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Discernimento. Etica e finanza

Le tematiche economiche e finanziarie, mai come oggi, attirano la nostra attenzione, a motivo del crescente influsso esercitato dai mercati sul benessere materiale di buona parte dell’umanità.
Ciò reclama, da una parte, un’adeguata regolazione delle loro dinamiche, e dall’altra, una chiara fondazione etica, che assicuri al benessere raggiunto quella qualità umana delle relazioni che i meccanismi economici, da soli, non sono in grado di produrre.
Simile fondazione etica è oggi richiesta da più parti ed in particolare da coloro che operano nel sistema economico-finanziario.
Proprio in tale ambito, si palesa infatti, il necessario connubio fra sapere tecnico e sapienza umana, senza di cui ogni umano agire finisce per deteriorarsi, e con cui invece può progredire sulla via di un benessere per l’uomo che sia reale ed integrale.
(Oeconomicae et pecuniariae quaestiones, n. 1)

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Guardare negli occhi la vecchiaia e la morte

La buona collaborazione tra Usmi-Ambito pastorale e Charis da tre anni promuove un percorso formativo sulla cura delle sorelle anziane e malate e con fragilità.

Il 17-18 ottobre il 1° modulo della III Edizione – “Dalla cura al prendersi cura delle Sorelle nell’età anziana e nelle fragilità” – ha visto la partecipazione di una sessantina di religiose e di alcune laiche motivate e aperte all’ascolto e al confronto su temi e questioni che incontrano nella quotidianità del loro servizio.

Il percorso si è svolto in due tempi:

– nel primo – quasi una “cornice” che ha dato risalto al quadro d’insieme – sono intervenuti il prof. Luigino Bruni, con un approccio biblico e il prof. Johnny Dotti, con un approccio pedagogico, che collocati all’inizio e a conclusione del percorso, hanno accompagnato le partecipanti a affrontare, valorizzando il loro particolare osservatorio, una delle grande sfide del nostro tempo che consiste nel “guardare negli occhi la vecchiaia e la morte”. Di qui l’invito a guidare e animare le nostre comunità-infermerie di sorelle anziane e con fragilità, come “avanguardie profetiche” in questa nostra Europa sempre più vecchia. Si tratta di affrontare con lucidità e discernimento la stessa tensione che troviamo nella Bibbia di fronte alla vecchiaia, alla povertà, alla miseria materiale e spirituale: situazione e tempo da benedire o da subire o addirittura da maledire perché conseguenza di una colpa, del peccato, del disimpegno …?

La vecchiaia e la malattia non percepite come “anticamera della morte” ma come culmine della “vita”. E una cultura positiva della vecchiaia può diventare indicatore di quanto una società ma anche una famiglia, una congregazione religiosa … credono a una “cultura della vita” a 360°. Sono state offerte riflessioni e piste per imparare e vivere l’arte del prendersi cura, mai desistendo da un impegno di formazione e di discernimento su di sé e sulle relazioni;

– nel secondo tempo full immersion nel tema “Le buone prassi nel prendersi cura delle fragilità psichiche” con gli interventi della dott.ssa Vilma Bargna, di Charis e del dott. Renato Pirisi, coordinatore di Casa Speranza. Due relatori che hanno ripreso tematiche affrontate nelle precedenti edizioni del corso, mettendo a fuoco e approfondendo alcuni aspetti della fragilità e del suo prendersi cura, per rispondere a domande e esigenze espresse dalle partecipanti.

Le “buone prassi” chiedono flessibilità, adattamento, consapevolezza e fiducia nel cambiamento, con l’obiettivo di garantire a ciascuna sorella il proprio giusto “benessere”, passando attraverso l’accoglienza e la comprensione delle fragilità, imparando a “sopportare”, per quanto possibile, i disagi e disturbi psichico-mentali.

Ma per questo è irrinunciabile un accompagnamento e una formazione continua non solo delle superiore e animatrici delle comunità di sorelle con fragilità, ma di “tutte” le sorelle perché sappiano affrontare positivamente, nella concreta comunità di vita, situazioni di fragilità: il farmaco più efficace, almeno per non peggiorare ma forse anche per avviare un inizio di guarigione, è sempre una buona e fraterna relazione.

E siccome di imparare, soprattutto a livello di relazioni interpersonali, non si finisce mai … il percorso rimane aperto!

Il 19-20 febbraio ci sarà il 2° modulo che propone un contributo di suor Alessandra Smerilli sulle “buone prassi” focalizzando il tema di una “nuova” gestione delle nostre case per anziane e un ulteriore approfondimento sulle demenze senili e fragilità psichiche con l’intervento del dott. Gianluigi Perati, medico geriatra e del dott. Fabrizio Arrigoni, psicologo.

Dentro il caos e le macerie della nostra storia, germogli di vita nuova…

Il fenomeno della tratta oggi. Siamo a un punto di svolta?

Il Convegno d’inizio d’anno pastorale (22-24 ottobre 2018), specialmente destinato a religiose e laici e laiche operatori in comunità di accoglienza e in altri servizi e forme di prossimità e accompagnamento di donne potenzialmente vittime di tratta, ha visto la presenza di una cinquantina di partecipanti decisamente motivati, provenienti dalle diverse regioni d’Italia, in costante ricerca di informazione aggiornata sul “fenomeno tratta” ma anche di percorsi di formazione condivisa e di confronto fra le diverse realtà, con l’obiettivo di lavorare in rete.

Già il titolo del Convegno – “Il fenomeno della tratta oggi. Siamo a un punto di svolta?” – per gli “addetti ai lavori” era un segnale dei cambiamenti in atto che esigono, appunto, un continuo aggiornamento della legislazione nazionale in materia di immigrazione ma anche un coraggioso rimettersi in discussione e in discernimento da parte degli operatori per offrire risposte nuove e adeguate alle nuove sfide che pone, oggi, il “fenomeno tratta”, con particolare riferimento alle donne.

Il Convegno, preparato in collaborazione con Caritas Italiana, concretamente con la consulenza dell’avv. Manuela De Marco, dell’Ufficio Politiche migratorie e Protezione internazionale, ha cercato di dare risposte alle domande di informazione/formazione presentate a conclusione del Convegno dello scorso ottobre 2017, avvalendosi di un pool di relatrici di indiscussa competenza professionale ma anche coinvolte nell’esperienza di accoglienza e, comunque, nella “visione in diretta” del fenomeno sui diversi territori.

L’apertura è stata affidata a Lidia Maggi, biblista e pastora della Chiesa Evangelica Battista: una full immersion nella Bibbia, in una originale rilettura dalla Genesi all’Esodo, accompagnando all’incontro con Dio, ostinato “ricominciatore”, incapace di arrendersi al non senso della vita. Di fronte a una realtà fragile, sempre a rischio di precipitare nel caos e nel fallimento, Dio reagisce con un atto ri-creativo, riaprendo ulteriori possibilità.

Mirta Da Pra, del Gruppo Abele, Caterina Boca, avvocato, formatrice e consulente di Caritas italiana, “Immigrazione-area asilo”, e Simona Murtas, psicologa e psicoterapeuta responsabile del Servizio antitratta – Caritas di Cagliari, hanno affrontato il tema del Convegno, nella giornata del 23 ottobre, con diversi approcci:

– un aggiornamento sul fenomeno nelle sue diverse sfumature individuando i cambiamenti in atto, le criticità, i vuoti e le sfide;

– una informazione dettagliata sui percorsi di riconoscimento legale delle vittime di tratta, con un riferimento specifico alle novità introdotte dal Decreto Legge 113/2018 che, con l’abrogazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari sostituita dall’introduzione dei casi di protezione speciale, riduce fino quasi ad azzerare il ventaglio di condizioni soggettive che consentono di dare piena attuazione alle garanzie costituzionali;

– la presentazione delle varie fasi del processo di identificazione delle vittime di tratta, con la messa a fuoco delle “capacità multidimensionali” dell’operatore.

La mattinata conclusiva del 24 ottobre ha coinvolto direttamente i partecipanti, attraverso i Lavori di gruppo, nell’elaborazione di una prima sintesi del Convegno, condivisa in assemblea: le relazioni dei gruppi saranno riprese e rielaborate in una sintesi finale da un gruppo di partecipanti – primo nucleo di un nostro coordinamento nazionale – formato, in questa fase di avvio “ad experimentum”, da alcune religiose che operano in Roma (segreteria operativa della Rete Antitratta Usmi), da religiose referenti delle “reti regionali” che si stanno riannodando e da due laici membri del Coordinamento nazionale di Caritas italiana

La partecipazione di Manuela De Marco ha offerto la possibilità di un ulteriore dialogo e confronto sul tema, ma soprattutto di ripresentare il monitoraggio, a cui l’Usmi ha aderito: è già stato inviato un questionario a tutte le realtà coinvolte con la finalità di conoscere tutto quello che si fa nei confronti della tratta delle donne, con i necessari aggiornamenti e in dettaglio per poter mettere in rete risorse e servizi.

Il prossimo appuntamento in primavera con un Workshop che sarà preparato con il coinvolgimento dei partecipanti al Convegno, sempre più consapevoli che è camminando e facendo rete, che si apriranno nuovi cammini, da percorrere insieme con le vittime di tratta. Con fede fiduciosa in Dio padre “ricominciatore”, come ci ricordava la pastora Lidia, che, anche in questo oggi, prende l’iniziativa, offre nuove possibilità, riapre sentieri interrotti e, dentro il caos e le macerie della nostra storia, fa nascere germogli di vita nuova.

Un punto di arrivo e di partenza…

Un evento storico, sabato 27 ottobre 2018 nella sede storica dell’USMI Nazionale. Ormai in questo stabile ha posto la sua sede la CISM (Conferenza Italiana dei Superiori Maggior). Un passo importante, altamente significativo, un punto di arrivo e di partenza nella prospettiva di una comunione più grande», l’ha definito madre Yvonne Reungoat, presidente dell’USMI, inaugurando l’anno socio-pastorale nei locali appena rinnovati.

Il processo di collaborazione avviato, ha rilevato, «sfida la nostra capacità di comunione e la rilevanza stessa della vita consacrata». Il «fare casa insieme», ha sintetizzato madre Reungoat, rappresenta «un atto di speranza nel nostro futuro». La scelta, ha aggiunto padre Luigi Gaetani, presidente della CISM, è stata quella di «andare oltre lo status quo, di coltivare una fedeltà dinamica ai nostri stessi organismi, adattandone le forme alle nuove situazioni e ai diversi bisogni». Consapevoli che «il futuro si costruisce mettendo insieme le risorse di pensiero, cuore ed opere, riconoscendosi nella verità di una comunione e preservandoci da quella che papa Francesco chiama la malattia dell’autoreferenzialità. La comunione, infatti, è un percorso progressivo che diventa capacità di pensare e osare insieme».

L’evento è stato partecipato da parte del personale laico, che all’USMI collabora nei diversi servizi, di religiosi e religiose di varie Congregazioni, di sorelle che hanno dato e continuano a dare un prezioso contributo alla vita e alla missione dell’USMI Nazionale nella Chiesa e nella società.

La celebrazione ha espresso il GRAZIE al Signore che non fa mancare la sua grazia, le sue benedizioni a chi “confida in Lui” e alle tante religiose e religiose che ancora oggi con impegno e con passione testimoniano di essere donne e uomini dell’oltre.

Un momento di convivialità ha concluso l’incontro.

Saluto della madre Presidente          saluto USMI CISM 2018

Articolo   Avvenire_20181028_A21_7

LA FEDE ISPIRA TUTTE LE AZIONI

Avere veramente la fede, la fede che ispira tutte le azioni.

Quella fede nel soprannaturale che dappertutto ci fa vedere soltanto lui, che toglie al mondo la maschera e mostra Dio in tutte le cose,

che fa scomparire ogni impossibilità,

che rende prive di senso parole come inquietudine, pericolo, timore,

che fa camminare nella vita come un bambino attaccato

alla mano della mamma.

Charles de Foucauld

Ci sembra opportuno non tacere…

I religiosi e le religiose d’Italia

tra cultura dell’accoglienza e fedeltà a Papa Francesco

 

Abbiamo atteso a lungo prima di far sentire la voce delle Religiose (USMI) e dei Religiosi (CISM) che vivono in Italia, che fanno parte di questo Paese e di questa Chiesa, perché ci sembra opportuno non tacere su questioni che ci vedono in prima linea: l’impegno alla cultura dell’accoglienza e alla fedeltà a Papa Francesco.

        L’impegno alla cultura dell’accoglienza. Non possiamo tacere e non possiamo essere equivoci sulla questione dell’accoglienza: “Aspetto da voi gesti concreti di accoglienza dei rifugiati, di vicinanza ai poveri, di creatività…” (Papa Francesco, Lettera apostolica per l’Anno dedicato alla vita consacrata).

        Le iniziative censite dalle due Conferenze dei Religiosi (CISM) e delle Religiose (USMI) in Italia sono più di centoventi, a dimostrazione che l’invito evangelico del Papa è stato preso sul serio da parte di tante comunità che, senza tentennamenti, hanno messo a disposizione personale e strutture. Lo abbiamo fatto con franchezza evangelica, perché è proprio dei religiosi e delle religiose vedere e non girarsi dall’altra parte, in quanto l’accoglienza appartiene all’intima natura di ogni creatura, è vocazione e missione di ogni uomo, di ogni cittadino e di ogni religioso, sebbene possa realizzarsi con modalità e sensibilità carismatiche differenti.

        Siamo consapevoli, infatti, che mentre i mezzi di comunicazione hanno creato un villaggio globale, l’uomo contemporaneo non è cresciuto nella sua capacità di relazione e di accoglienza. Sono crollati i muri ideologici ma se ne sono alzati altri ben più invalicabili, edificati con la collaborazione di una informazione interessata a dare una percezione del reale più che una reale percezione della realtà. Viviamo un corto circuito tra la decantata realtà globale, in verità molto virtuale, e le spinte identitarie dove la presenza reale del diverso, dello straniero nelle nostre strade, tra le nostre case fa problema; incapaci di cogliere nel flusso migratorio una valenza positiva, una ricchezza che apra ad un confronto tra culture diverse, ad una crescita in umanità.

        Certo, l’accoglienza non è compiacimento paternalista o interesse partitico ed economico, ma proprio per queste ragioni di basso profilo, che tanto credito hanno nell’opinione pubblica, si impone un dibattito più alto nei contenuti e nelle prospettive, mettendo a tema la promozione e l’integrazione attiva e responsabile nei confronti di quella parte di umanità che fa fatica a vedere il giorno che verrà. Occorre ripartire dalla costruzione di una piattaforma di umanesimo dialogico, dove l’apprendimento della lingua, l’inserimento legale nel mondo del lavoro, l’accesso allo studio, la conoscenza e rispetto delle leggi dello Stato, la semplificazione della normativa per il permesso di soggiorno, rappresentino il punto più alto e significativo della tessitura sociale, del bene delle persone. L’assenza di regole, infatti, non solo non genera accoglienza ma pone le premesse per la cultura della paura e della manipolazione della percezione del reale, indicatori molto cari ai populismi di destra e di sinistra, a tutti coloro che teorizzano una società chiusa.

        La fedeltà al Papa è l’altro tema caldo che sta strappando la tenuta della comunione all’interno della Chiesa e che necessita di una paziente e teologale ricucitura. Noi religiosi e religiose presenti nella Chiesa italiana riaffermiamo la nostra comunione al Santo Padre Francesco, non solo come segno della memoria grata dei nostri Istituti, ma anche come comunione attuale al magistero pontificio: “ricordare per farsi carico qui e adesso”.

        Ci dissociamo, pertanto, da ogni forma di strappo alla comunione ecclesiale e, in particolare, agli attacchi rivolti contro il magistero e la persona di Papa Francesco. A tutti i religiosi e le religiose ricordiamo che l’amore e la venerazione, l’obbedienza a volte anche sofferta, ma sempre sincera, dei nostri Santi Fondatori e Fondatrici rappresentano la forma più vera per continuare a dire oggi la nostra lealtà e disponibilità a camminare insieme al Successore di Pietro, perché solo a Lui il Signore Gesù affidò il compito di confermare nella fede i fratelli (Lc 22,32).

        Le ragioni del dissenso, da parte di alcuni uomini di Chiesa e del mondo, non hanno solo motivi morali, ma affondano le radici su due questioni teologiche. La prima: le sfide del pensare la fede nel mondo moderno sono cambiate completamente rispetto al mondo pre-moderno. Oggi la questione della religiosità e della secolarità impone alla fede di formulare una risposta a nuove domande: che cosa rende attraente essere religiosi, spirituali? Che cosa invece rende attraente essere a-religiosi, senza bisogno di una religione? La seconda sfida, quella più profonda, ricorda che solo quando l’opzione dell’uomo moderno è per la religione e la spiritualità, si rende possibile la vera scelta: credere in Dio. Solo allora sarà possibile dialogare con l’uomo e la donna secolari-moderni e sarà possibile un ecumenismo spirituale.

        I religiosi e le religiose, con la loro esperienza inquieta e mistica di Dio, possono accompagnare Papa Francesco ad aprire cammini di comunione spirituale, possono testimoniare profeticamente che in mezzo ad una immensa tenebra c’è un rivolo di luce, che tutta l’esperienza di Dio è come un lampo in una notte (S. Giovanni della Croce), operando quella relativizzazione delle differenze confessionali che non è solo segno di un cattolicesimo adulto, ma anche frutto di un sapiente discernimento e di una sinodalità che danno forma evangelica alla vita cristiana, come modalità attraverso cui la Chiesa non è soltanto oggetto di indagine, ma anche soggetto che sa riflettere su sé stessa e su tutta la realtà, dove la chiamata di Papa Francesco a “uscire verso le periferie esistenziali” può trovare il suo orizzonte interpretativo.

        

Madre Yvonne Reungoat, FMA                             P. Luigi Gaetani, OCD

Presidente Nazionale dell’USMI                           Presidente Nazionale della    

                                                                                      CISM                                                    

Chaire Gynai, benvenuta donna!…

Si chiamano “Chaire Gynai”, frase in greco che sta per “Benvenuta donna”, le due case per le rifugiate con bambini e per le migranti in situazioni di vulnerabilità nate a Roma su iniziativa della Congregazione delle suore Missionarie Scalabriniane. Il progetto è stato reso possibile anche grazie alla collaborazione della Sezione “Migranti e Rifugiati” del Dicastero vaticano per il Servizio dello Sviluppo umano integrale, dalla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, dalla Uisg (Unione Internazionale Superiore Generali) e dalla Conferenza episcopale italiana. 

 Le Scalabriniane hanno coinvolto anche le Suore missionarie del Sacro Cuore di Gesù che hanno messo a disposizione gli spazi. «Oggi anche altre Congregazioni religiose femminili contribuiscono alla buona riuscita del progetto», riferisce una nota. 

Nelle due case – tra le prime in Italia – che sorgono in via della Pineta Sacchetti e in via Michele Mercati, sono accolte donne che hanno già ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiate in Italia o che potrebbero regolarizzare la loro condizione migratoria. Nelle due case si potrà stare per un periodo che va dai sei mesi a un anno al massimo, fino a che non abbiano raggiunto una completa autonomia e integrazione. Al momento sono ospitate 17 donne e 7 minori, provenienti da Siria, Uganda, Senegal, Congo, Camerun, Etiopia, India e Burundi. 

Una nigeriana, una congolese e una somala sono state le prime entrate nella casa. Si tratta di persone che hanno avuto nelle loro comunità una serie di percorsi professionali che potrebbero essere utili in un processo di integrazione. Tra loro c’è anche una avvocatessa esperta di diritti umani.
“Valorizziamo il principio della dignità umana, il diritto alla libertà e all’uguaglianza, la valorizzazione delle persone e la loro tutela – spiega suor Eleia Scariot, scalabriniana, coordinatrice del progetto -.

L’intenzione è quella di sostenere le donne nel loro percorso di integrazione e valorizzazione professionale. La base è il riscatto della speranza: queste donne ricevono aiuto e accompagnamento umano e professionale, vivendo esperienze di convivenza, di divertimento e di spiritualità che siano rivitalizzanti per riscattare la stima di loro stesse, spesso ferita durante il loro viaggio migratorio. Allo stesso tempo queste donne e i loro figli potranno contribuire alla costruzione di una società diversa, qui nel territorio romano, dove sono inserite”.

«Per noi – spiega suor Neusa de Fatima Mariano, superiora generale delle Scalabriniane – lavorare con i migranti è una grande grazia che conferma la nostra missione. Ringraziamo Papa Francesco per il suo appello e la sua chiamata rivolte a tutto il mondo, invitandoci ad assumere quanto a lui sta cuore, cioè le donne migranti e rifugiate con bambini». 

NON C’E’ SOLITUDINE SENZA SILENZIO

Non c’è solitudine senza silenzio

Il silenzio è talvolta tacere, ma è sempre ascoltare. Un’assenza di rumore che fosse vuota della nostra attenzione alla parola di Dio non sarebbe silenzio. Una giornata piena di rumori, piena di voci, può essere una giornata di silenzio se il rumore diventa per noi l’eco della presenza di Dio, se le parole sono per noi messaggi e sollecitazioni di Dio.

Quando parliamo di noi stessi, quando parliamo tra noi, usciamo dal silenzio.

Quando ripetiamo con le nostre labbra gli intimi suggerimenti della Parola di Dio nel profondo di noi stessi, lasciamo il silenzio intatto.

Il silenzio non ama la confusione delle parole. Sappiamo parlare o tacere, ma non sappiamo accontentarci delle parole necessarie. Oscilliamo senza posa tra un mutismo che affossa la carità e una esplosione di parole che svia la verità.

Il silenzio è carità e verità. Esso risponde a colui che chiede qualcosa, ma non dà che parole cariche di vita. Il silenzio, come tutti gli impegni della vita, ci induce al dono di noi stessi e non ad un’avarizia mascherata. Ma esso ci tiene uniti per mezzo di questo dono. Non ci si può donare quando ci si è sprecati. Le vane parole di cui rivestiamo i nostri pensieri sono un continuo sperpero di noi stessi.

“Vi sarà chiesto conto di ogni parola”. Di tutte quelle che bisognava dire e che la nostra avarizia ha frenato. Di tutte quelle che bisognava tacere e che la nostra prodigalità avrà seminato ai quattro venti della nostra fantasia o dei nostri nervi.

Madeleine Delbrel

Sogno una vita consacrata autentica…

Sogno una vita consacrata autentica… Sogno una vita consacrata che sia capace di ascoltare… sogno una vita nel servizio e in semplicità…

Mentre si sta svolgendo il Sinodo dei giovani, abbiamo rivolto due domande a due giovani religiose, sr. Gabriela Gutierrez Lopez delle Maestre Pie dell’Addolorata e sr Veronica Bernasconi delle Figlie di San Paolo. Ecco le loro risposte.

  1. Come i giovani che si stanno confrontando con la chiesa possono, secondo te, arricchire l’esperienza della vita consacrata? E cosa pensi che i giovani oggi, secondo la tua esperienza, possano accogliere dalla vita consacrata come elemento concreto e utile per la loro vita?

Sr. Gabriela

Quando si è giovani si ha il coraggio di affrontare le difficoltà, la grinta per proporre, smontare, costruire, si hanno sogni e illusioni, che maturati possono convertirsi in realtà concrete se sono ben indirizzati, questo secondo me può arricchire la vita consacrata, che molte volte si è “accomodata” nelle sue strutture fise, mi riferisco soprattutto a strutture mentali, culturali, istituzionali. Una scossa di energia senza dubbio farebbe molto bene alle nostre comunità, un risveglio che ci faccia muovere e uscire delle nostre comunità chiuse a volte in se stesse.

Viviamo in un contesto sociologico dove le relazioni interpersonali vengono a meno ogni giorno, molti giovani di oggi hanno soltanto la esperienza di una relazione “virtuale” sono vicini a quelli che stano lontano ma sono lontani da quelli che stano vicino a loro. E questo secondo me è un elemento chiave nel mondo di oggi, la capacità di vivere insieme, di stabilire rapporti che diventano a volte più forti di quelli di sangue. Di condividere non soltanto ciò che si ha ma soprattutto ciò che si è.

 

Sr. Veronica

Mi ha colpito come nelle testimonianze dei giovani di questi giorni, per il sinodo, emerga una voglia di confronto. Spesso si parla di giovani che hanno, ovviamente per responsabilità della generazione che li ha preceduti, imparato a vivere senza Dio e disinteressati alla Chiesa. Invece sta emergendo una voglia di confronto non litigioso, di desiderio di capire e di entrare in qualcosa di sconosciuto forse ma che interroga. Sono loro che possono oggi darci un modo nuovo costruttivo di fare autocritica, di apertura allo sconosciuto, di desiderio di fare domande. A nostra volta noi siamo in grado di offrire a loro spazi, modi e tempi di entrare in contatto con loro stessi (cosa di cui hanno bisogno), di incontrare quel “Qualcosa o Qualcuno di più” che può riempire di senso le esistenze difficili di oggi, possiamo dare la testimonianza che nel mondo di possibilità illimitate e in continuo cambiamento si può rimanere centrati, per con tutte le fatiche e debolezze, e lottare con gioia per qualcosa che ne vale la pena.

  1. In questo sinodo e nella sua preparazione si è parlato molto di speranza, di sogni, tema caro a papa Francesco. Cosa sogni a partire da questo sinodo per la vita consacrata in generale e per te in particolare?

 

Sr. Gabriela

Sogno una vita consacrata autentica, senza paura di uscire dalle sue sicurezze, una vita consacrata che sa accogliere l’altro così com’è senza pretendere di cambiarlo ma di capirlo e crescere insieme.

Sogno una vita consacrata che sia capace di ascoltare, i suoi membri, chi è vicino. A volte siamo piccole isole vivendo insieme, la mia speranza è che insieme costruiamo i ponti della fratellanza, della fiducia, della maturità umana rispecchiata nel perdono, empatia, ascolto, promozione delle persone, dove vivere insieme ci faccia dire “che bello è stare qui”.

 

Sr. Veronica Bernasconi

Sogno per la vita consacrata la possibilità di vivere in tema vocazionale con minore ansia, consapevoli che il nostro compito è quello di far incontrare le persone con il Signore e sogno una vita religiosa che sempre più riscopra la sua dimensione battesimale e sia in grado di condividere di più e serenamente il proprio cammino con coloro che vivono altre scelte di vita. Sogno una vita consacrata in cui si riscopra in modo sempre più proprio e consapevole il ruolo delle donne. Per me sogno una vita nel servizio e in semplicità e non assillata dal peso di strutture che non sono in grado di riempire di senso la vita degli uomini e donne di oggi, una vita ricca di incontri e guidata dalla Parola.