ) e dove lo stesso Gesù paragona, la sua missione all’azione del fuoco: «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso» (Lc 12,49). L’inizio stesso della Chiesa ha luogo attraverso l’azione di quelle lingue di fuoco, segno dell’effusione dello Spirito Santo, dono del Cristo risorto che si posa sulla prima comunità. Lo Spirito santo come fuoco illumina la Chiesa facendole comprendere la propria identità di comunità di salvati (At 11,16); brucia la paura e ogni forma di timore rendendo i credenti testimoni i coraggiosi del vangelo in ogni angolo della terra (At 1,5 – 8); riscalda il cuore che diviene capace di vivere giorno dopo giorno l’ideale della comunità cristiana nata dalla Pasqua (At 2, 42-47). Inoltre, come Dio sul Sinai fumante diede la sua Legge per mezzo di Mosè, a Pentecoste nel dono delle lingue di fuoco regala il dono della Parola che gli apostoli, colmi di amore, porteranno in tutto il mondo, facendosi capire.

Il simbolo del fuoco descrive pure la missione e la personalità di alcuni personaggi biblici: il profeta Elia: 2 Re 1,10 14; Sir 48,13; Giovanni Battista in riferimento al Cristo: Mt 3,11 12; e la stessa missione del Signore: Lc 12,49- 50.

Paolo utilizza la simbologia del fuoco per descrivere l’azione dello Spirito nel cuore dei credenti: il fuoco “scolpì” la prima legge nelle tavole di Mosè, ora lo Spirito Santo imprime a caratteri forti la legge di Cristo nel cuore dei cristiani (2 Cor 3,3). Lo Spirito come fuoco realizza la nuova alleanza profetizzata dal profeta Geremia (31,31-33).

 

Stupiti, spaventati, turbati, e grande gioia…

Stupiti, spaventati, turbati, e grande gioia

Dal Vangelo di Luca   Lc 24, 35-48

MANI1Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane. Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».

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Sono gli aggettivi che il Vangelo di oggi, usa e riguardano gli Apostoli: ma sono aggettivi che descrivono bene i nostri stati di animo, quelli di tutti i giorni.

Vediamo insieme il fatto da cui nascono questi stati d’animo comune.

Gli Apostoli, scelti da Dio stesso, per essere poi “i grandi pilastri della Chiesa”, avevano giocato la loro vita sull’accettazione di “lasciare tutto e seguire Gesù” per “stare con Lui e poi essere mandati”.

Non prevedevano che tanto Maestro e Signore, amore di Dio incarnato tra noi poveri uomini, potesse subire l’umiliazione dell’arresto, del processo, della flagellazione insomma della lenta, ma terribile privazione della propria dignità umana, fino alla ignobile crocifissione. E come tutti i morti era stato sepolto, come a dire che tutto era finito.

E’ vero che Gesù non aveva mai cessato di predire con estrema esattezza tutto questo, chiamandola la “sua ora”. L’ora in cui tramite il suo sacrificio sarebbe cambiata la sorte di noi uomini e di tutto il creato. Ed aveva aggiunto, come per dire che il “suo discorso” non si chiudeva con la sua crocifissione e sepoltura, che quello era un passaggio, verso la resurrezione.

Ma a tutto questo non arrivava la povertà umana degli apostoli, come tante volte non arriva la nostra. Entriamo nel regno di Dio e solo la fede ci permette di accedervi. Dio è giusto ed è fedele alle sue promesse. E Gesù puntualmente il terzo giorno risuscitò. E’ la Pasqua, il grande giorno per tutti.

Ma che fosse risorto doveva essere provato, “toccato con mano” per poi testimoniarlo a tutti, fino alla fine dei secoli.

Il tempo della sepoltura alla resurrezione, fu “la terribile notte” del cuore per gli apostoli e per quanti avevano creduto in Gesù. Una notte insopportabile. Per cui era immensa la speranza che quel sepolcro si aprisse e Lui tornasse tra loro. Se rotolava quella pietra, sarebbe rotolata la pietra di ogni uomo, sulla notte del cuore, che sono tante e per tutti. Quella pietra rotolò e Gesù apparve ai discepoli. Quella apparizione improvvisa che abbatte ogni “notte”, crea inevitabilmente “stupore”, fino allo “spavento. E lo possiamo capire. Succederebbe a tutti noi lo stesso sgomento. E’ Gesù stesso che aiuta a superare questo stato d’animo, facendo capire che la sua presenza non era una “allucinazione”, ma era una realtà viva e chiede così che gli offrano da mangiare. Superato lo spavento, avuta la certezza che Gesù era tornato tra loro vivo, risuscitato, segue inevitabilmente la grande gioia. La nostra tristezza, il più delle volte, non conosce la grande gioia, perché è la sensazione che non si “aspetta nessuno” che rompa la solitudine e dia speranza facendosi vicino e offrendo amicizia vera.

Anni fa ero in pellegrinaggio a Lourdes. Trovavo molto bello, quando era notte, starmene solo o in compagnia di pochi ai piedi della Grotta. Una notte mi accorsi che vicino a me, seduto sul muricciolo, c’era un uomo, quasi piegato su se stesso dal dolore. Un dolore che non gli faceva neppure guardare la Grotta e la Madonna. Mi accostai con molto rispetto: e mi sedetti accanto a lui come a non farlo sentire solo. Cominciò a piangere a dirotto per lungo tempo. Non so cosa sia significato per lui quel sentire uno che si era fatto vicino in quella notte. So che ad un certo momento mi disse: “La ringrazio di essere venuto”. Ero qui per togliermi la vita, talmente non ne posso più”. Mi raccontò il suo dolore che era veramente grande Ed alla fine alzò gli occhi verso la Madonna. Aveva il volto diverso, illuminato, con un raggio di sorriso. Quell’uomo davvero aveva vissuto “il turbamento” “lo spavento” e “la gioia”. Là e in chissà quanti posti, anche nella nostra piazzetta di Internet, ciò accade. E scrivendo queste righe mi è parso di incontrarne parecchi e di farmi vicino a loro, come a Lourdes.

Mons. Antonio Riboldi

 

SILENZIO1Dall’albero del silenzio pende il suo frutto: la pace. Arthur Schopenauer

“Uomo che ami parlare molto, ascolta e diventerai simile al saggio. L’inizio della saggezza è il silenzio”. Lo ha lasciato scritto Pitagora, circa 2500 anni or sono. In questa sentenza il famoso matematico, taumaturgo, astronomo, scienziato, politico e fondatore a Crotone di una delle più importanti scuole di pensiero dell’umanità, fa la sintesi del suo ‘pensiero’, della sua fede. Di quello in cui crede e che – da buon maestro qual era – intende trasmettere ad altri.

Parola, silenzio, ascolto, saggezza: quattro parole intersecanti, l’una soggetta all’altra. La parola – che è anello di congiunzione tra persona e persona, causa e fonte della relazionalità, senza un uditore, non serve; sfuma nel vento; se non è accompagnata dall’ascolto, evapora. Ma l’ascolto, perché sia possibile e diventi vero, autentico, profondo, ha una sua simpatica specifica esigenza: necessita il silenzio. Il rumore, il chiasso esterni non permettono alla parola di raggiungere il primo obiettivo per cui è stata pronunziata; non giunge a destinazione. Non viene accolta. Quindi non può produrre quella reazione positiva o negativa per cui è stata pronunciata; le è impedita la risposta adeguata.

Ma vi è un altro rumore più acuto, un altro chiasso più assordante ed è il tumulto interiore, l’angoscia, l’irrequietezza dell’anima, la tensione dello spirito, la preoccupazione inutile, forse malsana. Quella ‘non pace’, quel ‘non silenzio’, che tormenta e assilla gli inquieti, gli insoddisfatti, i distratti, gli assillati da mille inutili preoccupazioni, i cercatori del nulla.

Quel simpatico e inimitabile attore che fu Charlie Chaplin diceva: “Il silenzio è un dono universale che pochi sanno apprezzare. Forse perché non può essere comprato. I ricchi comprano rumore. L’animo umano si diletta nel silenzio della natura, che si rivela solo a chi lo cerca”. A Chaplin risponde con altrettanta saggezza il compositore, pianista, organista, violinista W. A. Mozart: “Parlare bene ed eloquentemente è una gran bella arte, ma è parimenti grande quella di conoscere il momento giusto in cui smettere”

“Dio è amico del silenzio – ha scritto santa M. Teresa di Calcutta. – Guarda come la natura – gli alberi, i fiori, l’erba – crescono in silenzio; guarda le stelle, la luna e il sole, come si muovono in silenzio. …. Abbiamo bisogno di silenzio per essere in grado di toccare le anime”. Abbiamo bisogno di silenzio maturo, frutto di meditazione, di un certo, sapiente, cercato e voluto rinnegamento di sé, per acquisire e possedere quella pace e saggezza umana che rendono fecondi di luce, di grazia ogni nostra parola e ogni nostro gesto verso chiunque fa capolino o si appoggia sulla nostra strada. Saranno parole e gesti profumati di gentilezza, forse di saporosa femminilità per chi è donna, sempre carichi di giusta ed efficace simpatia…

                                                                                        Biancarosa Magliano, fsp

biancarosam@tiscali.it

 

Suor Maria Elena Berini premiata come “Donna di coraggio”

BERINI1Classe 1944, nativa di Sondrio, consacrata della Congregazione religiosa delle Suore di Santa Giovanna Antida Thouret, ha ricevuto dalle mani della first lady statunitense, Melania Trump, il premio internazionale “Donne di coraggio” (International Women of Courage Award). A segnalare la religiosa valtellinese è stata l’ambasciata americana presso la Santa Sede, che è venuta a conoscenza dell’attività meritoria di suor Maria Elena. Il riconoscimento, che viene assegnato ogni anno a 10 donne (scelte in tutto il mondo), viene dato dal Dipartimento di Stato Americano nella sede di Washington. Le altre premiate, per il loro impegno nell’ambito della salute pubblica, dei diritti umani, della giustizia, dello sviluppo, della difesa della pace e del sostegno alla dignità della donna sono: Roya Sadat (Afghanistan); Aura Elena Farfan (Guatemala); Julissa Villanueva (Honduras); Aliyah Khalaf Saleh (Iraq); Aiman Umarova (Kazakhstan); Feride Rushiti (Kosovo); L’Malouma Said (Mauritania); Godelive Mukasarasi (Rwanda); Sirikan Charoensiri (Thailand).

…Pace a voi…

Dal Vangelo di Giovanni   Gv 20, 19-31

BEATI QUELLI1La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

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Le porte erano chiuse per paura dei giudei: così inizia il vangelo della seconda domenica di Pasqua. La paura è un sentimento che il lettore del quarto Vangelo già conosce: la paura della folla che non osa parlare in pubblico di Gesù; la paura dei genitori del cieco guarito che temono le reazioni dell’autorità; la paura di alcuni notabili che non hanno il coraggio di dichiararsi per timore di essere espulsi dalla sinagoga. In tutti i casi la paura è suscitata dalle autorità, che sono ostili nei confronti di Gesù. Ma se la paura può entrare nel cuore dell’uomo è unicamente perché vi trova un punto di appoggio. Non serve perciò chiudere le porte. La paura entra nel profondo se si è ricattabili, se qualcosa ci importa più di Gesù. Ora che il Signore è risorto, non c’è più ragione di avere paura. Perfino la morte è vinta: di che cosa avere paura?

Per farsi riconoscere il Risorto sceglie i segni della crocifissione: il fianco e le mani trafitte. La risurrezione non fa dimenticare la Croce: la trasfigura. Le tracce della crocifissione sono ancora visibili, perché sono proprio loro a indicare l’identità del Risorto e a indicare la strada che il discepolo deve percorrere per raggiungerlo.

«Pace a voi» è il saluto del Signore risorto. Ma è una pace diversa da come il mondo la pensa. Diversa perché dono di Dio, non semplice conquista della buona volontà dell’uomo. Diversa, perché va alla radice, là dove l’uomo decide la scelta della menzogna o della verità. Diversa perché è una pace che sa pagare il prezzo della verità. La pace di Gesù non promette di eliminare la Croce – né nella vita del cristiano né nella storia del mondo – ma rende certi della sua vittoria: «Io ho vinto il mondo» (16,33).

I discepoli passano dalla paura alla gioia: «Si rallegrarono al vedere il Signore». Come la pace, anche la gioia è un dono del Risorto. Si tratta di una gioia che affonda le sue radici nell’amore. Pace e gioia sono al tempo stesso il dono del Risorto e le tracce per riconoscerlo. Ma occorre infrangere l’attaccamento a se stessi. Solo così non si è più ricattabili e si viene liberati dalla paura. La pace e la gioia fioriscono nella libertà e nel dono di sé, due condizioni senza le quali è impossibile alcuna esperienza della presenza del Risorto.

Accanto alla fede degli altri discepoli, c’è anche il dubbio di Tommaso. Tommaso ha conosciuto il dubbio, come a volte avviene, ma questo non gli ha impedito di giungere, primo tra gli apostoli, a una fede piena: «Mio Signore e mio Dio». Non raramente anche una grande fede passa attraverso il dubbio.

Le porte erano chiuse per paura dei giudei: così inizia il vangelo della seconda domenica di Pasqua. La paura è un sentimento che il lettore del quarto Vangelo già conosce: la paura della folla che non osa parlare in pubblico di Gesù; la paura dei genitori del cieco guarito che temono le reazioni dell’autorità; la paura di alcuni notabili che non hanno il coraggio di dichiararsi per timore di essere espulsi dalla sinagoga. In tutti i casi la paura è suscitata dalle autorità, che sono ostili nei confronti di Gesù. Ma se la paura può entrare nel cuore dell’uomo è unicamente perché vi trova un punto di appoggio. Non serve perciò chiudere le porte. La paura entra nel profondo se si è ricattabili, se qualcosa ci importa più di Gesù. Ora che il Signore è risorto, non c’è più ragione di avere paura. Perfino la morte è vinta: di che cosa avere paura?

Per farsi riconoscere il Risorto sceglie i segni della crocifissione: il fianco e le mani trafitte. La risurrezione non fa dimenticare la Croce: la trasfigura. Le tracce della crocifissione sono ancora visibili, perché sono proprio loro a indicare l’identità del Risorto e a indicare la strada che il discepolo deve percorrere per raggiungerlo.

«Pace a voi» è il saluto del Signore risorto. Ma è una pace diversa da come il mondo la pensa. Diversa perché dono di Dio, non semplice conquista della buona volontà dell’uomo. Diversa, perché va alla radice, là dove l’uomo decide la scelta della menzogna o della verità. Diversa perché è una pace che sa pagare il prezzo della verità. La pace di Gesù non promette di eliminare la Croce – né nella vita del cristiano né nella storia del mondo – ma rende certi della sua vittoria: «Io ho vinto il mondo» (16,33).

I discepoli passano dalla paura alla gioia: «Si rallegrarono al vedere il Signore». Come la pace, anche la gioia è un dono del Risorto. Si tratta di una gioia che affonda le sue radici nell’amore. Pace e gioia sono al tempo stesso il dono del Risorto e le tracce per riconoscerlo. Ma occorre infrangere l’attaccamento a se stessi. Solo così non si è più ricattabili e si viene liberati dalla paura. La pace e la gioia fioriscono nella libertà e nel dono di sé, due condizioni senza le quali è impossibile alcuna esperienza della presenza del Risorto.

Accanto alla fede degli altri discepoli, c’è anche il dubbio di Tommaso. Tommaso ha conosciuto il dubbio, come a volte avviene, ma questo non gli ha impedito di giungere, primo tra gli apostoli, a una fede piena: «Mio Signore e mio Dio». Non raramente anche una grande fede passa attraverso il dubbio.

A.S.

AUGURI!

Oggi, giovedì 5 aprile 2018 l’Assemblea USMI riunita per l’annuale momento formativo ha eletto la madre Presidente e la Vice- Presidente.

MadreMadre Yvonne Reungoat, Superiora generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, Presidente

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e Sr Ester Pinca, Superiora generale delle Suore Francescane Alcantarine.

Grazie per il SI di ciascuna e auguri per un fecondo servizio alla Vita consacrata che è in Italia.

RELAZIONEIn queste ore in tutta Italia si parla dell’ennesimo episodio di cronaca che riguarda la scuola: una insegnante di Alessandria, una persona descritta come esile e con difficoltà motorie, è stata legata ad una seggiola dagli allievi di una prima superiore, insultata, umiliata, presa a calci.

Si tratta di una vicenda molto triste, purtroppo l’ultima di una lunga serie. La profonda crisi delle relazioni sociali sfoga i suoi pesanti effetti anche sulla scuola, dove il ruolo dell’insegnante ha visto una progressiva ma inesorabile perdita di autorevolezza e di riconoscimento.

Lo scadimento del processo educativo nel nostro Paese si è tradotto nell’abbassamento della qualità dell’istruzione. Occorre ricordare infatti che l’insegnamento si fonda su una relazione, la relazione educativa; quest’ultima ha sempre poggiato su un assunto fondamentale: l’asimmetria dei ruoli dell’educatore e dell’educando, con il riconoscimento da parte di quest’ultimo dell’autorevolezza dell’educatore in ragione della sua esperienza, delle sue conoscenze e delle sue competenze.

Ogni autentico processo di apprendimento è strettamente legato ai processi affettivi che coadiuvano la crescita complessiva della persona. Concetti come «contenimento», «rispetto delle norme», «consapevolezza del limite», sono stati messi in crisi con i risultati che oggi notiamo. La stessa punizione che è stata comminata al gruppo dei bulli è rivelativa di una incapacità di attuare azioni correttive rispetto a comportamenti gravemente erronei.

E’ importante anche riflettere sul fatto che, di norma, al giorno d’oggi “funziona” solo quello che è scelto liberamente dagli individui, e lo stesso vale anche per i percorsi formativi: chi sceglie consapevolmente e liberamente il proprio percorso è di solito più disponibile ad accettare sia le difficoltà che gli ostacoli che gli si parano innanzi. Purtroppo nel nostro Paese il processo di formazione sembra più subito che scelto e la libertà educativa è un traguardo di cui si è ancora poco consapevoli.

L’aver impedito in Italia, la più grave eccezione in Europa, ai genitori di poter esercitare la propria responsabilità educativa, scegliendo liberamente l’istituzione formativa da loro desiderata, ha un costo sociale enorme. La conoscenza e il sapere, annientati dal piattume, hanno prodotto una cultura mediocre e violenta. E’ sotto lo sguardo di tutti il risultato della non conoscenza. Una cultura piatta, comune a tutti, ma che non lascia lo spazio al vero sapere e se quest’ultimo c’è, il cervello è destinato alla fuga…

Abbiamo iniziato con il distruggere la famiglia cellula fondante della società, abbiamo ucciso il padre, la madre, il figlio non ha bisogno dei genitori, la scuola è un ammortizzatore sociale, la politica ci rimanda ad autocandidature che non hanno il coraggio della gavetta e della conoscenza, le organizzazione complesse la vita religiosa, la scuola non ne sono esenti. Un fenomeno sociale questo che definisco la logica risultanza di una responsabilità non agita in libertà.

Nella sterile contrapposizione all’interno del Servizio Nazionale di Istruzione, tra scuola pubblica statale e scuola pubblica paritaria – tema poco citato dai partiti in campagna elettorale, nello stile del “chi tocca muore” – si lede il più naturale dei diritti: la libertà di scelta educativa dei genitori. Argomento tabù. Ad oggi, ben poco (il “poco” è la dote scuola concessa da una/due regioni virtuose: l’eccezione conferma la regola del nulla di fatto) è stato attivato a favore del sacrosanto diritto al pluralismo educativo che perde pezzi ogni giorno sotto la morsa dell’irresponsabilità e che resta l’unico gancio che può salvare dalla scelta obbligata in educazione, tipica dei peggiori regimi totalitari. Al sibilo di tagliare i fondi alle scuole pubbliche paritarie tranne che a quella dell’infanzia, non corrisponde il barlume di consapevolezza che cosi il welfare italiano collasserebbe. Non può essere solo ignoranza; è lampante malafede….

 

Anno scolastico Studenti totale Italia Studenti Scuola Statale Spesa Totale Scuola Statale (in milioni di €) Spesa per Allievo Scuola Statale Studenti Scuola

non Statale

Studenti         Scuola Paritaria Risorse Miur per istruzione non statale (milioni di €) Risorse Miur per istruzione non statale per Allievo Studenti         Scuola               non Paritaria Studenti scuola pubblica Studenti scuola privata Studenti prov.

auton.                       TN e BZ

2006-07 8.931.880 7.687.387 €   52.118 €   6.779,68 1.244.493 1.030.241 €   530,00 €     514,44 214.252 314.279 930.214 158.489
2007-08 8.953.587 7.708.241 €   56.371 € 7.313,08 1.245.346 1.045.668 €   520,00 €     497,29 199.678 308.089 937.257 158.886
2008-09 8.946.233 7.702.783 €   54.648 € 7.094,58 1.243.450 1.060.332 €   521,00 €     491,36 183.118 325.718 917.732 160.604
2009-10 8.961.634 7.716.283 € 50.549 €  6.550,95 1.245.351 1.074.205 €   531,00 €     494,32 171.146 304.527 940.824 162.246
2010-11 8.965.822 7.723.581 € 51.519 € 6.670,35 1.242.241 1.072.968 €   496,00 €     462,27 169.273 324.363 917.878 163.642
2011-12 8.961.159 7.730.853 € 50.984 €   6.594,87 1.230.306 1.061.393 €   502,00 €     472,96 168.913 323.106 907.200 164.438
2012-13 8.943.701 7.737.639 € 49.776 €  6.432,97 1.206.062 1.036.219 €   499,00 €       481,56 169.843 321.173 884.889 164.488
2013-14 8.920.228 7.757.702 €   49.689 € 6.405,12 1.162.526 992.181 €   494,00 €     497,89 170.345 314.469 848.057 164.640
2014-15 8.885.802 7.753.202 € 49.418 €   6.373,88 1.132.600 963.265 €   471,20 €     489,17 169.335 307.681 824.919 162.693
2015-16 8.826.893 7.717.308 €   49.418 € 6.403,53 1.109.585 939.372 €   499,80 €     532,06 170.213 302.765 806.820 162.667

Nemmeno la Legge 62 del 2000, che porta il nome evocativo dell’unico ministro che avrebbe potuto permettersi di emanarla, Luigi Berlinguer, è riuscita a risolvere la questione della parità scolastica, della pari dignità tra le istituzioni scolastiche pubbliche, paritarie e statali. Nonostante dal 2000 sia stato messo nero su bianco che il Sistema Nazionale di Istruzione è composto dalle scuole pubbliche, statali e paritarie, ancora oggi non è comunemente passato il concetto che l’offerta formativa, unica e conforme agli stessi ordinamenti generali, può essere erogata o da istituzioni statali o da istituzioni paritarie, a garanzia del pluralismo formativo e della libertà di scelta educativa sanciti dalla Costituzione. Ignoranza o ideologia? Entrambe. Non è comunemente considerato che negare la libertà di scelta educativa significa affermare una scuola di regime, che riduce il diritto costituzionale all’istruzione all’obbligo di riceverla solo da scuole statali. Da queste premesse, la sbandierata rinascita dell’Italia è oggettivamente impossibile.

Da qui, l’elogio dell’ipocrisia: si desidera, per comodità familiare o per stima del corpo docente, la scuola pubblica paritaria? La famiglia a Isee pari a zero può solo desiderarla; tutte le altre devono pagare oltre al dovuto della fiscalità generale. “A prescindere”, direbbe il Principe della risata, tragica in questo caso.

Insomma, non ci può essere libertà di scelta educativa se non viene garantita la libertà economica per il suo esercizio. Per questo, l’unico modo per rispettare fedelmente il dettato costituzionale del diritto all’istruzione e del diritto alla libertà di scelta educativa è quello di riconoscere una dote a ciascuno studente, pari ad un costo standard di sostenibilità ossia all’ammontare minimo di risorse da riconoscere a ciascuna scuola pubblica – statale e paritaria – sulla base di parametri certi.

In sostanza, le risorse disponibili per il sistema di istruzione e formazione dovrebbero essere destinate alle famiglie, per finanziare l’istituzione scolastica pubblica, statale o paritaria, da loro prescelta per l’istruzione dei figli. Ciascuna istituzione scolastica pubblica, statale e paritaria, riceverebbe tante più risorse quanti più studenti riuscirebbe ad attrarre anche per il proprio valore, generando una virtuosa concorrenza a vantaggio dell’intero sistema educativo. Scuole pubbliche statali e scuole pubbliche paritarie sarebbero incentivate a migliorare l’offerta formativa, a garantire la migliore integrazione con il sistema della formazione universitaria e con il mondo del lavoro, ad erogare efficaci servizi di orientamento e placement, per mantenere le risorse assegnate sulla base delle scelte di famiglie e studenti.

In uno Stato effettivamente liberale, solo attraverso il costo standard di sostenibilità si può garantire anche ai meno abbienti la vera libertà di scelta educativa, data una varietà e pluralità di scelta formativa, che oggi si sta pericolosamente assottigliando. Scuole pubbliche paritarie e pubbliche statali, ben funzionanti, con docenti seri e attenzione a tutte le condizioni degli alunni, non guasterebbero in Italia, soprattutto nelle Regioni più svantaggiate e caratterizzate dal recente ed evidente ciclone politico. Ci si chiede come si possa parlare di rinascita dell’economia e del contesto sociale senza parlare di scuola pubblica liberamente scelta.

Il finanziamento delle scuole pubbliche statali ammonta a circa 49 miliardi per poco più di 7 milioni di studenti rispetto ai quasi 500 milioni delle scuole pubbliche paritarie per circa un milione di studenti. Con una semplice divisione, è quasi immediato rilevare che il costo medio di ogni studente della scuola pubblica statale è pari a circa 6,5 mila euro l’anno, mentre quello delle pubbliche paritarie arriva a meno di 500 euro.

Con il costo standard definito come sopra, la spesa aggiuntiva per ogni alunno, di ogni scuola pubblica, statale e paritaria, sarebbe pari a zero. Questo immaginando che non vi sia alcuna forma di compartecipazione, neanche da parte delle famiglie con Isee ad almeno cinque zeri. Se invece tale contribuzione fosse prevista, la spesa totale dello Stato diminuirebbe decisamente, scongiurando la prevedibile débacle economica dell’istruzione pubblica statale. In sostanza: se anche non si volesse rendere più efficiente il sistema educativo italiano, garantendo il diritto di scegliere la scuola, se anche tutto ciò non interessasse al governo venturo (forse fiducioso nei miracoli), il solo movente economico del mancato tracollo e del risparmio assicurato avrà la forza di acculturare gli ignoranti e far rinsavire gli ideologici. Pecunia non olet, anche per lo Stato.

Anna Monia Alfieri