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Prendersi cura

 

Per un cammino condiviso tra Charis (Rete nazionale di consorzi e cooperative specializzata nella collaborazione con le congregazioni religiose) e le congregazioni religiose è stato istituito il TAVOLO CURA per il confronto e la progettazione nell’ambito della cura delle Religiose anziane e malate.
Il Tavolo è un’opportunità di:
– scambio di esperienze e buone prassi;
– condivisione di know how, strumenti operativi e modelli di gestione;
– approfondimento di tematiche di interesse comune, con il supporto di esperti;
– luogo di ideazione e progettazione condivisa di eventuali nuove azioni.
Il primo incontro di conoscenza e di scambio si è realizzato 23 settembre 2015 presso la Casa di Riposo Intercongregazionale di Roma, Via Trofarello 64.
Il prossimo incontro si effettuerà nella Sede USMI di Roma, via Zanardelli 32, nel mese di gennaio 2016.

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Giustizia climatica

Nelle Filippine l’Associazione dei Superiori Maggiori “ha invitato tutte le Congregazioni religiose del Paese a dotarsi di speciali uffici dedicati al cambiamento climatico e così coordinare la loro azione sul fronte dell’emergenza ambientale”. In una sua recente Assemblea essa – rispondendo così all’appello lanciato da Papa Francesco nell’Enciclica Laudato si’ – ha deciso di mettere la “giustizia climatica” tra le sue priorità sulla cura della casa comune. Con questa iniziativa essa intende seguire l’esempio della Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche (Fabc), che, recentemente, ha istituito un Climate Change Desk e punta a creare un ufficio dedicato al cambiamento climatico in ciascuna Conferenza episcopale del continente. I nuovi uffici lavoreranno in stretta collaborazione con le associazioni cattoliche impegnate sul fronte ambientale e, in particolare, con il Global Catholic Climate Movement (Gccm), la rete cattolica globale sui cambiamenti climatici creata lo scorso gennaio in vista del Summit mondiale sul clima (Cop 21) che si terrà a Parigi il prossimo dicembre.
L’associazione si è inoltre impegnata a diffondere e far conoscere l’enciclica Laudato si’ tra i fedeli. “L’obiettivo – si legge nella dichiarazione – è di fare maturare una consapevolezza e una ‘spiritualità ecologica che siano inserite nel contesto dei carismi di ciascuna Congregazione religiosa’ e del loro impegno per l’ambiente, la gestione dei disastri, la buona governance, la lotta alla corruzione e la promozione della pace”.
Un coinvolgimento globale – ben organizzato – di ognuno e di tutti, delle comunità e dei singoli. Non basta più guardare al povero o alla famiglia indigente della porta accanto e al mendicante sul marciapiede sotto casa. Non bastano più – anche se sempre e comunque necessarie e non sopprimibili – le molteplici mense e le plurime case-famiglia. Lo sguardo, l’attenzione, l’impegno di tutti e di ognuno – anche soprattutto dei consacrati – hanno immancabilmente una ampiezza umano-cosmica. E’ ritornare all’eden, nei primordi della storia umana. Là dove il primo uomo scoperse con gioioso stupore e ferma attrattiva l’altro essere diverso e certamente simile a sé, ma soprattutto suo complementare, insieme chiamati valorare e custodire, lavorare, far produrre quello che oggi è definito da papa Francesco “casa comune”. Tutto è inscindibilmente legato a tutti e a tutto. Da allora. Tutte e tutti sciamo insieme – inscindibilmente – legati alla questione umano-ambientale. Uomo e ambiente dei e nei vari continenti perché tutti e tutto sia conforme a quell’iniziale mandato. (Da: Bollettino radiogiornale, 07.08.2015). 

Le Suore Alcantarine

ISTITUTO SUORE FRANCESCANE ALCANTARINEAlcantarine1

La nostra storia

Le origini della Famiglia religiosa delle Suore Francescane Alcantarine affondano nel popoloso e povero quartiere della parrocchia dello Spirito Santo in Castellammare di Stabia, provincia di Napoli (Italia).
Alcantarine4Dal 1867 il curato don Vincenzo Gargiulo, allo scopo di porre rimedio alla situazione di miseria e degrado sociale della zona, aveva attivato numerose iniziative parrocchiali di catechesi e sostegno sociale ai più poveri. Nella sua opera si avvaleva del contributo di suor Maria Agnese Russo, terziaria francescana, e di un gruppo di giovani della parrocchia.
Il 17 settembre 1870 un primo gruppo di giovani ragazze, sotto la guida di suor Agnese, decise di lasciare le case di origine per sperimentare stabilmente la vita comune al servizio dei più poveri. La dimora del piccolo gruppo venne stabilita nelle vicinanze della parrocchia dello Spirito Santo; si inaugurò così l’esperienza di uno stile di vita comunitario, povero, austero e ritmato dalla preghiera e dal servizio.
Fu così che, dopo aver ricevuto l’approvazione diocesana da mons. Francesco Saverio Petagna il 14 ottobre 1874, le Prime Dodici vestirono l’abito francescano secondo la riforma alcantarina il 17 ottobre dello stesso anno.
In pochi anni il numero delle suore crebbe rapidamente e le comunità si diffusero in tutto il meridione d’Italia. Nel 1894, l’Istituto delle Figlie Povere di San Pietro d’Alcantara ricevette nel gennaio del 1903 l’approvazione pontificia.
Il nostro carisma
Seguiamo così le orme di Gesù Cristo, vivendo nella comunione della fraternità, e professiamo l’osservanza dei consigli evangelici. Attendiamo con assiduità alla preghiera, alimentando la carità fraterna, vivendo nella vera penitenza e nell’abnegazione cristiana, in un cammino quotidiano di conversione evangelica, fino al: “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”.
In unione alla Famiglia Serafica, professiamo la Regola del Terz’Ordine Regolare: osserviamo il Vangelo del Signore Nostro Gesù Cristo, Crocifisso e Risorto, nella forma di vita ispirata a San Francesco d’Assisi in spirito di orazione e devozione, povertà e minorità, fraternità e missione-evangelizzazione.
Ci ispiriamo a S. Pietro d’Alcántara, nostro maestro spirituale, nella preghiera vissuta come contemplazione amorosa del Figlio di Dio, privilegiando la dimensione affettiva, per giungere alla piena conformazione a Cristo.
Alcantarine6La nostra missione
Interpellate dalla sofferenza di tanti fratelli, ci poniamo accanto ai poveri e a quanti vivono situazioni di emarginazione sociale.
La fraternità è il primo luogo dell’annuncio e fondamentale forma di evangelizzazione.
Annunciamo e testimoniamo a tutti, che Cristo Crocifisso è l’unico Redentore dell’uomo.
Il nostro stile è caratterizzato da povertà e minorità, semplicità e letizia.
Nella gioia di appartenere a Cristo suscitiamo e liberiamo le domande profonde, nascoste nel cuore dei giovani. Con pedagogia evangelica li accompagniamo nel discernere il fine principale per cui Dio li ha creati secondo l’intuizione carismatica trasmessaci da don Gargiulo.
Nella consapevolezza che Lui solo è il Maestro, facciamo nostra la missione educativa delle prime sorelle avendo cura delle persone a noi affidate, per renderle capaci di autentico amore e testimoniamo la certezza dell’amore misericordioso di Dio annunciando il tesoro della fede come unica via di salvezza.
La nostra famiglia religiosa nasce nella Parrocchia.
Nella Chiesa locale, casa e scuola di comunione, le nostre fraternità sono chiamate a vivere la dimensione profetica dell’unità, in spirito di obbedienza e minorità.
Cristo da sempre invia i suoi discepoli: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”.
Alcantarine5Il nostro slancio missionario, è a servizio della missione del Figlio di Dio per rendere testimonianza alla voce di Lui con la parola e con le opere.
Desideriamo far “conoscere a tutti che non c’è nessuno Onnipotente eccetto Lui”.
Fedeli alla missione della Chiesa, ci dedichiamo alla promozione umana e sociale dei fratelli in tutto il mondo perché scoprano la loro dignità di figli di Dio.
Dove siamo
Oggi siamo presenti in Italia, in Brasile, in Spagna, in Nicaragua, in Ciad e in Albania con un totale di 52 fraternità e di 376 suore ; le nostre case di noviziato sono tre con le loro sedi in Italia, Brasile e Nicaragua. La Casa Madre si trova in Castellammare di Stabia e la Casa Generalizia a Roma.
 Alcantarine
Facebook: Suore Francescane Alcantarine
Youtube: Canale Alcantarine

Dio si stanca dei grandi regni, mai dei piccoli fiori

“Dio si stanca dei grandi regni, mai dei piccoli fiori” (Tagore).

Sarà una affermazione inaccettabile, o stoica? Al poeta – un poeta sagace come Rabindranath Tagore al quale è giusto anche attribuire il merito e la gloria di essere drammaturgo, scrittore e filosofo – possiamo permetterlo…
La storia è testimone dei molti grandiosi eventi di ‘grandi’ popoli a tutte le latitudini e in tutto lo scorrere dei secoli e dei millenni. E’ testimone anche dei piccolissimi singoli eventi di ogni persona, di quel ‘piccolo fiore’ che è ognuno degli esseri viventi di natura razionale…
Le motivazioni dei saliscendi dei diversi ‘grandi regni’, dai Faraoni in terra d’Egitto, agli Inca, artefici di una delle maggiori civiltà precolombiane, alle attuali ‘potenze’ del Nord e del Sud del mondo, all’Est e all’Ovest, il loro formarsi, il loro ingigantirsi, il lento scomparire di alcune, debbono essere motivo e oggetto di anni di proficuo studio sull’evolvere umano-sociale…
“La storia è vera testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di vita, messaggera dell’antichità”. Lo ha lasciato scritto Marco Tullio Cicerone. Diventerebbe un prendere visione del passato e del presente, e avvertimento per il futuro. “Il passato ha sufficiente luce per il presente” (F. Scalia).
Ogni ‘creatura umana’, appartenente a grandi o piccoli Paesi, a grandi o piccole comunità – anziana o vibrante giovinezza, affaticata o vigorosa, delusa o appagata – è un ‘piccolo fiore’ nelle mani di un Giardiniere attento, che sa come e quando innaffiare, come e quando ripulirlo dalle foglie rinsecchite. Sa proteggerlo dalle gelate invernali, coprirlo con la sua ombra nelle torride giornate estive. Sa quando e come potarlo, perché possa ri-fiorire più vivo e più bello.
Ogni ‘fiore’ ha la sua propria ben definita storia e, volente o nolente, vi ritorna. Sa in quale momento e in quale modo, ora proteggendo ora potando, con quale gesto adeguato il ‘famoso’ Giardiniere è intervenuto nella propria vita perché si potesse continuare o ri-tornare ad essere il fiore cresciuto – sì – nella fragilità di un ‘vaso di creta’ (cfr 2Cor 4,7), ma pur sempre da Lui amato. E allora pochi o molti – nelle singole tonalità di colori e di forme – i ‘piccoli fiori’ potranno formare quel ‘paesaggio di pura bellezza’ che potrebbe essere ogni comunità, ogni famiglia, ogni gruppo di lavoro. Non è necessario essere alla ribalta, in primo piano, ai primi posti… “Il fiore si nasconde nell’erba, ma il vento ne disperde il profumo”. Lo afferma ancora il grande poeta Tagore.
Biancarosa Magliano, fsp

La mistica della vita comune (SERENA NOCETI)

Nella sua omelia ai vescovi, sacerdoti, religiosi, seminaristi, in occasione della Giornata mondiale della gioventù del 2013 (Rio de Janeiro, 27 luglio 2013), papa Francesco esortava a «essere servitori della comunione e della cultura dell’incontro. […] quasi ossessionati in questo senso». Sulla centralità della vita comune, quale spazio per sperimentare la salvezza di Dio e maturare in umanità, il papa è ritornato più volte nei suoi discorsi, omelie, catechesi e il tema della comunione, a livello ecclesiale e sociale, segna le pagine della Evangeliigaudium. Documento programmatico per il pontificato (EG 25), in ordine alla conversione dei cuori e al rinnovamento ecclesiale a tutti i livelli, l’Esortazione apostolica guida i credenti e le persone di buona volontà a cogliere nella vocazione alla comunione l’orizzonte per una vita umana autentica e un valore qualificante l’esperienza di fede cristiana. Quanto affermato particolarmente rilevante e impegnativo per coloro che, per scelta di vita, con la professione religiosa, optano per una forma di vita comune e comunitaria. Evangeliigaudiumoffre a questo riguardo profonde motivazioni e preziose indicazioni: accompagna a riconoscersi «chiamati/e insieme» e a cogliere la dimensione sociale dell’annuncio cristiano; segnala – con sapienza e “senso pratico” – atteggiamenti e prospettive necessari per vivere in comunione e comunità; richiama il significato escatologico ed ecclesiale di una vita in comunione.
Riconoscersi chiamati insieme
La visione ecclesiologica di papa Francesco si sviluppa sulla scia della visione di chiesa del concilio Vaticano II: la chiesa è popolo di Dio, formato da battezzati, tutti soggetti attivi nell’evangelizzazione e nell’opera missionaria. La chiesa vive di una dinamica di comunione, che nasce dall’annuncio del vangelo accolto nella fede. Una comunione aperta, dinamica, missionaria; una missione generosa e solidale, vissuta insieme, mediata
in parole significative, attestata in gesti di carità concreta. Richiamandosi alle parole di Gesù nell’ultima cena (Gv 13,35; 17,21), il papa scrive: «Ai cristiani di tutte le comunità del mondo desidero chiedere specialmente una testimonianza di comunione fraterna che diventi attraente e luminosa» (EG 99). Il modo di vivere i rapporti umani nella chiesa, la forma in cui viene organizzata la partecipazione, la capacità di ascolto e comprensione reciproca costituiscono un primo segno essenziale attraverso cui la missione ecclesiale si sviluppa, prima di ogni annuncio verbale. Tale comunione non è frutto di sforzi di volontà, né può nascere da imposizioni giuridiche o legalistiche, ma è opera dello Spirito santo, che
trasforma i cuori e dona una comunione autentica nell’amore. Ancora più profondamente, papa Francesco ricorda che lakoinonia ecclesiale media la partecipazione alla comunione trinitaria, dove «ogni cosa trova la sua unità» (EG 117).
A fondamento di questa lettura ecclesiologica stanno una visione antropologica e un’idea di salvezza che pensano l’essere umano come persona, soggetto in relazione. L’essere umano è stato creato a immagine della comunione divina (EG 178), per cui la salvezza non è individuale, né può essere ridotta a prospettive individualistiche. Citando Lumen gentium9, il papa ricorda che «nessuno si salva da solo, cioè né come individuo isolato né con le sue proprie forze. Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali che comporta la vita in una comunità umana» (EG 113). In questa prospettiva il papa insiste più volte sulla dimensione sociale del Vangelo, sulla testimonianza di relazioni di amore capaci di esprimere la fede nel Dio amore, sul senso del “Noi” che sia critica e superamento di quella postmoderna cultura del narcisismo esasperato, in cui le istanze e i desideri dell’Io sono posti sempre al di sopra di tutto, di cui siamo succubi e talora anche responsabili. L’insistenza sul “Noi” è scevro da qualsiasi tentazione di omogeneizzazione o uniformiamo:Evangelii gaudium richiama più volte il pluralismo, di doni e compiti, di culture e linguaggi, di cui la famiglia umana e la chiesa sono arricchiti e di cui ogni autentica unità vive.
Chi vive secondo queste prospettive e si adopera per una trasformazione sociale e culturale alimentate da questa visione percorre un cammino di reale umanizzazione e fede autentica: «quando viviamo la mistica di avvicinarci agli altri con l’intento di cercare il loro bene, allarghiamo la nostra interiorità per ricevere i più bei regali del Signore. Ogni volta che ci incontriamo con un essere umano nell’amore, ci mettiamo nelle condizioni di scoprire qualcosa di nuovo riguardo a Dio» (EG 272).
Camminare in comunione
Nel secondo capitolo, dedicato alla crisi dell’impegno comunitario, il papa segnala – in rapporto allo sviluppo della comunicazioni – l’importanza di «scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica, che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio»(EG 87). Un passaggio rapido, espresso nell’evocativo stile di papa Francesco, estremamente significativo per delineare prospettive concrete in cui si esprime e si realizzala comunione fraterna e sororale. Si tratta per questo di maturare in alcune convinzioni e atteggiamenti che rendono possibile questo vivere insieme, mescolarsi, incontrarsi, prendere in braccio, appoggiarsi, partecipare, a tutti i livelli e in tutte le diverse forme di vita comunitaria che ci vedono protagonisti.
Una prima pre-condizione tocca la nostra autocoscienza: dobbiamo riconoscerci “persone in relazione”, segnati da una intersoggettività costitutiva, e per questo imparare a uscire da noi stessi per vivere la solidarietà e la compartecipazione di ciò che siamo; «superare il sospetto, la sfiducia permanente, la paura di essere invasi, gli atteggiamenti difensivi»(EG 88) per aprirci alla gioia del rapporto con l’altro, all’accoglienza del dono che ci viene fatto, alle proposte di cammino comune che ci vengono rivolte.
In secondo luogo diventa essenziale imparare ad affrontare tensioni e conflitti che sempre segnano la vita comunitaria. Davanti all’altro, alla percezione di una differenza ” scomoda”, le reazioni più comuni sono da un lato quella della fuga, di dare la colpa all’altro, di sottrarsi alla propria responsabilità, dall’altra quelle “del silenzio per amore di pace”, di una spiritualizzazione e una sublimazione che “si rifugia nella preghiera” per non affrontare il confronto, la rimessa in gioco di ciò che siamo, la conversione. Il papa è particolarmente lucido sulle dinamiche del conflitto e su quanto, se non affrontate, avvelenino il vivere insieme e l’esercizio della comune missione. Al tema dedica un paragrafo “L’unità prevale sul conflitto” (EG 226-230), in cui – con coraggio e chiarezza– mostra come attraversare il conflitto, maturando in esso, e trasformarlo in un “anello di collegamento ” verso il futuro, perché «il conflitto non può essere ignorato o dissimulato. Deve essere accettato.[…] ma quando ci fermiamo nella congiuntura conflittuale, perdiamo il senso dell’unità profonda della realtà» (EG 226).
L’atteggiamento basilare che deve abitare la coscienza di ogni credente e diventare atteggiamento abituale per giudicare la realtà e stile di comportamento per operare è la misericordia. Il lemma” misericordia” appare come una specie di leitmotivdi Evangelii gaudiume di tutto il pontificato: ritorna nel testo ben 35 volte, spesso in citazioni bibliche. La misericordia è indicata come “la più grande delle virtù” (EG 37) e il cuore del messaggio cristiano. È fedele al vangelo chi vive nella misericordia(EG 193); «la chiesa deve essere il luogo della misericordia gratuita, dove tutti possano sentirsi accolti, amati, perdonati, incoraggiati a vivere secondo la vita buona del vangelo» (EG 114).Perché questo avvenga, anche nella comunità religiosa, la misericordia deve declinarsi in atti e atteggiamenti di perdono e di sostegno dell’altro nella risposta ai suoi bisogni, nella coscienza del limite e della fragilità che segna ogni vita umana, la nostra e quella del fratello/sorella.
Ciò che deve guidare, poi, la crescita della comunità è la consapevolezza che il “tutto è superiore alla parte” e alla somma delle parti(EG 234-237). Il tutto è dato, infatti, anche dalle relazioni che sussistono tra le parti e dalla coscienza di formare insieme il Noi, quali parti co-costituenti. Il papa ricorda che una tale visione non comporta l’annullamento del singolo o forme fusionali che impediscono lo sviluppo individuale: «una persona che conserva la sua personale peculiarità e non nasconde la sua identità, quando si integra cordialmente in una comunità, non si annulla ma riceve sempre nuovi stimoli per il proprio sviluppo. Non è la sfera globale che annulla, né la parzialità isolata che rende sterili» (EG 235).
 
Testimoni di comunione nella misericordia
Il concilio Vaticano II richiama i religiosi al senso ultimo della loro scelta di vita: essere segno vivente nella chiesa e per la chiesa del Regno di Dio, comunione con Dio e unità tra le persone e i popoli (cf. ad es. Lumen gentium, 44). La vita comunitaria appare in tutto il suo carattere di profezia di questo mondo nuovo, in cui si vive nell’amore per Dio e per i fratelli/sorelle, capaci di dare e ricevere nell’agape. L’Esortazione apostolica di papa Francesco delinea le vie concrete di una rinnovata vita nella misericordia che rende possibile questa testimonianza vivente di comunione. In primo luogo, essa sollecita a una meditazione continua del nucleo sorgivo della vita cristiana battesimale, su cui si sviluppa la professione religiosa: l’amore misericordioso di Dio e la partecipazione per grazia alla sua santità. Questa contemplativa inserzione nel mistero di Dio permette di cogliere le linee di una autentica maturazione umana e di sviluppare alcune qualità interiori che rendono poi possibili l’accoglienza e la convivenza: il sentimento di umiltà e bontà, con il riconoscimento umile della tentazione sempre presente di autoaffermazione e di difesa a oltranza del proprio interesse a scapito degli altri, e la longanimità di un animo grande, aperto al futuro e alla speranza di un cambiamento sempre possibile, per l’altro e per noi stessi. La coscienza del limite(proprio e altrui), la magnanimità del cuore, la capacità di compassione e tenerezza sono al cuore di questa mistica e qualificano l’ascesi comunitaria, non nella forma di uno sforzo immane di volontà, ma nella grata aperturaal mistero di Dio e dell’altro. L’esperienza del peccato e della caduta segna ogni vita umana; sitratta di accettare questo fatto e accogliere ogni persona a partire dalla sua fragilità: «Beato l’uomoche conosce la sua debolezza, questa conoscenza sarà per lui fondamento e principio di tutte le cose belle e buone», come scrive Isacco di Ninive. Secondo la ScritturaDio manifesta la sua longanimitànell’essere lento all’ira e nello spegnere le contese; per l’uomo di conseguenza lamisericordia comportala capacità di superare le offesericevute, saggezza e pazienzanel replicare, autodominio, generositàdavanti a manifestazioni di bisogno e richieste di perdono. In un mondo di durezza e di competitività, le relazioni comunitarie nella chiesa e nella vita religiosa, a titolo peculiare, devono essere segnate da compassione e tenerezza: com-prendere l’altro/a, arrendersi alla sua presenza e al coinvolgimento che consegue, porre segni quotidiani di rispetto, attenzione, delicatezza. Consapevoli che di questo e per questo cresce la vita comunitaria, vera icona della comunione divina, autentico spazio di realizzazione dell’umano.
Serena Noceti
teologa
via Libero Andreotti, 54
50142 Firenze

Editoriale – Comunione di vita (FERNANDA BARBIERO)

Editoriale
La comunione è al centro dell’attenzione del presente numero della Rivista. Anche se sulla comunione si è parlato tanto da sembrare di aver detto tutto, e perciò di non aver nulla di nuova da mettere in attenzione, vogliamo ritornare a parlarne perché accostare la realtà della comunione significa risalire alle sorgenti dell’esperienza cristiana e entrare in una visione trinitaria delle cose: quella che i Padri, soprattutto dell’oriente, ci hanno tramandato1.
In principio la comunione
Dio esiste come evento di comunione. In Dio la comunione non è una struttura, una relazione che esiste per se stessa, ma una Persona: il Padre che è la causa della generazione del Figlio e della processione dello Spirito Santo. Il Padre, fonte unica della divinità, da tutta l’eternità condivide la sua essenza divina con il Figlio e lo Spirito e ciascuno la fa sua e la ridona di nuovo.
La comunione in Dio, perciò, si manifesta non come minaccia all’alterità, ma come il grembo che la genera. Affermare l’alterità è fondamentale per la comunione. La persona non esiste senza la comunione, così come non esiste nessuna forma di comunione che neghi o assoggetti la persona.
La persona è un “Io” che esiste solo nella misura in cui si relaziona a un “Tu” che afferma la sua esistenza e la sua alterità. Una identità che emerge attraverso le relazioni. Questo è ciò che distingue la persona dall’individuo. La persona è alterità in comunione e comunione nell’alterità.
Al fondamento di tutto c’è la comunione. Una comunione che deriva da una persona concreta e libera e che conduce a delle persone concrete e libere. Se non è così allora la comunione non è ad immagine dell’essere di Dio, della Trinità2.
 
Fraternità che attrae
Si tratta -dunque- di imparare a vivere la comunione facendo esercizio di comunione, per contribuire ad edificare insieme la Chiesa che è “casa e scuola di comunione” per ogni uomo3. Se la nostra vita si colloca sempre nuovamente in questa visione, allora siamo in grado di realizzare una fraternità autentica, una fraternità testimoniale, che attrae”4.
Papa Francesco ricorda che la koinonia ecclesiale media la partecipazione alla comunione trinitaria, dove «ogni cosa trova la sua unità» (EG 117). La nostra partecipazione sacramentale al soma pneumatikon di Cristo, Volto del Padre e Unto dello Spirito, ci fa entrare nella realtà della Trinità. Per cui nella Chiesa, Corpo di Cristo, la Trinità ci colma delle energie dello Spirito, fonda e nutre la nostra vita, di modo che l’antropologia stessa diviene trinitaria.
Si tratta di recuperare il mistero che il Battesimo ha compiuto in noi: il mistero della rigenerazione, che è come dire il cammino verso la piena somiglianza con Colui che ci ha amati per primo.
Ora la comunione che possiamo vivere tra noi passa attraverso la nostra rigenerazione, ossia mediante l’unione della nostra umanità con la divinità di Cristo. Come sarebbe possibile vivere il comandamento dell’amore (Gv 13, 34) se il cristianesimo fosse basato solo sulla dimensione umana? Uniti a Cristo noi riceviamo il suo amore e possiamo farlo nostro e viverlo.
Per grazia
La situazione attuale della Vita religiosa ci mette davanti ad alcuni interrogativi.
Dove ci troviamo? Quale spazio di incontro e di convivenza stiamo costruendo? Verso quale figura di donna, di consacrata stiamo andando”? In questa transizione servono persone mature e disposte alla relazione e ai legami fraterni, ecclesiali e sociali, con uno sguardo nuovo sulle varie povertà e sulle speranze diverse che pure abitano le nostre città. Le singole persone sono profondamente toccate da questa situazione. Nelle comunità si va cercando con anelito sempre più consistente un luogo di incontro e di umanizzazione profonda che sia segno umile e forte dell’apertura al mistero di Dio al quale ci siamo votate. Non sarà questa situazione invito e segno ad uscire dalla propria terra e andare verso il luogo promesso, a noi dal Signore? Nella vita del discepolo, occorre ricordarlo, ogni espressione caritativa e sociale è conseguenza dell’unione con Cristo non semplicemente la realizzazione di sé, del senso del proprio vivere. E quanto consegue all’unione con Cristo, tutto ciò che viene da Lui, si manifesta per “grazia”: sola gratia.
La Pasqua di Cristo in noi
È l’obbedienza della fede a noi chiesta. È la logica pasquale in cui il Signore ci vuol far passare, un kairòs di speranza, di vita. La dimensione della comunione in questa ottica presuppone la pasqua, assecondando la dinamica di uscire da noi stessi e di aprirci all’altro. La realizzazione di quello che siamo nella nostra vera identità sta nell’arte di morire per risorgere.
Così la nostra esistenza, si trova a testimoniare il dilatarsi della Pasqua di Cristo in noi, si trova a rivelare l’opera che il Signore compie in noi. E questa è grazia! La via della pasqua è la sola che ci porta alla comunione con l’altro, sia esso Dio o un altro essere umano. “Questa via pasquale della comunione non dipende dalle qualità che l’altro può o non può avere. Venendo verso di noi, mentre eravamo ancora peccatori, per portarci alla comunione con sé, Cristo ha applicato il principi trinitario per il quale la persona non è identificata con le sue qualità, ma con il fatto che è”5. Non possiamo fare discriminazione tra coloro che sono degni della nostra accoglienza e coloro che non lo sono.
 
Nello stile dell’amore di Dio
Ci orienta il vangelo: ossia la Parola di Dio che ci consegna il comandamento nuovo, quello dell’amore declinato in misericordia. Il movimento della ri-edificazione delle comunità richiede l’apertura alla vita nuova infusa in noi dal Battesimo. La comunione può funzionare solo se la vita fraterna ha il suo centro nell’uomo nuovo. La nostra vita di comunione è possibile solo se è vissuta da persone nuove. Non è un carattere più o meno socievole,un temperamento felice che fa funzionare la comunione. Senza la vita nuova è impossibile la vita comunitaria. Si tratta di una nuova capacità di visione. Si tratta di vedere le persone in modo nuovo, si vede con gli occhi dell’uomo interiore, l’uomo interiore dell’altro. Quando sento che mi disturba qualcosa che vedo nell’altro, questo non mi metterà contro di lui, ma sarà, per me, un motivo per unirmi a Cristo e per liberarmi dai miei gusti, dalle mie inclinazioni e dalle mie pretese, perché ormai “noi non conosciamo più nessuno secondo la carne” (2Cor 5,16).
La cura dello sguardo
Allora è necessario esprimere comunità che diffondano la vita nuova. Perché la vita nuova non si crea, si rivela semplicemente per il fatto che ci è donata. Si tratta di riuscire a esprimere quell’amore fattivo che l’incontro con l’amore di Dio in Gesù Cristo ha creato in mezzo a noi. Se è vero che “l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spinto Santo che ci è stato dato” (Rm 5,5), dobbiamo riconoscere effetti concreti, visibili di questo dono invisibile. L’accoglienza dell’amore di Dio ha un corpo visibile nell’accoglienza della comunità fraterna; altrimenti non è, e non diventa credibile. L’importante non è cosa faccio e che cosa sono, ma dove guardo e che cosa vedo. Vedo il mio “io” in tutte le cose o vedo l’altra, la sorella? Ecco allora la cura dello sguardo, di come mi pongo di fronte all’altro, come mi accosto alla sorella. In fondo si tratta di essere attenti a sostenere la nostra parte redenta, la persona riconciliata, l’uomo nuovo. Questo è il principio di attrazione e questo è l’essenziale della vita comunitaria e anche quello che ci fa felici.
***
Alle nostre lettrici mettiamo tra le mani questo nuovo numero della Rivista che fa presagire fin dalle prime pagine testi di rara densità e ricchezza sul tema della vita di comunione. È questa una dimensione costitutiva della vita religiosa. Auguriamo una proficua lettura lungo i giorni di quest’ultima parte dell’Anno dedicato alla vita consacrata, alle sue croci e alle sue speranze.
Note
1 Cf I. ZIZIOULAS, L’essere ecclesiale, tr.it. (or. franc. Labor et Fides, Genève 1981), Qiqajon, Bose 2007, spec. le pp. 7-149.
2 Cf M. CAMPATELLI, Ordo amoris e vita fraterna, in AA.VV., Amare sempre o amare per sempre?,CISM, 2013, pp. 48-49.
3 CfNovo millennio ineunte, 43.
4 PAPA FRANCESCO, Discorsoai partecipanti all’Assemblea nazionale della Conferenza Italiana Superiori Maggiori (CISM), 7 novembre 2014.
5 M. CAMPATELLI art. cit.
Fernanda Barbiero
Suore Maestre di S. Dorotea
Via Raffaele Conforti, 25 – 00166 Roma
fernandabarbiero@smsd.it

Consacrazione e Servizio, n. 5 settembre-ottobre 2015

CeS5_2015EDITORIALE
(FERNANDA BARBIERO)
PERCORSI
L’arte del passaggio
(ORSOLA BERTOLOTTO)
TALITÀ KUM – IO TI DICO: ALZATI (MC 5,41)
La Cananea
(MARIA PIA GIUDICI)
ORIZZONTI
Germogli di un’altra umanità
(NUNZIO GALANTINO)
Quando la parola si fa profezia
(NUNZIO GALANTINO)
DOSSIER
Comunione di vita
La vita nuova e la comunione fraterna
(MARIA CAMPATELLI)
(SERENA NOCETI)
Il coraggio della sororità
(ELISA KIDANÈ)
Tra egoismo e vita comunitaria
(DONATELLA PAGLIACCI)
La crisi del sentimento di comunità
(ARMANDO MATTEO)
Non smettete di camminare gioiosi
(LUIGI GAETANI)
Le malattie della vita fraterna
(AMEDEO CENCINI)
Riconciliazione tra generazioni
(MARCO PAVAN)
Luci Del Vangelo
La vita Monastica domenicana
(MIRELLA CATERINA SORO OP)
Libro del mese
Giuseppe Savagnone,È davvero possibile un nuovo umanesimo?, Cittadella, Assisi
(LUCIAGNESE CEDRONE)
Vedere – Leggere
FILM:I nostri ragazzi
(TERESA BRACCIO)
Segnalazioni
(a cura di MARIA MERLINA)

Felicità in cammino

strada2Perché ‘Gioia di servire’? Il tema è sicuramente impopolare oggi e così diverso dai ‘valori’ che la società moderna propone. Papa Francesco a più riprese richiama sul fatto che la salute di un cristiano si vede dalla gioia. Ma non basta certo avere l’idea chiara di felicità per sapere come viverla secondo lo stile del Vangelo. Neppure è sufficiente affermare sono felice con Dio e questo mi basta perché la vita sia felicemente consacrata. Parole e propositi si misurano e si verificano nel vissuto quotidiano con gli altri e per gli altri. Certamente in ogni tappa del cammino, per tutti – credenti e religiosi compresi – rimane il rischio di cadere nell’individualismo che oggi chiude la vita interiore nella ricerca spasmodica dell’avere per sé o per brillare agli occhi degli altri. Il che finisce per trasformare in persone risentite e senza vita. Certo è istintivo per tutti fare dei propri desideri l’assoluto e persino scambiare la fede con le proprie sicurezze… La domanda è se e come ci si lascia interpellare dal Vangelo; se davvero se ne fa il vademecum per la vita di ogni giorno e per le scelte che ognuno, nel proprio piccolo spazio, è chiamato ad operare. La via per entrare nella gioia di servire è fondarsi sulla umile scoperta – poi consapevolezza crescente e sconvolgente esperienza – che Dio ci ama. Lontano da Lui l’amore si fa sempre accaparratore.

La gioia di servire non può quindi prescindere dalla fatica di passare dall’egocentrismo alla relazione. È terribile essere amati per ciò che si fa e non per ciò che si è: fa immaginare che “le persone intorno a noi guardino sempre e solo il ‘brutto’ che è dentro di noi; e questo sguardo è intollerabile” (J. Vanier). Allora ci si difende, si diventa duri, persino violenti. In ognuno c’è qualcosa di straordinariamente bello e integro. E di tutto questo il nostro mondo ha estremo bisogno perché in fondo al cuore di ognuno, più a fondo di ogni ferita, c’è un bambino in cerca di tenerezza… Dio, basterebbe una piccola scintilla di pura amicizia – e si sarebbe salvi; di amore – e si sarebbe redenti. Una mano tesa, un volto, uno sguardo aiutano a ritrovare l’immagine positiva di sé. Ma se la ‘mano tesa’ che dice ‘ti voglio bene’ non è sincera o non è fedele; se dice ‘ti amo’ solo perché lo ha imparato sui libri o semplicemente perché si ritiene autorizzata a dirlo, allora quel ‘bambino’ non oserà più prendere la mano che gli viene tesa e gli sarà insopportabile sentire qualcuno che dice: abbi fiducia!

È decisivo sapere quale padrone si serve, a chi ci si affida perché il Regno della gioia si sviluppi e cresca e diventi un grande albero alla cui ombra tanti possano trovare ospitalità.

Luciagnese Cedrone, ismc

Sinodo: in ascolto della famiglia

Chiesa sinodale in cammino

Come la Chiesa deve rispondere e “intercettare” i cambiamenti che interessano la famiglia nella società contemporanea? Rispondere a tale interrogativo è stato uno degli obiettivi del Sinodo straordinario dei vescovi del 2014. Ora è al via la seconda assemblea sinodale voluta da Papa Francesco sullo stesso tema: La Vocazione della Famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo.
La scelta delle due tappe ha consentito la più ampia possibilità di confronto e anche una evoluzione del dibattito nella Chiesa in vista di una mediazione condivisa fra i padri sinodali. Secondo il desiderio di Francesco proposte e riflessioni sono arrivate a Roma dai quattro angoli del mondo, da diverse Chiese locali, gruppi e comunità… Voci variegate che ora arricchiscono l’Instrumentum laboris, frutto e sintesi delle risposte al ‘questionario preparatorio’, ‘traccia di lavoro’ per il sinodo ordinario, che aprirà i suoi lavori il 4 ottobre prossimo. Peccato solo che non vi sia alcun cenno sul celibato in vista del Regno!…

In una situazione di enorme «fragilità»…

La famiglia è realtà “ferita” a causa di contraddizioni culturali e sociali, di natura socio-politica e socio- economica… Le giovani generazioni mostrano serie difficoltà ad “essere” e “pensarsi” come una famiglia, mentre una cultura ostile ha ridotto la tensione verso la famiglia al desiderio di costruire dei simulacri temporanei di essa. Certo ci vuole coraggio per formare una famiglia, riconosce Bergoglio. E insieme al coraggio è necessaria una grande consapevolezza: il matrimonio è una vera e propria vocazione, come lo sono il sacerdozio e la vita religiosa.

… ma intatta nella propria «forza»

La famiglia, progetto di Dio per gli essere umani, resta il “pilastro fondamentale e irrinunciabile del vivere sociale” e l’architrave dell’intera umanità, in quanto capace di reggere tutto il peso del suo tessuto connettivo. Le divisioni al suo interno si sconfiggono solo con l’amore. È fonte di grande speranza, perché cellula che dà vita alla spina dorsale del corpo sociale. Il matrimonio consacrato da Dio custodisce quel legame tra l’uomo e la donna che Dio ha benedetto fin dalla creazione del mondo; ed è fonte di pace e di bene per l’intera vita coniugale e familiare. La famiglia, in sintesi, è la comunità che risponde concretamente alla polverizzazione della collettività. E davvero è l’isola che permette all’acqua della società liquida di non invadere tutto il mondo. Comunità responsabile, prevale infatti sul disimpegno e sul consumismo dei sentimenti. Forse è il più grande gesto controcorrente della società attuale.

Luciagnese Cedrone, ismc
lucia.agnese@tiscali.it

I regali ci piacciono

regali1“Si posseggono solo i regali, non le prede”. Lo ha scritto Jean Bastaire nel suo libro Eros redento. Chi non ha mai provato quel dolce turbamento che assale quando sul tavolo, sul comodino, forse sul cuscino, o ‘nascosto’ in un cassetto trova, inatteso, un piccolo pacco dall’aspetto delizioso e con il proprio nome? Un pacchetto deposto lì da una mano amica, un cuore gentile.
Ognuno riceve e gradisce, si emoziona, solo per quei regali di cui ha una certa consapevolezza di esserseli meritati e guadagnati con la propria generosità, il proprio impegno, la propria vicinanza, pur, a volte, in una certa fluidità dei servizi offerti.
I regali hanno dimensioni e valori diversi, anche economicamente. Non perché piccoli, o insignificanti,  hanno minor pregio. Includono, o meglio, sono essi stessi un messaggio: dicono al ricevente che il donatore ha saputo, ha capito, ha sperimentato chi sei tu; e non importa con quale tipo di carta lo si avvolga; lo avvolge la luce calda e benefica di un cuore riconoscente.
La vita, con le sue gioie e le sue angosce, le sconfitte e le vittorie, è essa stessa tutta un regalo. Faticosa, deludente a volte, ma, vista nella luce di Dio, di solo Dio, è sempre degna di essere accolta, ‘posseduta’ e donata, ‘sprecata’ – direbbe sr Viviana Ballarin op – in quel servizio al prossimo che la rende più preziosa ancora.
Il regalo richiede, inoltre, uno stile, anche nel riceverlo. James Henry Leigh Hunt ha lasciato scritto: “Ricevere un regalo simpaticamente e nello spirito giusto, anche quando non hai nulla da dare in cambio, significa darne uno in cambio”.
La ‘preda’, anche se raggiunta, non ha senso. I ‘regali’ ci piacciono e li teniamo.
Biancarosa Magliano, fsp