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Le dieci regole di suor Carità

Le dieci regole di suor Carità

Una guida semplice per vivere bene

RegoleFai del bene a tutti. È la prima di dieci regole di vita buona, ovvero consigli illuminati dal Vangelo, “cose di cui uno non si pente mai”. A scriverle, suor M. Caritas, religiosa paolina da poco scomparsa. A metterle in rete una sua consorella.

In questo semplice decalogo suor M. Caritas, al secolo Angelica Forte, propone comportamenti capaci di migliorare la vita di tutti, facili solo in apparenza. Del resto i grandi successi richiedono sacrifici, no?

Come detto, la prima regola è: fai del bene a tutti. Poi: non parlar male di nessuno; prima di decidere rifletti; non parlare quando sei agitato; aiuta chi è sfortunato; ammetti il tuo errore; sii paziente con tutti; ascolta non per raccontare ad altri; non credere a cose spiacevoli; preparati a morire.

 Semplice? Non credo, chiaro, però certamente sì. Il consiglio è quello di provare con la regola che in apparenza sembra più facile e poi di proseguire con le altre. A spiegare chi era suor M. Caritas (Angelica Forte) è suor Anna Maria Parenzan la superiora generale dell’Istituto Pia Società Figlie di San Paolo, nella lettera con cui annunciava la morte della consorella.

 Nata a Cattolica Eraclea (Agrigento) il 1° gennaio 1931 suor M. Caritas entrò in Congregazione ad Agrigento, il 27 novembre 1954. Visse a Roma, il tempo di noviziato per poi essere inserita da giovane professa nella comunità di Livorno, dove proseguì il servizio bello e faticoso della “propaganda” percorrendo le strade della Toscana, entrando in centinaia di abitazioni con le borse colme di Parola di Dio, di libri di formazione per le diverse fasce di età. Dopo la professione perpetua, emessa nel 1963, si dedicò ancora a questa forma caratteristica di diffusione nelle comunità di Taranto e Bari. Nel 1966, partiva per il Québec, come missionaria: a Montreal e nella filiale di Montreal Workman, svolse l’apostolato diffusivo e quello della cucina. Nel 1981, venne trasferita nel Canada inglese, a Toronto (allora casa dipendente del governo generale), dove si dedicò con piena convinzione, alla missione della libreria.

 Nel 1989, con l’inserimento nella comunità di Toronto nella provincia degli Stati Uniti, svolgendo il proprio servizio prima a Cleveland e poi a Boston e a New Orleans. Nel 1997 il ritorno a Toronto, con una breve parentesi a Saint Louis, quindi nel 2014, una situazione di salute molto precaria a motivo del morbo di Parkinson, ne suggerì il trasferimento a Boston.

 Uno spostamento vissuto con sofferenza dalla religiosa che desiderava restare in Canada ma accettato con coraggio e nella preghiera. Scriveva: offro tutto quello che sto vivendo perché il Cristo sia glorificato e proclamato e ogni Figlia di San Paolo abbia il coraggio di vivere la propria vocazione con sincerità e amore.

Riccardo Maccioni

 (articolo tratto da www.avvenire.it)

 

Suor M. Caritas è morta il 1° febbraio scorso ma la sua eredità spirituale è più che mai viva. Anche grazie a questo semplice decalogo, un sentiero stretto ma percorribile, con vista sulla santità.

 

Anche il mio corpo riposa al sicuro (Salmo 15)

SR_TERESA1Madre Teresa Pastore, è tornata a casa!

Il grazie al Signore, a nome della Presidenza dell’USMI Nazionale per la sua presenza e il suo amore alla vita consacrata nel servizio fattivo, disinteressato e competente che per 10 anni ha svolto come Presidente dell’USMI Lazio.

Alla madre generale, sr Maria Zingaro e alle sorelle della sua famiglia religiosa, le Serve di Maria Addolorata di Nocera la nostra vicinanza e la preghiera in questo momento particolare di fede e di speranza.

XXVI Giornata del Malato

XXVI GIORNATA MONDIALE DEL MALATO

«”Ecco tuo figlio … Ecco tua madre”. E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé …» (Gv 19,26-27)

La vocazione materna di Maria per tutta l’umanità

Dal Messaggio del Santo Padre per la Giornata Mondiale del Malato 2018

Immagine-170x280Le parole di Gesù sulla croce (“Ecco tuo figlio… Ecco tua madre”) danno origine alla vocazione materna di Maria nei confronti di tutta l’umanità. Lei sarà in particolare la madre dei discepoli del suo Figlio e si prenderà cura di loro e del loro cammino. E noi sappiamo che la cura materna di un figlio o una figlia comprende sia gli aspetti materiali sia quelli spirituali della sua educazione.

Il dolore indicibile della croce trafigge l’anima di Maria (cfr Lc 2,35), ma non la paralizza. Al contrario, come Madre del Signore inizia per lei un nuovo cammino di donazione.

Maria modello del discepolo: una vocazione a prendersi cura

Il discepolo è chiamato a riconoscere Maria come propria madre, ad accoglierla, a contemplare in lei il modello del discepolato: la vocazione materna di Maria, la vocazione di cura per i suoi figli, passa a Giovanni e a tutta la Chiesa. La comunità tutta dei discepoli è coinvolta nella vocazione materna di Maria.

Giovanni, come discepolo che ha condiviso tutto con Gesù, sa che il Maestro vuole condurre tutti gli uomini all’incontro con il Padre.

Come Maria, i discepoli sono chiamati a prendersi cura gli uni degli altri, ma non solo. Essi sanno che il cuore di Gesù è aperto a tutti, senza esclusioni. A tutti dev’essere annunciato il Vangelo del Regno, e a tutti coloro che sono nel bisogno deve indirizzarsi la carità dei cristiani, semplicemente perché sono persone, figli di Dio.

La Chiesa ha una lunga storia di dedizione ai bisognosi e ai malati

La vocazione materna della Chiesa verso le persone bisognose e i malati si è concretizzata in una storia di dedizione che continua ancora oggi, in tutto il mondo.

L’immagine della Chiesa come “ospedale da campo”, accogliente per tutti quanti sono feriti dalla vita, è una realtà molto concreta, perché in alcune parti del mondo sono solo gli ospedali dei missionari e delle diocesi a fornire le cure necessarie alla popolazione.

Guardare al passato per progettare il futuro: fuori dalla cultura dello scarto

La memoria della lunga storia di servizio agli ammalati è motivo di gioia per la comunità cristiana, ma bisogna guardare al passato soprattutto per lasciarsene arricchire. Questa eredità del passato serve a progettare il futuro, serve a preservare la cura della salute dal finire nel puro ambito del mercato, finendo per scartare i poveri.

Intelligenza e carità esigono che la persona del malato venga rispettata nella sua dignità e mantenuta sempre al centro del processo di cura. Questi orientamenti devono essere propri anche dei cristiani che operano nelle strutture pubbliche e che con il loro servizio sono chiamati a dare buona testimonianza del Vangelo.

Uno sguardo ricco di tenerezza e compassione

Alla potenza guaritrice di Gesù corrisponde il compito della Chiesa, la quale sa che deve portare sui malati lo stesso sguardo ricco di tenerezza e compassione del suo Signore.

La pastorale della salute resta e resterà sempre un compito necessario ed essenziale, da vivere a partire dalle comunità parrocchiali fino ai più eccellenti centri di cura.

Non possiamo qui dimenticare la tenerezza e la perseveranza con cui molte famiglie seguono i propri figli,

genitori e parenti, malati cronici o gravemente disabili. Le cure che sono prestate in famiglia sono una testimonianza straordinaria di amore per la persona umana e vanno sostenute con adeguato riconoscimento e con politiche adeguate.

Medici e infermieri, sacerdoti, consacrati e volontari, familiari e tutti coloro che si impegnano nella cura dei malati, partecipano a questa missione ecclesiale. È una responsabilità condivisa che arricchisce il valore del servizio quotidiano di ciascuno.

Invocazione a Maria, Madre della tenerezza

A Maria, Madre della tenerezza, vogliamo affidare tutti i malati nel corpo e nello spirito, perché li sostenga nella speranza.

A lei chiediamo pure di aiutarci ad essere accoglienti verso i fratelli infermi.

La Chiesa sa di avere bisogno di una grazia speciale per poter essere all’altezza del suo servizio evangelico di cura per i malati. Perciò la preghiera alla Madre del Signore ci veda tutti uniti in una insistente richiesta.

Se vuoi, puoi purificarmi!

Dal Vangelo di Marco                      Mc 1,40-45

lebbra1Venne da lui un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

……………………………………………….

Con questo miracolo ha termine il capitolo primo del vangelo di Marco. Al termine della giornata tipo di Gesù a Cafarnao abbiamo un altro miracolo che è narrato un po’ come una risurrezione. Con il capitolo secondo avremo poi le cinque controversie galilaiche (2,1-3,6), in cui Gesù si pone apertamente in contrasto con le tradizioni del suo popolo (remissione dei peccati, prendere cibo con i peccatori, il digiuno, il sabato).

In quel tempo venne da lui un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Veniva considerata lebbra qualsiasi malattia della pelle che si manifestasse con macchie bianche, pustole o altre manifestazioni esterne persistenti. Per evitare un eventuale contagio e in base ai rigidi principi di purità rituale richiesti dalla religione ebraica ai tempi di Gesù, il lebbroso veniva escluso da qualsiasi attività sociale e dai contatti con le persone sane. I lebbrosi erano costretti a rimanere al di fuori dei centri abitati, dovevano velarsi il volto come per il lutto e se qualcuno si avvicinava loro dovevano avvertirlo della loro triste condizione e gridare “Impuro, impuro!” (Lv 13,45, che fa parte della prima lettura di questa domenica). Si trattava davvero di una condizione di “morti viventi”, drammaticamente sottolineata dalla degenerazione delle loro membra dovuta alla malattia. Per di più, secondo la mentalità biblica, essa veniva vista come il castigo per peccati particolarmente gravi, quindi sul malato gravava anche il peso del senso di colpa. Il lebbroso di questo brano di Vangelo sa bene tutte queste cose eppure osa avvicinarsi a Gesù. Riconosce la superiorità del Signore poiché si inginocchia davanti a lui e lo supplica. Chiede di essere purificato, cioè di vedere la sua pelle e la sua carne integra, ma anche di essere perdonato dai suoi peccati, liberato da tutto ciò che lo tiene lontano da Dio e dagli uomini.

Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». In quattro verbi vediamo l’azione di Gesù nei confronti della lebbra. Gesù ha compassione di lui, letteralmente “ha viscere di tenerezza”. Come in altri episodi del vangelo di Marco, Gesù si lascia coinvolgere dalla situazione di miseria in cui si trova l’uomo. In alcuni codici invece della compassione è scritto che Gesù si adirò. Egli si sarebbe dunque sdegnato e avrebbe lottato contro il male. La seconda azione è “tese la mano”, il gesto del Dio liberatore nell’Esodo. La mano del Signore che si stende per agire è potente e può compiere grandi cose. Il terzo verbo è “lo toccò”. Gesù sapeva bene di toccare un lebbroso e che questo gesto lo avrebbe reso impuro. Eppure lo compie, prendendo su di sé la malattia, il peso del peccato, l’emarginazione di quell’uomo. Infine Gesù parla, afferma la sua volontà di guarire l’uomo. Questo modo di fare (gesto e parola) è stato ripreso nella celebrazione dei sacramenti. E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. La lebbra scompare subito, la pelle del malato ritorna sana e integra. Il gesto di Gesù è potente e scaccia anche una malattia terribile come la lebbra. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito. E’ strano questo atteggiamento di Gesù. Egli rimprovera l’ex-lebbroso e lo manda via e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». Colui che guariva dalla lebbra doveva andare dal sacerdote, che costatata la guarigione reintegrava la persona nella sua famiglia e nella vita sociale. Gesù si mostra così osservante delle tradizioni ebraiche, anche se nelle controversie galilaiche si vedrà come è libero nei confronti dei peccatori e dell’osservanza del sabato, tanto per fare un esempio. Troviamo qui per la prima volta il segreto messianico richiesto anche agli uomini e non solo ai demoni. Gesù dice al lebbroso di non raccontare il miracolo di cui è stato beneficiario. La vera identità di Gesù si riconosce sulla croce e non dai suoi miracoli.

Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte. Ovviamente il lebbroso non tace e la fama di Gesù guaritore si diffonde, tanto che egli non può più rimanere in città.

Monastero Matris Domini

Tratta: oltre 40 milioni di schiavi invisibili

Tratta: nel mondo oltre 40 milioni di schiavi invisibili

trattaAlla vigilia della Giornata Mondiale contro la Tratta, Pime, Mani Tese e Caritas Ambrosiana organizzano un convegno dal respiro ampio per fare il punto sul fenomeno.

Ogni anno oltre 40 milioni di persone – tra cui un numero crescente di donne e minori – sono vittime di pesanti forme di sfruttamento, specialmente prostituzione coatta e lavoro forzato. In vista della Giornata mondiale contro la Tratta, che si celebra l’8 febbraio, il Centro Pime di Milano, Mani tese e Caritas ambrosiana, in collaborazione con Ucsi Lombardia, organizzano un convegno sul tema “Tratta e gravi violazioni dei diritti umani: i  nuovi schiavi del XXI secolo”.

Un’opportunità dicono gli organizzatori per riflettere sulle storture di un sistema economico che “approfondisce le diseguaglianze e contribuisce a creare le condizioni perché milioni di persone nel mondo finiscano nelle reti di gruppi criminali che le trafficano e le riducono in condizioni di vera e propria schiavitù”.

Si entrerà nel merito delle diverse forme di sfruttamento, da quello lavorativo che riguarda in Italia circa 150mila persone, in gran parte giovani migranti, a quello per la prostituzione coatta, che coinvolge sempre nella Penisola, dalle 50 alle 70mila donne sino a quello dei minori sfruttati in diversi modi, non sempre riconoscibili.

I numeri sono ancora disarmanti – fa sapere Chiara K. Cattaneo, program manager della Campagna ‘I Exist’ di Mani tese – convinta che bisogna agire soprattutto sui sistemi economici perché le persone siano libere di dire di no. “E’ difficile – aggiunge – tracciare un profilo di queste vittime che spaziano in età, sesso e provenienza geografica. La cosa che le accomuna però è una grandissima vulnerabilità, nel senso che sono persone costrette a spostarsi e non potendolo fare attraverso i canali legali, sono costretti a ricorrere a mezzi illegali e quindi cadono nella rete dei trafficanti. Quindi questa loro vulnerabilità li espone a rischi e pericoli di venire poi sfruttate all’interno dei Paesi in cui arrivano sia in Europa, nei Paesi più sviluppati, sia all’interno del proprio Paese”.

Pime, Caritas e Mani Tese lodano l’impegno di Papa Francesco contro quella che lui stesso ha definito come “una piaga vergognosa e atroce”, un “crimine contro l’umanità” e recentemente ha convocato in Vaticano i leader religiosi esortandoli ad unire gli sforzi per salvare le vittime.

Fonte:vatican.news, 06.02.2018

Fonte: vatican.news, 06.02.2018

La fece alzare prendendola per mano…

Dal Vangelo di Marco       Mc 1,29-39

suoceraE subito, usciti dalla sinagoga, andarono nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.

Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.

Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.

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Si conclude con questo brano la giornata di Gesù che Marco ha iniziato al versetto 1,16, chiudendo la descrizione dell’azione potente e della predicazione di Gesù, visti come un tutto. Il piccolo sommario costituito dal versetto 39 ce lo una conferma. Appaiono nel testo altri nuovi temi tipici dell’evangelista: la casa e l’incomprensione dei discepoli. Il brano si divide in tre episodi: 29-31 guarigione della suocera di Simone; 32-34 sommario con guarigioni; 35-39 preghiera di Gesù e partenza da Cafarnao.

 In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. Tutto il brano è composto da brevi frasi collegate tra loro dal kai greco (e); l’evangelista stabilisce un collegamento con l’episodio precedente annotando che Gesù e coloro che lo accompagnano, hanno lasciato la sinagoga; essi entrano ora nella casa di Simone. I discepoli sono gli stessi citati ai versetti 16-20 così che si ha l’impressione che il testo abbia in origine seguito da vicino l’episodio della loro chiamata. Il riferimento alla casa ha comunque un sapore ecclesiale: in Marco la casa è il luogo in cui Gesù parla ai discepoli. Inoltre la chiesa primitiva aveva nelle case il luogo dell’incontro liturgico e della catechesi.

La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Si pensa che Simone, originario di Betsaida (cfr. Gv 1,44), si fosse stabilito dopo il matrimonio nella casa della suocera a Cafarnao; entrati in casa i discepoli mettono al corrente Gesù della situazione della donna. Il verbo utilizzato per indicare lo stato della malata katakeimai (usato raramente, in Mc anche in 2,7) indica una malattia grave; la stessa idea è suggerita dal fatto che essa avesse la febbre (cfr. Gv 4,52).

Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva. Gesù non parla, ma agisce: si avvicina, le prende la mano e la fa alzare (uso del verbo della resurrezione egheiro), guarisce per forza propria, senza neppure l’uso di una preghiera.

L’immediato recupero della salute è indicato dal fatto che essa si mise a servirli (tutti i presenti); abbiamo qui l’unico caso nei vangeli di un miracolo in ambito familiare, privato per così dire, il cui ricordo è forse legato alla figura di Pietro.

Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Terminato il giorno di sabato, gli abitanti di Cafarnao vengono alla casa di Simone. L’indicazione temporale è tipica di Marco e collega i vari avvenimenti in un’ideale giornata che per l’evangelista acquisita un valore particolare per indicare chi è e cosa fa Gesù. Il v. 33 è nello stile di Marco, come l’utilizzo di diversi termini nei vv. 32-34 (città, malattie, curare e naturalmente il divieto di parlare per i demoni, vedi pericope precedente). La notizia della guarigione nella sinagoga provoca l’arrivo di tutti i malati.

Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano. E’ importante notare che se tutti i malati vengono a Gesù egli ne guarisce molti. Se nell’azione potente di Gesù si manifesta la basileia di Dio non è però sufficiente andare da lui per ricevere la guarigione, né tantomeno per capire chi è e la rivelazione che egli porta. Il piccolo sommario costruito da Marco ripresenta sinteticamente le guarigioni appena narrate (la suocera di Pietro e l’indemoniato della sinagoga) ed è schematico e generico. Forse rispecchia anche la situazione in cui si vennero a trovare i discepoli nella loro predicazione dopo la resurrezione di Gesù.

Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Il terzo brano del testo che stiamo esaminando ci presenta Gesù in preghiera, un aspetto importante e non ancora messo in luce. Anche qui l’evangelista usa un’indicazione temporale duplice e indica un luogo particolare. La preghiera di Gesù, sembra suggerire Marco, è strettamente legata alla predicazione.

Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». L’azione dei discepoli, indicata con un verbo che ha una connotazione negativa, e la loro richiesta mettono in luce la loro incomprensione della missione di Gesù da una parte e dall’altra delle motivazioni non proprio chiare. Questo tema verrà ripreso da Marco ed è un elemento che ci fa riflettere anche sul nostro modo di comprendere il Signore Gesù e il suo vangelo.

Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». è Gesù ha spiegare qual è la sua missione: la predicazione (cfr. 1,14-15) che non può limitarsi ad un solo luogo. La portata dal verbo uscire usato nel testo, è discussa, certo significa più che lasciare la città di Cafarnao, ma non sembra giungere al significato trinitario (la processione del Verbo dal Padre).

E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni. Siamo così giunti al versetto finale di questa sezione. Una breve sommario in cui riappare la Galilea, come orizzonte dell’azione di Gesù, e la sua predicazione. Interessante la precisazione nelle loro sinagoghe che ha sicuramente un riferimento alla situazione della prima comunità cristiana più che a Gesù stesso. Sarà infatti l’attività missionaria della prima generazione ad avere la sinagoga come punto di partenza (cfr. Atti)

Monastero Matris Domini

 

Suore del Sacro Cuore del Verbo incarnato

 Ci presentiamo

Siamo le Suore del Sacro Cuore del Verbo Incarnato, una congregazione di diritto pontificio, fondata a Palermo (Sicilia – Italia) il 14 settembre 1884 dalla Serva di Dio Madre Carmela Prestigiacomo.

Partecipiamo nella Chiesa alla missione salvifica di Cristo, realizzando il progetto di testimonianza del suo amore e di annuncio della verità, attraverso l’impegno costante di evangelizzazione ed educazione.

Riunite nell’amore di Cristo formiamo una sola famiglia, presente in sette nazioni. Nelle nostre giornate cerchiamo di vivere l’anelito della fondatrice “armonizzando Marta e Maria”, per essere come lei diceva, contemplative ed apostole.

Il carisma

La nostra congregazione nasce verso la fine del XIX secolo in Sicilia, percossa allora da sanguinose rivolte. I nobili liberlal-borghesi mal sopportavano la sottomissione politica a Napoli e la perduta indipendenza sicula con il suo Parlamento e la sua Capitale.

Sia artigiani che contadini anelavano ad un miglioramento delle loro condizioni sociali, perciò per diversi motivi la rabbia degli uni e degli altri sfociò in violente rivoluzioni. L’ultima fu quella del 1848. La restaurazione borbonica portò una pace solo apparente.Il popolo e il clero, che erano stati i protagonisti dell’unificazione della Sicilia all’Italia, si trovarono delusi. Lo stato liberale egemonizzato da massoni e anticlericali, da capitalisti e grandi feudatari, mostrò ben presto il suo vero volto antireligioso e antipopolare.

S’incomincia con una campagna denigratoria dei preti e dei religiosi; in seguito si favorisce la propaganda protestante e di varie sette; si stabilisce la priorità dell’ordine pubblico su ogni richiesta di giustizia sociale, per poi varare una serie di leggi che porteranno come effetto una profonda divisione tra lo Stato e il popolo siciliano.

Questo è il contesto socio-ecclesiale in cui nasce la nostra congregazione. Dirà Madre Carmela: “L’istituto del Sacro Cuore sorge infra le tenebre dell’errore, per riaccendere nella chiesa la face della verità”.

La fondatrice

cali_benedice1La giovane fondatrice, ora venerabile Madre Carmela Prestigiacomo con l’aiuto del sacerdote diocesano D. Emanuele Calì e l’autorizzazione dell’Arcivescovo di Palermo, Card. Michelangelo Celesia, seguita da altre 4 giovani, diede inizio alla nuova fondazione il 14 settembre 1884, che presto dalla Sicilia approdò a Roma e in Calabria. Nel 1951 le prime missionarie partirono per il Brasile e quindi in Argentina (1981), in Canada (1981), in Messico (2001) e in Palestina (2010).

Sulle orme di Madre Carmela portiamo la luce della Verità nella Carità, che attingiamo dal Cuore misericordioso del Verbo Incarnato, armonizzando nella nostra vita “Marta e Maria”, contemplazione e azione apostolica.

La spiritualità

La nostra spiritualità è già espressa nella stessa denominazione: Suore del Sacro Cuore del Verbo Incarnato. In esso, infatti, consideriamo e onoriamo l’espressione somma dell’amore misericordioso di Dio verso l’umanità. Dalla sua contemplazione e venerazione ricaviamo l’alimento per nutrire e incrementare il nostro amore verso Dio e verso il prossimo. (Costituzione 3).

Diceva Gesù a Madre Carmela: “Io voglio da te un’Istituzione religiosa ove l’amante Cuor mio possa trovare conforto dalle continue ferite ed oltraggi che riceve dai peccatori; voglio un sodalizio in cui Marta e Maria ben si accordano insieme…”.

La missione

Inserite pienamente nella vita della Chiesa, da essa attingiamo i mezzi spirituali per la nostra santificazione e per suo mandato operiamo nel campo dell’apostolato specifico della Congregazione. (Costituzioni 4)

La specifica missione apostolica della congregazione è “riaccendere la face della verità” illuminando le intelligenze e le coscienze, attraverso l’educazione alla fede.

mexicoGli ambiti preferenziali in cui la nostra missione si realizza, sono: evangelizzazione, educazione, promozione umana, a servizio, dell’infanzia, della gioventù e della famiglia. In questa vocazione e missione ci ispiriamo al mistero del Cuore del Verbo Incarnato.

La madre fondatrice riguardo all’educazione cristiana raccomandava alle suore la fedeltà all’istruzione catechistica con le seguenti parole: “siate innamorate di questo ufficio, esso è tanto caro al Cuore Sacratissimo di Gesù, che nella sua vita terrena non risparmiò né sudore né stento nell’evangelizzare le turbe e anche dopo la sua risurrezione continuò a istruire i popoli mediante la missione data agli apostoli: docete omnes gentes”.

La madre fondatrice riguardo all’educazione cristiana raccomandava alle suore la fedeltà all’istruzione catechistica con le seguenti parole: “siate innamorate di questo ufficio, esso è tanto caro al Cuore Sacratissimo di Gesù, che nella sua vita terrena non risparmiò né sudore né stento nell’evangelizzare le turbe e anche dopo la sua risurrezione continuò a istruire i popoli mediante la missione data agli apostoli: docete omnes gentes”.

Per maggiori informazioni consulta il sito: www.sacrocuorevi.org

Consacrazione e servizio n° 1 (2018)

 

  • cop_grandeEditoriale
  • Le vie della Sapienza (Fernanda Barbiero)
  • La Pasqua delle culture (M. Regina Cesarato)
  • Talità Kum – io ti dico: Alzati (Mc 5,41)
  • Di chi sei figlia?(Anastasia di Gerusalemme)
  • Tracce di bellezza
  • Scoprire e accogliere semi di vita (M.Pia Giudici)
  • Orizzonti
  • Una nuova immaginazione per il futuro della fede (Francesco Cosentino)
  • Da dove viene e dove va la crisi della vita religiosa? (Bruno Secondin)
  • Dossier  
  • Chi ama la sapienza, ama la vita (Marco Pavan)
  • Amate la sapienza(Lucia Solera)
  • Rischi culturali (Italo De Sandre)
  • Vivere con sapienza nel mondo digitale (M. Antonia Chinello)
  • Come umanizzare le relazioni digitali? (Cristina Zaros)
  • Il punto
  •  Papa Francesco, a chi piace e a chi non piace (Tino Bedin)
  • Libro del mese
  • Pietro Groccia, L’antropologia personalistica di Nunzio Galatino (Armando Matteo)
  • Vedere – Leggere
  • Vedete, sono uno di voi (Scheda filmografica a cura di Teresa Braccio)
  • Segnalazioni (a cura di Romina Baldoni)

Un martirio “con” e non “contro

martiri1“Non è un martirio contro ma con il popolo algerino perché anche loro hanno sofferto tanto. Tante persone sono state uccise per la loro fede”. Lo ha detto padre Thomas Georgeon, in un’intervista a InBlu Radio, il network delle radio cattoliche della Cei, il postulatore della causa di beatificazione del vescovo di Orano, mons. Pierre Claverie, e degli altri 18 religiosi e religiose rapiti e uccisi in “odio alla fede” in Algeria tra il 1994 al 1996. Tra loro anche i monaci trappisti di Tibhirine. Papa Francesco ha autorizzato la pubblicazione del decreto che li riconosce martiri. Il sequestro fu rivendicato dal Gruppo Islamico Armato. Il vescovo di Orano, mons. Pierre-Lucien Claverie, venne ucciso insieme al suo autista mentre ritornava da una cerimonia proprio in ricordo dei sette monaci trappisti di Nostra Signora dell’Atlante. “Tutto il nodo della causa è questo sangue mescolato tra cristiani e musulmani che dimostra che un legame di amicizia e fraternità è possibile. Nel mondo di oggi questi beati – ha aggiunto il postulatore – ci insegnano cosa significano la perseveranza e la fedeltà. E soprattutto nella prospettiva del dialogo interreligioso ci mostrano la via dell’umiltà. Il rischio di andare incontro a incomprensioni c’è sempre ma il Papa quando lo abbiamo incontrato insieme a due vescovi algerini ci ha detto che era consapevole che ci fossero ancora delle ferite. La Chiesa in una logica di perdono e misericordia desidera offrirla all’intera Algeria. La Chiesa vuole essere colei che aiuta a medicare le ferite rispettando le sofferenze e le cicatrici ancora numerose”. “In Algeria negli anni Novanta – ha ricordato il postulatore – c’è stata una guerra civile in cui alcuni gruppi estremisti avrebbero voluto imporre una sorta di califfato. C’è stato un movimento di resistenza che ha portato ad una guerra terribile in cui 200mila persone hanno perso la vita affinché fosse rispettata la loro fede. Il martirio prende posto in questa storia. Tutti i membri della Chiesa avevano la possibilità di tornare nei loro rispettivi Paesi ma questi martiri hanno scelto di condividere questa vicenda con il popolo. Ci dimostrano inoltre che è possibile entrare in amicizia con l’altro che vive una fede diversa. Questi beati hanno mostrato il desiderio di cercare di capire ciò che l’Islam poteva dire loro”.