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A Bari, “un respiro autenticamente ecumenico”

A Bari, “un respiro autenticamente ecumenico

BARI2Il prossimo 7 luglio il Santo Padre si recherà a Bari, finestra sull’Oriente che custodisce le Reliquie di San Nicola, insieme a molti Capi di Chiese e Comunità cristiane del Medio Oriente per una giornata di riflessione e preghiera sulla situazione drammatica del Medio Oriente che affligge tanti fratelli e sorelle nella fede.

L’evento è definito “autenticamente ecumenico” dall’arcivescovo di Bari-Bitonto, mons. Francesco Cacucci che ne sottolinea, inoltre, l’eccezionale valenza storica. Mi riferisco alla capacità di coniugare la visione ecumenica tra le Chiese cristiane e l’attenzione particolare al Medio Oriente, per invocare la pace, ma anche per essere vicini ai nostri fratelli cristiani che vivono nella sofferenza. E non solo ai nostri fratelli cristiani. Si tratta cioè di passare da una visione che, sia pure encomiabile, è legata alla nostra Chiesa e al mondo cattolico, per avere un respiro autenticamente ecumenico.

La Chiesa di Bari rappresenta un ponte tra Oriente e Occidente e da sempre è consapevole della sua vocazione ecumenica. Questo grazie anche alla presenza del corpo di San Nicola, venerato sia dalle Chiese di Occidente, sia da quelle di Oriente.

Già il Patriarca Kirill, la scorsa estate, accogliendo le reliquie del Santo taumaturgo Nicola, aveva evidenziato – nella sua omelia a Mosca nella Cattedrale del Salvatore – come «davvero Bari è il centro che unisce Oriente e Occidente» ed aveva invitato a pregare perché questa città diventasse sempre più “città di mediazione”.

«Siamo convinti – affermava – che san Nicola, venerato dall’Oriente e dall’Occidente, sia ora in preghiera dinanzi a Dio per tutti noi. Oggi noi siamo ancora divisi nella misura in cui i problemi teologici trasmessi dall’antichità non ci danno la possibilità di ricostituire l’unità. Ciò nondimeno, come hanno previsto molti santi uomini, se il Signore vorrà riunire tutti i cristiani, ciò avverrà non per i loro sforzi, non in virtù di passi ecclesiastico diplomatici quali che siano, non per qualche accordo teologico, ma solo se lo Spirito Santo riunirà tutti coloro che professano il nome di Cristo. E siamo convinti che san Nicola, che ascolta le preghiere dei cristiani d’Oriente e d’Occidente, starà anche lui dinanzi al Signore a pregarlo di ricomporre l’unità della Chiesa. (Discorso di sua santità il Patriarca Kirill ricevendo le reliquie di san Nicola Taumaturgo nella cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca. Domenica 21 maggio 2017).

L’Arcivescovo di Bari-Bitonto, mons. Francesco Cacucci, nell’incontro avuto con il Patriarca Kirill a San Pietroburgo lo scorso 27 luglio, aveva ipotizzato e suggerito un impegno comune: «proporre San Nicola come patrono del cammino verso l’unità e la comunione”.

Il cammino ecumenico non è un cammino che si improvvisa. Sottolineo, dice Mons Cacucci che, immediatamente dopo il Vaticano II, monsignor Nicodemo – l’arcivescovo del tempo – di ritorno dal Concilio aprì la cripta di San Nicola agli ortodossi con una cappellina con iconostasi dedicata a loro. È stato il primo atto del genere a livello mondiale. E così, il cammino è continuato attraverso un dialogo costante con le altre confessioni cristiane ma, soprattutto, con il mondo orientale che continuamente viene qui a San Nicola per venerare le reliquie del taumaturgo. Si sottolinea molto la presenza del mondo russo, però vorrei dire che non è solo il mondo russo, ma è tutto il mondo orientale. Inoltre, sono presenti anche molti evangelici, la Chiesa anglicana e altre Chiese evangeliche.

L’incontro del prossimo 7 luglio, non avrà solamente una connotazione “ecumenica”, così come evidenziato dal comunicato della Sala Stampa Vaticana.

Sappiamo quanto drammatica sia oggi la situazione in Medio Oriente, quante persecuzioni, quante vittime e quanti conflitti insanguinano quelle terre, culla delle tre grandi religioni monoteiste.

D.S.

 

Maria, l’immacolata

immacMaria per singolare privilegio, è stata preservata dal peccato originale fin dal suo concepimento. Pur vivendo nel mondo segnato dal peccato, non ne viene toccata: Maria è nostra sorella nella sofferenza, ma non nel male e nel peccato. Anzi, il male in lei è stato sconfitto prima ancora di sfiorarla, perché Dio l’ha ricolmata di grazia (cfr Lc 1,28). L’Immacolata Concezione significa che Maria è la prima salvata dall’infinita misericordia del Padre, quale primizia della salvezza che Dio vuole donare ad ogni uomo e donna, in Cristo. Per questo l’Immacolata è diventata icona sublime della misericordia divina che ha vinto sul peccato. E noi, vogliamo guardare a questa icona con amore fiducioso e contemplarla in tutto il suo splendore, imitandone la fede.

Nel concepimento immacolato di Maria siamo invitati a riconoscere l’aurora del mondo nuovo, trasformato dall’opera salvifica del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. L’aurora della nuova creazione attuata dalla divina misericordia. Per questo la Vergine Maria, mai contagiata dal peccato e sempre ricolma di Dio, è madre di una umanità nuova. E’ madre del mondo ricreato.

Pensare a Maria, l’Immacolata comporta due cose. Primo: accogliere pienamente Dio e la sua grazia misericordiosa nella nostra vita. Secondo: diventare a nostra volta artefici di misericordia mediante un cammino evangelico. Ad imitazione di Maria, siamo chiamati a diventare portatori di Cristo e testimoni del suo amore, guardando anzitutto a quelli che sono i privilegiati agli occhi di Gesù. Sono coloro che Lui stesso ci ha indicato: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25, 35-36).

L’Immacolata Concezione di Maria ha uno specifico messaggio da comunicarci: ci ricorda che nella nostra vita tutto è dono, tutto è misericordia. La Vergine Santa, primizia dei salvati, modello della Chiesa, sposa santa e immacolata, amata dal Signore, ci aiuti a riscoprire sempre più la misericordia divina come distintivo del cristiano. Non si può capire un cristiano vero che non sia misericordioso, come non si può capire Dio senza la sua misericordia. Essa è la parola-sintesi del Vangelo: misericordia. E’ il tratto fondamentale del volto di Cristo: quel volto che noi riconosciamo nei diversi aspetti della sua esistenza: quando va incontro a tutti, quando guarisce gli ammalati, quando siede a tavola con i peccatori, e soprattutto quando, inchiodato sulla croce, perdona; lì noi vediamo il volto della misericordia divina. Non abbiamo paura: lasciamoci abbracciare dalla misericordia di Dio che ci aspetta e perdona tutto. Nulla è più dolce della sua misericordia. Lasciamoci accarezzare da Dio: è tanto buono, il Signore, e perdona tutto.

Per intercessione di Maria Immacolata, la misericordia prenda possesso dei nostri cuori e trasformi tutta la nostra vita.

Papa Francesco

Omelia, 08.12. 2015

© Editrice Vaticana

Figlia, la tua fede ti ha salvata…

Dal Vangelo di Marco                       Mc 5,21-43

ALZATIEssendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.

Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.

E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».

Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

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“Non t’importa che moriamo? ” avevano gridato i discepoli, in preda al panico, durante l’improvvisa tempesta del lago, e Gesù, prima di sedare il vento e l’acqua, aveva risposto: “…ancora non credete? “.

 Anche in questa domenica, il racconto di Marco ci fa incontrare due personaggi bisognosi d’aiuto, un uomo, sgomento di fronte all’imminente morte della sua giovane figlia, e una donna, colpita da anni da una penosa malattia, una di quelle che, nella cultura ebraica, era segno di impurità, e, perciò, causa di emarginazione. Ancora una volta dovremmo chiederci: ma perché?

In questa domenica, la risposta la troviamo all’inizio della liturgia della Parola, nel breve passo del libro della Sapienza, che così recita: “Dio non ha creato la morte, e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutto per l’esistenza; le creature del mondo sono sane, in esse non c’è veleno di morte, né gli inferi regnano sulla terra, perché la giustizia è immortale.

Sì, Dio ha creato l’uomo per l’immortalità; lo fece ad immagine della propria natura. Ma la morte è entrata nel mondo per l’invidia del diavolo…”

Il Dio che adoriamo è il Dio della vita, il Padre che non si è arreso di fronte al peccato, alla ribellione della sua creatura più bella, tanto che, per riconciliarla a Sé, ha assunto, nella persona del Figlio la stessa natura umana, e, in Lui, si è offerto alla morte, per far risorgere, nella Sua resurrezione, ogni uomo che voglia credere in Colui, che ha vinto il peccato, e la morte, e, con essa, ha vinto definitivamente il dolore.

I due miracoli, che il Vangelo di oggi ripropone alla nostra considerazione, pur essendo dei fatti strepitosi, non si fermano al semplice prodigio, ma ci rivelano, con la divinità di Gesù, la sua compassione per ogni dolore, e la necessità di fondare il rapporto con Dio sulla fede che salva.

«Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male»; con queste parole, Gesù risana la donna, riferendo la guarigione alla fede, ” la tua fede “.

Noi non sappiamo niente di quella donna, un povero essere emarginato, anonimo, utile solo per dare soldi a medici disonesti, una figura che presto si dissolverà tra la folla; una donna che, forse, aveva soltanto sentito parlare di questo Rabbi, che predicava uguaglianza, perdono, amore, e, nella sua angoscia, voleva solo avvicinarsi, per toccarne il mantello, sempre con la paura di essere individuata, lei che doveva tenersi lontana, per non contaminare gli altri.

Ed ecco, che questa donna, sembra acquistare, improvvisamente un nome: Fede, la fede che libera, e non soltanto dalla malattia e dal dolore, ma salva per la vita eterna.

“Va’ in pace e sii guarita dal tuo male ” con queste parole, il Signore le ridona pienamente vita e, quel che più conta, le dà la pace, che è dono della Pasqua: la redenzione dal male più insidioso che è il peccato.

Signore, mio Dio, a te ho gridato e mi hai guarito, Signore, mi hai fatto risalire dagli inferi,

mi hai dato vita, perché non scendessi nella tomba ( sl. 29 ).

Così canta il salmo che oggi accompagna la liturgia eucaristica, e, sembra sintetizzare, in pochi versi i due miracoli, di cui il Vangelo parla..

Infatti, mentre la gente ancora si accalcava attorno al Maestro, che aveva operato la guarigione, giunsero alcuni, della casa del capo della sinagoga, quel Giairo, che aveva supplicato per la figlia morente, i quali, portavano, appunto la notizia, che la fanciulla era morta.

“.. vieni a imporle le mani, aveva supplicato questo povero padre, perché sia guarita e viva»; e, in quelle parole, c’era tutta la forza della fede in Gesù di Nazareth.

Ora le cose sono mutate, la bimba è morta, e resta solo da fare il pianto rituale, in uso in certi paesi, allora come oggi.

La bimba è morta, ma Gesù guarda alla fede del padre:” «Non temere, gli dice, continua solo ad aver fede!», e, in queste parole, c’è la promessa del miracolo che, di lì a poco, avrebbe compiuto..

C’è un particolare importante, in questo avvicendarsi di personaggi e di voci, ed è il fatto, che il Maestro, “.. non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo…” i discepoli scelti come testimoni di grandi eventi; solo chi è animato da fede sincera, chi accoglie il Signore con semplicità e amore, viene introdotto da Lui nel Mistero del Dio della Vita.

La resurrezione della piccola, è un grande prodigio, come prodigio fu la resurrezione di Lazzaro e del figlio della vedova di Naim, ma, dietro al fatto straordinario, c’è già il discorso della Pasqua, della morte per la resurrezione, che, questi episodi sembrano anticipare.

“La bambina non è morta, ma dorme…”, aveva detto Gesù, entrando nella casa, ove le prefiche facevano già il lamento funebre, con pianto ed alte grida; si, la morte è come un sonno, dal quale ci si risveglia alla vita eterna, alla luce senza tramonto, nell’ abbraccio infinito col Padre.

L’approccio con questa realtà, che segna il confine tra l’esistenza temporale e l’Oltre, è accompagnato spesso dalla sofferenza e dall’ angoscia: è l’agonia, la lotta tra la vita e la morte; su questa realtà, Gesù vuole aprire gli occhi del fedele ad una visione serena, sarà Lui, infatti, a condurci nel passaggio alla vita eterna.

I gesti che il Signore compie presso quel letto di morte, sono, per noi, illuminanti e consolanti:

” Presa la mano della bambina, le disse: «Fanciulla, io ti dico, alzati!» “

Anche noi, e quanti credono, e crederanno in Lui, saremo presi per mano da Cristo, come si fa con un bimbo, che deve esser rassicurato; e saremo condotti al Padre, per godere in eterno lo splendore del Suo volto e la gloria del Suo amore.

sr M.Giuseppina Pisano O.P.

Chi sono i giovani?

Galimberti-203x300Chi sono i giovani? Quali desideri coltivano? La fede religiosa e la Chiesa hanno ancora un ruolo nella loro vita? La tesi che va per la maggiore disegna scenari apocalittici. I giovani di oggi sono nichilisti, sprecati e sdraiati. Disillusi su tutto, non credono più a nulla, assuefatti a un presente rattrappito, accartocciato su se stesso. Preludio di un futuro opaco, poco promettente. Ma è davvero così?

Questo libro è un viaggio scandito dall’incontro di giovani impegnati, tra mille peripezie, a scovare il senso della propria esistenza, a non disertare il destino cui sono chiamati, coscienti che a volte le paure sono solo speranze in controluce.

Armato di penna e taccuino, un loro coetaneo è andato a stanarli, in Italia e all’estero. Credenti e atei, studenti e lavoratori, sposati e conviventi.

I giovani e il lavoro. I giovani e l’amore. I giovani e la morte. I giovani e la vocazione. I giovani e la Chiesa. Le sfaccettature di un poliedro, la cui immagine rifranta l’autore prova a restituire, fornendo una chiave di lettura aperta alla speranza.

Con interviste a Alessandro D’Avenia, Franco Garelli, Chiara Giaccardi, Alessandro Rosina.

 

Alberto Galimberti

È una Chiesa per giovani? Proviamo ad ascoltarli

pp. 144, euro 15,00, Ancora, 2018

 

Sr Mariam: 50 anni di evangelizzazione silenziosa con le Piccole Sorelle di Gesù
Afghanist“Quando si è in missione in una terra come quella afghana, non si può evangelizzare in maniera tradizionale. L’unico modo per farlo è la vita. Nel corso degli anni ci sarebbe piaciuto farci portatrici del messaggio del Vangelo, ma potevamo farlo solo dando il buon esempio, provando a vivere correttamente come indicato nelle Sacre Scritture”. E’ la testimonianza rilasciata all’Agenzia Fides da C, una delle Piccole Sorelle di Gesù con un trascorso di quasi 50 anni in Afghanistan. Le religiose dell’Istituto femminile fondato nel 1939 da Magdeleine de Jésus, seguendo la via tracciata da Charles de Foucauld, arrivarono a Kabul per la prima volta nel luglio 1954 e, dall’anno successivo, cominciarono a lavorare come infermiere presso l’ospedale governativo della Capitale. Racconta suor Mariam: “Il popolo afgano è famoso per la sua ospitalità. Siamo state accolte in maniera straordinaria e, durante i periodi più difficili della guerra, abbiamo avuto molti amici del posto pronti a correre dei rischi pure di aiutarci”. Le Piccole Sorelle, infatti, rimasero in territorio afgano sia durante l’occupazione russa del 1979, sia nel corso della guerra civile iniziata nel 1992, spostandosi da Kabul unicamente per lavorare nei campi dei rifugiati di Jalalabad. Suor Mariam spiega che, anche dopo l’arrivo dei talebani, nel 1996, scelsero di continuare a prestare il proprio servizio negli ospedali indossando il burqa per passare inosservate: “Quando mi chiedono se è stato difficile vivere con la guerra, rispondo che dipendeva dai giorni. A volte avevo molta paura, i proiettili mi passavano accanto. Ma durante tutti questi anni mi sono sentita forte perché Dio non mi ha mai abbandonata. Ho imparato a vivere giorno per giorno, e ogni minuto della mia vita in terra afgana è stato davvero vissuto, grazie alla protezione di Dio”. Suor Mariam è rientrata in Svizzera nel 2016, quando l’Istituto ha preso la decisione di interrompere la propria missione in Afghanistan per carenza di giovani vocazioni: “E’ stato molto difficile tornare a vivere in Occidente, perché lo stile di vita è molto diverso. A Kabul la gente condivide, mette il poco che ha a disposizione di tutti. La vita è un po’ più semplice e naturale: si mangia sempre insieme, ci si riunisce intorno alle rare televisioni, non ci si preoccupa di avere un telefono all’ultima moda. La gente vive la propria piccola vita e, per molti versi, è più felice di noi, nonostante la guerra”. L’Afghanistan, paese al 99% musulmano, ospita attualmente un’unica parrocchia, con sede all’interno dell’Ambasciata italiana a Kabul, frequentata da circa un centinaio di persone, quasi esclusivamente membri della comunità diplomatica internazionale. Nella Capitale sono operative l’organizzazione inter-congregazionale di religiose “Pro Bambini di Kabul” e le Suore di Madre Teresa di Calcutta. Nel paese, inoltre, sono state avviate opere sociali ed educative da parte dei gesuiti indiani del Jesuit Refugees Service ed altre organizzazioni di ispirazione cristiana. (LF)

Da Agenzia Fides 25/6/2018)

L’arca dell’alleanza tanto importante nell’Antico Testamento era una cassa di legno di acacia, sulla quale era posto il ‘propiziatorio’ (Kapporet): un coperchio costituito da una placca d’oro con due cherubini uno di fronte all’altro e posti alle sue estremità.

ARCA1L’arca conteneva le’ tavole della testimonianza’ o ‘della legge’ che Dio aveva dato a Mosè (Es 25,16; 40,20; 2Cr 5,10). Perciò essa è anche luogo della presenza particolare di Dio in mezzo al popolo. Certamente non contiene Dio, ma simbolicamente è come lo sgabello dove egli poggia i piedi (cfr. 1Cr 28,2 e Sal 132,7).

Nel segno dell’arca sono collegati i due cardini centrali della fede d’Israele: la parola di Dio e la sua presenza. Dio si rende presente nella Parola che ha donato al popolo, il quale, a sua volta, ascoltandola vive in comunione personale con Dio. Il libro dei Numeri narra che l’arca assicurava che Dio, in mezzo al popolo, lo guidava verso la terra promessa. L’arca, infatti, precedeva gli israeliti nel loro cammino, scandendone le tappe. Al grido d’invocazione degli israeliti l’arca si alzava o si fermava (Num 10,33-36) Quando il popolo si fu stabilito nella terra promessa, l’arca, dopo varie vicende belliche durante le quali fu sottratta al popolo d’Israele (cfr. Sam 4, 5-6), fu posta da Davide in una tenda costruita appositamente. Alla sua morte il figlio Salomone la pone nel Tempio, nel luogo più sacro, detto il Santo dei Santi.

Nella lettura del Nuovo Testamento l’arca dell’alleanza indica la vergine Maria, che nel suo seno porta Gesù. L’evangelista Luca ci mostra che Maria, in cammino verso le montagne della Giudea, per andare da Elisabetta, è la nuova arca dell’alleanza che contiene la presenza del Signore in lei. Il viaggio di Maria richiama quello che l’arca compì quando Davide la trasportò a Gerusalemme e dinanzi alla morte della persona che l’aveva toccata il re esclamò: “Come potrà venire da me l’arca del Signore”? (2 Sam6,9). Elisabetta quando Maria entra nella sua casa, come il re Davide, esclama: “A che debbo che la madre del mio Signore venga a me”? Lc 1,43). Maria rimase circa tre mesi in casa di Zaccaria ed Elisabetta. Anche nel racconto di Davide l’arca prima di entrare in Gerusalemme rimase, come in una tappa provvisoria, tre mesi in casa di Obed – Edom di Gat (2Sam 6,10-11).

Il cammino finale dell’arca dell’alleanza era diretto nel Tempio di Gerusalemme, luogo della presenza di Dio, ma anche il cammino nella fede di Maria termina in questa città, dove sulla croce, fuori della città e dal Tempio (Eb 13,12), il suo figlio Gesù, presenza del Dio vivente, Parola fatta carne, comunica la salvezza e realizza nuova alleanza. Da risorto, presente con noi fino alla fine del mondo, conduce l’umanità in un esodo che conduce alla terra promessa della comunione definitiva con Dio.

Da Sapere

  • L’arca dell’alleanza, secondo i riferimenti biblici, fu nascosta da Geremia (2Mac2,4-8) all’interno dal monte Sinai per sottrarla alla distruzione. Storicamente sappiamo che con la distruzione di Gerusalemme e del Tempio da parte dei Babilonesi (inizi del VI sec. a.C.), dell’arca non vi è più traccia. La sorte dell’arca, perciò, rimane ancora tutta da scoprire.
  • La lastra dorata che copriva l’arca (kapporet) e che il Sommo sacerdote una volta l’anno nel giorno dell’espiazione (Yom Kippur) ungeva con il sangue dell’animale offerto a Dio, per l’apostolo Paolo è il corpo di Cristo in croce, unto di sangue (Rom 3,25).
  • Filippa Castronovo da www.paoline.it

San-Giovanni-1Dal Vangelo di Luca   Lc1,57-66.80

Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei.

Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccaria. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui. Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.

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La liturgia di questa domenica ci fa celebrare la natività di San Giovanni Battista, il precursore del Messia, il Cugino di Gesù, il profeta che indica nel mondo la presenza del Salvatore, colui che grida forte nel deserto la conversione delle persone, colui che battezza Gesù, colui che definisce Gesù “Agnello di Dio”. E’ particolarmente gradito ricordare nel Giorno del Signore, nella Domenica, colui che è stato il più grande dai nati di donna ed è stato fedele servitore di Cristo. La celebrazione di oggi ci porta a meditare su una figura di santo eccezionale, una vera colonna della fede e della testimonianza della verità e della giustizia, il “più grande dai nati di donna”.

Della sua eccezionale nascita ci parla il Vangelo di Luca di questa domenica. Cogliamo parallelismi significativi con il testo evangelico della nascita di Cristo. E’ evidente lo stretto rapporto non solo temporale, ma soprattutto spirituale e religioso che intercorre tra il precursore e Gesù, l’atteso unico messia e salvatore dell’umanità. Nella tradizione cristiana la festa della nascita di San Giovanni Battista è stata definita il “Natale dell’estate”, con chiare allusioni al mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio che nella liturgia cattolica celebriamo al 25 dicembre, costruendo essa il “Natale dell’Inverno”. Comprensibile anche la collocazione temporale della nascita del precursore a sei mesi dalla nascita di Gesù e a tre mesi dall’Annunciazione, ovvero concepimento di Cristo per opera dello Santo nel grembo verginale di Maria. Elementi biblici, teologici e liturgici che ci confermano della grande importanza che la solennità di San Giovanni Battista ha assunto fin dai primi secoli nella Chiesa, tanto che numerose sono le testimonianze del culto attribuito e vissuto nei confronti di questo colosso della santità. Di una santità che si è costruita nell’umiltà, nella penitenza, all’ombra del Messia, quale riflesso di luce e verità che promanava dal Figlio di Dio anche per Giovanni Battista. “Lui deve crescere, io diminuire. Io non sono degno neppure di sciogliere a Lui i legacci dei suoi sandali”. E’ la coscienza di una missione che è preparazione al vero Redentore dell’umanità. Giovanni non rivendica per sé un ruolo ed una missione che non ha; non prende il posto di Gesù, né ostacola la missione di Gesù, anzi la favorisce, invitando la gente alla conversione e ad un battesimo di conversione. E Gesù ricambia la sua ammirazione, la sua stima nei confronti del precursore, del suo battezzatore, del suo amato cugino con il quale oltre il momento del battesimo sembri che curi un dialogo a distanza, basato sulla stima reciproca e sull’intento comune da realizzare: quello della diffusione del Regno di Dio tra gli uomini. Un Regno di pace, giustizia, verità, bontà, amore universale. Giovanni anche a suoi più stretti collaboratori e discepoli indica questa strada maestra per incontrare il vero Maestro che è Cristo. Alla scuola di questo colosso della santità eucaristica, perché egli ha conosciuto personalmente il Cristo, vivo e vero, in corpo, sangue, anima e divinità, in quanto egli ha professato la fede in Cristo vero Agnello di Dio, immolato per la salvezza del genere umano.

agiscono.

A san Giovanni Battista si addice in modo singolare il testo della Prima Lettura della Messa odierna tratto dal Libro dei uno dei più grandi profeti dell’Antico Testamento, Isaia, legato in modo inscindibile alla figura del Cristo, come d’altra parte fu lo stesso Giovanni Battista “4Ascoltatemi, o isole, udite attentamente, nazioni lontane; il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fin dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome. Ha reso la mia bocca come spada affilata, mi ha nascosto all’ombra della sua mano, mi ha reso freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra. Mi ha detto: “Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria”. Io ho risposto: “Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze. Ma, certo, il mio diritto è presso il Signore, la mia ricompensa presso il mio Dio”. Ora disse il Signore, che mi ha plasmato suo servo dal seno materno per ricondurre a lui Giacobbe e a lui riunire Israele, – poiché ero stato stimato dal Signore e Dio era stato la mia forza – mi disse: “È troppo poco che tu sia mio servo, per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti di Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra”.

A San Giovanni Battista affidiamo il cammino personale ed ecclesiale della santità che come egli ci ha insegnato reca in sé le connotazioni della radicalità evangelica, la quale richiede scelte coraggiose in ogni campo e soprattutto in quello più tipicamente giovanneo quale è la penitenza, l’annuncio, la fedeltà ai principi morali ispiratori del nostro agire quotidiano. Giovanni Battista è sicuramente una grande luce che si è accesa nella storia di questa umanità, spesso richiusa in un deserto spirituale e morale senza vie di uscite. Egli è l’uomo e il santo della speranza e della fiducia in un avvenire migliore, purché questo sia incentrato sul Cristo ed orientato al vero Messia e alla buona novella del Regno.

A.R.

Il Papa a Ginevra

 “Pellegrinaggio ecumenico”

PAPA_GINEVRA1Giovedì 21 giugno c.a. il Papa visiterà il Centro ecumenico di Ginevra in occasione del 70° anniversario della sua fondazione. Fanno parte di questo Centro circa 350 Chiese protestanti, anglicane, ortodosse e veterocattoliche e comunità ecclesiali presenti in 110 paesi del mondo. Il Centro fu fondato il 23 agosto 1948 ad Amsterdam e ha sede a Ginevra. La Chiesa cattolica non è membro di questo Centro, ma teologi cattolici lavorano in importanti commissioni come membri a pieno titolo.

Inoltre, ogni anno si riunisce un gruppo di lavoro della Chiesa cattolica e del Centro ecumenico. Il motto della visita ‘Camminare – Pregare – Lavorare insieme’ rispecchia il tema del Pellegrinaggio di Giustizia e Pace, adottato dall’ultima assemblea del CEC come un leitmotiv di tutte le sue attuali attività. Riflette anche ciò che è stato definito da papa Francesco un ‘ecumenismo del camminare insieme’. Infatti in molte occasioni il papa ha incoraggiato le Chiese a camminare insieme nel testimoniare la loro fede e nell’affrontare le nostre sfide contemporanee.

Un evento che considera di grandissima importanza ecumenica visti i buoni rapporti tra il Consiglio Ecumenico e la Chiesa Cattolica tramite il Pontificio Consiglio per l’Unità dei cristiani. Un “Pellegrinaggio ecumenico” sulla scia del viaggio a Lund, in Svezia nel 2016, per la commemorazione del 500° anniversario della Riforma luterana, senza dimenticare i fraterni rapporti con il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, o lo storico incontro a Cuba con il Patriarca di Mosca Kirill.

Ed il significato di questa visita di papa Francesco è stato descritto dal card. Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani: “La visita costituirà un’occasione per rendere grazie a Dio per una lunga e ricca collaborazione che la Chiesa cattolica mantiene con il CEC da oltre mezzo secolo. In effetti, i nostri rapporti sono iniziati durante la preparazione del concilio Vaticano II. Il Vaticano II impegnò la Chiesa cattolica nell’attuale movimento ecumenico e aprì una nuova pagina nella storia delle nostre relazioni con il Consiglio ecumenico mondiale delle Chiese, dando origine a uno spirito di riavvicinamento e di reciproca comprensione.

A Ginevra nel corso della visita al Consiglio Ecumenico delle Chiesa, Francesco incontrerà anche una delegazione della Corea del Nord che insieme ai cristiani del Sud, partecipa alla grande Assemblea ecumenica che inizia domani. Centrale della visita a Ginevra anche il tema della pace ed il supporto delle Chiese per i rifugiati. Tra le quasi 350 Chiese del Consiglio Ecumenico, la maggior parte rappresenta realtà africane o asiatiche, da dove provengono molti rifugiati che fuggono verso l’Europa, culla delle tre confessioni cristiane come il cattolicesimo, le chiese ortodosse e quelle protestanti.

Come Pastore della Chiesa universale della Chiesa Cattolica, ogni viaggio papale comprende sempre l’incontro con la comunità cattolica. Così a Ginevra – come Paolo VI nel Parco de la Grange che Giovanni Paolo II nel Palazzo delle Esposizioni – Papa Francesco celebrerà la Messa sempre nel Palaexpo non solo con i cattolici della diocesi di Losanna, Ginevra e Friburgo, ma di tutta la Svizzera. Per il vescovo di Ginevra, mons. Charles Morerod in un’intervista all’Agenzia Sir, il Papa arriva in “una terra ricca di culture diverse che sanno convivere bene insieme ma anche un Paese dove il tasso di suicidi è tra i più alti di Europa e dove, nonostante il benessere economico, si può morire per noia. Eppure in questa terra nel cuore dell’Europa, sono andati esauriti nel giro di una sola giornata i biglietti messi gratuitamente online per partecipare giovedì prossimo alla Messa del Papa. Che cosa si aspetta la Svizzera dal Santo Padre? Il vescovo di Ginevra non ha dubbi: “Un messaggio di speranza e di gioia”.

 

 

Una donna per la Chiesa in Francia

Nominata segretario generale aggiunto della Conferenza episcopale

1Una donna come segretario generale (aggiunto) della Conferenza episcopale francese: è Christine Naline, 60 anni, quattro figli e otto nipoti, già responsabile della formazione dei catechisti a Lille, poi dei laici in missione ecclesiale a Nanterre. La nomina, per un mandato di tre anni, è avvenuta nei giorni scorsi al Consiglio permanente dei presuli francesi. Naline dovrà coordinare i servizi nazionali di pastorale.

«Sono rimasta colpita da questa scelta dei vescovi. Mostra che essi prendono sul serio la vocazione battesimale dell’insieme dei membri del popolo di Dio», ha detto Naline al quotidiano La Croix.

L’Osservatore Romano ricorda che nel 2016 Michel Aupetit, allora vescovo di Nanterre e oggi arcivescovo di Parigi, aveva chiesto a lei e a suo marito di organizzare il giubileo per i cinquant’anni della diocesi. Solo l’ultima di innumerevoli mansioni: «Ma ogni volta – sottolinea sempre Naline – rispondo solo dopo un tempo di discernimento, poiché non è mia intenzione far carriera nella Chiesa».

Altre donne nel mondo hanno già incarichi di prestigio nelle Conferenze episcopali: da suor Anna Mirjam Kaschner, segretario generale della Conferenza episcopale scandinava, a suor Hermenegild Makoro, segretario generale della Conferenza episcopale di Sud Africa, Botswana e Swaziland.