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maria1Modello di tutta la Chiesa nell’esercizio del culto divino, Maria è anche, evidentemente, maestra di vita spirituale per i singoli cristiani. Ben presto i fedeli cominciarono a guardare a Maria per fare, come lei, della propria vita un culto a Dio e del loro culto un impegno di vita. Già nel IV secolo, sant’Ambrogio, parlando ai fedeli, auspicava che in ognuno di essi fosse l’anima di Maria per glorificare Dio: Dev’essere in ciascuno l’anima di Maria per magnificare il Signore, dev’essere in ciascuno il suo spirito per esultare in Dio. Maria, però, è soprattutto modello di quel culto che consiste nel fare della propria vita un’offerta a Dio: dottrina antica, perenne, che ognuno può riascoltare, ponendo mente all’insegnamento della Chiesa, ma anche porgendo l’orecchio alla voce stessa della Vergine, allorché essa, anticipando in sé la stupenda domanda della preghiera del Signore: Sia fatta la tua volontà (Mt 6,10), rispose al messaggero di Dio: Ecco la serva del Signore: sia fatto di me secondo la tua parola (Lc 1,38). E il «sì» di Maria è per tutti i cristiani lezione ed esempio per fare dell’obbedienza alla volontà del Padre la via e il mezzo della propria santificazione.

È importante, d’altra parte, osservare come la Chiesa traduca i molteplici rapporti che la uniscono a Maria in vari ed efficaci atteggiamenti cultuali: in venerazione profonda, quando riflette sulla singolare dignità della Vergine, divenuta, per opera dello Spirito, madre del Verbo incarnato; in amore ardente, quando considera la maternità spirituale di Maria verso tutte le membra del Corpo mistico; in fiduciosa invocazione, quando esperimenta l’intercessione della sua Avvocata e Ausiliatrice; in servizio di amore, quando scorge nell’umile Ancella del Signore la Regina di misericordia e la Madre di grazia; in operosa imitazione, quando contempla la santità e le virtù della «piena di grazia» (Lc 1,28); in commosso stupore, quando vede in lei, come in una immagine purissima, ciò che essa, tutta, desidera e spera di essere; in attento studio, quando ravvisa nella cooperatrice del Redentore, ormai pienamente partecipe dei frutti del mistero pasquale, il compimento profetico del suo stesso avvenire, fino al giorno in cui, purificata da ogni ruga e da ogni macchia (cfrEf 5,27), diverrà come una sposa ornata per lo sposo, Gesù Cristo (cfr Ap 21,2).

Considerando la venerazione che la tradizione liturgica della Chiesa universale e il rinnovato Rito Romano esprimono verso la santa Madre di Dio; ricordando che la Liturgia, per il suo preminente valore cultuale, costituisce una regola d’oro per la pietà cristiana; osservando, infine, come la Chiesa, quando celebra i sacri misteri, assuma un atteggiamento di fede e di amore simili a quello della Vergine, comprendiamo quanto sia giusta l’esortazione del Concilio Vaticano II a tutti i figli della Chiesa, perché promuovano generosamente il culto, specialmente liturgico, della Beata Vergine: esortazione, che vorremmo vedere dappertutto accolta senza riserve e tradotta in pratica con zelo.

Paolo VI, Marialis cultus 1974

26° Giornata di Preghiera e Digiuno in memoria dei missionari martiri

 Chiamati alla vita

chiamati alla vitaMentre scrivo questa breve presentazione del numero speciale de L’animatore missionario dedicato alla 26° Giornata di Preghiera e Digiuno in memoria dei missionari martiri

che si celebra il prossimo 24 marzo, apprendo che papa Francesco ha autorizzato la pubblicazione del decreto che riconosce il martirio del vescovo di Oran in Algeria, mons. Pierre Claverie, e di altri 18 compagni, sacerdoti, religiosi e suore, uccisi in Algeria negli anni 1994-1996.

Tra loro anche i sette monaci trappisti del monastero di Tibhirine, rapiti nella notte tra il 26 ed il 27 marzo 1996 ed uccisi il 21 maggio successivo, la cui vicenda ha ispirato nel 2010 il film “Uomini di Dio” del regista Xavier Beauvois, che durante la 63ma edizione del Festival Cinematografico di Cannes vinse il premio Grand Prix Speciale della Giuria.

La memoria di quei fatti ci introduce al tema della Giornata di quest’anno, Chiamati alla vita. Alla vita vera naturalmente, la vita della Grazia secondo lo Spirito Santo, la vita di coloro che nel battesimo si immergono nella morte di Cristo per risorgere con lui come “nuova creatura”. Con il battesimo infatti siamo incorporati a Cristo e alla sua Chiesa, per sempre apparteniamo a Lui e con Lui partecipiamo alla vita divina trinitaria, come insegna il Catechismo della Chiesa cattolica.

È la vita nuova di cui parla l’Apostolo Paolo nella sua Lettera ai Romani “O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova”. È la vita evocata dall’immagine che appare sulla copertina di questo opuscolo: i resti di un antico battistero, quello della chiesa di Shivta nel deserto del Negheb, che richiama il senso profondo della rigenerazione in Cristo attraverso l’immersione di tutta la persona nell’acqua battesimale. È la vita alla quale sono chiamati non solo i martiri, nella loro suprema testimonianza del più grande amore, quello di dare la propria vita per quelli che si amano, ma anche tutti e ciascuno di noi nella quotidiana testimonianza di una fede vissuta nella carità e amicizia verso quanti sono privati, ovunque nel mondo, di una vita in pienezza.

Per questo anche quest’anno, come per il passato, in occasione della Giornata viene proposto un Progetto di solidarietà universale da realizzare nella Repubblica Centrafricana a beneficio delle donne che frequentano il Centro di Promozione della Donna nella parrocchia di St. Jacques de Kpètènè, nell’arcidiocesi di Bangui, affidato alla Congregazione delle Suore Figlie di Maria Missionarie.

suor leonellaSarà beatificata il 26 maggio nella cattedrale di Piacenza suor Leonella Sgorbati, missionaria della Consolata, originaria di Rezzanello, uccisa il 17 settembre 2006 a Mogadiscio in Somalia e riconosciuta martire «in odium fidei». Suor Leonella sapeva molto bene che stando a Mogadiscio avrebbe rischiato la vita. Eppure è rimasta al suo posto, assieme a quel minuscolo drappello di consorelle che da anni si prodigavano a servizio dei più poveri e abbandonati.

Per chi le ha viste all’opera nell’orfanotrofio Sos Kinderdorf o prodigarsi nel vicino ospedaletto di pediatria, sembravano essere una sorta di piccolo manipolo “non violento” di caschi blu di Dio col velo in testa, una straordinaria forza d’interposizione evangelica dispiegata per seminare i germi di una nuova umanità. Lungi da ogni forma di proselitismo, suor Leonella ha testimoniato l’amore di Dio, in quella remota periferia del mondo, dimenticata da tutto e da tutti, non lontano dal tristemente noto “check-point pasta” in cui nel luglio del 1993 morirono tre soldati del nostro contingente di pace. In fondo ciò che stava davvero a cuore a suor Leonella era il riscatto di quella umanità dolente immolata quotidianamente sull’altare dell’egoismo umano dai famelici Signori della guerra. «Dulce et decorum est pro patria mori», scriveva Orazio: «è cosa dolce e degna morire per la patria». Ma per questa missionaria della Consolata il sacrificio della vita è andato ben oltre l’eroismo avendo il suo impegno un orizzonte molto più ampio, quello della fede. Vengono alla mente le parole del beato Charles de Foucauld: «Appena ho creduto che c’era un Dio, compresi che non potevo fare altrimenti che vivere solo per Lui». Di questa stoffa sono fatti i martiri come suor Leonella. Ecco perché sarebbe auspicabile che l’Italia rendesse omaggio a questa nostra connazionale la quale ha camminato lungo il sentiero del martirio, in quella terra dove sono già caduti altri missionari – ahimè in gran parte ignorati dalla grande stampa – del calibro di monsignor Salvatore Colombo (1989), padre Pietro Turati (1993), la dottoressa della Caritas Graziella Fumagalli (1995) e la missionaria laica Annalena Tonelli (nel vicino Somaliland, 2003).

Fonte: missioitalia.it

L’anima nostra ha bisogno di solitudine Agostino d’Ippona

solitudine1Il grande Agostino scrive della solitudine voluta da Dio per il primo uomo: “Fu molto meglio che il genere umano… abbia avuto origine da un solo uomo creato all’inizio, piuttosto che aver origine da molti… L’uomo dunque fu da Dio creato singolo e solo: solo, non tuttavia nel senso che sarebbe stato privo di società umana, ché anzi più avrebbe sentito il vincolo di questa società e l’unità concorde, essendo gli uomini uniti tra di loro non solo dalla somiglianza di natura, ma anche dall’affetto della parentela…”. Prospettiva da ampi precisi orizzonti e solida concretezza agostiniana!

L’uomo dunque fu ‘creato singolo e solo’, ma non per vivere ‘appartato’, in solitudine. La sua vocazione identitaria è alla relazione, alla fraternità, alla comunione, dalla e nella ‘parentela’. Spinto da una ineludibile esigenza interiore, a volte brama la solitudine, altre la patisce con una intensità implacabile.

“Sono solo” dice con profonda amarezza qualche anziano forse abbandonato un po’ da tutti… “Vorrei vivere in un deserto” è l’anelito espresso in momenti di giornate particolarmente faticose o caotiche. La solitudine imposta dalle circostanze e la solitudine anelata e/o cercata come ‘salvagente’ non serve. Sono gingilli o macigni senza senso; scuse fasulle che esprimono povertà interiore.

Spazi di solitudine effettivamente sono necessari a chiunque: rispondono al giusto e salutare desiderio di rimanere soli per meditare su situazioni personali o relazionali, per capire meglio se stessi; scavare con maturità entro se stessi; prendere coscienza delle proprie reazioni; o semplicemente per distendersi e riposare.

La solitudine così vissuta aiuta a diventare serenamente concreti, semplicemente realisti sul proprio passato e capaci di protendersi verso un futuro con il cuore libero, pronti ad attendere e a vivere nuove primavere.

Icona di una donna che ha saputo vivere e maturare in solitudine è Maria. L’angelo le appare, le annuncia un radioso futuro poi, dice la Scrittura, ‘partì da lei’. La trova sola; la lascia con un bimbo che lei porterà in grembo per nove mesi; adulto, sceglierà di vivere 40 giorni nel deserto, in solitudine, pronto alle sue battaglie con il grande nemico, Satana. E a tutto quello che il Padre vorrà da Lui…

Così i grandi della storia, molti asceti, gli stessi Fondatori quando necessitavano certezze per sé e per i loro Istituti si ritiravano per un periodo in solitudine. Agostino scriveva: “Ritorna in te stesso… all’interno dell’uomo abita la Verità”. Questa solitudine, liberamente scelta e vissuta con saggezza e con calma aiuta a vivere intensamente i vari momenti della giornata, assorbendo e gustando tutta la ricchezza e la bellezza in essi racchiusa. Non vi saranno più sprechi di energie; non si proietteranno su altri le colpe dei propri dissapori… Vi sarà pacifica concentrazione e raccoglimento e nuova fresca capacità di relazione, di quel semplice, caldo e pacifico ‘dono di sé’ che rende ancora più bella la vita propria e quella degli altri.

                                                                 sr Biancarosa Magliano, fsp

                                                                 biancarosam@tiscali.it

Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore…

Dal Vangelo di Giovanni      Gv 12,20-33

18 marzo1In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!». La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.

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 “Levate l’ancora, diritta avanti tutta, questa è la rotta questa è la direzione questa è la decisione”. Sono le parole conclusive di una canzone di Jovanotti dove si parla del coraggio e della libertà di fronte una missione da compiere. Parole che possano aiutarci ad entrare nel tema del vangelo di questa domenica. Gesù infatti, nella sua libertà, decide e indica la rotta della sua missione verso la croce e apre ai suoi discepoli la direzione da prendere nella vita, ma andiamo con ordine:

Gesù svela la rotta della sua missione: l’episodio del vangelo avviene subito dopo l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, il contesto è quello della festa della Pasqua e da lì a poco Gesù affronterà la sua passione e la sua morte in croce (il capitolo successivo si apre infatti con la l’ultima cena e la lavanda dei piedi). “E’ venuta l’ora che il figlio dell’uomo sia glorificato”, sono le parole che Gesù pronuncia di fronte la richiesta di alcuni greci di incontrarlo. Tutta la missione di Gesù nel vangelo di Giovanni è orientata verso l’ “ora” cioè il momento dove egli manifesterà la gloria di Dio Padre. Questa “ora” si compie proprio sulla croce che assume un tono di regalità e di vittoria di Dio sul “principe delle tenebre”. L’ora della croce di Gesù è l’ora in cui il chicco di grano, caduto in terra e morendo, produce molto frutto. Troppo spesso, una frettolosa applicazione morale, ha fatto di questa parabola del chicco di grano una metafora per la nostra vita mostrando il fianco a derive ascetiche severe e autoreferenziali. Gesù non sta parlando di noi ma sta parlando della sua missione, della sua croce: il chicco di grano è lui che, attraverso la sua morte, offre a tutti gli uomini i frutti della sua passione! Il vangelo di oggi ci ribadisce ancora una volta il punto di partenza della nostra fede, il punto di partenza per vivere la festa della Pasqua ormai alle porte cioè che è sempre Gesù compie il primo passo nella nostra vita. Senza la croce e la morte di Cristo la nostra vita non potrà portare frutto. La nostra fecondità o sterilità non dipende dalla capacità di fare sacrifici, dalla capacità di sopportare la sofferenza ma dipende innanzitutto dalla capacità di accogliere i frutti della croce di Cristo! Gesù muore in croce per restituirci il frutto della liberazione da tutto ciò che ci confonde, da tutto ciò che è menzogna e che ci rende schiavi.

Gesù muore in croce perché noi potessimo godere del frutto della misericordia infinita di Dio che ci riscatta dal peccato e ci rialza da qualunque situazione pagando lui il prezzo delle nostre colpe. Gesù muore in croce per donarci il frutto della Chiesa chiamata a portare un messaggio di fiducia e speranza a tutti gli uomini. In questi pochi giorni che precedono la Pasqua fermiamoci un po’ di tempo davanti al crocifisso per mettere sulle spalle di Cristo tutto ciò che soltanto con la sua grazia può morire nella nostra vita, tutte quelle scelte di amore che richiedono sofferenza e sacrificio, perché la sua morte doni frutti di libertà e ci riscatti da una vita mediocre.

Gesù ci lascia una direzione e una decisione da prendere: Dopo aver svelato l’ora della sua missione e della sua gloria, Gesù parla ai suoi discepoli “chi ama la propria vita, la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuol servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore”. Gesù nel vangelo di oggi interpella la nostra libertà mostrandoci la direzione per diventare suoi discepoli. E’ una direzione che corre attraverso un terribile e magnifico paradosso: perdere per vivere! Gesù desidera farci dono della sua stessa gloria, non la gloria vana del mondo ma quella autentica che apre la nostra vita alla verità di ciò che siamo chiamati ad essere. Qui il termine “vita” è legato al significato di “amor proprio”.

La nostra vita sarà autentica quando sceglieremo di passare da una logica di possesso, da una logica incentrata su noi stessi, sui nostri progetti, sulle nostre soddisfazioni, sui nostri diritti ad una logica della “perdita”, del dono. C’è una parola che Giovanni usa a differenza degli altri vangeli che funge da presupposto per seguire Gesù: servire! Prima di seguire Gesù dobbiamo decidere di trasformare la nostra vita, con la sua grazia, in servizio, in missione.

Decidere di cominciare a vedere la nostra vita in funzione degli altri, delle persone che il Signore ci ha affidato. La mia vita, i miei amori diventeranno autentici e fruttuosi quando non cominceranno più dalla ricerca del mio bene ma partiranno dalla ricerca del bene dell’altro!

La mia vita sarà autentica quando non partiremo più dai nostri progetti ma dalla ricerca della volontà del Signore portando gli stessi frutti sorprendenti e abbondanti che Gesù compie con la sua morte in Croce!

Il Signore Gesù ci doni la grazia di accogliere i frutti della sua croce e decidere di prendere con coraggio la direzione che apre alla nostra vita!

a cura di Paolo Matarrese

Ospedali aperti in Siria

Ospedali aperti in Siria:

un progetto del cardinale Zenari con Cei e Avsi

Siria2“È la strage degli innocenti”. Così il cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, parla dei sette anni di guerra in Siria, sottolineando che oggi “muoiono più persone per mancanza di medicine che sotto le bombe”. L’80% della popolazione vive ormai stabilmente in condizioni di grave povertà. In particolare morde la crisi sanitaria: quasi 11,5 milioni di abitanti, di cui il 40% bambini, non ricevono cure mediche e non hanno accesso agli ospedali.

Il progetto Ospedali aperti

Per questo, il porporato – da nove anni in Siria – ha ideato il progetto “Ospedali aperti”, affidandone la gestione ad Avsi, organizzazione internazionale che su più fronti opera per dar sostegno alla popolazione locale, ha spiegato Giampaolo Silvestri, segretario generale.

I tre ospedali siriani

Si tratta di rendere nuovamente operativi due ospedali a Damasco e uno ad Aleppo gestiti da congregazioni religiose. Il progetto, partito a luglio 2017 e presentato a Palazzo Pio a Roma, è cofinanziato dalla Conferenza episcopale italiana con i fondi del’8 x mille: un milione di euro lo stanziamento, ha annunciato il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei. Coinvolti nella formazione di medici, tecnici e infermieri anche il Policlinico Gemelli e l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, perché – ha aggiunto il nunzio a Damasco – “c’è pure il problema sempre più grave della penuria di medici e operatori sanitari. Tanti stanno lasciando la Siria”. I vescovi italiani, ha poi annunciato il cardinale Bassetti, si faranno promotori di un incontro per la pace nel Mediterraneo, che coinvolgerà tutti i presuli dell’area.

L’interessamento di Papa Francesco

Papa Francesco, da sempre vicino alla popolazione siriana martoriata dal conflitto – ricordata tra l’altro la giornata di preghiera per la Siria del settembre 2013 – ha esortato a portare avanti il progetto, rimanendo costantemente informato, hanno assicurato i porporati. (Da vaticannews 15.03.2018)

 

Economia a servizio del carisma e della missione

economiacopAll’Antonianum il 6 marzo c.a. è stato presentato l’ultimo documento preparato dalla Congregazione per la Vita consacrata e le Società di vita apostolica “Economia a servizio del carisma e della missione”- Orientamenti, già disponibile in italiano e spagnolo. In arrivo inglese e francese.

A presentare il documento sono stati:

Em.za card. Joao Braz de Aviz, S. Ecc.za Mons. Jose Rodiguez Carballo, Padre Sebastiano Paciolla, don Pierluigi Nava e il Prof. Andrea Perrone dell’Università Cattolica di Milano. Per la prima volta il Dicastero si è avvalso del contributo professionale dell’Università per la redazione degli orientamenti su un tema molto delicato come l’economia.

Il termine chárisma nel Nuovo Testamento viene usato in riferimento a doni che provengono da Dio. Ogni singolo carisma – come viene ricordato nella Iuvenescit Ecclesiae in riferimento alla relazione tra doni gerarchici e carismatici per la vita e la missione della Chiesa – non è un dono accordato a tutti ma un dono che lo Spirito distribuisce «come vuole» (1 Cor 12,11). Il cristiano è chiamato a diventare economo, amministratore della grazia che si esprime mediante i carismi ed è chiamato a metterla in circolo a beneficio di tutti. L’attuale momento storico chiama la vita consacrata a misurarsi con nuove problematiche che richiedono discernimento e progettualità. In questa prospettiva gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, sono chiamati ad essere buoni amministratori dei carismi ricevuti dallo Spirito anche attraverso la gestione e l’amministrazione dei beni. Il presente volume nasce nel solco del Magistero di Papa Francesco, al suo interno vengono gettate le basi per: proseguire un cammino di riflessione ecclesiale sui beni e la loro gestione, richiamare ed esplicitare alcuni aspetti della normativa canonica sui beni temporali con particolare riferimento alla prassi della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, suggerire alcuni strumenti di pianificazione e programmazione inerenti alla gestione delle opere, sollecitare gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, a tutti i livelli, da Superiori ai membri, a ripensare l’economia nella fedeltà al carisma per essere – secondo il pensiero di Papa Bergoglio – «ancora oggi, per la Chiesa e per il mondo, gli avamposti dell’attenzione a tutti i poveri e a tutte le miserie, materiali, morali e spirituali, come superamento di ogni egoismo nella logica del Vangelo che insegna a confidare nella Provvidenza di Dio».

La figura di Gesù rivela il volto di un Dio mite…

DIO MITE1Il volume pone alcuni quesiti basilari sulla capacità della teologia di attualizzare la sua validità e la forza comunicativa dei suoi assunti anche per le odierne società.

Il Mistero divino, può compenetrare l’esistenza quotidiana di ciascuno? Soprattutto, può motivarla e rafforzarla? La figura di Gesù rivela il volto di un Dio mite, straordinariamente vicino alla singolarità enfatizzata dal nostro tempo. L’Autore Armando Matteo affida ancora al teologo il ruolo determinante di teorizzare tutti i motivi che individuano nel nostro Dio le ragioni per inoltrarsi in un cammino di fede e per alleviare, per mezzo del messaggio evangelico, le gravosità e i dubbi che affliggono l’oggi post moderno. La teologia non è quindi ridotta a insegnamento settoriale unicamente rivolto a contesti formativi che riguardano i sacerdoti e le consacrate. Deve poter essere liberata di tutto il suo potenziale di risonanza pubblica e deve poter contribuire alla promozione e progressione della cultura; all’individuazione dei principi educativi basilari. Diventa importante saper contestualizzare un’identità forte e specifica di chi esercita l’intelligenza cristiana e della disciplina in sé (teologi e teologia). Questo è probabilmente il nocciolo stesso del discernimento ecclesiastico in grado di mettere in atto un cristianesimo incarnato. L’errore imperdonabile che si è commesso negli ultimi anni ha contribuito a diffondere un’idea di elevazione, ovvero distacco, di tutti i contenuti teologici. Teologia come materia ostica, eccessivamente complessa, autoreferenziale e in parte sfuggevole. Il tomo di teologia come quel grosso volume che incute quasi timore e che rimane impolverato a racchiudere ed esaltare una grandezza lontana, idealizzata, irripetibile! Ma la questione di Dio è sempre una domanda rivolta agli uomini del presente. Abbraccia la dignità e il senso dell’esistenza. I precetti del magistero e l’azione pastorale per essere coinvolgenti e incisivi nell’economia della trasmissione evangelica, devono poter essere supportati e integrati dal lavoro teologico. Va ripristinata una coscienza condivisa, un’apertura sincretica, un lavoro di squadra cooperante e dialogante. La novità del Vangelo è un ponte che approda nell’oggi. Allo stesso modo l’oggi, per mezzo dello stesso ponte, torna al Vangelo con i suoi specifici tratti distintivi e fa in modo che questo possa offrire tutto il nuovo che l’oggi e la società sanno fare emergere; sanno trasmettere per raccontare Gesù, per dissetarsi nella sua Rivelazione. La grande meraviglia della scienza teologica è rendere desiderabile la proposta cristiana di vita, rispettando un passaggio triangolare di perfetto equilibrio. L’evento fondatore, che mai perde la sua originalità di tono e di parola dentro alcuna tradizione storico culturale. L’ascolto attento di ciò che viene chiesto, di ciò che viene auspicato dalla generazione vivente. La messa in contatto efficace che sappia aprire i cuori all’annuncio della fede. Papa Francesco è instancabile nel suo intento di arrivare a una Chiesa nuova. Una Chiesa che partendo dagli input del Concilio Vaticano II reinventi ulteriori ed efficaci strumenti di risposta. L’invito pressante è: essere consapevoli. Non solo. Essere seri e competenti per fare in modo che il Vangelo compenetri la fenomenologia dell’umano. Nel suo procedere dibattimentale l’autore si ispira esplicitamente al suo maestro Elmar Salmann, alle indicazioni epistemologiche dell’illustre studioso tedesco. Tuttavia ne sa individuare alcune idiosincrasie e perplessità e fermamente, nel rispetto del suo insegnamento e delle sue intuizioni, procede oltre. Nella convinzione che ogni epoca non è mai priva di originalità e novità. Spetta al bravo teologo operare la continua connessione che lasci intravedere sempre la bellezza abbagliante del Volto di Cristo.

Romina Baldoni

 

Auguri al nuovo Presidente

monasteroÈ il monastero carmelitano di Snagov, nella regione chiamata Ciofliceni, che ha ospitato la 18ª Assemblea Generale dell’UCESM, dal 5 marzo al 10 marzo 2018. Ha partecipato a questo importante incontro madre Regina Cesarato, presidente dell’USMI  Nazionale e sr Marta Finotelli, vice presidente.

chiesaIl tema di riflessione è stato “Allarga lo spazio della tua tenda” (Is 54,2e si è sviluppato più specificamente sulle questioni attuali relative alla migrazione e all’integrazione, sia nelle comunità religiose che nella società in generale.

In questa Assemblea è stato eletto il nuovo presidente nella persona di Zsolt Labancz dei padri Scolopi proveniente dall’Ungheria.padre

A lui e al Comitato esecutivo i nostri auguri per un cammino di unità e di testimonianza a bene di tanti fratelli e sorelle della nostra Europa ricca di valori e di spiritualità.

 

Consulta il sito: www.ucesm.net

E come Mosè innalzò il serpente nel deserto…

mosè1E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.

Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.

E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio.

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Il cammino quaresimale è quasi compiuto, e, con esso, ci siamo inoltrati nel Mistero di Cristo, il Figlio di Dio, fatto uomo, morto, e risorto per la nostra salvezza; questo, il cuore di un mistero di amore, del quale Gesù stesso parla come di una ‘necessità’: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, sono le parole del Maestro, così, è necessario che sia innalzato il Figlio dell’uomo…”.

La frase, fa parte del lungo colloquio notturno tra Gesù e Nicodemo, un fariseo osservante, che faceva parte del sinedrio, quindi, di coloro che, a suo tempo, avrebbero giudicato Gesù; di lui, che sicuramente è una figura storica, parla, solo, Giovanni, l’evangelista attento ai simboli; infatti, Nicodemo, come altri personaggi, è l’icona di quanti sono in ricerca, e si affannano ad uscire dalle tenebre del dubbio, per raggiungere la luce della verità, che non è semplicemente un fatto conoscitivo, ma riguarda tutto il vissuto, fatto di scelte operative: “..chi opera la verità, dice Cristo a Nicodemo, viene alla luce, poiché le sue opere sono state fatte in Dio.”

Nicodemo, andò da Gesù, di notte, precisa il Vangelo; e la notte, in Giovanni, è, spesso, sinonimo di tenebra e di male: Giuda uscì dal cenacolo, mentre era notte; e, alla morte di Gesù, scese la tenebra sulla terra; una tenebra e una notte, che indicano assenza di Dio, lontananza da Lui, o rifiuto di lui, come recita il Prologo del racconto evangelico, rifiuto del Verbo, che è il Figlio di Dio, che si è incarnato per la redenzione di ogni uomo, ma che:” le tenebre non hanno compreso…”(1,5). Nicodemo, dunque, come ogni uomo in ricerca, interroga Gesù, e tra loro si svolge lungo, interessantissimo, dialogo, del quale, oggi, la liturgia della Parola ripropone solo le battute finali, quelle, appunto, che mettono quest’uomo, come ogni altro l’uomo, di fronte allo “ scandalo della croce”, la sfida drammatica, che farà dire a Paolo: “… mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza Dio e sapienza di Dio.” (1Cor 1,22-25).

La croce, centro del Vangelo di oggi, è il segno della sapienza di Dio che ama, segno della potenza dell’infinita misericordia del Padre, pienamente rivelata nel Figlio Gesù: il Redentore dell’uomo.

Ora, Cristo, in questo mirabile dialogo notturno, che parla dell’innalzamento del Figlio di Dio, svela all’anziano membro del sinedrio, il grande mistero dell’amore che salva: “Dio, infatti, sono le sue parole, ha mandato Il Figlio nel mondo, non per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui…”, si salvi, con la salvezza che viene dalla croce: il tragico innalzamento del Cristo, che agli occhi degli uomini parve infamia, ma che, nell’economia di Dio, è inizio della Resurrezione, che include gli uomini e l’intera creazione, la quale, come scrive Paolo: “… nutre anch’essa la speranza di essere liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella gloria dei figli di Dio…”(Rm 8,20-23).

Noi non sappiamo, perché il Vangelo non ne parla, quale presa abbia avuto il discorso di Gesù, sul cuore di Nicodemo; egli, infatti, scompare dal racconto; ma, le parole di Gesù sono, oggi, rivolte a noi, che, ancora, siamo in cammino, noi, sempre alla ricerca della verità, noi bisognosi di salvezza e di amore, e sono, ancora, parole che parlano di croce e, insieme, di misericordia:“ Dio, infatti, ha tanto amato il mondo, da dare il suo Figlio unigenito, perché, chiunque crede in lui, non muoia, ma abbia la vita eterna”.

A queste parole del Signore Gesù, fanno da commento quelle dell’apostolo Paolo, che rileggiamo proprio in questa domenica.

“Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così, bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo…”; la croce di Cristo, e la sua morte su essa, egli stesso la definisce: “necessità”; una necessità difficile da comprendere, se riferita all’onnipotenza dell’Altissimo, ma che si fa’ chiara nella logica di quell’amore, del quale Cristo stesso ha detto: “non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici “(Gv 15,13).

La croce di Cristo è, così, il segno dell’amore che salva, e, come tale, esige una resa, una resa fiduciale da parte dell’uomo, che crede nel Figlio di Dio, Gesù di Nazareth; una resa, che è un profondo atto di fede, come quella che fece esclamare al centurione romano, presente sul Calvario: “Veramente costui era il Figlio di Dio!” (Mt 27,54).

“E’ necessario che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”; guardare a Cristo, accoglierne il dono d’amore, credere ed affidarsi a Lui, è via di salvezza, è dono gratuito che, tuttavia, impegna, a vivere come lui ha vissuto, camminando sui suoi passi, e amando come lui ci ha amati.

Amare come Cristo ci ha amato, può sembrare cosa impossibile alla limitatezza umana; ma così non è, perché, proprio lui, il Maestro, ce ne ha insegnato il modo, in quella sera di Pasqua, quando, davanti ai discepoli stupiti, ” si alzò da tavola, come racconta Giovanni, depose il mantello, prese un panno, se ne cinse, e, versata l’acqua in un catino, incominciò a lavare i piedi dei discepoli…” (Gv13,4ss); un gesto, col quale il Signore insegna, concretamente, ai suoi, e a tutti gli uomini, il dovere di “lavarsi i piedi gli uni gli altri” per amore; l’amore, infatti, è servizio, e si piega sul bisogno dei fratelli, secondo il comandamento dell’amore, che il Maestro ci ha lasciato in eredità, in quella sera, in cui si congedò dai suoi, per andare incontro alla passione e morte: una morte per la resurrezione, una morte, che segna per gli uomini la vera Pasqua, di una vita che si fa nuova in Cristo.

La Pasqua, infatti, per l’evangelista Giovanni, è lì, sul Calvario, dove, il Figlio di Dio morente, effonde sul mondo il suo Spirito (Gv 19,30); è lì, dove ogni uomo rinasce, lì dove lo Spirito ci rigenera; perché è lì, davanti al Crocifisso, che si compie la scelta fondamentale della vita: o con Cristo, o contro di Lui, o la luce o le tenebre,

o l’amore o la condanna, quell’autocondanna, alla solitudine amara, di un’esistenza senza Dio, senza verità, senza amore e senza felicità: quella che viene dal Signore crocifisso e risorto, che ci fa’, assieme a lui, figli di Dio.

 sr Maria Giuseppina Pisano o.p.