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Il Creato, risorsa per riscoprirsi figli

risorsaPuò un lupo pascolare insieme ad un agnello1? Si è mai visto una pantera sdraiata accanto ad un capretto? O un bambino che conduce nella stessa mandria leoni e vitelli? Meraviglia ancora più strana: può un lattante giocare con una vipera2? La visione profetica di Isaia allarga i suoi confini di convivenza pacifica a tutte le creature esistenti e legittima una grande e forte convinzione: ci sarà una pace eterna che si estende a tutto l’universo creato tale da poter chiamare ogni creatura “fratello” e “sorella” come la tradizione francescana ha inaugurato. Nel frattempo noi uomini come ci poniamo nei confronti del mondo quale giardino da custodire e in cui noi stessi siamo custoditi? Possiamo interrogare nuovamente le pagine bibliche per trovare qualche riferimento interessante, magari poco conosciuto che ci istruisca sulla visione di Dio a riguardo di questo meraviglioso dono che sono la terra e l’universo e il nostro ruolo in esso.

All’interno dell’intera Bibbia ci sono molti esempi di impiego di animali e vegetali come simboli e metafore. Avete mai sentito parlare un’asina? Balaam, profeta non israelita, ne ha udito la voce3. Elia, il profeta che resuscitò il figlio della vedova di Zarepta, è stato nutrito da corvi che al mattino gli portavano pane e alla sera carne (1Re17,2-6). Il Primo Testamento abbonda di immagini e simbolismi naturali, l’arca di Noè e il pesce di Giona ne sono l’esempio più noto. Come dimenticare l’indifesa e amata pecora del profeta Natan a confronto con la sfrontatezza e il peccato del re Davide4 e il fascino della gazzella e del cerbiatto nel Cantico dei Cantici (2,9)? Secondo Gen 1,24-27 uomini e animali terrestri sono nati lo stesso giorno (uccelli e pesci ci hanno preceduto di un giorno), mentre per Gen 9,9-11, dopo il diluvio Dio ha stabilito un’alleanza con tutti gli esseri viventi, non solo con gli uomini: “quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi; con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e bestie selvatiche, con tutti gli animali che sono usciti dall’arca”.
Non è da meno anche il Nuovo Testamento in cui ad una semplice e tenera colomba è stata assegnata la grandezza della discesa dello Spirito Santo, e ad un gallo la memoria di un tradimento, quello di Pietro. L’elenco sarebbe molto lungo e si allargherebbe in modo spropositato se aggiungessimo anche i riferimenti botanici e vegetali. Tra le figure del mondo vegetale e della vita dei campi emergono quelle frequenti per esprimere la storia particolare dei rapporti di Dio con il suo popolo: la vigna, la vite, il seme, il frumento, la senape, il fico, i rovi e i cardi spinosi, la zizzania, la mietitura, l’agricoltura, la pesca ecc. Sono i simboli che Gesù prende volentieri per l’annuncio del Regno e i suoi segni di salvezza.
Chi conosce la Bibbia sa quindi che gli esseri viventi sono co-creature con noi. Sa che esse sono in relazione con Dio in una maniera differente da noi che “possediamo le primizie dello Spirito”5 e che il loro ruolo non è esauribile nel processo di mera predazione o sfruttamento. C’è altro, come la lettera i Romani sembra sperare: “L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio” (Rm 8,19-21). Il creato attende che l’uomo realizzi la sua chiamata ad essere figlio di Dio: quando l’umanità vivrà come creatura amata da Dio riconoscerà il creato stesso come partecipe di questo amore di Dio. Tutte le cose verranno ricapitolate, ricomprese, riavvolte, reinterpretate in Cristo, secondo il cuore di Cristo6. Il destino del mondo non è semplicemente quello di essere una riserva da predare ma una risorsa che come dice il termine stesso risorge e consente il risorgere. “Risorsa è sostantivo che deriva dal verbo ‘risorgere’, fortemente evocativo per un credente, e che già nell’etimo evoca rinnovabilità…ma le risorse naturali ed energetiche, minerali, animali e vegetali, che servono da base per l’alimentazione e i manufatti umani, non risorgono sempre se noi ne interrompiamo i cicli vitali”7. ‘Risorsa’ è un termine molto più rispettoso della vera vocazione della natura di quanto non si immagini. Si potrebbe pensare alla capacità del creato di rigenerarsi, di risollevarsi, di non aver spesso bisogno di manutenzione umana per vivere, come il vangelo di Matteo ci ricorda: “osservate gli uccelli del cielo: essi non seminano, non mietono e non raccolgono in granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre” (6,28). Il ciclo della vita è cantato nei Salmi “Tu mandi nelle valli acque sorgive perché scorrano tra i monti, dissetino tutte le bestie dei campi e gli asini selvatici estinguano la loro sete. In alto abitano gli uccelli del cielo e cantano tra le fronde. Dalle tue dimore tu irrighi i monti, e con il frutto delle tue opere si sazia la terra” (Sal 104). Ma la parola ‘risorsa’, molto versatile, si presta anche a significare per la creazione la possibilità di essere fonte per altri, oltre che per se stessa. La natura è risorsa, fonte di riscatto e risorgimento, per l’uomo, a cui appartiene. Dalla natura l’uomo impara la vita medesima, la saggezza delle stagioni, l’importanza della cura. Ma la prima grande risorsa offerta dalla natura consiste nello spettacolo che offre ogni giorno: la luce del sole e delle stelle, il soffio del vento, la forza dei temporali, l’energia delle acque, il profumo dei fiori, il linguaggio degli animali. Tutto concorre a renderci consapevoli che la vita non viene da noi: “è la natura stessa a sussurrarci i piani di Dio, il suo sogno su tutte le creature, la vocazione e il nome che egli ha immaginato per ogni sua creatura. E così la natura ci sussurra i sogni di Dio quando ci dice attraverso sorella acqua, dolce, fresca, umile, senza la quale l’umanità non avrebbe vita, che è la più ‘serva’, ma anche la più importante”8. Il mondo come occasione per rigenerarci-risollevarsi-risorgere nella nostra spiritualità di persone amate e volute da Dio. Gesù così guardava al suo ambiente da cui ha imparato a vivere e da cui ha recuperato simboli e linguaggi per farsi capire. L’evangelista Luca non trascura il senso della vista come prima occasione di riappropriazione del vero significato della natura: “Guardate i corvi, guardate i gigli; guardate il fico e tutte le piante” (capitoli 12 e 21). Ma anche Giovanni parla dell’invito di Gesù a guardare: “levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura” (4,35). La vista è sanata dalla contemplazione e impara a riconoscere le creature come compagne di viaggio, come esplosione di vita, che rallegrano gli occhi insegnando l’esilità dell’esistenza. Ma su tutto vigila Dio e il suo desiderio di renderci fratelli capaci di riconoscerci e di guardarci come tali, e lasciarcene rapire come Abramo in una magica notte stellata: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza»9.
sr Alessandra Rogiani, smirp
L’immagine, olio su tela è opera di Edward Hicks (1846); rappresenta “Noè che imbarca gli animali sull’Arca”, Museum of Art, Philadelphia.

1Secondo il profeta Isaia certamente! Leggere Is 66,25.
2 Qui si veda Is 11.
3Aggiungiamo che nella vicenda di Balaam apparve anche l’angelo del Signore: prima all’asina e solo successivamente al profeta! La storia intera si trova in Nm 22,22-35.
4 2Sam 12.
5 Rm 8,23.
6 Ef 1,10.
7 A questo proposito può essere interessante recuperare il tema della tenerezza verso il creato sviluppato da Giuliana Martirani nel suo libro “La civiltà della tenerezza” (Ed. Paoline, 1997) e da cui è tratta la citazione (p. 98)…il tema appare molto attuale anche per il nostro pontefice Papa Francesco.
8 G. Martirani pp. 103-104.
9 Gen 15.

COLPA DELLE STELLE – Film

colpa_delle stelleTitolo Originale: The Fault in Our Stars
Genere: Drammatico
Regia: Josh Boone
Interpreti: Shailene Woodley (Hazel Grace Lancaster), Ansel Elgort (Augustus Waters), Laura Dern (Frannie), Sam Trammell (Michael), Nat Wolff (Isaac), Willem Dafoe (Peter Van Houten), Lotte Verbeek (Lidewij Vliegenthart).
Nazionalità: USA – Distribuzione: 20th Century Fox Italia
Anno di uscita: 2014 – Origine USA (2014)
Soggetto: dal romanzo omonimo di John Green
Sceneggiatura: Scott Neustadter, Michael H. Weber
Fotografia: Ben Richardson – Musica: Mike Mogis, Nathaniel Walcott
Montaggio: Robb Sullivan r
Durata: 125′
Produzione: Temple Hill EntertainmentLa trama
Film tratto dal best seller omonimo di John Green, Colpa delle stelle, racconta la storia di Hazel e Augustus, due ragazzi malati di tumore e anticonformisti, uniti più che dalla malattia dal modo di vedere e affrontare la vita. Hazel è collegata ininterrottamente a una bombola d’ossigeno e grazie a una medicina sperimentale la malattia diagnosticata anni prima, sembra in regressione. Vive rinchiusa nel suo piccolo mondo senza poter sperare in un futuro migliore perché ha capito che non ci sarà nessun miracolo per lei. Un giorno però nella sua vita compare Augustus, affascinante, carismatico e pieno di vita, reduce anche lui da un cancro che lo ha privato di una gamba, cammina grazie all’aiuto di una protesi affrontando il mondo senza abbattersi. I due ragazzi si incontrano in un gruppo di sostegno per i malati terminali e tra loro nasce una straordinaria storia d’amore che diventerà una fugace vittoria su una minaccia che, implacabile, arriverà.
Ripercorriamo le tappe
Colpa delle stelle si snoda attraverso un filo conduttore che demarca il dramma dalla commedia in un alternarsi di sofferenza e umorismo, passione e ottimismo. I desideri spezzati e la tragica fatalità della vita sono presentati con leggerezza e intensità, con delicatezza e un’ironia mai fine a se stessa, e una capacità narrativa singolare. Il tenero intreccio della storia e lo stile disincantato e mai rassegnato dei due protagonisti, fa nascere nello spettatore una grande empatia esente da ogni forma di compassione. Il loro amore non è diverso da ogni altro amore, un legame forte più della malattia e della stessa morte. Tutto si svolge in un contesto di normalità, che sappiamo essere solo apparente per il gravare sui giorni di una sorte crudele che non esonera i due innamorati. Un destino di cui essi sono ben consapevoli. Alla base di tutto il racconto c’è la storia vera di Esther Earl che nel 2005 scopre di avere il cancro (morirà nel 2010, a sedici anni): «La nostra amicizia e la sua gioia di vivere sono state una grande fonte di ispirazione», dice l’autore del libro John Green.
Riflettiamo sulle parole
…DELL’ATTORE ANSEL ELGORT
«È una storia che fa sentire i giovani più ricchi di emozioni e allo stesso tempo mostra che a volte possono essere più intelligenti degli adulti. Noi giovani stiamo imparando a vivere, il nostro cervello è come una spugna. Siamo ancora in questa fase delle nostre vite in cui pensiamo tanto e a tante cose. Il mio personaggio è idealista. Uno che vuole lasciare la sua impronta sul mondo. Quando capisce che non può farlo, allora si butta giù. È un ragazzo con una teatralità innata: è pieno di emozioni, ma anche pieno di difetti. Il messaggio più importante del film e che non bisogna cambiare il mondo, quello che importa è come ti comporti con quelli che ti vogliono bene, il segno che lasci sulle persone che ti sono vicine».
DELL’ATTRICE SHAILENE WOODLEY
«È stata una fortuna aver recitato in Colpa delle stelle, mi ha insegnato più di qualsiasi scuola e mi ha reso più solida. Non abbiamo garanzie nella vita, né giustificazioni, e con i sensi di colpa e lo stress sprechiamo solo tempo ed energie. Questo film mi ha fatto capire che la vita è fuggevole, che non devi dare niente per scontato e che ogni mattina puoi esalare il tuo ultimo respiro. Per questo lavoro ho incontrato tante persone, alcune molto giovani, che stavano male; e così cose normalissime, che ne so, respirare, una corsa, mi sono improvvisamente sembrate speciali. Non mi sono mai sentita depressa o triste, però, mentre giravamo il film, perché penso che celebri la vita».
Utilizzo pastorale: alcune piste
Gli argomenti affrontati dal film sono dolorosi e impegnativi: la vita, la malattia, la morte, l’amore, il rapporto genitori-figli, il rapporto tra i genitori e la malattia dei propri figli.
Gli spunti di riflessione nascono dalle situazioni estreme all’interno delle quali Hezel e Augustus si trovano ad affrontare momenti gravi e inconsueti per la loro età. Il loro amore dona spessore al tempo, lo rende tangibile e ogni attimo che passa è un miracolo che si realizza.
– Il film non evidenzia il contrasto tra le situazioni ma lo esalta. Hezel e Augustus aggrediscono la malattia, la combattono con l’amore, la esorcizzano con la loro voglia di vivere. Sono capaci entrambi di superare gli ostacoli che il cancro presenta loro in conto. Non sentono pietà l’uno verso l’altra ma una forte complicità che li aiuta a colmare il buco nero della disperazione. In una realtà tutta in salita, si aprono all’amore come unica possibilità di sopravvivenza.
Un inno alla vita, attraversata dalle domande esistenziali che non sempre trovano risposta ma che legano le esistenze dei protagonisti e di ogni persona sulla terra.
– Colpa delle stelle pone la malattia in una luce che dà spazio e spessore all’ammalato rivelando che l’amore è più forte della compassione.
Tematiche: Rapporto genitori-figli; Famiglia, Adolescenza, Amore, Malattia, Morte
a cura di Teresa Braccio, fsp

LA VERGOGNA un’emozione antica

Alessandro Meluzzi
LA VERGOGNA
Un’emozione antica
pp. 174, euro 13,00
VERGOGNAAlessandro Meluzzi analizza un’emozione antica e viscerale, “rifiutata” dalle giovani generazioni, ma fondamentale e utile per l’evoluzione personale e sociale dell’individuo. Partendo dalla triste constatazione che viviamo in una società in cui soprattutto le giovani generazioni hanno imparato a non provare vergogna (o, meglio, hanno disimparato a provarla nel modo giusto), l’Autore sottolinea come la vergogna sia invece un sentimento connaturato, con cui non possiamo non confrontarci, fin da piccolissimi. È un’emozione con cui dobbiamo fare i conti tutti i giorni; infatti, scrive: “ è cambiato il modo di vivere la vergogna? Tantissimo, soprattutto attraverso il web. Oggi i giovani hanno imparato che la vergogna non esiste e, se c’è, allora è un’emozione per sfigati. I social network, in particolare, ci hanno insegnato a condividere tutto senza vergogna. Non c’è il pudore di mostrarsi nudi o semi-nudi. Non c’è il senso di colpa per aver aggredito qualcuno, attuando quello che prende il nome di cyberbullismo. E come vivevano le vecchie generazioni la vergogna? Cercavano di superarla! Ma è sempre un buon motivo tentare di non provare vergogna? Se la vergogna è un’emozione così primordiale, che viene suscitata in noi fin dai due anni di età, ci sarà pure una ragione”.
La vergogna è utile, non solo perché ci consente di capire che abbiamo sbagliato ma anche perché ci permette di riflettere su una situazione che non vogliamo più rivivere. Ciò ci consente di evolvere. Ma di evolvere come? Attraverso gli altri. Diceva Sartre che l’inferno sono gli altri. Aveva ragione perché con gli altri ci confrontiamo e sono gli altri che ci fanno provare vergogna. In questo senso, evolviamo nei rapporti umani. E che cosa sono gli altri se non la prefigurazione dell’Altro, cioè Dio? In un continuo dialogo con gli altri e con Dio riusciamo a migliorare anche attraverso la vergogna, un’emozione antica e viscerale.
ALESSANDRO MELUZZI è laureato in Medicina e Chirurgia all’università di Torino e specializzato in Psichiatria. Baccalaureato in Filosofia al Pontificio Ateneo Sant’ Anselmo di Roma. Fondatore e direttore dell’International School of Investigative Criminology e docente di psichiatria forense nel Master di Analisi comportamentale e Scienze applicate alle investigazioni presso la Link Campus University. Portavoce della Comunità Incontro. Fondatore della Comunità Agape Madre dell’Accoglienza. Ipodiacono di rito greco-cattolico.

 

SCARTI – Incontrare e custodire l’umanità ferita

Laura Capantini

SCARTI
Incontrare e custodire l’umanità ferita
pp. 126, euro 12,50
SCARTI«La persona umana oggi è in pericolo! (…) Le persone vengono scartate, come se fossero rifiuti. Questa “cultura dello scarto” tende a diventare mentalità comune… La vita umana, la persona non sono più sentite come valore primario da rispettare e tutelare, specie se è povera o disabile, se non serve ancora – come il nascituro -, o non serve più – come l’anziano»
(papa Francesco, Udienza, 5 giugno 2013).
Questo libro nasce dal grido di allarme lanciato da papa Francesco e racconta di persone dall’esistenza marginale; queste persone sono tratteggiate in piccoli ritratti, disposti a disegnare una sorta di itinerario che si svolge nell’arco di una giornata. In ciascun momento – la notte, l’alba, il mattino, il mezzodì, il meriggio, il tramonto e la sera – si propongono due storie, che richiamano in modi diversi quel particolare momento del giorno. Ciascuna coppia di racconti è seguita da alcune parole, anch’esse legate per associazione o suggestione allo stesso tempo della giornata. Quasi un lessico minimo, per una cultura dell’accoglienza, della comprensione, della cura e della custodia, per un’ecologia dell’umanità.
Laura Capantini, laureata in Filosofia all’Università di Pisa e in Psicologia all’Università di Roma La Sapienza, insegna e opera da anni come formatrice e docente in vari corsi di specializzazione. Lavora come consulente psicologico a orientamento analitico transazionale e di psicologia di comunità nel campo educativo e del counseling con l’infanzia, gli adolescenti e i giovani, le coppie e la famiglia, con le persone con disabilità e patologie croniche. Si è occupata di progetti per l’alta marginalità e l’esclusione sociale, per lo sviluppo dei diritti umani, della solidarietà e della pace anche nei Paesi in via di sviluppo. Collabora abitualmente con riviste specialistiche del settore educativo, psico-sociale e spirituale.

Il Vaticano II: il Concilio della Bibbia

La Scrittura ritorna nelle mani dei credenti

Cinquant’anni fa, il 18 novembre 1965, finalmente, iI Concilio Vaticano II, verso la sua chiusura ( 7 dicembre 1965) promulga l’attesa Costituzione dogmatica, Dei Verbum (DV) sulla divina rivelazione. L’iter per la sua promulgazione fu lungo e faticoso, ma il risultato colmò l’attesa dei tanti ‘profeti’ e pastori, che mossi dallo Spirito, auspicavano la centralità della Scrittura nella vita della Chiesa. La DV recepisce le istanze fondamentali del movimento biblico del Novecento che desidera liberare il testo sacro dall’ interpretazione dottrinale e moralistica del tempo, che rendeva difficile la comprensione della Bibbia come parola di Dio in parole umane, promuovere una familiarità orante di tutti i fedeli con la Bibbia, riporlanelle loro mani dalle quali era stata esiliata. Autorevoli studiosi e pastori definirono il Vaticano II come il Concilio della Bibbia. I testimoni del Concilio ricordano, poi, che, in tutte le sessioni conciliari, la sacra Bibbia era esposta al centro della Basilica di San Pietro, che era usata come Aula del Concilio. Questa centralità del libro sacro era un simbolo inequivocabile del ruolo centrale della parola di Dio in tutte le deliberazioni del Concilio.

La novità della Dei Verbum emerge già dall’incipit del testo: «In religioso ascolto della parola di Dio e proclamandola con ferma fiducia» che riassume l’essenza della Chiesa, depositaria della Parola, nella sua duplice dimensione di ascolto e di proclamazione. La Parola di Dio, senza dubbio, è al primo posto nella auto – comprensione della Chiesa, che dal Concilio esce con il volto di discepola, serva e madre.

Ecco la grande svolta: prima del Vaticano II si riteneva che la rivelazione consistesse nelle verità da capire, ricordare a memoria e insegnare. La fede consisteva, soprattutto, nella loro trasmissione ripetitiva. La DV sottolinea, invece, che la rivelazione è ‘buona notizia’: Dio, che ama la vita, esce dalla sua solitudine e, tramite la sua parola, intreccia con l’umanità una relazione di alleanza . Egli «parla» per invitare gli uomini e le donne alla comunione con lui e da essi si attende quella risposta obbediente che s’identifica con la fede /relazione, prima che con il credere (cfr. Proemio basato su 1Gv 1,2-3). Il credere, in realtà, non è la prima fase del rapporto con Dio. La prima fase è, invece, l’incontro che scaturisce dall’ascolto. La parola di Dio non istruisce su dottrine alle quali l’umanità non può accedere con la sola ragione. Al contrario, è comunicazione viva da persona a persona. Si precisa che Dio parla «con eventi e parole» (n.2), vale a dire, nella storia che ha il suo compimento in Gesù Cristo (cfr. DV 2; 4; 7; 13). Per farsi capire, Dio usa la lingua degli uomini in tutte le sue forme espressive. Con la Dei Verbum, dunque, la centralità di Cristo, Parola incarnata diviene criterio ermeneutico assoluto.

Il capitolo VI dal titolo “La Sacra Scrittura nella vita della Chiesa” apre le piste per realizzare questa ‘conversione teologico pastorale’. In esso si afferma che la Bibbia non è un libro ‘religioso’ riservato a pochi eletti ma contiene la parola di Dio per la vita della Chiesa. Le sante Scritture sono ‘l’anima’ della vita e della missione della Chiesa, la sua fonte, la sua origine, la sua ispirazione; tutta la predicazione ecclesiastica e la religione cristiana deve essere nutrita e regolata dalla Sacra Scrittura (cfr.n. 21). Di qui la necessità di traduzioni nelle lingue moderne, dello studio dei sacri testi, con i nuovi metodi esegetici; la sua importanza fondamentale nella teologia e nella vita spirituale di tutti i credenti, i quali, soprattutto i religiosi, devono apprendere la ‘sublime scienza di Gesù Cristo’ con la frequente lettura delle divine Scritture (cfr. n.25). Questa pressante esortazione fu rafforzata dalla frase di San Girolamo: «L’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo». Si propone, quindi, un modo efficace per accostarsi al testo sacro definito della ‘pia lettura’ che oggi diciamo ‘lectio divina’.

La gioia che la DV suscitò nella Chiesa ricorda le parole di papa Giovanni XXIII, quando l’ 11 ottobre 1962, aprì il Concilio Vaticano II dicendo: «Gioisci Madre Chiesa». L’invito alla gioia ricorda quello dei profeti che vedono la novità di Dio in mezzo al suo popolo sofferente: «Rallegrati Gerusalemme…» (Is 49,13) e dell’angelo a Maria: «Gioisci il Signore è con te» (Lc 1,28)!

Giovanni XXIII in un tempo carico di gravi problemi che, al suo dire, ‘suscitano i profeti di sventura che annunciano sempre il peggio’, annunciò con coraggio profetico l’aurora di un giorno pieno di luce. Che cosa può essere questa luce se non la parola di Dio, testimoniata nella Bibbia, che è luce al nostro cammino, roccia solida, grazie alla quale la casa costruita su di essa resiste alle intemperie?

Siamo ancora all’aurora (Da sapere che)

· La DV fu preceduta dalle Costituzioni che riguardano il rinnovamento della liturgia, Sacrosantum Concilium (SC); l’identità della Chiesa: Lumen Gentium (LG) e seguita dalla Gaudium et Spes (GS) che riflette sul suo essere in ascolto e a servizio dell’umanità (7 dicembre 1965). La parola di Dio che anima ognuna di queste tre Costituzioni e ne costituisce l’asse portante testimonia l’importanza che la Bibbia ebbe nella riflessione conciliare.

· In questi cinquant’anni, la Bibbia o parti di essa è stata tradotta in 2454 lingue diverse. Restano altre 4500 lingue in attesa di essere confrontate con le sante Scritture. Dai calcoli delle Società Bibliche compiute nel 2009 risulta che solo il 2 per cento o quasi dei 2 miliardi di cristiani può leggere, se vuole, la Bibbia nella propria lingua! Tra questi quanti la ritengono l’unica luce al proprio cammino? Come disse Giovanni XXIII: ‘siamo ancora all’aurora’!

sr Filippa Castronovo, fsp