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Economia a servizio del carisma e della missione

economiacopPresso l’Aula Magna dell’Antonianum (Roma) il 6 marzo c.a. è stato presentato l’ultimo documento preparato dalla Congregazione per la Vita consacrata e le Società di vita apostolica “Economia a servizio del carisma e della missione”- Orientamenti, già disponibile in italiano e spagnolo. In arrivo inglese e francese.

A presentare il documento sono stati:

Em.za card. Joao Braz de Aviz, S. Ecc.za Mons. Jose Rodiguez Carballo, Padre Sebastiano Paciolla, padre Pierluigi Nava e il Prof. Andrea Perrone dell’Università Cattolica di Milano. Per la prima volta il Dicastero si è avvalso del contributo professionale dell’Università per la redazione degli orientamenti su un tema molto delicato come l’economia.

Il termine chárisma nel Nuovo Testamento viene usato in riferimento a doni che provengono da Dio. Ogni singolo carisma – come viene ricordato nella Iuvenescit Ecclesiae in riferimento alla relazione tra doni gerarchici e carismatici per la vita e la missione della Chiesa – non è un dono accordato a tutti ma un dono che lo Spirito distribuisce «come vuole» (1 Cor 12,11). Il cristiano è chiamato a diventare economo, amministratore della grazia che si esprime mediante i carismi ed è invitato a metterla in circolo a beneficio di tutti. L’attuale momento storico sollecita la vita consacrata a misurarsi con nuove problematiche che richiedono discernimento e progettualità. In questa prospettiva gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, sono impegnati ad essere buoni amministratori dei carismi ricevuti dallo Spirito anche attraverso la gestione e l’amministrazione dei beni. Gli Orientamenti nascono nel solco del Magistero di Papa Francesco, al suo interno vengono gettate le basi per proseguire un cammino di riflessione ecclesiale sui beni e la loro gestione, richiamare ed esplicitare alcuni aspetti della normativa canonica sui beni temporali con particolare riferimento alla prassi della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, suggerire alcuni strumenti di pianificazione e programmazione inerenti alla gestione delle opere, sollecitare gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, a tutti i livelli, da Superiori ai membri, a ripensare l’economia nella fedeltà al carisma per essere – secondo il pensiero di Papa Bergoglio – «ancora oggi, per la Chiesa e per il mondo, gli avamposti dell’attenzione a tutti i poveri e a tutte le miserie, materiali, morali e spirituali, come superamento di ogni egoismo nella logica del Vangelo che insegna a confidare nella Provvidenza di Dio».

SCUOLALa scuola italiana, dalle materne alle superiori, è frequentata in Italia da 8.826.893 studenti, 1.109.585 dei quali frequentano scuole non statali, cioè non gestite dallo Stato, ma che dallo Stato sono controllate e riconosciute come luoghi di istruzione pubblici in base alla legge 62 del 2000. Per garantire l’istruzione a tutti, lo Stato ha stanziato nell’anno scolastico 2015/2016 49 miliardi e 418 milioni di euro per la scuola statale e 499 milioni per quella paritaria. Proprio per quest’ultima, però, sono via via diminuiti gli stanziamenti: sono passati da 530 milioni nell’anno scolastico 2006/2007 a 499 milioni nell’anno scolastico 2015/2016. Significa che ogni studente delle scuole statali riceve in finanziamenti, dallo Stato centrale, 6403,52 euro solo di spese correnti. La cifra aumenta di molto se si considerano i finanziamenti degli enti locali. Nella Francia laica e secolarizzata, secondo i dati OCSE del 2014, la differenza tra la spesa per uno studente delle scuole paritarie e uno che frequenta le scuole statali è di soli 3.824 euro, mentre in Italia è di 6.769 euro (a vantaggio delle scuole statali). Gli scarsi finanziamenti hanno provocato, nel corso degli anni, un calo delle iscrizioni alle scuole paritarie, che sono passate dall’11,85% dell’anno scolastico 2010/2011 al 10,64% dell’anno 2015/2016. C’è però un dato che testimonia la fiducia riposta da molte famiglie nelle scuole pubbliche non statali: l’aumento degli studenti con bisogni particolari, come stranieri e disabili, con un corrispondente risparmio per le scuole pubbliche statali. I ragazzi disabili iscritti nelle pubbliche paritarie sono passati dagli 11.547 dell’anno scolastico 2010/2011 ai 12.211 dell’anno scolastico 2014/2015, mentre gli stranieri sono passati da 45.069 a 60.017. Come abbiamo, visto il 93,8% degli alunni frequenta scuole pubbliche statali. Ma queste come garantiscono la qualità? Non è chiaro, dal momento che l’Italia è agli ultimi posti nella gran parte dei punteggi delle edizioni 2015 dei test OCSE che servono per verificare le competenze degli studenti nell’ambito scientifico. Siamo quart’ultimi nella capacità di lettura, quint’ultimi in matematica. Tra i grandi Paesi europei, ci collochiamo davanti solo alla Spagna. Nella laicissima Francia, lo Stato paga gli insegnanti delle scuole paritarie e le rette sono bassissime: il 32% degli studenti frequenta scuole paritarie e nei test OCSE la Francia ci batte abbondantemente.

La soluzione? Un modo per sostenere economicamente l’educazione di tutti i ragazzi – sia di quelli che desiderano iscriversi nella scuola pubblica paritaria che di quelli che scelgono la scuola pubblica statale – e allo stesso tempo far risparmiare risorse allo Stato c’è e sta nella definizione del costo standard di sostenibilità per allievo, applicabile ugualmente a tutte le scuole pubbliche, paritarie e statali. E’ chiaro a tutti che senza definizione di un costo standard di sostenibilità, la spesa dello Stato per l’istruzione è alla cieca ed è destinata ad esplodere. Con la definizione del costo standard, invece, immaginando ad esempio che in ogni classe ci siano 25 studenti, nella scuola materna ogni alunno costerebbe 4570 3,91 euro (se in quella stessa classe ci fosse un alunno disabile, la cifra salirebbe a 5.360 9,58 euro). Applicando questi costi standard, ogni alunno di ogni scuola pubblica, statale e paritaria, costerebbe 5.441 euro, per un costo statale di 47,1 miliardi di euro (cioè ben 2,8 miliardi in meno di oggi). È possibile, perciò, far risparmiare soldi allo Stato e garantire il diritto fondamentale all’istruzione senza discriminazioni economiche, restituendo alla famiglia la responsabilità educativa in una piena libertà di scelta. Ed è possibile grazie a un pluralismo educativo in cui lo Stato garantisca pari risorse a tutte le scuole, con l’obiettivo di innalzare la qualità dell’istruzione italiana, portandola allo stesso livello degli altri Paesi europei. Consideriamo, ad esempio, Paesi con grande tradizione in materia di Stato sociale, come quelli nordici: il sistema scolastico finlandese vede una stragrande maggioranza di istituti paritari (se non quasi la totalità) finanziati dallo Stato, a tutela delle esigenze educative del singolo bambino.

Ma come si concilia la proposta del costo standard con l’art. 33, comma 3 della Costituzione italiana, secondo cui «enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione senza oneri per lo Stato»? In realtà, la proposta non comporta alcun onere per lo Stato (che attualmente risparmia più di 6 miliardi di euro annui per merito delle scuole paritarie), ma mira a garantire il diritto alla libertà di scelta educativa, riconosciuto peraltro dall’art.30 della Costituzione stessa:« È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli». L’iniziativa delle famiglie non costituirebbe affatto un onere, ma semmai un risparmio per lo Stato. Infatti, l’emendamento «senza oneri» riguarda l’istituzione di scuole, non il diritto della persona all’educazione né il diritto dei genitori di educare i figli (diritti che la Repubblica deve riconoscere e garantire): i suoi stessi proponenti, il socialista Codignola e il liberale Corbino, dissero in Costituente che andava interpretato nel senso di un blocco solo selettivo dei finanziamenti alle scuole non statali. Ma il blocco finì per essere totale.

L’equivoco sul «senza oneri», dunque, protrae un’ingiustizia storica, rendendone più difficile la soluzione. Esso equivale a confondere il fine dell’educazione con i suoi mezzi, che sono le scuole. Dobbiamo evidenziarlo: troppi persistono in una visione filosofica per cui la persona e l’educazione sono funzionali allo Stato, che, attraverso le scuole, intenderebbe “rieducare gli italiani, troppo condizionati dalla Chiesa Cattolica”… e quindi inquadrarli in una scuola di regime.

Invece, soltanto rimuovendo l’apparente contraddizione tra l’art. 30 e il 33, si potrebbe dar luogo a una concorrenza virtuosa tra la scuola statale e quella degli “enti e privati” (tra cui i Comuni) che volessero provvedere a istituire scuole al di fuori dell’offerta statale. E si recupererebbe forse il significato originario dello stesso emendamento «senza oneri», che era finalizzato a impedire il finanziamento automatico delle scuole a gestione non statale, non quello selettivo di quelle scuole che dimostrassero di meritarlo, come le “scuole dei Salesiani”, che risultano citate dai verbali dell’epoca a questo proposito.

Se in Italia è stato già applicato, per quanto in modo imperfetto, il sistema del costo standard per persona alla Sanità, perché non si può introdurre anche con la scuola?

Video “I Costi Standard”

https://www.youtube.com/watch?v=_4RiPuu04Mc

sr Anna Monia Alfieri

srmonia@yahoo.it

 

La speranza in America Latina ha un volto femminile!

DONNELa donna, pilastro nella edificazione della Chiesa e della società in America Latina è il tema scelto dal Papa Francesco per la prossima Assemblea Plenaria della Pontificia Commissione per l’America Latina (Cal), che si svolgerà in Vaticano dal 6 al 9 marzo 2018

La scelta del Papa non sorprende, giacché risuonano ancora le sue parole ai 60 vescovi latinoamericani riuniti dal Celam a Bogotà: “La speranza in America Latina ha un volto femminile! […] “È un serio impegno capire, rispettare, valorizzare, promuovere la forza ecclesiale e sociale di quanto realizzano […]. “Senza le donne la Chiesa del continente perderebbe la forza per rinascere continuamente”. La dimensione femminile della salvezza passa da Maria, dalla Chiesa, dalle madri e dalle nonne.

D’altra parte, le parole del Pontefice in Perù hanno ribadito le radicate situazioni di ingiustizia vissute ancora dalle donne a causa del “maschilismo” nella regione, sia perché abbandonate come madri che, da sole, debbono farsi carico della cura, sostegno ed educazione della prole, sia per le odiose discriminazioni che subiscono in ambito lavorativo e perché su di loro in particolare si riversano le condizioni di povertà e indigenza e ogni tipo di violenza che sfocia anche nei numerosi casi di femminicidio.

Poiché tutti i membri e consiglieri della Cal sono cardinali e vescovi, abbiamo invitato – in via eccezionale a questa Plenaria – un gruppo ristretto di personalità femminili provenienti dall’America Latina, che ricoprono diverse responsabilità sociali ed ecclesiali. La loro presenza, competenza ed esperienza saranno fondamentali per arricchire le riflessioni e lo scambio di idee nel corso dell’Assemblea.

Il programma prevede quattro conferenze: la prof.ssa Ana Maria Bidegain sottolineerà “gli ostacoli e i punti di forza per la ‘promozione’ della donna nella realtà latinoamericana; il prof. Guzmán Carriquiry parlerà delle donne che hanno segnato “la svolta di una trasformazione culturale”; il Cardinale Francisco Robles presenterà il tema “la presenza della Vergine Maria e il ruolo della donna nell’evangelizzazione dei popoli latinoamericani”, e il Cardinale Marc Ouellet, Presidente della CAL, “la donna alla luce del mistero della Trinità e della Chiesa”. Seguirà una serie di pannelli sulla realtà della donna, “pilastro della famiglia e della cura della vita”, come “educatrice e catechista”, nell’ambito del lavoro e della politica, nell’impegno di “solidarietà con i poveri, la cura della casa comune” e “l’edificazione della Chiesa”. Al termine dell’Assemblea Plenaria, si prevede un’udienza con il Santo Padre Francesco nella mattinata di venerdì 9 marzo.

L’8 marzo cena con 40 donne, su 700, che lavorano in Vaticano

Nella preparazione della Plenaria, si è tenuto conto del fatto che i lavori si sarebbero svolti comprendendo anche la giornata dell’8 marzo, “Giornata Internazionale della donna”. Per questo la Cal ha programmato di invitare una quarantina di donne che svolgono il loro lavoro con differenti incarichi di responsabilità in Vaticano ad una cena di omaggio e in amicizia insieme a tutti i partecipanti all’Assemblea, il giorno 8 marzo. Per ragioni logistiche e finanziarie non è stato ovviamente possibile invitare tutte le circa 700 donne che lavorano in Vaticano, le quali saranno rappresentate simbolicamente dalle partecipanti alla cena, accompagnata ed animata da canzoni popolari sulla figura della donna.

Non fate della casa del Padre mio un mercato…

tempioDal Vangelo di Giovanni     Gv 2,13-25

Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà.

Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.

Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.

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La liturgia ci fa continuare il nostro itinerario quaresimale con alcuni brani del vangelo di Giovanni. Per quest’anno (ciclo B) saranno Gv 2,13-25, il brano odierno, con la descrizione della cacciata dal tempio dei venditori e la promessa da parte di Gesù di un nuovo tempio; nella IV domenica la seconda parte del discorso notturno con Nicodemo, Gv 3,14-21 e la V domenica la richiesta di alcuni greci di vedere Gesù, Gv 12,20-33. Un itinerario volto ad approfondire alcuni aspetti importanti per la fede cristiana, in riferimento alla Pasqua del Signore Gesù. Il testo odierno segue immediatamente il racconto del segno di Cana (Gv 2, 1-12) con cui forma un dittico, ed entrambi si concludono con la fede dei discepoli (cfr. vv. 11 e 22), ed è seguito dall’incontro con Nicodemo (di cui ascolteremo una parte nella IV domenica). La pericope si compone di un versetto introduttivo (v. 13), il racconto del fatto (vv. 14.16), la discussione che ne segue con la richiesta di un segno (vv. 18-22) e un sommario conclusivo (vv. 23-25) che prepara i brani seguenti. Al centro dell’attenzione sta Gesù che si propone come il Figlio di Dio Padre e come il nuovo tempio in cui adorare Dio in spirito e verità (cfr. il testo della samaritana, Gv 4,1-42, proposto nella III domenica nell’anno A).

La liturgia della Parola si completa con il brano di Es 20,1-17 (il testo del decalogo) e la lettura paolina da 1 Cor 1,22-25 dove ci viene ricordato che in Cristo crocifisso troviamo la sapienza e la potenza divina. Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. L’introduzione della pericope fa menzione della Pasqua dei Giudei, espressione tipica di Giovanni, che intende porre una netta separazione tra la festa ebraica e la pasqua cristiana. Per Gesù la festa ebraica era scaduta nel suo significato, passando dal ricordo della liberazione ad un evento di mercato (il commercio degli animali per il sacrifico, favorito dai sacerdoti per il guadagno che comportava). Secondo l’evangelista Giovanni Gesù andò tre volte a Gerusalemme per celebrare tale festa, quella del testo odierno è la prima pasqua (la seconda è narrata in 6,4 in riferimento alla moltiplicazione dei pani; la terza la troviamo in 11,55, appena prima della passione e morte, come nei sinottici, cfr. Mc 14,1ss e paralleli). L’attività di Gesù si svolge nel quarto vangelo soprattutto nella città santa a differenza dei sinottici che invece ambientano il ministero pubblico in Galilea e lo fanno salire a Gerusalemme (la città è situata su una collina) per l’unica pasqua menzionata quella della sua passione, morte e resurrezione. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, 16e ai venditori di colombe disse: “Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!”. Di fronte allo spettacolo poco edificante e ancor meno religioso del commercio nel cortile del tempo, come pure dell’andirivieni di gente ed animali che usavano il cortile riservato ai pagani (dei gentili) come scorciatoia pur raggiungere il monte degli ulivi (cfr. Mc 11,15-17), Gesù richiama il senso profondo del tempio e dell’attività che vi si deve svolgere. Quello di Gesù è un gesto che si rifà a Ml 3,1: “ecco, io manderò il mio messaggero a preparare la via davanti a me e presto entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate” e Zc 14,21: “in quel giorno non vi sarà più mercante nel tempio del Signore“; altri testi profetici deplorano il culto solo esteriore ( Am 5,21-24; Is 11,11-17; Ger 7,21-26). Siamo nella linea dell’escatologia giudaica in cui il Messia avrebbe purificato il tempio. A differenza dei sinottici non definisce il tempio casa di preghiera, ma casa del Padre mio . Si tratta di un distinguo importante: il tempio come dimora di Dio è un dato tipico e tradizionale nell’AT (cfr. Es 25,40; 1Re 6,1; Sal 122,1) e di conseguenza centro del culto a lui dovuto. In questo testo per la prima volta Gesù chiama Dio Padre mio e indirettamente si proclama suo Figlio; affermazione sconcertante per un israelita e che ci fa comprendere quanto Gesù dice sul suo rapporto con Dio contenute nel quarto vangelo (5,17-26; 6,32.37.40; 10,30; 14,10). Se Dio è Padre allora il culto a lui dovuto non può consistere solo in sacrifici materiali, ma dovrà essere un culto spirituale e interiore da vivere nell’amore, secondo le esigenze dell’alleanza stipulata da Dio con il suo popolo (cfr. 1Re 19,10.14). (G. Zavini).

I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà. Questo commento redazionale ci fa capire che il testo è raccontato dall’evangelista alla luce della resurrezione (cfr. Sal 69,10) e in senso profetico; infatti il mutamento di tempo del verbo dal passato al futuro indica che tutta la vicenda di Gesù, che l’evangelista sta per narrare, si svolgerà nel segno dello zelo per Dio. La sua è una vita tutta volta a compiere la volontà del Padre, sino alla fine e in questo senso il testo diventa anche un annuncio della passione di Gesù. Mentre per i sinottici questo episodio è il motivo addotto per condannare Gesù (cfr. Mc 11,18; Lc 19,47-48), in Giovanni è preludio della sua morte. Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: “Quale segno ci mostri per fare queste cose?”. Rispose loro Gesù: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Gli dissero allora i Giudei: “Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?”. Come altrove nei vangeli ( cfr. Mc 8,11; Mt 12,38; 16,1; Lc 11,16,29-30) davanti ai gesti profetici di Gesù (in questo caso l’autorità esercitata sul tempio e su quanto vi accade) i giudei, o più in generale i suoi avversari, chiedono un segno prodigioso a garanzia dell’autorità di Gesù. Ma il segno proposto da Gesù si pone su di un piano completamente diverso: non un prodigio strepitoso, segno di potenza, ma un gesto profetico: Giovanni gioca intenzionalmente sull’ambiguità del verbo farò risorgere (in greco eghéiro che significa sia innalzare un edificio, sia far risorgere un morto). Indicando la sua resurrezione afferma che avrebbe trasformato il vecchio tempio (di pietre) in uno nuovo che avrebbe rivelato la sua divinità. Il tempio si identifica così con il suo corpo; è il segno di Giona di cui parlano anche i sinottici (cfr. Mt 12,38-39; 16,1-4; Mc 8,11-13; Lc 11,16.29; 12,54-56). La risposta del v. 20 ci mostra l’equivoco in cui sono caduti i giudei: essi si riferiscono ai lavori nel tempio, voluti da Erode il Grande; la costruzione era infatti cominciata nel 20/19 a.C. (come attesta Flavio Giuseppe,Ant . XV, 380). Da ciò ricaviamo che l’evangelista pone l’attività di Gesù nel 27/28, data in cui i lavori non erano ancora ultimati anche se la parte essenziale era compiuta. Ma egli parlava del tempio del suo corpo. 22 Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. Ancora due versetti redazionali: l’evangelista precisa il senso delle parole di Gesù come profezia della sua pasqua. Ilcorpo, l’umanità di Gesù, è il luogo della presenza e della manifestazione di Dio in mezzo all’umanità, dunque è il vero tempio. Il culto dovrà d’ora in poi fare riferimento alla sua persona (Gv 1,14; 1,51; 4,20-24). Giovanni parla del corpo di Gesù solo in questo versetto e nei due testi in cui questa profezia si compie: alla deposizione di Gesù dalla croce (tempio distrutto) e alla scoperta del sepolcro vuoto, dopo la sua resurrezione (Gv 19,38; 20,12). Alla luce di tale evento e per l’azione dello Spirito santo, i discepoli ricorderanno queste parole del Maestro: Cristo risorto è il nuovo Tempio, il solo luogo della presenza salvifica di Dio tra gli uomini, il Tempio spirituale. (G. Zevini) La fede nella Scrittura è posta dall’evangelista sullo stesso piano di quella nella parola detta da Gesù, a significare che solo dopo la resurrezione i discepoli compresero appieno la portata delle parole e dei gesti, di tutta la vita di Gesù. Se la morte di Gesù è il segno del suo zelo per Dio, la sua resurrezione inaugura il tempio nuovo, spirituale, in cui si vive una fede senza limiti né barriere, come diceva Isaia (Is 56,7). Per Giovanni il nuovo tempio, sempre attuale e duraturo, è il corpo di Cristo risorto dai morti. Di qui Giovanni conserva la destinazione primordiale del tempio: il luogo della presenza di Dio tra il suo popolo. (Van Den Bussche). Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. 24 Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo. Questi tre versetti costituisco un sommario, come se ne trovano anche nei sinottici, che riassume l’attività di Gesù e ne anticipa il senso, dove si valuta l’uomo sotto l’aspetto della fede e dell’incredulità. Il tema della fede infatti verrà sviluppato nei due capitoli successivi con il racconto del colloquio con Nicodemo (3,1-21), la testimonianza del Battista (3,22-36), la samaritana (4,1-42) e la guarigione del ragazzo (4,43-54 che apre ad una universalità della fede). Per l’evangelista ci sono diversi tipi di fede: alcuni insufficienti, come la fede nel taumaturgo Gesù: molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome (v. 23), che ritroviamo anche in Nicodemo. Altri che si aprono ad un approfondimento (la samaritana che dimostra una fede messianica) ed infine la vera fede nel Figlio di Dio (il Battista, 3,22-36; Maria e i discepoli 2,11.22), quella a cui bisogna approdare. Gesù conosce l’intimo dell’uomo, le sue fragilità e non si lascia ingannare dall’entusiasmo superficiale che segue i suoi segni; egli ha la conoscenza propria di Dio e sa distinguere coloro che accettano appieno le sue parole e la sua persona, senza lasciarsi condizionare dalle apparenze (cfr. Gv 21,17; 1Gv 3,20). Egli attende la risposta di ciascuno e nei capitoli 3 e 4 l’evangelista ci mostra tre esempio significativi: Nicodemo, rappresentante del giudaismo ortodosso, la samaritana appartenente al giudaismo eretico e l’ufficiale romano un pagano. Il segno del tempio che Gesù ha appena offerto, è un gesto che ci richiama all’autenticità del rapporto con Dio, liberando dall’esteriorità in cui il sistema dei sacrifici l’aveva rinchiuso. Il percorso quaresimale è anche per noi un tempo propizio per purificare e rafforzare la nostra fede e vivere il culto a Dio nella libertà e nella verità del vero tempio, che è l’umanità di Gesù Cristo.

Monastero Matris Domini

Una nuova nomina…

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Il Santo Padre Francesco ha nominato Sotto-Segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica la Rev.da Suor Carmen Ros Nortes, N.S.C., delle Suore di Nostra Signora della Consolazione, finora Officiale nel medesimo Dicastero.

Rev.da Suor Carmen Ros Nortes, N.S.C. La Rev.da Suor Carmen Ros Nortes, N.S.C., è nata il 20 dicembre 1953 a Espinardo in Murcia (Spagna). Entrata nella Congregazione Suore di Nostra Signora della Consolazione, il 19 gennaio 1986 ha emesso i voti perpetui. Ha conseguito il Diploma in Teologia, il Diploma in Pedagogia catechetica e il Diploma in Scienze Umane in Spagna. Nel 1985 ha conseguito la Licenza in Teologia, specializzazione in Mariologia, presso il Marianum di Roma. Ha ricoperto vari incarichi in seno alla sua Congregazione religiosa ed è stata missionaria in Corea del Sud. E’ stata assunta presso la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica il 1° gennaio 1992; finora ha ricoperto la mansione di Aiutante di Studio. In seno al suddetto Dicastero ha svolto varie mansioni, sia nell’Ufficio Governo ordinario, vita e apostolato, sia nell’Ufficio Promozione e formazione. E’ insegnante nello Studium del medesimo Dicastero. E’ stata inviata speciale del Dicastero al VII Encuentro Latinoamericano y Caribeño de Vida Consagrada, (Quito 13‑17 ottobre 2014).

L’augurio di un feconda presenza e di una fattiva collaborazione per il cammino della vita consacrata.

MANINei giorni 20 e 21 febbraio 2018 si è realizzato il secondo modulo del Convegno organizzato da USMI e CHARIS sul tema: “Prendersi cura delle Sorelle nell’età anziana e nelle fragilità”.

Frequentato da novanta Religiose provenienti da diverse regioni italiane, il convegno ha offerto alle partecipanti una formazione aggiornata ponendo il “focus” sulla fragilità.

Nella prima giornata abbiamo ascoltato la dottoressa Vilma Bargna sul tema: “Le comunità religiose messe in crisi dalle fragilità”. Con uno sguardo retrospettivo per conoscere la storia ci siamo addentrate nel significato del pregiudizio che nasce dalla paura per soffermarci poi sull’importanza del fidarsi e affidarsi a persone competenti per poter aiutare chi si trova in difficoltà. Si tratta di avere la pazienza di un percorso per poter giungere a risultati positivi.

Nel pomeriggio abbiamo ascoltato il professor Cesare Piccinini, psichiatra, che in un’ampia panoramica, ci ha inoltrate nella conoscenza di diverse patologie mentali.

Il giorno successivo il dottor Renato Pirisi, coordinatore di “Casa Speranza”, ha trattato il tema: “Percorsi di cura e accompagnamento della persona con fragilità” accompagnando la teoria con esperienze pratiche che hanno catturato l’attenzione delle partecipanti.

Il convegno è stato molto apprezzato da tutte mentre ci auguriamo che ci possa essere la “terza edizione” nel prossimo anno pastorale!

 

La ‘Casa della tenerezza’ per disabili

Snehonir, la ‘Casa della Tenerezza’ per disabili

BANGLADESH_-_0220_-_P__CagnassoUna struttura per l’accoglienza, il conforto e la riabilitazione dei disabili, dove tutti gli ospiti “si danno da fare nello spirito del reciproco aiuto”. È “Snehonir”, la “Casa della Tenerezza” di Rajshahi, dove le suore della congregazione locale Shanti Rani (Regina della pace) e i padri del Pime (Pontificio istituto missioni estere) accolgono bambini e ragazzi con disabilità mentali e fisiche, sordomuti, ciechi e bambine sfregiate con l’acido. Non solo: la casa si prende cura anche di bambini senza disabilità, orfani o provenienti da famiglie molto povere che non hanno la possibilità di allevarli.

Ad AsiaNews p. Franco Cagnasso, missionario Pime in Bangladesh, da sei anni co-direttore della casa, riferisce che “l’obiettivo comune è l’aiuto reciproco, la convivenza gioiosa e senza complessi, l’impegno a dare il meglio per costruirsi un futuro quanto più indipendente possibile”.

Il sacerdote riferisce che “la struttura è nata per caso 25 anni fa nella missione di Rohanpur [nella diocesi di Rajshahi, creata dal Pime e ora affidata a sacerdoti locali– ndr]. A dare inizio a tutto sono stati sr. Gertrude, p. Gianantonio Baio e p. Mariano Ponzinibbi, quando un padre disperato consegnò alla parrocchia suo figlio Robi, di quattro mesi, la cui mamma era morta. A quel tempo non c’era alcun programma di assistenza per i bambini, ma loro decisero di tenerlo e di trovare una madre adottiva.

20180220Photo1A nove mesi Robi contrasse la poliomielite e rimase paralizzato. Oggi, grazie alla fisioterapia di sr. Gertrude e alle cure amorevoli delle suore e della signora che ha accettato di fargli da madre, si muove in maniera autonoma con la sedia a rotelle, si è laureato e gioca a cricket”.

Da quella prima esperienza, p. Cagnasso riporta che al momento la “struttura accoglie 43 persone tra bambini e ragazzi. La più piccola ha cinque anni e il più grande, Robi, 26. In tutto, lavorano 10 persone”. “Il principio che ispira la convivenza nella struttura, – continua – che negli anni ha mantenuto un’impostazione familiare, è l’aiuto reciproco tra persone disabili e ‘normodotati’. Non esiste una divisione tra servitori e serviti, ma solo bambini con abilità diverse che si mettono a disposizione degli altri e collaborano per quel che possono, per esempio a fare i compiti o a spingere la carrozzina. I più grandi aiutano i piccoli”.

Sr. Dipika Palma ha ereditato la missione di sr. Gertrude. La casa offre “un’educazione di base elementare sui principi del cristianesimo. Accogliamo tutti, cattolici, indù e musulmani”. Con il passare degli anni, la struttura si è dotata di insegnanti del linguaggio braille e dei segni, “per consentire anche ai bambini sordomuti e non vedenti di apprendere”. Inoltre “non esiste un tempo massimo di accoglienza dei malati e dei poveri. Rimangono con noi fin quando ne hanno bisogno”.

Ad ogni modo, “appena possibile, i ragazzi vengono spinti a frequentare le scuole locali, perché non vogliamo che si crei una sorta di ghetto. Tutta la nostra opera ha uno scopo ben preciso: cerchiamo di avviarli alla vita, ad integrarsi nella società, a trovare un lavoro”. “Fa piacere sapere – conclude – che chi è uscito, si è realizzato nella vita. Per esempio Flora, la seconda bambina accolta dalle suore, non era mai stata accettata dal padre perché malata di poliomielite. Ma oggi lavora con la Caritas ed è lei a mantenere il padre malato. Insieme ad altri ragazzi sta pensando di creare un’associazione di ex alunni, gli ‘Amici di Snehonir’”.

Da: Asianews.it

L’ULIVO

ulivo1L’albero dell’ulivo, tipico delle culture del Vicino Oriente, nella Bibbia è simbolo di pace, fecondità, benedizione.

La prima volta la parola ulivo appare nella Bibbia alla fine del racconto del diluvio quando la colomba porta a Noè, come segno di pace, un ramoscello di ulivo (cfr. Gen 8,9).

Allo stato selvatico l’ulivo si presenta in tutto il suo splendore naturale. Il suo legno è ritenuto tanto nobile da entrare a far parte dei materiali utilizzati per la costruzione del “Santo dei santi”, la parte più sacra del tempio.

L’ulivo è uno dei sette prodotti simbolo della ricchezza della terra promessa: «II Signore tuo Dio sta per farti entrare in un paese fertile, paese di frumento, di orzo e di viti, di fichi e di melograni; paese di ulivi, di olio e di miele» (Dt 8,8; 2 Re 18,32).

Nei libri profetici – in particolare Geremia – l’ulivo è simbolo dell’identità di Israele: «Ulivo verde, maestoso, era il nome che il Signore ti aveva imposto» (Ger 11,16). Il profeta Osea descrive la fertilità e la gioia della sposa infedele, ricondotta da Dio alla fedeltà, nei simboli dei germogli di ulivo: «Metterà radici come un albero del Libano, si spanderanno i suoi germogli e avrà la bellezza dell’olivo e la fragranza del Libano» (Os 14,6a-7). La bellezza dell’ulivo significa benessere e fecondità. .

Nel periodo postesilico l’ulivo diviene segno di speranza. II profeta Zaccaria vede un candelabro d’oro con in cima un recipiente con sette lucerne e sette beccucci per le lucerne. Due ulivi gli stanno vicino, uno a destra e uno a sinistra (cfr. Zc 4,1a-3). I due ulivi rappresentano il re Zorobabele di stirpe davidica e Giosuè, sommo sacerdote. Questi personaggi definiti «figli dell’ulivo» simboleggiano il sommo sacerdozio (Giosuè) e la regalità (Zorobabele): la comunità postesilica vive una nuova speranza. Il sacerdozio, infatti, media il perdono rendendo possibile l’accesso a Dio e la regalità davidica ricostruisce il Tempio dove Dio si rende presente e il popolo gli

presta il culto dovuto. I salmi presentano i credenti come ulivo verdeggiante: «Ma io, come olivo verdeggiante nella casa di Dio, confido nella fedeltà di Dio in eterno e per sempre» (Sal 52,10) e i figli del credente sono ‘virgulti d’ulivo’ perché segno di benessere e ricchezza (cfr. Sal 128).

Il simbolo dell’olivo come pace, fecondità, benedizione si riferisce anche a Gesù. Accolto a Gerusalemme con rami di alberi (Mt 21,9) e di palma (Gv 12,13) prima di morire «se ne andò, come al solito, al monte degli Ulivi» per pregare (Lc 22,39-42). La sua preghiera profonda avviene nel Getsemani che significa frantoio dell’olio: «Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani» (cfr. Mt 26,36; Mc 14,32). Nel Getsemani Gesù sarà torchiato e spremuto come si spremono le ulive. Egli è ulivo verdeggiante dalla cui vita donata sgorga la pace, la riconciliazione, la risurrezione.

Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo

Dal Vangelo di Marco           9,2-10

trasfigu1Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

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L’episodio evangelico della Trasfigurazione di Gesù è certamente uno dei più studiati, commentati, approfonditi; ben a ragione, data la sua importanza nella vicenda di Gesù e per la nostra spiritualità.

Con tre dei suoi discepoli (Pietro, Giacomo e Giovanni), Gesù sale su un alto monte (probabilmente il Tabor, alto 582 mt.), e lì “fu trasfigurato”, letteralmente “fu trasformato”: le sue vesti divennero bianchissime e accanto a Lui apparvero Mosè ed Elia. In quel momento cioè Egli diventa il Signore luminoso e magnifico esaltato dal Salmo 75/76, a.5: Splendido tu sei, magnifico su montagne di preda) e muta il suo aspetto come Mosè il cui volto fu glorificato mentre parlava con Dio (cfr. Es.34,29) e come sarà per i giusti nel mondo futuro (Apoc. Baruch 51,3-10).

v.3 le sue vesti divennero splendenti, bianchissime……..; il primo termine si può rendere ancor meglio con “sfolgoranti”, perché il verbo greco corrispondente è riferito nell’A.T. allo splendore del sole e delle stelle (cfr. Dan.12,3); quindi è uno splendore accecante; quanto poi al colore bianco, ricordiamo che esso è simbolo dell’appartenenza al mondo celeste.

L’apparizione di Elia e Mosè (cioè i Profeti e la Legge o Pentateuco) accanto al Nazareno ha un’estrema importanza: essi testimoniano che Gesù è il compimento di tutto l’Antico Testamento, che promesse e profezie sono pienamente realizzate in Lui, che egli è il Messia tante volte annunziato e tanto atteso.

La glorificazione di Gesù è poi completata dalla voce del Padre che esce da una nube (consueto simbolo biblico della presenza di Dio), e che proclama: “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!” (v.7 b)

I discepoli vedono dunque in Gesù, che fino a quel momento aveva condiviso con loro in semplicità la vita quotidiana, nientemeno che lo splendore della gloria di Dio e ne restano estasiati.

Ora, sulla scorta di alcuni fondamentali criteri di lettura e interpretazione della Bibbia, circa la pagina di Marco possiamo notare quanto segue.

L’episodio della Trasfigurazione richiama evidentemente altri due episodi di Cristofania (=

manifestazione di Cristo): il Battesimo (cfr. Mc.1,9-11 e paralleli) dove lo Spirito scende su di Lui

e il Padre lo proclama suo Figlio amato, e la Resurrezione, testimoniata dalle apparizioni di Cristo.

Questi tre episodi sono collocati all’inizio, al centro e al termine della missione di Cristo. Tale disposizione, unita al n° 3 (simbolo di totalità) vuole indicare come quella gloriosa e divina sia una dimensione fondamentale e permanente del rabbi di Nazareth.

Sempre ad uno sguardo complessivo della struttura del vangelo marciano, salta agli occhi un altro elemento ripetuto tre volte: i preannunci della passione, che troviamo in Mc.8,31, 9,31 e 10,33-34 (e nei passi paralleli dei sinottici): essi scandiscono l’unità letteraria di Mc.8,27 – 10,52 incentrata sui temi della identità di Gesù e della sua sequela. Dunque abbiamo ancora un elemento ripetuto 3 volte e ancora in punti-chiave del vangelo. Evidentemente si tratta di qualcosa di importanza pari a quella dei 3 episodi di glorificazione. Non solo, ma la loro disposizione diciamo così “interposta” o inframmezzata li mette in collegamento.

Ne deriva che la gloria di Gesù trasfigurato è intimamente legata alla gloria che Gesù otterrà, in forza della sua morte, nella resurrezione. E anche la sua messianicità è strettamente vincolata all’evento della croce e della resurrezione: al di fuori di quell’evento Gesù non può essere né capito né proclamato (di qui il famoso “segreto messianico” del vangelo di Marco).

Morte e resurrezione costituiscono infatti un mistero unitario da non scindere, pena la riduzione del Cristo alla sola umanità sia pure eroica (la morte) o alla sola divinità separata e lontana dall’uomo (la gloria pasquale). La trasfigurazione è quindi un’apparizione pasquale anticipata, destinata come quelle post-pasquali ad illuminare e a svelare alla Chiesa il mistero della morte e resurrezione di Cristo.

La lezione che emerge da questa pagina evangelica è davvero fondamentale per ciascuno di noi ed è di grande aiuto per affrontare adeguatamente uno degli scogli più duri e resistenti della nostra esistenza: il dolore, la sofferenza, le difficoltà che purtroppo segnano la vita di ogni uomo.

Ebbene, nella sua straordinaria misericordia, Dio ha voluto donarci una “carta di riserva”, un sostegno, una straordinaria consolazione: il pensiero che il dolore, il negativo, il male, prima o poi finiscono, mentre quella gloria-gioia indefettibile che è simboleggiata dalla luminosità sfolgorante di Gesù nella Trasfigurazione, è la sola che ha davvero l’ultima parola, sullo sfondo di una Vita che – come ha dimostrato il Signore nelle apparizioni – alla fine è sempre vittoriosa sulla morte e sullo sfondo di una gloria che sarà propria di tutti i giusti

 

 

AI PIEDI DELLA CROCE

ai piediL’unione della Madre con il Figlio nell’opera della Redenzione raggiunge il culmine sul Calvario, dove Cristo offrì se stesso quale vittima immacolata a Dio (Eb 9,14) e dove Maria stette presso la Croce (cfr Gv 19,25), soffrendo profondamente con il suo Unigenito e associandosi con animo materno al sacrificio di lui, amorosamente consenziente all’immolazione della vittima da lei generata e offrendola anch’ella all’eterno Padre.

Per perpetuare nei secoli il sacrificio della Croce il divin Salvatore istituì il sacrificio eucaristico, memoriale della sua morte e risurrezione, e lo affidò alla Chiesa, sua sposa, la quale, soprattutto alla domenica, convoca i fedeli per celebrare la Pasqua del Signore, finché egli ritorni il che la Chiesa compie in comunione con i Santi del Cielo e, prima di tutto, con la Beata Vergine, della quale imita la carità ardente e la fede incrollabile.

Modello di tutta la Chiesa nell’esercizio del culto divino, Maria è anche, evidentemente, maestra di vita spirituale per i singoli cristiani. Ben presto i fedeli cominciarono a guardare a Maria per fare, come lei, della propria vita un culto a Dio e del loro culto un impegno di vita. Già nel IV secolo, sant’Ambrogio, parlando ai fedeli, auspicava che in ognuno di essi fosse l’anima di Maria per glorificare Dio: Dev’essere in ciascuno l’anima di Maria per magnificare il Signore, dev’essere in ciascuno il suo spirito per esultare in Dio. Maria, però, è soprattutto modello di quel culto che consiste nel fare della propria vita un’offerta a Dio: dottrina antica, perenne, che ognuno può riascoltare, ponendo mente all’insegnamento della Chiesa, ma anche porgendo l’orecchio alla voce stessa della Vergine, allorché essa, anticipando in sé la stupenda domanda della preghiera del Signore: Sia fatta la tua volontà (Mt 6,10), rispose al messaggero di Dio: Ecco la serva del Signore: sia fatto di me secondo la tua parola (Lc 1,38). E il «sì» di Maria è per tutti i cristiani lezione ed esempio per fare dell’obbedienza alla volontà del Padre la via e il mezzo della propria santificazione.

È importante, d’altra parte, osservare come la Chiesa traduca i molteplici rapporti che la uniscono a Maria in vari ed efficaci atteggiamenti cultuali: in venerazione profonda, quando riflette sulla singolare dignità della Vergine, divenuta, per opera dello Spirito, madre del Verbo incarnato; in amore ardente, quando considera la maternità spirituale di Maria verso tutte le membra del Corpo mistico; in fiduciosa invocazione, quando esperimenta l’intercessione della sua Avvocata e Ausiliatrice in servizio di amore, quando scorge nell’umile Ancella del Signore la Regina di misericordia e la Madre di grazia; in operosa imitazione, quando contempla la santità e le virtù della «piena di grazia» (Lc 1,28); in commosso stupore, quando vede in lei, come in una immagine purissima, ciò che essa, tutta, desidera e spera di essere; in attento studio, quando ravvisa nella cooperatrice del Redentore, ormai pienamente partecipe dei frutti del mistero pasquale, il compimento profetico del suo stesso avvenire, fino al giorno in cui, purificata da ogni ruga e da ogni macchia (cfrEf 5,27), diverrà come una sposa ornata per lo sposo, Gesù Cristo (cfr Ap 21,2).

Paolo IV, da Marialis cultus, 1974