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Autem vel eum iriure dolor in hendrerit in vulputate velit esse molestie consequat, vel illum dolore eu feugiat nulla facilisis at vero eros et dolore feugait

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Apprezzo che voi, bravi e intuitivi, vi buttiate in politica per cambiare la storia. Io ho un solo eventuale talento: so appena chinarmi su quello che conosco come mio fratello. Marcello Candia

candiaE di fratelli ne ebbe tanti. Soprattutto dopo che fece irruzione nella sua vita “una chiamata verso il dolore” Esordiente prima, diventa abilissimo e molto stimato imprenditore nella terra che gli ha dato i natali. Cinquantenne, viene a conoscenza di una realtà che lo strappa dai suoi possibili sogni di grandezza solo tecnica. Laggiù, nel sud del Brasile, in una cittadina situata nella regione della foce del Rio delle Amazzoni, esiste un lebbrosario. Marcello lascia tutto e va dove nessuno andava. Spinto da un amore addolorato, provocato dalla sofferenza più innocente e più immotivata, impone a se stesso un servizio disinteressato che porterà avanti con decenni di promozione umano sociale-spirituale con iniziative appropriate sino alla morte avvenuta bel 1983. Mentre è in corso il processo per la sua causa di canonizzazione, cogliamo alcuni suoi messaggi carichi di saggezza inequivocabile:

  • Il mio ‘segreto’ è alla portata di tutti e poi non è neanche un segreto… l’unica cosa che conta. Prima la preghiera; poi qualsiasi attività apostolica. Questa è la forza fondamentale per l’annunzio della verità e la testimonianza dell’amore.
  • Sarebbe disperante se non avessimo la fede. Tutti, io stesso, abbiamo delle crisi. Le difficoltà vengono superate solamente con l’idea che una vita così ha il suo valore perché il Signore ci ha detto di fare questo e perché lui lo ha fatto.
  • Ho deciso di fare la mia corsa sino alla fine, al servizio di tutti i miei fratelli malati e bisognosi.
  • Più avanzo negli anni e più mi rendo conto che quello che conta non è tanto la riuscita di quello che stiamo facendo, ma la maniera e l’impegno che mettiamo nell’attuarlo.
  • Sono diventato un mendicante per amore… Marcello Candia è un modesto strumento che la Provvidenza ha suscitato per venire incontro a una minima parte delle immense necessità di una popolazione.
  • Ogni singolo ha una responsabilità sociale collettiva, però anche questo non sposta di molto la questione, perché non solleva da quella che è la reale e unica e vera responsabilità, che è individuale.
  • La Chiesa non può risolvere i problemi della promozione umana, dello sviluppo economico e tecnico: non ne ha i mezzi, non ne ha la competenza, non è il suo impegno- Ma la Chiesa dà una testimonianza di carità, di fede, di speranza, di amicizia, di attenzione all’uomo: insomma, illumina lo sviluppo, lo dirige in senso veramente umano.
  • Avevo lavorato in senso organizzativo, avevo pregato e, perché si pregasse di più, ho anche costruito il Carmelo a Macapà, ma adesso il Signore mi ha dato la cosa più alta, mi ha dato la sofferenza.
  • E’ meraviglioso che i più grandi e competenti studiosi di lebbra siano giunti, solo da pochi anni, a quello che il Vangelo ha detto e Gesù ha fatto duemila anni fa. Cioè che il lebbroso è un malato come gli altri e va trattato come qualsiasi altro malato.
  • Soltanto il Vangelo può dare una risposta completa per i mali dell’anima e del corpo, portando a una accettazione della sofferenza e a una partecipazione del mistero del dolore del Cristo.

Ecco l’imprenditore ammirato, il missionario che sente in sé la sofferenza di una intera categoria di ammalati. Ecco l’uomo di Dio a servizio dell’umanità davvero più bisognosa dell’umana ininterrotta comprensione,

Biancarosa Magliano, fsp

IL CULTO DELLA VERGINE MARIA NELLA LITURGIA

Immacolata1Accingendoci a trattare del posto che la Vergine Maria occupa nel culto cristiano, dobbiamo in primo luogo rivolgere la Nostra attenzione alla sacra Liturgia; essa, infatti, oltre un ricco contenuto dottrinale, possiede un’incomparabile efficacia pastorale e ha un riconosciuto valore esemplare per le altre forme di culto. Avremmo voluto considerare le varie Liturgie dell’Oriente e dell’Occidente, ma, in ordine allo scopo di questo documento, guarderemo quasi esclusivamente ai libri del rito Romano: esso solo è stato oggetto, in seguito alle norme pratiche impartite dal Concilio Vaticano II,9 di un profondo rinnovamento anche per quanto attiene alle espressioni di venerazione a Maria e richiede, pertanto, di essere attentamente considerato e valutato.

La Vergine nella restaurata Liturgia Romana

La riforma della Liturgia Romana presupponeva un accurato restauro del suo Calendario Generale. Esso, ordinato a disporre con il dovuto rilievo, in determinati giorni, la celebrazione dell’opera della salvezza distribuendo lungo il corso dell’anno l’intero mistero del Cristo, dall’Incarnazione fino all’attesa del suo glorioso ritorno, ha permesso di inserire in modo più organico e con un legame più stretto la memoria della Madre nel ciclo annuale dei misteri del Figlio.

Così, nel tempo di Avvento, la Liturgia, oltre che in occasione della solennità dell’8 dicembre –celebrazione congiunta della Concezione immacolata di Maria, della preparazione radicale (cfr Is 11,1. 10) alla venuta del Salvatore, e del felice esordio della Chiesa senza macchia e senza ruga –, ricorda frequentemente la beata Vergine soprattutto nelle ferie dal 17 al 24 dicembre e, segnatamente, nella domenica che precede il Natale, nella quale fa risuonare antiche voci profetiche sulla Vergine Maria e sul Messia e legge episodi evangelici relativi alla nascita imminente del Cristo e del suo Precursore.

In tal modo i fedeli, che vivono con la Liturgia lo spirito dell’Avvento, considerando l’ineffabile amore con cui la Vergine Madre attese il Figlio sono invitati ad assumerla come modello e a prepararsi per andare incontro al Salvatore che viene, vigilanti nella preghiera, esultanti nella sua lode. Vogliamo, inoltre, osservare come la Liturgia dell’Avvento, congiungendo l’attesa messianica e quella del glorioso ritorno di Cristo con l’ammirata memoria della Madre, presenti un felice equilibrio cultuale, che può essere assunto quale norma per impedire ogni tendenza a distaccare – come è accaduto talora in alcune forme di pietà popolare – il culto della Vergine dal suo necessario punto di riferimento, che è Cristo; e faccia sì che questo periodo – come hanno osservato i cultori della Liturgia – debba esser considerato un tempo particolarmente adatto per il culto alla Madre del Signore: tale orientamento Noi confermiamo, auspicando di vederlo dappertutto accolto e seguito.

Il tempo di Natale costituisce una prolungata memoria della maternità divina, verginale, salvifica, di colei la cui illibata verginità diede al mondo il Salvatore: infatti, nella solennità del Natale del Signore, la Chiesa, mentre adora il Salvatore, ne venera la Madre gloriosa; nella Epifania del Signore, mentre celebra la vocazione universale alla salvezza, contempla la Vergine come vera Sede della Sapienza e vera Madre del Re, la quale presenta all’adorazione dei Magi il Redentore di tutte le genti (cfr Mt 2,11); e nella Festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe (domenica fra l’ottava di Natale) riguarda con profonda riverenza la santa vita che conducono nella casa di Nazaret Gesù, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, Maria, sua Madre, e Giuseppe, uomo giusto (cfr Mt 1,19).

Nel ricomposto ordinamento del periodo natalizio Ci sembra che la comune attenzione debba essere rivolta alla ripristinata solennità di Maria Ss. Madre di Dio; essa, collocata secondo l’antico suggerimento della Liturgia dell’Urbe al primo giorno di gennaio, è destinata a celebrare la parte avuta da Maria in questo mistero di salvezza e ad esaltare la singolare dignità che ne deriva per la Madre santa… per mezzo della quale abbiamo ricevuto… l’Autore della vita; ed è, altresì, un’occasione propizia per rinnovare l’adorazione al neonato Principe della Pace, per riascoltare il lieto annuncio angelico (cfr Lc 2,14), per implorare da Dio, mediatrice la Regina della Pace, il dono supremo della pace. Per questo, nella felice coincidenza dell’Ottava di Natale con il giorno augurale del primo gennaio, abbiamo istituito la Giornata mondiale della pace, che raccoglie crescenti adesioni e matura già nel cuore di molti uomini frutti di Pace.

Alle due solennità già ricordate, della Concezione immacolata e della Maternità divina, sono da aggiungere le antiche e venerande celebrazioni del 25 marzo e del 15 agosto.

Per la solennità dell’Incarnazione del Verbo, nel Calendario Romano, con motivata risoluzione, è stata ripristinata l’antica denominazione di Annunciazione del Signore, ma la celebrazione era ed è festa congiunta di Cristo e della Vergine: del Verbo che si fa figlio di Maria (Mc 6,3), e della Vergine che diviene Madre di Dio. Relativamente a Cristo l’Oriente e l’Occidente, nelle inesauribili ricchezze delle loro Liturgie, celebrano tale solennità come memoria del fiat salvifico del Verbo Incarnato, che entrando nel mondo disse: Ecco, io vengo (…) per fare, o Dio, la tua volontà (cfr Eb 10,7; Sal 39,8-9); come commemorazione dell’inizio della redenzione e dell’indissolubile e sponsale unione della natura divina con la natura umana nell’unica Persona del Verbo. Relativamente a Maria, come festa della nuova Eva, vergine obbediente e fedele, che con il suo fiat generoso (cfr Lc 1,38) divenne, per opera dello Spirito, Madre di Dio, ma anche vera Madre dei viventi e, accogliendo nel suo grembo l’unico Mediatore (cfr 1Tm 2,5), vera Arca dell’Alleanza e vero tempio di Dio; come memoria di un momento culminante del dialogo di salvezza tra Dio e l’uomo, e commemorazione del libero consenso della Vergine e del suo concorso al piano della redenzione.

La solennità del 15 agosto celebra la gloriosa Assunzione di Maria al cielo; è, questa, la festa del suo destino di pienezza e di beatitudine, della glorificazione della sua anima immacolata e del suo corpo verginale, della sua perfetta configurazione a Cristo risorto; una festa che propone alla Chiesa e all’umanità l’immagine e il consolante documento dell’avverarsi della speranza finale: che tale piena glorificazione è il destino di quanti Cristo ha fatto fratelli, avendo con loro in comune il sangue e la carne (Eb 2,14; cfr Gal 4,4). La solennità dell’Assunzione ha un prolungamento festoso nella celebrazione della beata Maria Vergine Regina, che ricorre otto giorni dopo, nella quale si contempla colei che, assisa accanto al Re dei secoli, splende come Regina e intercede come Madre. Quattro solennità, dunque, che puntualizzano con il massimo grado liturgico le principali verità dogmatiche concernenti l’umile Ancella del Signore.

Dopo queste solennità si devono considerare, soprattutto, quelle celebrazioni che commemorano eventi salvifici, in cui la Vergine fu strettamente associata al Figlio, quali le feste della Natività di Maria (8 sett.), speranza e aurora di salvezza al mondo intero; della Visitazione (31 maggio), in cui la Liturgia ricorda la Beata Vergine Maria (…), che porta in grembo il Figlio, e che si reca da Elisabetta per porgerle l’aiuto della sua carità e proclamare la misericordia di Dio Salvatore; oppure la memoria della Vergine Addolorata (15 sett.), occasione propizia per rivivere un momento decisivo della storia della salvezza e per venerare la Madre associata alla passione del Figlio e vicina a lui innalzato sulla croce.

Anche la festa del 2 febbraio, a cui è stata restituita la denominazione di Presentazione del Signore, deve essere considerata, perché sia pienamente colta tutta l’ampiezza del suo contenuto, come memoria congiunta del Figlio e della Madre, cioè celebrazione di un mistero di salvezza operato da Cristo, a cui la Vergine fu intimamente unita quale Madre del Servo sofferente di Iahvè, quale esecutrice di una missione spettante all’antico Israele e quale modello del nuovo Popolo di Dio, costantemente provato nella fede e nella speranza da sofferenze e persecuzioni (cfr Lc 2,21-35). Se il restaurato Calendario Romano mette in risalto soprattutto le celebrazioni sopra ricordate, esso tuttavia annovera altri tipi di memorie o di feste, legate a ragioni di culto locale e che hanno acquistato un più vasto ambito e un interesse più vivo (11 febb.: Beata Vergine Maria di Lourdes; 5 agosto: Dedicazione della basilica di Santa Maria Maggiore); altre, celebrate originariamente da particolari famiglie religiose, ma che oggi, per la diffusione raggiunta, possono dirsi veramente ecclesiali (16 luglio: Beata Vergine Maria del Monte Carmelo; 7 ott.: Beata Vergine Maria del Rosario); altre ancora che, al di là del dato apocrifo, propongono contenuti di alto valore esemplare e continuano venerabili tradizioni, radicate soprattutto in Oriente (21 nov.: Presentazione della Beata Vergine Maria), o esprimono orientamenti emersi nella pietà contemporanea (sabato dopo la solennità del Sacro Cuore di Gesù: Cuore immacolato della Beata Vergine Maria).

Né si deve dimenticare che il Calendario Romano non registra tutte le celebrazioni di contenuto mariano: che ai Calendari particolari spetta accogliere, con fedeltà alle norme liturgiche, ma anche con cordiale adesione, le feste mariane proprie delle varie Chiese locali. E resta da accennare alla possibilità di una frequente commemorazione liturgica della Vergine con il ricorso alla Memoria di santa Maria in Sabato: memoria antica e discreta, che la flessibilità dell’attuale Calendario e la molteplicità di formulari del Messale rendono sommamente agevole e varia.

Non intendiamo in questa Esortazione Apostolica considerare tutto il contenuto del nuovo Messale Romano, ma nel quadro della valutazione che ci siamo prefissi di compiere circa i libri restaurati del rito Romano,23 desideriamo illustrarne alcuni aspetti e temi. E amiamo, anzitutto, rilevare come le Preci Eucaristiche del Messale, in ammirabile convergenza con le Liturgie orientali,24 contengono una significativa memoria della Beata Vergine Maria. Così il vetusto Canone Romano, che commemora la Madre del Signore in termini densi di dottrina e di afflato cultuale: In comunione con tutta la Chiesa, ricordiamo e veneriamo anzitutto la gloriosa e sempre Vergine Maria, Madre del nostro Dio e Signore Gesù Cristo; così la recente Prece Eucaristica III, che esprime con intensa supplica il desiderio degli oranti di condividere con la Madre l’eredità di figli: Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te (Padre) gradito, perché possiamo ottenere il regno promesso insieme con i tuoi eletti: con la beata Maria Vergine e Madre di Dio. Tale memoria quotidiana, per la sua collocazione nel cuore del divin Sacrificio, deve essere ritenuta forma particolarmente espressiva del culto che la Chiesa rende alla Benedetta dall’Altissimo (cfr Lc 1,28).

Percorrendo poi i testi del Messale restaurato, vediamo come i grandi temi mariani dell’eucologia Romana – il tema della concezione immacolata e della pienezza di grazia, della maternità divina, della verginità integerrima e feconda, del tempio dello Spirito Santo, della cooperazione all’opera del Figlio, della santità esemplare, dell’intercessione misericordiosa, dell’assunzione al cielo, della regalità materna e altri ancora – siano stati accolti in perfetta continuità dottrinale con il passato, e come altri temi, nuovi in un certo senso, siano stati introdotti con altrettanta perfetta aderenza agli sviluppi teologici del nostro tempo. Così, ad esempio, il tema Maria-Chiesa è stato introdotto nei testi del Messale con varietà di aspetti, come vari e molteplici sono i rapporti che intercorrono tra la Madre di Cristo e la Chiesa. Tali testi, infatti, nella Concezione immacolata della Vergine ravvisano l’esordio della Chiesa, sposa senza macchia di Cristo; nell’Assunzione riconoscono l’inizio già compiuto e l’immagine di ciò che, per la Chiesa tutta quanta, deve compiersi ancora; nel mistero della maternità la confessano madre del Capo e delle membra: santa Madre di Dio, dunque, e provvida Madre della Chiesa.

Quando poi la Liturgia rivolge il suo sguardo sia alla Chiesa primitiva che a quella contemporanea, ritrova puntualmente Maria: là, come presenza orante insieme con gli Apostoli; qui come presenza operante insieme con la quale la Chiesa vuol vivere il mistero di Cristo: …fa’ che la tua santa Chiesa, associata con lei (Maria) alla passione del Cristo, partecipi alla gloria della risurrezione; e come voce di lode insieme con la quale vuole glorificare Dio: …per magnificare con lei (Maria) il tuo santo nome; e, poiché la Liturgia è culto che richiede una condotta coerente di vita, essa supplica di tradurre il culto alla Vergine in concreto e sofferto amore per la Chiesa, come mirabilmente propone l’orazione dopo la Comunione del 15 settembre: …perché, nella memoria della beata Vergine addolorata, completiamo in noi, per la santa Chiesa, ciò che manca alla passione di Cristo.

Il Lezionario della Messa è uno dei libri del rito Romano che ha molto beneficiato della riforma post-conciliare, sia per il numero dei testi aggiunti sia per il loro valore intrinseco: si tratta, infatti, di testi contenenti la parola di Dio, sempre viva ed efficace (cfr Eb 4,12). Questa grande abbondanza di letture bibliche ha consentito di esporre in un ordinato ciclo triennale l’intera storia della salvezza e di proporre con maggiore completezza il mistero del Cristo. Ne è risultato, come logica conseguenza, che il Lezionario contiene un numero maggiore di letture vetero – e neo-testamentarie riguardanti la Beata Vergine; aumento numerico non disgiunto, tuttavia, da una critica serena, poiché sono state accolte unicamente quelle letture che, o per l’evidenza del loro contesto o per le indicazioni di una attenta esegesi, confortata dagli insegnamenti del Magistero o da una solida tradizione, possono ritenersi, sia pure in modo e in grado diverso, di carattere mariano. Conviene osservare, inoltre, che queste letture non solo ricorrono in occasione delle feste della Vergine, ma vengono proclamate in molte altre circostanze: in alcune domeniche dell’anno liturgico, nella celebrazione di riti che toccano profondamente la vita sacramentale del cristiano e le sue scelte, nonché nelle circostanze liete o penose della sua esistenza.

Anche il restaurato Libro dell’ufficio di lode, cioè la Liturgia delle Ore, contiene eccellenti testimonianze di pietà verso la Madre del Signore: nelle composizioni innodiche, tra cui non mancano alcuni capolavori della letteratura universale, quale la sublime preghiera di Dante Alighieri alla Vergine; nelle antifone che suggellano l’ufficiatura quotidiana, implorazioni liriche, cui è stato aggiunto il celebre tropario In te sola troviamo rifugio, venerando per antichità, mirabile per contenuto; nelle intercessioni delle Lodi e del Vespro, in cui non è infrequente il fiducioso ricorso alla Madre della misericordia; nella vastissima selezione di pagine mariane, dovute ad autori vissuti nei primi secoli del cristianesimo, nel medioevo e nell’età moderna.

Se nel Messale, nel Lezionario e nella Liturgia delle Ore, cardini della preghiera liturgica Romana, la memoria della Vergine ritorna con ritmo frequente, anche negli altri libri liturgici restaurati non mancano espressioni di amore e di supplice venerazione verso la Madre di Dio: così la Chiesa invoca lei, Madre della grazia, prima di immergere i candidati nelle acque salutari del Battesimo;35 implora la sua intercessione per le madri che, riconoscenti per il dono della maternità, si recano liete al tempio; lei addita come esempio ai suoi membri che abbracciano la sequela di Cristo nella vita religiosa, o ricevono la consacrazione verginale, e per essi chiede il suo soccorso materno; a lei rivolge istante supplica per i figli che sono giunti all’ora del transito; richiede il suo intervento per coloro che, chiusi gli occhi alla luce temporale, sono comparsi dinanzi a Cristo, luce eterna, ed invoca conforto, per la sua intercessione, su coloro che, immersi nel dolore, piangono con fede la dipartita dei propri cari.

L’esame compiuto sui libri liturgici restaurati porta, dunque, ad una confortante constatazione: la riforma postconciliare, come già era nei voti del Movimento Liturgico, ha considerato con adeguata prospettiva la Vergine nel mistero di Cristo e, in armonia con la tradizione, le ha riconosciuto il posto singolare che le compete nel culto cristiano, quale santa Madre di Dio e alma cooperatrice del Redentore.

Né poteva essere altrimenti. Ripercorrendo, infatti, la storia del culto cristiano, si nota che sia in Oriente, sia in Occidente le espressioni più alte e più limpide della pietà verso la Beata Vergine sono fiorite nell’ambito della Liturgia o in essa sono state incorporate.

Desideriamo sottolinearlo: il culto che oggi la Chiesa universale rende alla santa Madre di Dio è derivazione, prolungamento e accrescimento incessante del culto che la Chiesa di ogni tempo le ha tributato con scrupoloso studio della verità e con sempre vigile nobiltà di forme. Dalla tradizione perenne, viva per la presenza ininterrotta dello Spirito e per l’ascolto continuo della Parola, la Chiesa del nostro tempo trae motivazioni, argomenti e stimolo per il culto che essa rende alla Beata Vergine. E di tale viva tradizione la Liturgia, che dal Magistero riceve conferma e forza, è espressione altissima e probante documento.

Da Marialis Cultus di Paolo VI, 1974

 

Taci! Esci da lui!..

Dal Vangelo di Marco     Mc 1,21-28

SpiritoGiunsero a Cafàrnao e subito Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.

……………………………………………

La pericope odierna continua la descrizione dell’azione di Gesù, soffermandosi sul suo insegnamento e su di un episodio di esorcismo, che ha un significato molto particolare per l’evangelista Marco. Egli infatti vi riconosce un’attività specifica del Messia e il segno chiaro dell’instaurarsi della basileia divina che vince il potere del male. Ed entrano a Cafarnao; ed (egli) subito, entrato di sabato nella sinagoga, insegnava. L’azione si sposta dal lago (1,16ss) alla cittadina di Cafarnao, luogo in cui abita Simone e che diventerà in un certo senso la città di Gesù. Come ogni pio israelita egli partecipa al culto del sabato, ogni adulto poteva essere chiamato a commentare il testo della Scrittura letto nella sinagoga. L’evangelista ci informa che egli insegnava: l’insegnamento di Gesù ha caratteristiche particolari, sembra un suo atteggiamento tipico (vedi anche il testo degli altri vangeli sinottici). E stupivano del suo insegnamento; infatti, insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. Si tratta di un insegnamento nuovo e fatto con autorità (exousia); visto che il contenuto dell’insegnamento è già stato indicato in 1,15 ora non sono riportate le parole di Gesù. La novità sta forse nell’autorità che caratterizza il suo insegnamento? Oppure nel contenuto? Sembra che la forza delle parole di Gesù venga da una parte dalle azioni potenti che le accompagnano (vedi il seguito del brano), sia dal fatto che Gesù parla per diretta autorità e non si limita a spiegare la legge e a riportare la tradizione (vedi più avanti in Marco 2,1ss) come fanno gli scribi. Dopo aver notato, nell’episodio della chiamata dei discepoli, la novità del discepolato con il rabbino Gesù, ora l’evangelista indica esplicitamente la differenza tra il suo insegnamento e quello degli scribi, gruppo di rilievo al tempo di Gesù, non solo per il loro ruolo di guide religiose. In Marco gli scribi sono sempre contrapposti a Gesù, sia quando sono citati da soli (2,6; 3,22; 9,11, ecc.), sia quando sono affiancati da farisei (2,16; 7,1.5) o sommi sacerdoti (8,31;10,33; 11,27, ecc.). Questi primi due versetti si collegano a quello conclusivo di questa pericope e il valore del v. 22 si distende su tutta la sezione (che si conclude a 3,12). E subito, c’era nella loro sinagoga un uomo con uno spirito immondo, e gridò 24 dicendo: “Che c’è tra noi e te, Gesù Nazareno? Sei venuto per farci perire? So chi sei tu, il Santo di Dio!”. L’attenzione si sposta subito su un indemoniato, ma più che all’uomo posseduto è sullo spirito immondo che si concentra il testo. Esso si sente minacciato da Gesù, dalla sua venuta e ne svela il nome; abbiamo qui un riferimento a testi dell’A.T. (Gdc 11,12; 2 Sam 16,10; 1 Re 17,18; 2 Re 9, 18) dove si mette in luce la contrapposizione che gli spiriti impuri stabiliscono con l’interlocutore. La denominazione spirito immondo è tipica in Marco (ricorre 12 volte) insieme a demonio. Il titolo “Santo di Dio” sembra far riferimento all’attività carismatica di Gesù che si mostra negli esorcismi. La forza della basileia di Dio si manifesta appieno nel confronto con i demoni e per questo Marco indica l’esorcismo come la prima azione potente che accompagna l’insegnamento di Gesù. L’insistenza dell’evangelista sugli esorcismi attuati da Gesù attesta l’importanza che egli vi attribuisce, ma anche la storicità di questa attività. Inoltre ricordiamo che proprio in base alla sua attività di esorcista (in Marco 3,22 e paralleli) Gesù sarà accusato dai suoi avversari. E Gesù lo minacciò, dicendo: “Fa silenzio ed esci da costui!”. Ci troviamo per la prima volta di fronte alla consegna del silenzio sull’identità di Gesù, che caratterizza la prima parte del testo di Marco (il cosiddetto segreto messianico); in riferimento ai demoni esso ha però un carattere specifico. Infatti essi non intendono fare una professione di fede, ma manipolare il potere del suo nome divino. Comunque questa affermazione risulta come una manifestazione dell’identità di Gesù. I verbi usati mettono in rilievo la contrapposizione tra Gesù e il demonio che viene costretto, con un comando imperioso (e dunque solo con la parola), prima a tacere e poi ad andarsene.

Alcuni esegeti vedono qui un collegamento con l’autorità di JHWH in quanto viene usato il termine minacciare (epitiman che rivedremo in 4,39 e 9,25) usato nella bibbia greca (dei LXX) per indicare il rimprovero d’autorità (J. Ghilka). E lo spirito immondo uscì da lui, contorcendolo e gridando a gran voce. Risulta interessante il confronto con il testo parallelo di Lc 4,31-37, in cui si afferma (v. 35) che il demonio uscì da quell’uomo: “senza fargli alcun male“. Marco ci mostra in modo drammatico il potere del male e la vittoria di Gesù accentuando la forza dello scontro. Ritroviamo questo accento anche in occasione del ragazzo epilettico (9,14-29, in particolare i vv. 26-27). La sconfitta del demonio attesta l’arrivo della basileia, della signoria di Dio e l’azione potente di Gesù rende esplicita la sua parola (DV 2), la buona notizia. E tutti restarono stupiti, tanto che si chiedevano tra loro, dicendo: “Che è questo? Un insegnamento nuovo, (fatto) con autorità! Comanda anche gli spiriti immondi, e gli obbediscono!” Viene ripresa la constatazione del v. 22, che bisogna notarlo, è di natura generale e non si riferisce solo all’episodio appena narrato. L’autorità di Gesù è messa in riferimento esplicito all’azione di esorcismo; i presenti si domandano con stupore e interesse chi è Gesù. La prima letture proposta in questa domenica (Dt 18,15-20) è un riferimento implicito a vedere in lui il profeta pari a Mosè, atteso da Israele. L’impegno di Gesù contro le forze del male non è riferito solo all’episodio appena narrato, ma nell’intenzione dell’evangelista si estende a tutta la sua attività (vedi v. successivo) e alla sua missione. E la sua fama uscì subito ovunque, in tutta la ragione intorno della Galilea. Abbiamo di nuovo una sottolineatura dell’evangelista per la Galilea e un’amplificazione dello stupore che dai presenti si estende alla regione.

Monastero Matris Domini

Notizie false e giornalismo di pace

fake_news1Nel giorno della festa di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, è stato pubblicato il Messaggio di papa Francesco per la 52a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2018.

E proprio i giornalisti sono tra i principali interlocutori delle parole del Papa nel suo Messaggio: “La verità vi farà liberi’ (Gv 8,32). Notizie false e giornalismo di pace” per la 52ma GMCS, che in Italia sarà celebrata domenica 13 maggio 2018: “Desidero perciò rivolgere un invito a promuovere un giornalismo di pace, non intendendo con questa espressione un giornalismo “buonista”, che neghi l’esistenza di problemi gravi e assuma toni sdolcinati. Intendo, al contrario, un giornalismo senza infingimenti, ostile alle falsità, a slogan ad effetto e a dichiarazioni roboanti; un giornalismo fatto da persone per le persone, e che si comprende come servizio a tutte le persone, specialmente a quelle – sono al mondo la maggioranza – che non hanno voce; un giornalismo che non bruci le notizie, ma che si impegni nella ricerca delle cause reali dei conflitti, per favorirne la comprensione dalle radici e il superamento attraverso l’avviamento di processi virtuosi; un giornalismo impegnato a indicare soluzioni alternative alle escalation del clamore e della violenza verbale” (papa Francesco).

Leggi il Messaggio di Papa Francesco

MESSAGGIO_GIORNATA_CS_2018

 

Con i giovani sui sentieri della Bibbia …

Con i giovani sui sentieri della Bibbia

Scoprire, credere, vivere

La Bibbia è uno scrigno di felicità, di vita, di novità e, camminare e vivere percorrendo i suoi sentieri è un’esperienza di pienezza. I suoi personaggi prendono per mano e accompagnano ognuno a scoprire il volto di Dio, ad ascoltare la sua voce, a decidere da che parte stare rispetto alla storia, all’umanità, a Dio.

È da questa profonda certezza che, come un piccolo germoglio, è nata l’idea di dare vita a una serie di piccoli libretti per giovani, che proponessero – uno dopo l’altro – un percorso di scoperta di alcuni personaggi del Nuovo e dell’Antico Testamento. Personaggi dalle mille sfumature che, proprio come ognuno di noi, hanno vissuto il loro personale incontro con Dio, l’ascolto delle sue proposte, la lotta dell’accoglienza, la difficoltà del discernimento, la bellezza della risposta, lo stupore e il travaglio del sentirsi inadeguati e del continuare a fidarsi.

Dal germoglio i frutti!

Il germoglio è cresciuto e ha iniziato a portare i suoi frutti. I primi sono: Abramo. Andare oltre; Maria di Nazaret. La vita si fa risposta; Giovanni, il discepolo amato. A tu per tu con l’amore.

Sono i primi di quella che si prevede essere una lunga serie di volumetti che, in modo agile e snello, vuole aiutare i giovani – e non solo loro – a dare spessore e profondità alla propria fede, a interrogare le proprie risposte, a scuotere le proprie certezze, a far crescere la propria relazione con Dio. Di ogni personaggio si punta a far emergere un particolare aspetto della sua esperienza di Dio, a partire da quanto le pagine bibliche offrono. Quindi si offrono ai lettori delle piste di approfondimento, contestualizzazione, confronto con la propria vita e input per la personale crescita.

Uno stile, un metodo!

libri1Erano molti i modi in cui avremmo potuto proporre un cammino di spiritualità: noi abbiamo scelto di integrare la Sacra Scrittura con le dinamiche psicologiche, affettive, umane, perché la pagine bibliche potessero realmente diventare luce per la propria vita.

Così, ogni libretto è composto da tre capitoletti che ricostruiscono la vita del personaggio nel suo incontro con Dio, nella messa in discussione della sua vita, nella risposta.

A sua volta ogni capitoletto è strutturato in tre sezioni:

Sui sentieri della Bibbia, accompagnati da suor Francesca Pratillo fsp, per far parlare la pagina biblica;

Dalla Bibbia alla vita, presi per mano da padre Gaetano Piccolo sj, per imparare a vivere sulle vie di Dio nella concretezza del quotidiano;

Piedi a terra e cuore in cielo, dinamiche di interiorizzazione e preghiera, a cura di suor Mariangela Tassielli fsp, per aprire le porte del cuore a Dio. Il metodo che proponiamo vorremmo potesse diventare uno stile di vita, da acquisire personalmente e da attivare quotidianamente nel rapporto con Dio.

Perché attivare una sezione Bibbia e giovani?

Perché ci sembra che una Chiesa che si stia preparando a vivere il Sinodo sui giovani e dei giovani, non possa tenere nascosta la sua più grande ricchezza, la sua sorgente d’acqua zampillante, la sua fonte di felicità. E non «tenere nascosto» non vuol semplicemente dire: consigliare, incoraggiare la lettura, stimolare in vari modi.

«Non tenere nascosto» significa, con coraggio, mettere la lampada sul tavolo perché tutti possano vederla e prenderla. Significa offrire strumenti di comprensione e approfondimento. Significa accompagnare, passo dopo passo, coloro che la prendono in mano ad ascoltare, accogliere e vivere secondo le sue sfide. Questo è ciò che i piccoli e agili volumetti desiderano fare, con semplicità e senza presunzione.

Padre Gaetano, suor Francesca, suor Mariangela, proprio a partire dalla loro personale esperienza di accompagnamento di giovani e adulti, hanno desiderato dare vita a piccoli e semplici strumenti per far sì che la Bibbia diventi, nella vita di tutti, una lampada di brilla.

Abramo. Andare oltreABRAMO1

Maria di Nazaret. La vita si fa rispostaMARIA1

Giovanni, il discepolo amato. A tu per tu con l’amoreGIOVANNI1

CIELO

cieloNella storia delle religioni, come anche nella Bibbia, il cielo è simbolo della trascendenza, del sacro, del luogo dove Dio abita e dal quale guarda la terra.

I riferimenti al cielo nella Bibbia sono numerosissimi, al punto che il termine cielo designa la stessa identità di Dio e la sua relazione con l’umanità. La prima pagina della Scrittura presenta Dio che crea i cieli e la terra (cfr. Gen 1,1) e l’ultima annuncia l’avvento di nuovi cieli e nuove terre (Ap 21, 1). Dio chiama il cielo firmamento (Gen 1,8) ed esso, secondo la mentalità antica, è immaginato come luogo solido: poggia su colonne robuste (Gb 2,11) e ha fondamenta solide (2 Sam 22,8). Dotato da finestre, dette cateratte, da esse fa uscire la pioggia (Gen 7,11; 2 Re 7,2.19 ). Dio abita nel cielo/firmamento che ha creato (Gen 14,18,19; Sal 33,13-14; Is 66,1; Est 4,17), vi si siede sopra e distende la sua volta come la tenda (Is 40,22; 1Re 8,27; Sal 104,2). Dal cielo governa il mondo e invia le sue benedizioni, il suo aiuto e la sua Sapienza (Dt 33,13; Sal 121,2; Sap 9,10). Alzare gli occhi verso il cielo equivale a rivolgersi a Dio che in esso risiede (Dt 4,19; Dn 13,35; At 7, 55) mentre innalzarsi fino al cielo indica il voler giungere, con le proprie forze, fino a Dio (cfr. Gen 11,4).

Nel Nuovo Testamento il cielo presenta la stessa simbologia. Gesù insegna a pregare: «Padre nostro, che sei nei cieli» (Mt 6,9). Egli viene dal cielo, dal Padre e tornerà al cielo, al Padre (cfr. Gv 3,13; 6,62; Mc 16,19). E’ il pane vivo disceso dal cielo; nel suo battesimo, al fiume Giordano, i cieli si aprono (Lc 3,21). Dopo la risurrezione mentre ascende in alto (At 1,10-11) invita i discepoli a smettere di fissare il cielo perché devono, mediante l’annuncio evangelico, trasformare il mondo in un ‘nuovo cielo e in una nuova terra‘, nella nuova umanità che riconosce Cristo morto e risorto suo unico Signore. I cristiani nel compiere le loro scelte «rivolgono il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra» (Col 3,2) non per estraniarsi da essa ma perché, guidati dalla vita nuova in Cristo, possano renderla terra dove abita Dio e dove vi è Dio la vi è pure il ‘cielo’. Nel cielo il veggente dell’Apocalisse vede una donna (Ap 12,1) rivestita di sole, simbolo di Gesù risorto, con la luna sotto i suoi piedi e una corona di dodici stelle. La donna è la Chiesa che annuncia Cristo morto e risorto nella storia, per rinnovare l’umanità intorno a Lui, Signore della storia e del creato. Il cielo, infine, è la vera patria dei credenti i quali solo da esso attendono il loro salvatore (Fil 3,20).

Da Sapere

  • Nei vangeli sinottici ricorre l’espressione regno dei Cieli e/o regno di Dio che, di fatto, hanno lo stesso significato. La forma regno dei Cieli è adoperata da Matteo, perché scrive alla comunità cristiana di origine giudaica la quale anziché nominare Dio adopera un termine che lo sostituisce. Quindi cielo indica Dio. Anche noi anziché dire ‘grazie a Dio’ usiamo dire ‘grazie al cielo’.
  • L’apostolo Paolo narra di essere salito al ‘terzo cielo‘ (2 Cor 12,2). Quest’espressione allude al fatto che il cielo s’immaginava diviso in tre sezioni, l’ultima della quale era quella dove abita Dio, o cielo dei cieli (cfr. 1Re 8,27). Il terzo cielo corrisponde al ‘Paradiso‘ (2 Cor 12,4).

Filippa Castronovo

Tratto dal sito www.paoline.it

Rubrica Conoscere la Bibbia – 26.x.2016

Migrazione senza tratta…

Migrazione senza tratta. Sì alla libertà! No alla tratta!”.

 untitled“La schiavitù moderna – in forma di tratta delle persone, lavoro forzato, prostituzione, traffico di organi – è un crimine di “lesa umanità”. (Dichiarazione congiunta dei leader religiosi contro la schiavitù moderna, 2 dicembre 2014).

Nel mondo sono decine di milioni le persone che soffrono a causa della tratta, la maggioranza sono donne. Purtroppo negli ultimi anni si è osservato un aumentato preoccupante della percentuale di minori tra le vittime.

È un fenomeno camaleontico, per cui è difficile stabilire con esattezza le sue dimensioni. La tratta di persone si sovrappone e si confonde con la migrazione clandestina, con lo sfruttamento lavorativo di stranieri impiegati in condizioni simili alla schiavitù, con le donne sfruttate sessualmente e con i matrimoni di convenienza.

La tratta di persone è tra i maggiori mercati illeciti, che genera economie clandestine di 150 miliardi di dollari l’anno (fonte: OIL, 2015). La vita umana è considerata come un oggetto, da commerciare e sfruttare a fine di lucro, nei lavori forzati o umilianti in diversi settori dell’economia, nello sfruttamento sessuale o nella servitù domestica. Molti sono forzati al matrimonio, a far parte di organizzazioni criminali; alcuni sono mutilati per l’espianto di organi, obbligati ad accattonare.

Le persone possono essere trafficate dentro i confini di una nazione o internazionalmente, quando si superano le frontiere.

Vittime della tratta si trovano in tutti i paesi, che possono essere di origine, di transito o di destinazione delle stesse.

Tratta e migrazioni

Il tema della Giornata Mondiale di Preghiera e Riflessione contro la tratta 2018, mette a fuoco il dramma della tratta di persone tra le popolazioni itineranti: i migranti, i rifugiati e gli sfollati. Siamo invitati ad accendere una luce, per questi nostri fratelli e sorelle.

Tratta di persone e contrabbando (o traffico) di migranti sono due realtà diverse che sempre di più si intrecciano tra loro. La violenza e lo sfruttamento sofferto dai migranti che si mettono in viaggio senza avere un visto di entrata in un altro paese, sono spesso identificabili come tratta di persone. La vulnerabilità causata dal loro status li rende preda facile dello sfruttamento sessuale e lavorativo. Spesso migranti e rifugiati sono costretti a lavorare per molte ore al giorno, guadagnando pochissimi soldi, obbligati a queste condizioni per pagare il debito contratto. L’importo del debito aumenta a discrezione dei trafficanti e sono in molti a soffrire minacce e ritorsioni se non possono pagare. Molti migranti, durante il tragitto scompaiono, vittime del traffico di organi.

Nel mondo globalizzato i flussi migratori sono aumentati; a questo si contrappongono politiche migratorie sempre più restrittive da parte di molti paesi. Questa situazione favorisce la vulnerabilità delle popolazioni migranti, che sono diventate, in tutto il mondo, un gruppo ad alto rischio per la tratta di persone, sia durante il trasporto, nei paesi di transito, sia una volta arrivati a destinazione.

L’edizione 2018 della Giornata Mondiale di Preghiera e Riflessione contro la tratta ci permette di accompagnare con la preghiera e il nostro impegno i lavori delle Nazioni Unite per il Global Migration Compact, uno strumento internazionale con il quale i Capi di Stato e dei Governi di tutti i paesi membri delle Nazioni Unite mettono al centro della loro agenda politica il tema di migranti e rifugiati, riconoscendo il bisogno di un approccio comune e coordinato della questione migratoria. La tratta di persone è uno dei temi centrali di questo dibattito.

Accendiamo nei nostri cuori e con le nostre vite, una luce di accoglienza, di speranza e di incontro. Accendiamo insieme una luce per la libertà, contro ogni forma di schiavitù.

In allegato

Locandina Veglia a Roma

VEGLIA_SANGIOVANNI

Schema di VEGLIA x comunità religiose, parrocchiali….

SCHEMA_VEGLIA_2018

Per amore…

Per amore

MissionariPer l’ottavo anno consecutivo, il numero più elevato di assassini si registra in America, dove sono stati uccisi 11 operatori pastorali (8 sacerdoti, 1 religioso, 2 laici); segue l’Africa, con 10 operatori pastorali (4 sacerdoti, 1 religiosa, 5 laici); in Asia sono stati uccisi 2 operatori pastorali (1 sacerdote, 1 laico). Dal 2000 al 2016 sono stati uccisi nel mondo 424 operatori pastorali, di cui 5 vescovi.

Nel 2017 sono stati uccisi 23 missionari: 13 sacerdoti, 1 religioso, 1 religiosa, 8 laici. Il dato emerge dal rapporto annuale elaborato da Fides, agenzia del dicastero vaticano per le missioni.

L’elenco annuale di Fides non riguarda solo i missionari ad gentes in senso stretto, ma cerca di registrare tutti gli operatori pastorali morti in modo violento, non espressamente “in odio alla fede”. Molti sono stati uccisi durante tentativi di rapina o di furto, compiuti anche con ferocia, in contesti di povertà economica e culturale, di degrado morale e ambientale, dove violenza e sopraffazione sono assurte a regola di comportamento.

Gli uccisi sono solo la punta dell’iceberg, in quanto è sicuramente lungo l’elenco degli operatori pastorali, o dei semplici cattolici, aggrediti, malmenati, derubati, minacciati, come quello delle strutture cattoliche a servizio dell’intera popolazione, assalite, vandalizzate o saccheggiate. All’elenco va perciò aggiunta la lunga lista dei tanti, dei quali forse non si avrà mai notizia o di cui non si conoscerà neppure il nome, che in ogni angolo del pianeta soffrono e pagano con la vita la loro fede in Gesù Cristo.

Fonte: asianews.it

E subito lasciarono le reti e lo seguirono.

Dal Vangelo di Marco   Mc 1,14-20

reti1

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».

Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.

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La liturgia ci propone in questa terza domenica dell’anno B la pericope che segue immediatamente la trilogia iniziale (predicazione di Giovanni Battista, battesimo di Gesù e tentazioni nel deserto) e che apre la prima sezione di questo vangelo 1,14- 3,7a). Il testo si compone di due parti: un sommario introduttivo a questa sezione (vv.14-15) e la chiamata dei primi quattro discepoli (vv. 16-20) che costituisce il parallelo del testo giovanneo che abbiamo meditato la domenica scorsa (Gv 1,37-42). Si tratta del primo episodio o quadro di una tipica “giornata di Gesù” che Marco ci descrive nei vv. 16-39 del primo capitolo. Appaiono alcune caratteristiche tipiche dell’evangelista tra le quali sottolineiamo la collocazione in Galilea e il Regno di Dio. E dopo che Giovanni fu consegnato, Gesù venne nella Galilea, predicando il vangelo di Dio L’evangelista si premura di sottolineare che Giovanni è uscito di scena prima di parlare dell’attività di Gesù che viene situata in Galilea, luogo geografico ma soprattutto teologico in Marco. L’uso del verbo consegnare serve però a creare un legame tra Gesù e il suo precursore, che hanno in comune l’attività di predicare e il destino di morte. Mentre al v. 1 si parlava di vangelo di Gesù Cristo, qui il vangelo predicato da Gesù in persona è detto di Dio e ciò costituisce un interessante collegamento tra il vangelo stesso e la persona di Gesù. e dicendo: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo”. Il contenuto sintetico del versetto precedente è in certo modo spiegato ora dove due dittici ne esplicitano il contenuto: il tempo (kairos) è giunto al suo termine alla pienezza, ossia è giunto il momento fissato da Dio per l’avvento della sua signoria, infatti essa, il regno (basileia) è vicino. Gli esegeti discuto se questa affermazione sia da intendere in senso escatologico: è iniziato il tempo in cui si instaura il regno che avrà la sua compiuta realizzazione alla fine dei tempi; oppure in senso attuale: siamo già nel tempo ultimo. Parrebbe che le due cose siano entrambe vere: con la presenza di Gesù si rende effettivamente presente il regno di Dio, anche se esso attende ancora la sua pienezza: il già e non ancora che anche la liturgia ci fa sperimentare ogni giorno nella chiesa. Alla chiesa spetta il compito di tener viva la consapevolezza della presenza del regno di Dio e insieme la sua attesa. Infatti Marco non usa il termine kronos per parlare di questo tempo, ma appunto kairos, il tempo propizio, della salvezza; nello stesso tempo non si può affermare che il tempo della chiesa, della comunità che crede in Gesù, sia equivalente al regno di Dio o si identifichi con esso. Il riferimento a Is 52,7 e 61,6 è importante per comprendere lo sfondo biblico di questo annuncio del regno e il ruolo di Gesù. Come la pienezza del tempo sta al regno di Dio, così la conversione sta al credere (J. Gnilka). L’invito alla conversione sarà ripreso, nel testo di Marco, anche dei dodici (6,12) e il termine scelto metanoia ha un riferimento profetico e indica non un semplice cambio di opinione, ma un mutamento radicale della vita, imposto dalla presenza del regno di Dio, e la richiesta più impegnativa è quella della fede. Credere al vangelo è un tema proprio del vangelo di Marco che si traduce in un rapporto personale e di fiducia del credente con Gesù. E’ interessante notare che convertirsi è sempre preso in assoluto, senza un riferimento specifico e in questa domenica è pure il tema della prima lettura (Giona 3,1-5.10). Abbiamo in questo versetto un eco delle parole stesse di Gesù? Gli esegeti discutono, ma in questo versetto possiamo cogliere il contenuto della sua predicazione su regno (basileia). E mentre passava lungo il mare della Galilea, vide Simone e Andrea, il fratello di Simone, che gettavano (la rete) nel mare: erano, infatti, pescatori. Dopo il sommario l’evangelista sembra voler esplicitare l’attività di Gesù e cosa significa convertirsi e credere e lo fa presentando una giornata tipo contrassegnata da diverse attività: chiamata dei discepoli (il testo odierno), esorcismi e guarigioni, preghiera e predicazione itinerante, che vedremo nelle prossime domeniche. Il contesto della chiamata dei discepoli nel brano di Marco è molto diverso da quello che abbiamo meditato domenica scorsa in Giovanni e anche l’andamento dell’episodio richiama la nostra attenzione su aspetti differenti. La presenza del fatto in tutti i vangeli ne conferma la realtà storica; ogni evangelista tuttavia guarda la chiamata da un punto di vista specifico. Qui il racconto è ben costruito e mette al centro Gesù (che prende l’iniziativa) che chiama i quattro in una situazione quotidiana (mentre lavorano). Il testo richiama lo schema di vocazione dell’A.T. (per esempio la chiamata di Eliseo 1Re 19) anche se vi sono delle differenze. La chiamata può essere collegata alla missione che Gesù darà ai dodici in 6,7, inviati in coppia; Simone la riceverà una seconda volta (8,33) dopo un episodio critico; è comunque Simone il primo discepolo nominato da Marco che lo cita nuovamente al termine del vangelo (16,7). E disse loro Gesù: “Venite dietro a me, e vi farò diventare pescatori di uomini”. Gesù passa, vede e chiama con un comando: vediamo il modo tipico dell’evangelista di raccontare attraverso la descrizione del comportamento umano. Pescatori di uomini è un’espressione quasi sicuramente di Gesù e riflette la prassi missionaria della prima comunità cristiana: i chiamati sono destinati all’attività di reclutare altri uomini e donne. La definizione dei credenti come pesci entrerà nel linguaggio della comunità cristiana delle origini (vedi Lc 5,6 e Gv 21,6). E subito, lasciando le reti, lo seguirono. Appare sorprendente questo modo di procedere, molto probabilmente la conoscenza di Gesù fu graduale, ma ciò non toglie che la sequela di lui ha caratteristiche specifiche. A differenza dei rabbini è Gesù che chiama con autorità e i discepoli imparano a conoscere lui e la sua dottrina (8,34). Del resto la citazione dei nomi propri, del luogo e del lavoro fanno pensare ad un evento reale anche se il racconto è schematizzato. E, avanzando un po’, vide Giacomo (figlio) di Zebedeo e Giovanni, suo fratello, anche loro nella barca, mentre rassettavano le reti; La seconda coppia di fratelli si affianca alla precedente in una frase ben costruita che evidenzia come il testo abbia una sua armonia e se pur precedente alla composizione di Marco, sia stato sin dall’inizio un tutto. L’evangelista sembra aver introdotto il luogo e il tempo, dandoci una specie di modello ideale della chiamata. e subito li chiamò; ed (essi), lasciando il loro padre Zebedeo nella barca, con i salariati, andarono dietro a lui. La citazione dell’abbandono del padre, pur mitigata dalla presenza di persone che lavoro con lui, sottolinea la radicalità della scelta dei due discepoli. Lo schema della chiamata si ripeterà più avanti con con Levi (2,14). Ricordiamo anche che i due discepoli, con Pietro, avranno lungo tutto il vangelo un ruolo importante e di primo piano (trasfigurazione 9,2ss, discorso escatologico 13,3.26; ma anche 5,37 e 14,33).

Monastero Matris Domini

evidenza1Il 13 gennaio 2018, è stata inaugurata l’Opera di Misericordia per i papà separati, il cui nome è «Casa di accoglienza per papà separati “Monsignor Dante Bernini”.

Progetto della Diocesi di Albano, che come Congregazione delle Suore del Buon Pastore (Pastorelle) abbiamo accolto nella nostra struttura di Tor San Lorenzo dopo un lungo percorso vissuto all’interno della Congregazione.

Un percorso che ha richiesto maturazione nel dialogo e riflessione tra Diocesi e Istituto e anche con il Comune di Ardea. Ieri abbiamo partecipato all’inaugurazione di questa opera il cui merito crediamo sia della Provvidenza di Dio che ci ha guidato per giungere a mettere in comune: intuizioni, intenti, risorse, gioie e fatiche. Sua Eccellenza Mons. Marcello Semeraro, Vescovo di Albano, ha ringraziato la nostra Famiglia religiosa che ha permesso di rispondere a questa nuova forma di povertà e ha reso concreto l’aiuto ai papà separati. Alla cerimonia d’inaugurazione erano presenti, oltre al Vescovo di Albano, anche Mons. Gualtiero Isacchi, Economo della Diocesi di Albano e Don Gabriele D’Annibale, Direttore della Caritas Diocesana, che sono stati i più diretti interlocutori della Congregazione lungo il percorso.

Era presente anche il Sindaco di Ardea, Mario Savarese, alcuni Rappresentanti istituzionali, Membri dell’equipe dell’Associazione padri separati e due dei papà separati che da lunedì 15 gennaio abiteranno nella nostra casa.

E’ stata una celebrazione sobria, semplice e ricca di senso. Crediamo che la nostra partecipazione a questo progetto della Diocesi di Albano, Chiesa locale che ci ha visto nascere e muovere i primi passi, sia per noi Pastorelle motivo di gioia nel vivere la forza profetica del nostro carisma in una Chiesa in uscita, come ce lo chiede con insistenza Papa Francesco.

Ringraziamo il Beato Giacomo Alberione, che ci ha pensato nella Famiglia Paolina, nel cuore della Chiesa e aperte alle nuove povertà umane.

Attraverso la messa a disposizione della nostra casa di Tor San Lorenzo per ospitare questa opera di misericordia, abbiamo potuto insieme alla Diocesi di Albano “…in comunione di responsabilità, nella complementarietà dei doni, in clima di stima e di fiducia reciproca, di condivisione di intenti e di iniziative… suscitare nella comunità cristiana nuove collaborazioni a servizio della comunione ecclesiale” (cfr RdV 11).

Uniamoci nella preghiera perché questa iniziativa sia secondo il cuore del Buon Pastore e possa suscitare nella comunità cristiana nuove risposte alle tante nuove forme di povertà che vanno emergendo.

Dal Bollettino interno