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Giovanni1

Dal Vangelo di Marco Mc 1,1-18

Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. Come sta scritto nel profeta Isaia: Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri; vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

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Il clima di attesa e vigilanza inaugurato domenica scorsa si arricchisce con la II e III domenica di Avvento di altri temi grazie alla figura di Giovanni il Battista, oggi con il testo di Mc 1,1-8 e la prossima settimana con il vangelo di Giovanni (Gv 1,6-8.19-28). Il Precursore è un testimone autorevole, è l’uomo che Dio, compiendo le sue promesse, ha scelto per preparare la via al suo Messia. Nella II domenica ci è proposto il prologo del vangelo di Marco, un testo molto denso, in particolare il v. 1, il quale costituisce come una lente attraverso la quale leggere tutto il vangelo. L’attenzione del lettore è attirata su Gesù, il più forte, verso cui devo convergere l’attesa e il desiderio, lui che battezzerà con Spirito Santo. Con questa espressione l’evangelista Marco intende tutta l’attività di Gesù Cristo (che sta per illustrare nel corso del suo scritto), un’opera di salvezza che purifica e santifica quanti la accolgono. Concentrare lo sguardo su Giovanni Battista significa allora, in questa seconda tappa del nostro cammino di Avvento, accogliere il suo invito a guardare Gesù come Messia (Cristo) e Figlio di Dio, per saperlo riconoscere a Natale nel fragile bambino, figlio di Maria. Significa pure mettersi in atteggiamento di conversione, allontanandoci dal male per percorrere la via che ci porta verso la comunione piena con Lui.

Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. Il primo versetto in Marco è come un titolo apposto a tutto il suo vangelo e insieme una guida per la lettura di quanto sta per narrarci. Inizio (in greco arche) significa in questo contesto fondamento oltre che punto di parte e anche norma o regola. Solo Marco usa il termine vangelo senza altre qualifiche; esso è tipico del suo scritto in cui è usato di frequente (cfr. 1,1.14-15; 8,35; 10,29; 13,10, 14,9; 16,15). Per Marco e la sua comunità, il vangelo più che essere un messaggio che proviene da Dio e che riguarda Gesù, è l’azione stessa di Dio tra gli uomini attuata attraverso la vicenda storica di Gesù; da questo punto l’evangelista parte per rivolgersi al passato e ricordarne l’inizio (1,1) e per definire sotto questa luce l’esistenza cristiana (TOB). Perciò Gesù è definito Messia (Cristo) e Figlio di Dio; due titoli che ritornano nel vangelo. Figlio di Dio significativamente in Mc 15,39, segnando con un’inclusione tutto il racconto; tale titolo Cristologico appare in punti cruciali di questo vangelo (1,11; 9,7; 3,11; 5,7; 14,61-62; 15,39) ed esprime il pensiero di Marco: lo scopo del suo scritto però è di coinvolgere i lettori e di far nascere in loro la fede in Gesù. Anche il titolo di Messia, che spesso Gesù comanda di non divulgare, sarà compreso pienamente solo durante la sua passione (14,61-62). Nel I sec. vangelo ( dal greco euangelion, buona notizia) non indica ancora il genere letterario di cui l’opera di Marco è forse il primo esempio, ma l’annuncio degli apostoli e poi della comunità cristiana su Gesù, esso è fonte di gioia in quanto annuncia la salvezza. La specificazione di Gesù può riferirsi sia al soggetto sia all’oggetto di tale annuncio. Come sta scritto nel profeta Isaia: Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri, vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Introdotta dalla formula solenne come sta scritto che Marco utilizza in altri passi, la citazione combinata di Ml 3,1 e Is 40,3 prepara l’entrata in scena del Precursore e lo indica come colui che compie tali profezie. E’ proprio Giovanni il messaggero e la voce che annuncia l’arrivo del Messia (alterando i testi profetici l’evangelista li applica a Gesù). Preparate la via del Signore è un’espressione tipica del Deuteroisaia per indicare l’azione di Dio a favore del suo popolo (Is 40,3; 42,16.19; 49,11; 51,10) ed è spesso usata da Marco sia per indicare la strada per un viaggio (2,23; 4,4.15; 8,3; 10,17) sia nel senso metaforico di cammino per diventare discepoli (8,27; 9,33-34; 10,32.52; 11,8; 12,14). Il riferimento al deserto è un richiamo alle grandi opere compiute da Dio a favore del suo popolo e all’Alleanza sul Sinai (Es 19-24; Ger 2,2-3), ma anche luogo di tentazione e della ribellione di Israele (Es 16; Nm 11). Questi versetti, densi di richiami AT preannunciano anche gli eventi che stanno per essere narrati. L’uso dei testi biblici dimostra che l’evangelista condivideva la tensione universalistica del giudaismo postesilico. Il v. 3 segnala due attività di Giovanni: battezzare e proclamare; la prima indica una pratica diffusa sia nell’AT (esistevano diversi riti di purificazione, vedi Lv 14,5-6; Is 1,16), sia ai suoi tempi (vedi la comunità di Qumran). Ma Giovanni amministrava un battesimo che si riceveva una sola volta e comporta una conversione morale così che il suo battesimo è riconosciuto come originale e caratterizzato da una forte valenza escatologica.Si trattava infatti di un battesimo di conversione, dove conversione significa un’inversione, un tornare indietro, che richiama l’invito profeti al popolo a ritornare al precedente rapporto con Dio (prima del peccato). Lo scopo di tale rito è il perdono dei peccati, dunque il battesimo di “Giovanni è l’attuazione delle disposizioni interne del soggetto e il simbolo del perdono che questi spera di ricevere. Come mostrerà chiaramente il v. 5, la confessione dei peccati è il presupposto per ottenere il perdono”. (J. R. Donahue, D. J. Harrington). La seconda attività, proclamare crea un legame con Gesù e ai suoi seguaci. E’ un verbo che fa riferimento all’azione dell’araldo (keryx) che richiama l’attenzione dei presenti, un termine che Marco usa anche per indicare l’attività di Gesù (cfr.1,14) e dei discepoli. E’ questo un altro elemento tipico del prologo del suo vangelo: mettere in luce i rapporti tra Giovanni, colui che annuncia il Messia nella persona di Gesù. Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Sebbene tutti i sinottici presentino Giovanni e la sua attività (cfr. Mt 3,1-12; Lc 3,1-18) Marco accentua il successo di tale attività ( tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme) e lo fa in vista del riferimento successivo a Gesù (al v. 8); la popolarità di Giovanni il Precursore è attestata anche da Giuseppe Flavio. Un altro riferimento simbolico è il fiume Giordano, luogo che segna il passaggio dal deserto alla terra promessa. La confessione dei peccati, sia in privato sia in pubblico era diffusa nel giudaismo (cfr. Lv 5,5; Sal 32,5) ed era diventata anche una forma di preghiera (cfr. Dn 9,4-19; Bar 2,6-10). Il perdono, atteso come effetto della conversione, è inteso in questo brano, come un dono del Regno di Dio che viene. In questa descrizione possiamo cogliere anche l’eco dell’esperienza dei primi lettori di Marco. Anch’essi, facendo riferimento alle promesse AT, hanno creduto al vangelo di Gesù, attraverso un cammino che ha comportato la conversione e il battesimo nella nascente comunità cristiana. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. Solo al v. 6 l’evangelista ci descrive l’aspetto di Giovanni con il chiaro intento di identificarlo come un profeta (in particolare Elia vedi 2Re 1,8; Zc 13,4). Il suo cibo è tipico di chi abita nel deserto. Secondo Ml 3,23; Sir 48,10-11 e altri, il profeta Elia doveva ritornare per un’ultima esortazione penitenziale alla vigilia del giudizio finale. L’attesa di un profeta degli ultimi tempi era diffusa in diversi ambienti (ai tempi di Gesù) e si appoggiava forse a Dt 18,15. (nota TOB). E proclamava: “Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Ora l’evangelista riferisce le parole della predicazione di Giovanni introducendole in modo solenne; al contrario di Matteo e Luca, il suo discorso non comporta parole di minaccia per il giudizio escatologico, ma si riferisce esclusivamente a Gesù, definito come colui che è più forte di me. L’attenzione è puntata su Gesù, che Giovanni annuncia; sebbene venga dopo di lui, esso è riconosciuto come più forte, con un richiamo al testo di Isaia (40,10) in cui il profeta afferma che Dio viene con potenza. Slegare i lacci dei suoi sandali era un’attività riservata allo schiavo: con questa affermazione Giovanni dichiara apertamente il divario tra lui e Gesù. Costui verrà subito descritto come un personaggio di grande forza, capace di sconfiggere l’uomo forte, Satana (cfr. Mc 1,22.27; 3,20.-27).

Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo”. La nostra pericope termina con un nuovo paragone tra Giovani e Gesù che ne sottolinea la disparità, indicando la differenza tra i rispettivi battesimi. Il battesimo del primo non è che una preparazione a quello di Gesù che realizzerà una profonda trasformazione, attraverso la potenza di Dio.

Il testo parallelo nell’AT più vicino a questo versetto è Ez 36,25-26, dove leggiamo che Dio rinnoverà il suo popolo purificandolo con l’acqua e infondendo uno spirito nuovo (cfr. Gl 2,28; Is 44,3; Ez 39,29). L’indicazione dello Spirito Santo (qui nel senso della presenza di Dio potente e operante) indica l’opera globale della salvezza, iniziata con Gesù, la quale sembra essere intesa come la purificazione e santificazione escatologica per opera dello Spirito (nota TOB).

Monastero Matris Domini

 

Consacrazione Servizio n. 6 (2017)

  • copertina_per_indiceEDITORIALEHo completato la corsa, ho conservato la fede (Fernanda Barbiero)
  • TALITÀ KUM – IO TI DICO: ALZATI (MC 5,41) Edith Stein(Maria Pia Giudici)
  • ORIZZONTIEvangelii gaudium, Laudato sii e Amoris laetitia (Armando Matteo)
  • Dossier – Ho completato la corsa, ho conservato la fede (2Tm 4,7) L’uso del vocabolario sportivo (Marco Pavan)
  • Chiesa e Sport( Melchor Sanchez Detoca Alameda)
  • La forza degli oratori(Michele Falabretti)
  • L bellezza dello sport nella crescita dei giovani (Alessio Albertini)
  • Che cosa insegna lo sport ai giovani (Claudio Paganini)
  • Quando lo sport diventa luogo di pastorale vocazionale (Francesca Barbanera)
  • Il punto: Amministrare nella Chiesa italiana dopo Firenze (Nunzio Galatino)
  • Libro del mese: Gigi Sabbioni, Ovunque tu vada. Vivere l’essenziale un minuto alla volta (Armando Matteo)
  • Vedere – Leggere – FILM: Malala (a cura di Teresa Braccio)
  • Segnalazioni (a cura di Maria Merlina e Romina Baldoni)

Volontariato:

PREMIO1Il volontariato per la XXIV edizione del Premio Volontariato Internazionale FOCSIV 2017

si tinge di colore rosa, assegnando il Premio Volontario Internazionale, quello per il Giovane Volontario Europeo e il Volontario del Sud a tre donne, legate tutte quante a due Continenti, l’Europa e l’Africa.

A pochi giorni dal 5 dicembre, Giornata Mondiale del Volontariato, FOCSIV – Volontari nel mondo consegna, nell’Aula Magna della John Cabot University a Roma, a Anna Dedola, project manager COPE Iringa – Tanzania, il  Premio Volontario Internazionale, a Khadija Tirha, volontaria in Servizio Civile per LVIA Italia in Piemonte, il Premio Giovane Volontario Europeo ed a Alganesc Fessaha, Presidente di Gandhi Charity candidata dal Centro Missionario di Trento, il Premio Volontario del Sud.

Tre donne, con radici culturali diverse alle spalle, che pongono al centro del proprio impegno quotidiano la persona, come portatore di necessità, cultura, speranza, diritti e la costruzione di ponti per il dialogo tra i popoli e per un futuro di pace. Tre interventi in Tanzania, in Italia ed in alcuni paesi africani per la dignità, per i diritti umani, per lo sviluppo umano come sistema di crescita per le comunità ed i Paesi.

La cura e il diritto, fin dall’infanzia, a ricevere affetto ed un futuro sostenibile è il fulcro dell’impegno di Anna Dedola ad Iringa, in una delle regioni più povere e colpite dalla piaga dell’HIV di tutta la Tanzania, per i bambini orfani del Centro Sisi Ni Kesho dove sono accolti, nei primi anni della loro vita, e per i quali si garantisce una vita il più possibile sana e la possibilità di ricongiungersi con le famiglie di origine o di andare in adozione. L’integrazione e l’inclusione come mezzi per costruire ponti tra le persone, questa la certezza che sostiene Khadija Tirha, cittadina attiva impegnata in Italia a realizzare una società coesa capace del rispetto reciproco e di una pacifica convivenza sociale tra culture e confessioni diverse. La dignità degli uomini, il loro diritto a una vita degna, la liberazione di uomini e donne, colpevoli solo di aver voluto cercare un futuro in altri luoghi lontani da quelli di origine, è la scelta di vita compiuta da Alganesc Fessaha da anni impegnata nel sostenere i profughi ed i rifugiati salvandoli da un destino che li condurrebbe alla morte e nel far conoscere il dramma vissuto da queste migliaia di persone in fuga.

A questi riconoscimenti si affiancano, come nelle scorse edizioni, le Menzioni speciali consegnate nelle mani del Sindaco di Catania, Enzo Bianco, come riconoscimento per il grande valore della solidarietà dimostrata dalla cittadinanza catanese verso i tanti migranti arrivati nel loro porto dal mare. A John Mpaliza, camminatore di pace, impegnato nel ricordare il dramma vissuto dalla povera popolazione della sua ricca terra di origine: la Repubblica Democratica del Congo ed al Venerabile Alessandro Nottegar, fondatore della Comunità Regina Pacis a Verona, ritirata dalla figlia Chiara.

Al XXIV Premio Volontariato Internazionale FOCSIV 2017 è stata conferita la Medaglia del Presidente della Repubblica, è sotto l’alto Patrocinio del Parlamento Europeo ed ha ricevuto il Patrocinio del Ministero degli Affari Esteri e Cooperazione Internazionale, del Ministero del Lavoro e della Politiche Sociali, dell’Agenzia Nazionale per i Giovani e della Responsabilità Sociale RAI.

“La vittoria di tre donne al Premio del Volontariato Internazionale sottolinea, ai miei occhi e a tanti di noi che da anni sono impegnati nel volontariato in Italia ed all’estero, come questo, nella maggioranza dei casi, sia un impegno, quando vissuto soprattutto in prima persona, al femminile. Tre età della vita, terre di origine lontane tra loro, culture diverse, ma un unico comun denominatore come scelta personale di un’intera esistenza: il garantire e tutelare il diritto alla dignità di esseri umani per tutti. – ha dichiarato Gianfranco Cattai, presidente FOCSIV – È questo il valore profondo del volontariato che si adopera per l’altro, che si impegna nella crescita dei paesi di origine, che crede nei diritti umani, applicandoli ogni giorno in ciò che realizza. Sono i volontari le risorse preziose per la crescita culturale e sociale dei propri paesi, ma, soprattutto, sono portatori di un patrimonio di esperienze, valori e competenze capaci di generare un processo propositivo di inclusione ed integrazione nelle proprie comunità per il bene comune.”

Dopo i saluti della John Cabot University riportati da Andrea Lanzone, professore di Storia e Assistant Dean for Student Academic Affairs Project Coordinator, la successiva introduzione di Gianfranco Cattai, presidente FOCSIV, e la lettura del messaggio del Cardinal Gualtiero Bassetti, presidente Conferenza Episcopale Italiana, intervengono Edoardo Patriarca, presidente del Centro Nazionale per il Volontariato, don Antonio Rizzolo, Direttore di Famiglia Cristiana, Adriano Coni, Responsabile Relazioni Istituzionali RAI Responsabilità Sociale, Alessandro Giussani, responsabile Centro Corporate Roma UBI Banca, Sonia Mondin, presidente MASCI Movimento Adulti Scout. Moderatore della mattinata Marco Tarquinio, Direttore Avvenire.

Partner del Premio del Volontariato Internazionale 2017 sono: Fondazione Missio, Forum Nazionale Terzo Settore, CEI 8×1000 e Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) – Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo e John Cabot University.

Media partner: Avvenire, Famiglia Cristiana, TV2000, Radio Vaticana, Redattore Sociale e Rete Sicomoro.

corridoi-umanitari-etiopia1Nella mattinata del 30 novembre c.a., sono arrivati regolarmente a Roma i primi 25 profughi che hanno vissuto gli ultimi anni nei campi rifugiati in Etiopia, in condizioni di estrema difficoltà.

Il gruppo è giunto su territorio italiano attraverso i corridoi umanitari previsti dal protocollo di intesa con lo Stato Italiano ed organizzati dalla Comunità di Sant’Egidio, insieme alla Comunità episcopale italiana (Cei), con la Caritas e la Fondazione Migrantes. Il protocollo, finanziato dall’ 8 x Mille, prevede il trasferimento di 500 profughi dall’Etiopia in due anni.

Ad accogliere il gruppo all’aeroporto di Fiumicino sono stati: il Segretario della Cei Monsignor Nunzio Galantino, il presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo, il capo dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione del ministero dell’Interno Gerarda Pantalone e del prefetto Mario Morcone.

“Quella dei corridoi umanitari non è una nuova esperienza per la Chiesa Cattolica”, ha dichiarato Galantino “ma si pone a fianco di altre iniziative che la Chiesa italiana sviluppa in questi paesi di migrazione e transito da più di 30 anni (…) È inoltre desiderio e progetto della Chiesa italiana di creare le condizioni per cui le persone possano rimanere nei Paesi in cui stanno”. Galantino ha inoltre aggiunto che la sua “speranza è che il ripetersi dell’esperienza dei corridoi umanitari diventi una prassi consolidata, la strada per chi ha bisogno di realizzare il sogno di vivere con dignità”.

Sono già 50 le diocesi che hanno offerto la propria disponibilità ad accogliere le famiglie del gruppo. Tra queste, la Caritas di Ragusa offrirà ospitalità a Mohamed Abdi, 54 anni, la moglie Kadija Hussen, 31 anni ed ai loro cinque bambini, tra i 2 e 15 anni. La famiglia, di religione musulmana, è stata a lungo perseguitata da gruppi di fondamentalisti islamici. Una delle bambine è affetta da lupus, malattia che ha già portato alla morte del fratello più piccolo. La Caritas di Ventimiglia ospiterà una famiglia del Sud Sudan, formata da un papà e dai suoi due bambini, una dei quali affetta da una grave patologia oculare.

I restanti membri del gruppo saranno accolti dalla Comunità di Sant’Egidio.

Inoltre, parrocchie ed istituti religiosi prenderanno parte alla realizzazione del progetto di accoglienza, che prevede un percorso di integrazione sociale e lavorativa grazie all’assistenza di famiglie italiane che diverranno dei veri e propri “tutor”. Ai 500 richiedenti asilo saranno garantite assistenza sanitaria, corsi di lingua italiana ed altri servizi. “Questa esperienza realizza il modello di accoglienza diffusa sui territori, che vede le comunità locali elemento centrale da coinvolgere ed attivare per realizzare una vera accoglienza, dignitosa e nel pieno rispetto dei diritti umani, e perchè possa effettivamente parlarsi di integrazione stabile”, commenta Andrea Stocchiero, policy officer FOCSIV. “L’apertura di corridoi umanitari rappresenta uno dei pilastri centrali per la gestione dei flussi migratori, per assicurare l’effettività del diritto alla mobilità e per arginare le violazioni dei diritti umani e il traffico di esseri umani che stanno dietro alle immigrazioni irregolari”, continua Stocchiero. “L’Europa deve lavorare nella direzione dell’adozione di una politica migratoria europea che guardi alle migrazioni non in termini emergenziali e securitari, ma in termini di sviluppo, sia per i territori di provenienza che per quelli di destinazione”.

Ricordiamo che l’Etiopia è stato uno dei 3 casi studio analizzati all’interno del rapporto “Partenariato o condizionalità dell’aiuto?” presentato a Roma lo scorso 23 novembre. Il Rapporto ha come oggetto il monitoraggio del Fondo Fiduciario d’Emergenza per l’ Africa e i Migration Compact dell’Unione Europea, ed è stato elaborato da CONCORD Italia e CINI, in collaborazione con FOCSIV e AMREF.

Fate attenzione…Vegliate

Vegliate1Dal vangelo secondo Marco              Mc 13, 33-37 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».

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Iniziamo con il tempo di Avvento un nuovo anno liturgico in cui ci accompagnerà il vangelo di Marco; il brano evangelico che apre il ciclo in preparazione al Natale del Signore in questo Anno B è la conclusione del capitolo 13 (vv. 33-37), la piccola apocalisse di Marco, in cui predomina il termine vegliare. Il testo ha degli agganci con il racconto della passione che segue subito dopo (Mc 14), e chiude un discorso con chiari riferimento all’apocalittica giudaica (in particolare al testo di Daniele), ma anche a temi importanti in questo vangelo; vi ritroviamo in particolare la Cristologia di Marco, con l’utilizzo del titolo Figlio dell’uomo. Come sempre l’Avvento, che ci prepara alla celebrazione e sul ricordo della venuta nella carne di Gesù, inizia il percorso con uno sguardo verso il futuro, ossia verso la venuta gloria del Cristo risorto alla fine dei tempi; solo con la seconda domenica di Avvento lo sguardo si pone all’interno della storia, con i testi relativi a Giovanni il Precursore. L’invito pressante rivoltoci in questa prima domenica è allora quello di vegliare, perché “quanto a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre” (Mc 13,32). Siamo alla conclusione del discorso escatologico che nel vangelo di Marco occupa tutto il capitolo 13; esso inizia al v. 5 dove Gesù risponde alla domanda di un piccolo gruppo di discepoli (vedi Mc 13,3-4); l’esortazione finale però, come vedremo al v. 37, è valida per ogni discepoli di Cristo. Non prendiamo in considerazione tutto il discorso ma solo questi versetti finali in cui predomina l’imperativo vegliate (gregoreite), ripreso praticamente ad ogni versetto, che presentano chiari rimandi anche al racconto della passione (vedi Mc 14,34.37.40). Nel versetto 33 il verbo vegliare è in coppia con l’altro verbo tipico di questo capitolo, fate attenzione (blepete), o state attenti, che pure ricorre diverse volte (vedi vv. 5.9.23) e poiché al v. 32 l’evangelista ha appena messo sulla bocca di Gesù la sorprendente affermazione “quanto a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre“, se ne capisce l’importanza: il modo migliore per vivere il presente, per un credente, è la vigilanza. Ma di quale giorno si sta parlando? Della venuta finale di Cristo risorto e del giudizio che concluderà la storia? Come tutti i testi di genere apocalittico anche questo è rivolto ad una comunità che soffre persecuzione e a cui si ricordano i motivi di speranza e insieme a cui si vuol recare consolazione. In esso non si possono facilmente dividere i diversi piani che si intersecano, ossia il presente, il futuro (la venuta finale del Cristo glorioso) e la rovina storica di Gerusalemme. Anche le immagini e i continui riferimenti all’AT sono espressione tipica del genere apocalittico. Notiamo che la sezione finale del discorso apocalittico di Marco (dal v. 28 al v. 37) è costruita in modo concentrico: una parabola (vv. 28-29), un detto relativo al tempo (v. 30); un detto circa l’autorità di Gesù (v. 31 centrale in questa piccola pericope); un nuovo detto sul tempo (v. 32), un’altra parabola (v. 33-37) che è il testo proposto per questa domenica. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino;

fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. Ecco la piccola parabola (in coppia con quella del fico che occupa i vv. 28-29 dove l’attenzione è posta sui segni dei tempi); qui abbiamo un racconto per alcuni versi vicino all’incipit della parabola dei talenti di Matteo (Mt 25,14-15) o delle monete d’oro in Luca (Lc 19,12-13), ma con un diverso intento. Poiché il padrone ha dato un compito preciso a ciascun servo ognuno deve stare attento per poter ricevere un giudizio positivo al suo ritorno. L’accenno al portiere ha un richiamo verbale al v. 29 dove si parla del giudice che è alle porte, e inoltre ci riporta il verbo vegliare, parola chiave del nostro piccolo brano. Il v. 35 riporta le diverse veglie in cui i romani dividevano la notte, corrispondenti ai turni di guardia; il padrone di casa nel contesto di Marco potrebbe identificarsi con il Figlio dell’uomo, e il suo ritorno con il tempo del giudizio finale. Anche l’affermazione finale non vi trovi addormentati ha un significativo rimando al racconto della passione (Mc 14,37.40.41) dove i discepoli si addormentano. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!”. Con questa conclusione è esplicitata la potata universale dell’invito ad essere vigilanti (invito che caratterizza anche il discorso della passione, vedi 14,34.37.38) ed è una sintesi dell’atteggiamento etico che emerge dal discorso escatologico di Marco. Tutto il capitolo, ma in particolare i vv. 33-37 hanno l’intento di mantenere viva l’aspettativa del ritorno glorioso di Cristo, ma nello stesso tempo di frenare eccessive fantasie riguardo al come accadrà tale evento e al tempo in cui avverrà. La convinzione che il mondo sarebbe stato trasformato e che il piccolo gruppo dei cristiani avrebbe regnato con Cristo risorto nella gloria offriva un orizzonte di speranza alla comunità primitiva che veniva guardata con sospetto e spesso angariata, mentre l’insistenza sulla costante vigilanza la aiutava a trovare significato e direttive etiche nel suo comportamento nel tempo presente (J. R. Donahue e D. J. Harrington). Tutto questo vale anche per noi cristiani di oggi, chiamati a tenere viva la speranza e il riferimento al ritorno glorioso di Gesù Signore e a vivere con impegno il nostro presente; un invito quanto mai appropriato all’inizio di un nuovo anno liturgico e del cammino che ci prepara al Natale.

Monastero Matris Domini

asiabibi1Asia Bibi, la donna cristiana condannata a morte per blasfemia e in carcere dal 2009, ha ricevuto la nomination per l’edizione 2017 del prestigioso Premio Sacharov, per la libertà di pensiero, conferito dall’Unione Europea. Il Premio è un’iniziativa del Parlamento europeo e viene assegnato a individui o gruppi distintisi per la difesa dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

Peter Van Dalen, membro dello European Conservatives and Reformists Group (ECR) nel Parlamento Europeo, che ha proposto la candidatura di Asia Bibi, ha spiegato che «il caso di Asia è di importanza simbolica per quelli che soffrono per la libertà di religione o di espressione».

«In lei si vede la situazione di tutta la comunità cristiana. Il suo caso è tragicamente indicativo dell’insicurezza di tutte le minoranze, quando si tratta del rispetto dei loro diritti umani fondamentali», nota in un commento Kaleem Dean, intellettuale e analista pakistano.

Quando i sogni diventano realtà…

Suor_Rosemary1Considerate rifiuti di nessun valore, pronte per essere gettate nella spazzatura, quelle linguette ricavate da lattine e tenute insieme da un filo sottile erano diventate delle graziose borsette che offrivano una possibilità di vita nuova alle ragazze che le avevano realizzate. Ma quelle linguette, insignificanti e gettate via, assomigliavano in qualche modo proprio a quelle ragazze.

 Un tempo giovani e belle, erano state rapite, violentate, usate, ridotte a schiave. O costrette a commettere atti terribili. E ora considerate come spazzatura. Sopravvissute per miracolo – e spesso incinte o madri giovanissime – venivano rifiutate anche dalle loro stesse famiglie. Vittime innocenti trattate come scarti di una storia crudele.

Siamo nel Nord Uganda, terra insanguinata per lunghi anni da un conflitto che ha provocato oltre trentamila morti, due milioni di profughi e sfollati e circa centomila minori rapiti e reclutati a forza. Un conflitto fatto soprattutto sulla pelle dei bambini. Era tra i più piccoli, infatti, che il terribile Lord’s Resistance Army (“Esercito di resistenza del Signore”, Lra), la sanguinaria milizia di Joseph Kony, reclutava i propri effettivi, drogati e indottrinati, costretti a commettere i peggiori crimini o, nel caso delle bambine, ridotte a schiave: sessuali e non solo.

Ma è sempre in questa terra martirizzata e violentata che sono maturati anche segni e iniziative straordinari di resistenza, riscatto e speranza. Uno dei più significativi è rappresentato da suor Rosemary Nyirumbe, religiosa delle Suore del Sacro Cuore di Gesù, che ha strappato oltre duemila ragazze ai miliziani del Lra, restituendo loro libertà e dignità.

 Un lavoro lungo e difficile, che le è valso nel 2007 il riconoscimento di “eroe dell’anno” da parte della Cnn. E, nel 2014, il settimanale Usa Time l’ha inserita tra le “100 persone più influenti al mondo”. Istruzione e lavoro sono al centro dell’opera di questa straordinaria donna che, a quindici  anni, decide di diventare religiosa per dedicarsi ai poveri. Il noto medico missionario Giuseppe Ambrosoli la vuole come prima assistente ostetrica in sala parto nell’ospedale di Kalongo. In seguito suor Rosemary si laurea e prende un master in Etica dello sviluppo.

Nel 2001,  decide di dedicarsi specialmente alle ragazze vittime del Lra e prende la guida della St. Monica Girls Tailoring School di Gulu. «Fuori dalla nostra scuola – racconta – ci sono ancora molte ragazze afflitte da un grande dolore. Noi saremo sempre qui per loro, per aiutarle a rialzarsi e a ricostruire la loro dignità con amore, affetto e accettazione. Abbiamo così tante donne e così tanti bambini di cui prenderci cura. Non c’è tempo da perdere».

Suor Rosemary si mette al lavoro e non smette più. Ascolta i racconti agghiaccianti di moltissime ragazze rapite quando erano ancora delle bambine, usate come oggetti sessuali dai miliziani, brutalizzate per farle diventare a loro volta capaci delle peggiori efferatezze. La maggior parte, però, non racconta. Vuole solo dimenticare. Ma tutta quella violenza è qualcosa che rimane dentro.

 C’è voluto più di un anno a Sharon per trovare il coraggio di parlare. E di chiedere perdono. «Perché avresti bisogno del mio perdono?», la ha chiesto suor Rosemary. «Perché mi hanno fatto uccidere mia sorella». Quello di Sharon non è un caso eccezionale, anzi. È proprio attraverso l’uccisione di genitori, fratelli, parenti, sangue del proprio sangue, che i ribelli del Lra “iniziavano” i più piccoli alla guerra, cercando di strappare dal loro cuore ogni pietà, senso etico, umanità.

I testimoni di quella guerra, ormai da molti dimenticata, raccontano di atrocità e nefandezze. Ma il dopoguerra – come ricorda il giornalista Toni Capuozzo nell’introduzione al libro Cucire la speranza (Emi, 2017) – è talvolta «peggiore della guerra stessa. Con i sospetti e i rancori che si trascinano specie nelle guerre civili, dove vittime e carnefici vivono fianco a fianco, è una sfida più sottile». Per questo il lavoro che suor Rosemary continua a fare tenacemente con le sue scuole di cucito e cucina ha un significato che va oltre la vita delle singole ragazze a cui sta restituendo il futuro. È un messaggio di tenacia e di speranza che spesso appartiene soprattutto ai grandi sognatori. «Non smetterò mai di sognare!» ripete suor Rosemary.

 Ma nello stesso tempo non smette mai di darsi da fare perché i suoi sogni diventino realtà. «Mi comporterò come se potessi», è l’altro slogan di questa religiosa che non si è mai lasciata frenare dal senso di inadeguatezza di fronte all’enorme compito di cui si è fatta carico. In questa sua avventura ha incontrato e coinvolto molti amici. È stata supportata da missionari e missionarie italiani, ma soprattutto da gruppi e associazioni americani come Pros for Africa, fondata dall’avvocato americano Reggie Whitten che è anche coautore del libro.

 Grazie al supporto di molti sostenitori, suor Rosemary ha fondato la Sister United e la Sewing Hope Foundation per l’esportazione di borse e oggetti prodotti alla St. Monica School, che oggi vengono venduti in tutto il mondo come pezzi unici di artigianato di pregio. Rifiuti trasformati – in tutti i sensi – in qualcosa di bello e prezioso.

Anna Pozzi

(articolo tratto da www.mondoemissione.it)

 

Una novità assoluta per l’editoria cattolica

LIS1Partendo da alcune sollecitazioni dell’Amoris laetitia, la casa editrice Paoline, in collaborazione con il Pio Istituto dei Sordi di Milano e con la consulenza dell’Ufficio Catechistico Nazionale della CEI, ha dato vita ad una nuova collana, novità assoluta per l’editoria cattolica italiana: LA MIA FEDE IN LIS. Primo titolo di questa collana è Le mie preghiere di ogni giorno in LIS.

Quale lingua parlano le persone sorde? Come pregano? Chi insegna ai bambini sordi le preghiere di ogni giorno? Quelle che normalmente ogni nonno o genitore o catechista insegna prima ancora di parlare di Dio?

Il testo offre i testi delle preghiere tradizionali, accompagnati da illustrazioni e soprattutto dai segni, perché i bambini sordi possano impararli e rivolgersi al Signore usando la loro specifica lingua: la LIS, appunto (Lingua Italiana dei Segni). Le preghiere sono pertanto «segnate»: in questo modo il testo può essere usato anche da persone sorde (adulte), da catechisti attenti a una catechesi inclusiva di bambini audiolesi, da nonni e genitori udenti e non che vogliano pregare insieme in famiglia.

Il testo risponde a una forte urgenza, sottolineata più volte da papa Francesco: le persone con disabilità non devono essere solo accolte, ma rese partecipi e protagoniste della vita ecclesiale e dell’assemblea liturgica

La Chiesa non si è dimenticata delle persone con disabilità. “È un libro atteso”, rivela suor Veronica Donatello, responsabile del Settore per la Catechesi delle persone disabili dell’Ufficio catechistico nazionale Cei: “Dire includere, ma non avere strumenti adatti. Chiedere di accogliere la vita, ma non sapere come insegnare a un figlio a parlare o a pregare. È una questione basilare”.

Nei catechismi, sottolinea suor Veronica, “si parla di strumenti che possano aiutare la coppia a trasmettere la fede, dunque a generarla. Ma per farlo c’è bisogno di utilizzare il linguaggio dell’altro”.

Il libro offre agli adulti l’occasione di apprendere la Lingua dei segni, ai piccoli di utilizzarla per pregare. Non sono poche, infatti, le persone sorde che hanno lavorato al progetto senza conoscere prima le preghiere, perché nessuno gliele aveva insegnate. “Le nostre diocesi devono sostenere questo lavoro perché è da loro che arriva il contributo fondamentale per cambiare la cultura.

 

Le mie preghiere di ogni giorno in LIS

a cura di Marisa Bonomi – illustrazioni di Cristina Pietta

euro 8,00

COMBONIANE1Etiopia, dove le comboniane donano una nuova vita alle giovani madri

Amina (il nome è di fantasia,ndr) è una delle madri che ha trovato una nuova vita nella “Casa Rifugio Emmaus” di Addis Abeba. Come lei tante altre donne che scappavano dalle violenze familiari sono rinate grazie all’opera delle comboniane. Missionarie come suor Angela Mantini, in Etiopia dal 1974 prima come insegnante e successivamente nella gestione economica. Suor Mantini vive in una comunità con altre tre religiose: due suore autoctone, Manna e Lidia, e Purificación di origini spagnole.

La capitale, come tutti i grandi centri urbani, deve fare i conti con un’immigrazione massiccia di giovani provenienti dalle zone rurali. «Cercano lavoro e benessere, ma rischiano di entrare nelle reti della droga, della prostituzione e dello sfruttamento». “Casa Rifugio Emmaus” è la risposta a due domande: «Cosa possiamo fare per le donne in difficoltà? Cosa possiamo fare per prevenire l’emigrazione verso i Paesi Arabi e verso l’Europa?». «Nel 2012 – racconta suor Angela – abbiamo iniziato a collaborare con il progetto Nigat gestito dai volontari laici salesiani che hanno stipulato un accordo con il Governo. In pratica, accogliamo le giovani madri per tre/quattro mesi. In seguito vengono inserite nel Nigat dove sono formate per raggiungere una piena autonomia una volta lasciato lo Shelter (la fase del riparo)».

Ogni anno sono circa 20 le mamme che vivono a stretto contatto con le suore «in un ambiente sereno e protetto dove non si sentono né minacciate né tantomeno giudicate». Camminano con la certezza di avere un compagno di strada, Gesù, che non le ha abbandonate e non le abbandona. Riescono così a superare «lo shock subito a causa di violenze di ogni genere e il rifiuto del partner, della famiglia e della società». A Emmaus trovano una struttura, riconosciuta dalla realtà locale, che offre loro una seconda possibilità. Stanno pensando, inoltre, di accogliere altre ragazze giovani, utilizzando altre strutture e coinvolgendo personale qualificato.

La Congregazione che ripercorre le orme di San Daniele Comboni è molto attiva nel Paese. Oltre all’esperienza della “Casa Rifugio”, ad Hawassa gestiscono una scuola superiore e promuovono dei corsi alberghieri. La Chiesa ricopre un ruolo importante nel campo sociale, in particolare «è impegnata nell’educazione e nell’ambito sanitario con scuole, ospedali e altri percorsi riservati alle donne». Accanto a questo, c’è tutto il lavoro dedicato alla pace e allo sviluppo sociale che trova anche una buona collaborazione da parte degli ortodossi, dei protestanti e dei musulmani. «I responsabili delle differenti religioni non mancano di far sentire la loro voce a favore della giustizia e della non violenza in una nazione che raccoglie al suo interno etnie, culture e lingue diverse».

Tendenzialmente, come sottolinea suor Angela, i rapporti quotidiani e concreti con le altre religioni sono buoni: «Condividono tutti le stesse strutture educative e sanitarie e collaborano a livello sociale. Tutti i leader religiosi si adoperano per una convivenza pacifica, ma questo deve essere un impegno che riguarda tutti, non solo le Chiese, se l’Etiopia vuole continuare a vivere senza conflitti». In uno Stato «molto complesso e con profonde diversità al suo interno (basti pensare che si parlano 80 lingue differenti)», la Chiesa continua ad annunciare il Vangelo e a testimoniare la pace.

Quando il Figlio dell’uomo verrà…

REUNIVERSODal Vangelo di Matteo 25,31-46

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

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Il testo fa parte di un lungo discorso escatologico (24, 1-25, 46) pronunciato da Gesù sul monte degli Ulivi ai suoi discepoli in disparte (24, 3). Il discorso parte dall’annunzio della distruzione di Gerusalemme per parlare della fine del mondo. I due eventi si confondono come se fossero uno solo. Questa parte del discorso finisce con la venuta del Figlio dell’uomo con grande potenza e gloria. Egli manderà i suoi angeli a radunare tutti i suoi eletti (24, 30-31). A questo punto il flusso cronologico dei fatti annunciati viene interrotto con l’inserzione di alcune parabole sulla necessità di vegliare per non essere sorpresi alla venuta del Figlio dell’uomo (24, 24 – 25, 30). Il discorso escatologico trova il suo culmine letterario e teologico nel nostro testo che, riallaciandosi a 24, 30-31, torna a parlare della venuta del Figlio dell’uomo accompagnato dagli angeli. Il raduno degli eletti prende qui la forma di un giudizio finale.

Il Figlio dell’uomo

Figlio dell’uomo è una espressione semitica che significa semplicemente un essere umano (vedi ad esempio il parallelismo tra “uomo” e “figlio dell’uomo” in Sal 8, 5). Così la usa frequentemente il libro di Ezechiele dove Dio indirizza il profeta come “figlio dell’uomo” (2, 1.3.6.8; 3, 1.2.4.10.16+) per risaltare la distanza tra Dio che è trascendente e il profeta che è un semplice uomo. Però in Daniele 7, 13-14 l’espressione acquista un significato particolare. Il profeta vede “apparire sulle nubi del cielo uno simile ad un figlio di uomo” che riceve da Dio “potere, gloria e regno”. Si tratta pur sempre di un essere umano, che però viene introdotto nella sfera di Dio. Il testo è stato interpretato sia in senso personale che collettivo, ma sempre in senso messianico. Quindi, sia che si tratti di una sola persona sia che si tratti del Popolo di Dio nel suo insieme, il Figlio dell’uomo è il Messia che inaugura il Regno di Dio, un regno eterno e universale.

L’applicazione del titolo “Figlio dell’uomo” a Gesù sullo sfondo di Daniele 7, 13-14 è diffusissima nei vangeli. Si trova anche in Atti 7, 56 e Apocalisse 1, 13 e 14,14. Gli studiosi pensano che è stato Gesù stesso a darsi questo titolo. Nel vangelo di Matteo viene messo in bocca a Gesù particolarmente quando egli parla della sua passione (17, 12. 22; 20, 18. 28), della sua resurrezione come evento escatologico (17, 19; 26, 64) e del suo ritorno glorioso (24, 30; e 25, 31, inizio del nostro testo).

Gesù re, giudice e pastore

Matteo da’ anche il titolo di re a Gesù (1, 23; 13, 41; 16, 28; 20, 21). La regalità di Dio è un tema molto caro alla Bibbia. Perché è il Figlio di Dio, Gesù regna assieme al Padre. Nel nostro testo il re è Gesù ma egli esercita la sua regalità in stretta relazione con il Padre. Gli eletti sono i “benedetti del Padre mio” e il regno in cui sono invitati ad entrare è un regno preparato per loro da Dio come indica la forma passiva del verbo. Questa forma verbale, detta passivo divino, si trova spesso nella Bibbia e ha sempre Dio come soggetto implicito. In questo testo il regno sta a indicare la vita eterna.

Come in Daniele 7 (vedi in particolare i versetti 22, 26 e 27), anche nel nostro testo la regalità del Figlio dell’uomo è legata al giudizio. Il re, specialmente nell’antichità, è stato sempre considerato giudice supremo. Il giudizio che fa Gesù è un giudizio universale, un giudizio che coinvolge tutte le genti (vedi v. 32). Eppure non è un giudizio collettivo. Non sono i popoli che vengono giudicati ma le persone singole.

Ugualmente unito alla regalità è il simbolismo pastorale. Nell’antichità il re veniva spesso presentato come pastore del suo popolo. Anche l’Antico Testamento parla di Dio, re d’Israele, come pastore (vedi ad esempio Sal 23; Is 40, 11; Ez 34) e il Nuovo Testamento applica il titolo anche a Gesù (Mt 9, 36; 26, 31; Gv 10).

I pastori della Terra Santa al tempo di Gesù pascolavano greggi misti, composti da pecore e capri. La sera però li separavano perché le pecore dormono all’aperto mentre i capri preferiscono mettersi al riparo. Nel nostro testo le pecore rappresentano gli eletti perché sono di valore economico maggiore dei capri e anche per il loro coloro bianco che nella Bibbia spesso indica la salvezza.

“I miei fratelli più piccoli”

Tradizionalmente si interpretava questo brano evangelico come l’identificazione di Gesù con i poveri e gli emarginati. Gesù giudicherebbe tutti, e particolarmente quelli che non hanno avuto l’opportunità di conoscere il suo vangelo, sulla misericordia che hanno dimostrato per i bisognosi. Tutti hanno l’opportunità di accoglierlo o rifiutarlo se non personalmente, almeno nella persona dell’indigente con cui si identifica.

L’esegesi contemporanea tende a leggere il testo in senso più ecclesiologico. Mettendolo in stretto rapporto con Matteo 10, 40-42, gli esegeti insistono che qui non si tratterebbe di filantropia ma della risposta al vangelo del Regno che viene portato dai fratelli di Gesù, non solo dai capi della Chiesa ma anche da ogni fratello, anche il più insignificante.

Le nazioni, cioè i pagani, sono quindi invitati ad accogliere i discepoli di Gesù che predicano loro il vangelo e soffrono per esso, come se stessero accogliendo lo stesso Gesù in persona. I cristiani, da parte loro, sono invitati all’ospitalità generosa con i loro fratelli che si fanno predicatori itineranti per causa del vangelo, soffrendo persecuzioni (vedi 2 Gv 5-8). Così dimostrerebbero l’autenticità del proprio impegno di discepolato.

Nel contesto del vangelo di Matteo questa seconda interpretazione è probabilmente più precisa. Eppure nel contesto della Bibbia tutta intera (vedi ad esempio Is 58, 7; Gc 2, 1-9; 1 Gv 3, 16-19) non si può scartare completamente la prima.