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Istantanee

Trento, con “Religion2go” la religione entra nel mondo virtuale

1Si chiama “Religion2go” la nuova app allo studio della Fondazione Bruno Kessler di Trento che ha come obiettivo quello di mettere la tecnologia al servizio della religione. Come? Attraverso la nuova app “Replicate”, grazie alla quale con il proprio smartphone è possibile fotografare un oggetto – in questo caso un oggetto di culto – e crearne una copia digitale in 3D da condividere “to go” in rete, attraverso un visualizzatore, o addirittura vissuto in forma di realtà virtuale. “Questo progetto – spiega Fabio Poiesi, del Centro per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione Ict – nasce da un percorso avviato con l’Istituto di scienze religiose, che fa parte del polo umanistico della Fondazione. Si basa su un percorso di osservazione partecipata che sta coinvolgendo rappresentanti religiosi di vario credo”. “In Italia esistono 840 comunità religiose di credo diverso – spiega Sara Hejazi, dell’Istituto di scienze religiose trentino – abbiamo avviato una serie di interviste a ministri di culto in tutta Italia e ad oggi le testimonianze raccolte riportano un grande interesse sulla questione della virtualizzazione. Il mondo virtuale può essere usato per mettere insieme generazioni diverse o per superare le distanze geografiche, creando ponti tra le comunità religiose sparse in tutto il mondo”.

L’applicazione permette di raccogliere con lo smartphone una serie di immagini dell’oggetto che si intende “virtualizzare”; le fotografie vengono selezionate automaticamente e inviate a un database centrale, che ricompone la figura e la restituisce sul telefonino in 3D. “Grazie alle moderne tecnologie – aggiunge Poiesi – l’oggetto divenuto virtuale può essere ricreato con una stampante 3D”.

L’assistenza gratuita delle suore comboniane per donne rifugiate

SUDAN3In Sudan la sanità è a pagamento e in ogni ospedale pubblico di Khartoum, capitale del Sudan, si deve pagare tutto: visita nel pronto soccorso, farmaci, flebo, siringhe e cerotti; si pagano gli esami, il ricovero e – una volta ricoverati – non si ha diritto ai medicinali necessari, ma nemmeno al cibo e all’acqua. A patire in forma più evidente di queste condizioni, sono le tante donne di diverse culture e realtà sociali stabilitesi nei villaggi della periferia, soprattutto di Khartoum e Omdurman, spesso per sfuggire a situazioni insostenibili nei loro paesi di origine, prevalentemente Ciad, sud Sudan e Darfur. Secondo le stime si calcolano 2 milioni di profughi interni e più di 706.000 nei paesi limitrofi. Si tratta di uno dei posti col più alto tasso di mortalità materna e infantile al mondo. La maggior parte non hanno lavoro e anche quelle che lo trovano sono di solito mal retribuite. In molte comunità la tradizione del parto in casa è molto forte, e lo è altrettanto la diffidenza verso la medicina e le cure fornite dalle strutture mediche. Spesso, inoltre, le cliniche sono molto lontane e difficili da raggiungere a causa del pessimo stato delle strade e dell’alto costo dei trasporti.

Per far fronte a questa emergenza, le suore Comboniane si sono impegnate nel St. Mary Maternity, aperto a Khartoum già nel 1954, con un progetto specifico per assistere le donne incinte. “Indipendentemente dal loro credo religioso, sono molte le donne che affollano gli ambulatori del St. Mary’s per esami clinici e visite mediche in preparazione al parto”, si legge in una nota inviata all’Agenzia Fides dalla responsabile del progetto, suor Elizabet Robles Ibarra.

“Nell’area prenatale della clinica – continua sr Elizabet, sono accolte donne bisognose a partire dal quarto mese di gravidanza. Vengono per una prima visita, per esami di laboratorio e per le ecografie prima del parto. Diverse volte riscontriamo situazioni a rischio e interveniamo.

L’amministrazione dell’ospedale provvede a coprire le spese, grazie all’aiuto dato dei donatori. Molte volte, poi, i neonati hanno bisogno di cure specifiche e rimangono sotto osservazione. Anche queste spese, che possono essere un peso per la famiglia, vengono ridotte al minimo o la prestazione medica è offerta gratuitamente per venire incontro a queste persone disagiate”.

“Tra gli obiettivi del nostro Centro, ci impegniamo ad offrire assistenza alle mamme che durante la loro gravidanza e nel periodo post-parto; aiutare le famiglie povere a coprire le spese mediche; sostenere le famiglie nei primi mesi di vita dei nascituri”, conclude la comboniana.

Attualmente sono circa 100 le mamme che vengono seguite durante la gestazione e i loro bambini.

(Articolo tratto da www.fides.org)

Suor Maria Elena Berini premiata come “Donna di coraggio”

BERINI1Classe 1944, nativa di Sondrio, consacrata della Congregazione religiosa delle Suore di Santa Giovanna Antida Thouret, ha ricevuto dalle mani della first lady statunitense, Melania Trump, il premio internazionale “Donne di coraggio” (International Women of Courage Award). A segnalare la religiosa valtellinese è stata l’ambasciata americana presso la Santa Sede, che è venuta a conoscenza dell’attività meritoria di suor Maria Elena. Il riconoscimento, che viene assegnato ogni anno a 10 donne (scelte in tutto il mondo), viene dato dal Dipartimento di Stato Americano nella sede di Washington. Le altre premiate, per il loro impegno nell’ambito della salute pubblica, dei diritti umani, della giustizia, dello sviluppo, della difesa della pace e del sostegno alla dignità della donna sono: Roya Sadat (Afghanistan); Aura Elena Farfan (Guatemala); Julissa Villanueva (Honduras); Aliyah Khalaf Saleh (Iraq); Aiman Umarova (Kazakhstan); Feride Rushiti (Kosovo); L’Malouma Said (Mauritania); Godelive Mukasarasi (Rwanda); Sirikan Charoensiri (Thailand).

BAMBINIÈ cambiata la geografia mondiale del fenomeno, ma non la sua entità. I bambini soldato continuano ad essere utilizzati nei conflitti armati, nonostante gli accordi internazionali, fra cui quello fondamentale entrato in vigore il 12 febbraio 2002, all’origine della Giornata internazionale contro l’uso dei bambini soldato […].

Eppure l’emergenza bambini soldato sembra finita in fondo alla lista dall’agenda internazionale. Dei fondi per l’aiuto allo sviluppo solo lo 0.6% viene utilizzato per smobilitare e reintegrare i bambini rapiti dalle milizie e costretti a commettere atrocità e a combattere, accusa l’organizzazione Child Soldiers International. E non viene fatto abbastanza per impedire che in alcuni Paesi i bambini vegano arruolati, a volte anche negli eserciti regolari.

L’ultimo rapporto delle Nazioni Unite sui bambini nei conflitti armati stila un elenco di 56 gruppi armati e di sette eserciti regolari che reclutano e utilizzano bambini. Durante il 2017, più di 3000 casi sono stati registrati solo nella Repubblica democratica del Congo e almeno 19.000 nel Sud Sudan. L’impiego di bambini soldato è inoltre raddoppiato nel Medio Oriente.

È cresciuto anche lo sfruttamento delle bambine, sia nei conflitti che come schiave sessuali. La milizia terrorista Boko Haram in Nigeria ha usato 83 bambini come bombe umane solo nei primi otto mesi del 2017, e il 66% erano bambine. «I bambini soldato sono ideali perché non si lamentano, non si aspettano di essere pagati e se dici loro di uccidere, loro uccidono» ha detto un ufficiale dell’esercito nazionale del Chad in una testimonianza riportata dalla Coalizione Stop all’uso dei bambini soldato!, una rete di organizzazioni italiane impegnate sia con progetti sul campo che nella sensibilizzazione a livello internazionale.

Vale la pena leggere le loro testimonianze: «Io sono stata rapita in un campo in pieno giorno», dice Ester,14 anni, rapita da un gruppo armato in Uganda e costretta a lavorare per i ribelli. «Dovevamo camminare tutto il tempo e procurare cibo per i ribelli. Dopo due mesi ho avuto la possibilità di scappare. Adesso vivo a Gusco ma torno spesso a casa. Ciò che desidero è tornare a scuola».

Zachariah, ora ha 15 anni e ne aveva 12 quando soldati di un gruppo armato hanno circondato la sua scuola situata in una zona rurale del Nord-Kivu e lo hanno condotto assieme a molti altri compagni nella foresta. Per 3 anni è stato esposto a pericoli, sofferenze, percosse, malnutrizione e malattia, prima di essere finalmente rilasciato. Dei suoi compagni di scuola dice: “la maggior parte sono morti”.

Fra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio di questo anno la missione Minuss delle Nazioni Unite ha liberato in Sud Sudan 311 bambini soldato, tra cui 87 bambine. Si tratta della prima fase di un programma che ha l’obiettivo di smobilitare 700 bambini soldato nella regione di Yambio. Tra questi 563 combattono con le forze dell’ex presidente Salva Kiir e 137 in quelle dell’ex vicepresidente Riek Machar. La missione ha visto la collaborazione di Unicef, capi religiosi e autorità locali per negoziare la liberazione, ma è solo un piccolo passo. Sono infatti 19.000 i bambini soldato in Sud Sudan. Che continuano a subire violenze e sono costretti a loro volta a commetterne.

Emanuela Citterio

(articolo tratto da www.mondoemissione.it)

La metropolitana di Pechino si trasforma in biblioteca

pechino1Alcune linee della metropolitana di Pechino si sono trasformate in una lunghissima biblioteca di audiolibri. I viaggiatori della linea 4 e della circolare 10 possono contare su un apprezzatissimo servizio che gli permette di ascoltare direttamente dal proprio smartphone il libro che più gli piace. Per ascoltarli basta scaricare un’app che consente di accedere a tutti i titoli disponibili.

Un modo intelligente per passare il tempo, combattere stress e noia, trasformando ogni viaggio in metro in un’avventura differente. E la lettura non finisce una volta scesi dalla metro, memorizzando il codice si può continuare anche fuori dal treno, mentre si cammina o si prosegue il viaggio con un altro mezzo.

L’iniziativa rappresenta un forte e originale incentivo alla lettura.

suor leonellaSarà beatificata il 26 maggio nella cattedrale di Piacenza suor Leonella Sgorbati, missionaria della Consolata, originaria di Rezzanello, uccisa il 17 settembre 2006 a Mogadiscio in Somalia e riconosciuta martire «in odium fidei». Suor Leonella sapeva molto bene che stando a Mogadiscio avrebbe rischiato la vita. Eppure è rimasta al suo posto, assieme a quel minuscolo drappello di consorelle che da anni si prodigavano a servizio dei più poveri e abbandonati.

Per chi le ha viste all’opera nell’orfanotrofio Sos Kinderdorf o prodigarsi nel vicino ospedaletto di pediatria, sembravano essere una sorta di piccolo manipolo “non violento” di caschi blu di Dio col velo in testa, una straordinaria forza d’interposizione evangelica dispiegata per seminare i germi di una nuova umanità. Lungi da ogni forma di proselitismo, suor Leonella ha testimoniato l’amore di Dio, in quella remota periferia del mondo, dimenticata da tutto e da tutti, non lontano dal tristemente noto “check-point pasta” in cui nel luglio del 1993 morirono tre soldati del nostro contingente di pace. In fondo ciò che stava davvero a cuore a suor Leonella era il riscatto di quella umanità dolente immolata quotidianamente sull’altare dell’egoismo umano dai famelici Signori della guerra. «Dulce et decorum est pro patria mori», scriveva Orazio: «è cosa dolce e degna morire per la patria». Ma per questa missionaria della Consolata il sacrificio della vita è andato ben oltre l’eroismo avendo il suo impegno un orizzonte molto più ampio, quello della fede. Vengono alla mente le parole del beato Charles de Foucauld: «Appena ho creduto che c’era un Dio, compresi che non potevo fare altrimenti che vivere solo per Lui». Di questa stoffa sono fatti i martiri come suor Leonella. Ecco perché sarebbe auspicabile che l’Italia rendesse omaggio a questa nostra connazionale la quale ha camminato lungo il sentiero del martirio, in quella terra dove sono già caduti altri missionari – ahimè in gran parte ignorati dalla grande stampa – del calibro di monsignor Salvatore Colombo (1989), padre Pietro Turati (1993), la dottoressa della Caritas Graziella Fumagalli (1995) e la missionaria laica Annalena Tonelli (nel vicino Somaliland, 2003).

Fonte: missioitalia.it

Economia a servizio del carisma e della missione

economiacopAll’Antonianum il 6 marzo c.a. è stato presentato l’ultimo documento preparato dalla Congregazione per la Vita consacrata e le Società di vita apostolica “Economia a servizio del carisma e della missione”- Orientamenti, già disponibile in italiano e spagnolo. In arrivo inglese e francese.

A presentare il documento sono stati:

Em.za card. Joao Braz de Aviz, S. Ecc.za Mons. Jose Rodiguez Carballo, Padre Sebastiano Paciolla, don Pierluigi Nava e il Prof. Andrea Perrone dell’Università Cattolica di Milano. Per la prima volta il Dicastero si è avvalso del contributo professionale dell’Università per la redazione degli orientamenti su un tema molto delicato come l’economia.

Il termine chárisma nel Nuovo Testamento viene usato in riferimento a doni che provengono da Dio. Ogni singolo carisma – come viene ricordato nella Iuvenescit Ecclesiae in riferimento alla relazione tra doni gerarchici e carismatici per la vita e la missione della Chiesa – non è un dono accordato a tutti ma un dono che lo Spirito distribuisce «come vuole» (1 Cor 12,11). Il cristiano è chiamato a diventare economo, amministratore della grazia che si esprime mediante i carismi ed è chiamato a metterla in circolo a beneficio di tutti. L’attuale momento storico chiama la vita consacrata a misurarsi con nuove problematiche che richiedono discernimento e progettualità. In questa prospettiva gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, sono chiamati ad essere buoni amministratori dei carismi ricevuti dallo Spirito anche attraverso la gestione e l’amministrazione dei beni. Il presente volume nasce nel solco del Magistero di Papa Francesco, al suo interno vengono gettate le basi per: proseguire un cammino di riflessione ecclesiale sui beni e la loro gestione, richiamare ed esplicitare alcuni aspetti della normativa canonica sui beni temporali con particolare riferimento alla prassi della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, suggerire alcuni strumenti di pianificazione e programmazione inerenti alla gestione delle opere, sollecitare gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, a tutti i livelli, da Superiori ai membri, a ripensare l’economia nella fedeltà al carisma per essere – secondo il pensiero di Papa Bergoglio – «ancora oggi, per la Chiesa e per il mondo, gli avamposti dell’attenzione a tutti i poveri e a tutte le miserie, materiali, morali e spirituali, come superamento di ogni egoismo nella logica del Vangelo che insegna a confidare nella Provvidenza di Dio».

MANINei giorni 20 e 21 febbraio 2018 si è realizzato il secondo modulo del Convegno organizzato da USMI e CHARIS sul tema: “Prendersi cura delle Sorelle nell’età anziana e nelle fragilità”.

Frequentato da novanta Religiose provenienti da diverse regioni italiane, il convegno ha offerto alle partecipanti una formazione aggiornata ponendo il “focus” sulla fragilità.

Nella prima giornata abbiamo ascoltato la dottoressa Vilma Bargna sul tema: “Le comunità religiose messe in crisi dalle fragilità”. Con uno sguardo retrospettivo per conoscere la storia ci siamo addentrate nel significato del pregiudizio che nasce dalla paura per soffermarci poi sull’importanza del fidarsi e affidarsi a persone competenti per poter aiutare chi si trova in difficoltà. Si tratta di avere la pazienza di un percorso per poter giungere a risultati positivi.

Nel pomeriggio abbiamo ascoltato il professor Cesare Piccinini, psichiatra, che in un’ampia panoramica, ci ha inoltrate nella conoscenza di diverse patologie mentali.

Il giorno successivo il dottor Renato Pirisi, coordinatore di “Casa Speranza”, ha trattato il tema: “Percorsi di cura e accompagnamento della persona con fragilità” accompagnando la teoria con esperienze pratiche che hanno catturato l’attenzione delle partecipanti.

Il convegno è stato molto apprezzato da tutte mentre ci auguriamo che ci possa essere la “terza edizione” nel prossimo anno pastorale!

 

Parma capitale della cultura 2020

parma1Emozione, orgoglio, soddisfazione unanime per un progetto che ha visto protagonista l’intera città, ma anche senso di responsabilità e consapevolezza di un successo che non è un traguardo, ma tappa di un percorso che può e deve crescere e continuare a far crescere. Sono questi i sentimenti e le aspettative che hanno salutato l’annuncio di Parma Capitale della cultura 2020, avvenuto venerdì mattina a Roma. Una vittoria che, come preannunciato in un precedente comunicato congiunto con le amministrazioni di Reggio Emilia e Piacenza, le altre città emiliane arrivate tra le 10 finaliste, coinvolgerà anche l’area emiliana, in un’ottica di collaborazione e di alleanza. I doverosi festeggiamenti lasciano quindi subito posto all’agenda dei lavori. Così il vescovo Enrico Solmi ha salutato – in una nota diffusa dal Sir – tale riconoscimento: “Parma capitale della cultura, è un titolo ambito quanto plausibile. Perché la nostra città – insieme ad altre in Italia – si distingue per una ricca storia e per insigni monumenti che la rappresentano. Ricordo la splendida piazza del duomo sulla quale si affacciano la cattedrale, il coevo palazzo vescovile, il battistero, il palazzo che alloggia la Caritas, mentre da un lato si insinua un angolo del Seminario già residenza dei canonici. Chi arriva dai borghi rimane meravigliato da tale raccolta armonia che compone un insieme unico. Estendendo il raggio di osservazione, Parma offre tante altre opere, tra le quali spicca la gotica chiesa di San Francesco, deturpata sede di carcere napoleonico, per la quale si sta avviando un promettendo recupero. Essere capitale della cultura – lungi dalla tentazione di una vuota quanto possibile vanagloria – sollecita a riconoscere le fonti di tanta magnificenza e riconoscerle vive ancora oggi come fonti di un modo di vivere, buono, bello e accogliente che si proietta verso un futuro di speranza. Questo è l’impegno della città ed anche della Chiesa, che non sono soltanto custodi, ma attivi testimoni e propositori. Questo è un auspicio, ma ancor più, un impegno”.

 

scalabriniane1Le scalabriniane che accolgono i migranti venezuelani

“L’arrivo dei venezuelani in Brasile è un fatto sociale, non una catastrofe. E deve essere affrontato proprio come fatto sociale, con politiche di accoglienza e integrazione. È sorprendente vedere che, di fronte a un popolo che viene in Brasile in cerca di cibo e di opportunità di lavoro per guadagnarsi da vivere, circolano idee di ‘campi profughi’. Questa non è affatto una soluzione”.

Lo dichiara, in una nota inviata all’Agenzia Fides, suor Rosita Milesi, missionaria scalabriniana, direttrice dell’Istituto di migrazione e diritti umani, nello stato brasiliano di Roraima. La Congregazione delle suore missionarie scalabriniane sin dalla sua fondazione si occupa dell’assistenza ai migranti e suor Rosita è una delle promotrici, insieme ad altre due scalabriniane, di attività per la creazione di strutture di accoglienza e di percorsi di sensibilizzazione.

Nello stato di Roraima, al confine con il Venezuela e la Guiana, si stanno infatti presentando migliaia di venezuelani per chiedere aiuto, dal momento che il Venezuela è colpito da una crisi economica e sociale così grave da portare i suoi cittadini a emigrare.

  “Il Brasile è chiamato ad accogliere questo popolo e a pensare a una strategia globale – afferma la religiosa -, con politiche di emergenza come primo passo, per garantire luoghi di accoglienza degni e un soggiorno regolare, e poi con altri aiuti in modo di permettere l’accesso al lavoro e di andare in altri Stati e in altre città, dove poter vivere e lavorare con dignità”.

Per suor Rosita “il Brasile è in grado di ricevere questi migranti. Manca, tuttavia, l’azione forte e rapida da parte del governo che, purtroppo, è lento nell’adottare le misure necessarie di assistenza ed integrazione. Questa lentezza aggrava la situazione sociale nello Stato di Roraima, l’ultimo stato al Nord del paese, che di fatto non può né è in grado di risolvere da solo un movimento migratorio di queste dimensioni.

Autorità locali, governo federale, società civile, Chiesa e organizzazioni internazionali, devono agire per attuare una soluzione globale, che includa l’assistenza iniziale, ma garantisca anche l’accesso all’integrazione”.

Solo nel 2017 sono stati più di 20mila i venezuelani che hanno chiesto aiuto al Brasile e più di 8.400 quelli che hanno usufruito di un sistema di residenza temporanea. L’Istituto per la migrazione e i diritti umani, delle suore scalabriniane, ha contribuito in questo periodo ad una serie di attività di accoglienza, integrazione e sostegno, ma sono necessari sostegni molto più ampi.

(articolo tratto da www.fides.org)