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Istantanee

Premio Volontariato Internazionale

focsiv3In occasione della Giornata Mondiale del Volontariato indetta dalle Nazioni Unite, che ricorre il 5 dicembre c.a., FOCSIV promuove ogni anno, dal 1994, il Premio del Volontariato Internazionale che intende promuovere la cultura del volontariato, della Cooperazione internazionale e del co-svuiluppo

Attraverso il premio FOCSIV intende promuovere la cultura del volontariato, della Cooperazione internazionale e del co-sviluppo. 

Nel Centro Congressi di Palazzo Rospigliosi (Roma), all’interno del convegno “Il ruolo positivo della società civile dei sud e della diaspora per il co-sviluppo”, sono stati consegnati i riconoscimenti alle tre categorie Volontario Internazionale, Giovane Volontario Europeo e Volontario del Sud del XXIII Premio del Volontariato Internazionale FOCSIV a sr Angel Bipendu Nama, Chiara Passatore, Marco Alban e Samuel Murage Kingori.

Per le tre categorie è stato considerato, «come criterio preferenziale di selezione», l’impegno verso interventi tesi a promuovere lo sviluppo sostenibile, alla luce di quanto indicato dall’Enciclica di Papa Francesco “Laudato si’” sulla cura del Creato e dall’Accordo della XXI Conferenza del Clima COP 21 di Parigi.

Suor Angel, che arriva dal Congo, fa parte delle «Discepole del Redentore» della Comunità dei Cristiani nel Mondo, vive tra Favara e Palermo, dove presta le sue competenze mediche nel reparto di cardiochirurgia del Policlinico. Ha deciso di dedicare la sua vita agli altri. Per questo è diventata suora, poi medico e adesso sale a bordo delle motovedette della guardia costiera che nel canale di Sicilia vanno in soccorso dei migranti.

La sua storia viene raccontata dal Giornale di Sicilia.  “Un’ esperienza – racconta Suor Angel – che mi arricchisce dal profondo del mio cuore come suora e come medico quella di poter dare un aiuto sia fisicamente che spiritualmente a tanti migranti. Vedo Cristo soffrire in questi nostri fratelli, perché la mia prima identità è quella di vivere la mia vocazione come suora ed andare incontro a chi ha bisogno del mio aiuto, dire sempre “eccomi Signore io vengo per fare la tua volontà. Come migrante – spiega Suor Angel – ho cercato di far capire ai fratelli migranti in arrivo dall’Africa che qui la vita non è come pensano loro. Come migrante li ho invitati a comportarsi bene e a ringraziare il Paese che gli accoglie e li salva. Il mio impegno e la mia missione erano e sono quelli di aiutare chi è nel bisogno senza distinzione di razza, cultura o condizione sociale”. (P.S.)

L’UNICEF compie 70 anni

unicef_70_logoQuella dell’UNICEF è una storia di infanzie negate e ritrovate, di bambini curati e protetti, di bambini salvati. È la storia di quanti risultati si possono ottenere quando si collabora tra governi, individui e comunità e si investe per tutelare i diritti dei più piccoli e vulnerabili.

Eppure ancora oggi, nel mondo, muoiono ogni anno quasi 6 milioni bambini sotto i 5 anni per cause prevenibili. Non c’è tragedia più grande della morte di un bambino. E non c’è tragedia più inaccettabile di questa se pensiamo che, nell’assoluta maggioranza dei casi, a spezzare una vita appena iniziata non sono patologie incurabili o incidenti imprevedibili, ma banali malattie che si potrebbero prevenire o curare con vaccini o medicinali di base.

Nato l’11 dicembre 1946 per aiutare i bambini europei al termine della Seconda guerra mondiale, oggi il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia opera a 360° per la sopravvivenza, la protezione e lo sviluppo dei bambini e gli adolescenti di tutto il mondo, nei paesi in via di sviluppo e in quelli industrializzati.

L’Italia è stata tra i paesi europei che ha maggiormente beneficiato degli aiuti dell’UNICEF nell’immediato dopoguerra. Al lavoro dell’UNICEF di quegli anni va un grande riconoscimento, non solo per avere assicurato il soccorso e gli aiuti ma anche per aver gettato le basi per la costruzione di uno stato sociale moderno, superando i limiti della mera assistenza volontaria. Ha cioè favorito e sostenuto le iniziative imprenditoriali e artigianali che hanno permesso al nostro paese di ricostruirsi. L’UNICEF ha aiutato l’Italia – così come molti altri paesi – ad aiutarsi da sé, ed è quello che ha continuato a fare durante questi 70 anni di attività.

Le statistiche testimoniano che sono stati realizzati molti progressi in termini di sopravvivenza e di salute infantile, ma il lavoro da fare è ancora immenso, perché oltre alla sopravvivenza è necessario garantire ai bambini e ai ragazzi protezione, istruzione, opportunità per il futuro.

Oggi l’organizzazione opera in oltre 190 paesi e territori di tutto il mondo dove vivono più di due miliardi di bambini e ragazzi, con programmi di sviluppo nel campo sanitario, dei servizi, delle forniture di acqua, dell’istruzione e dell’assistenza alle madri. Interviene nelle emergenze umanitarie, non solo con l’invio di aiuti di primo soccorso (alimenti terapeutici per i bambini, kit sanitari e medicinali, tavolette per potabilizzare l’acqua, teli impermeabili e coperte ecc.), ma anche con programmi di sostegno psicologico per i bambini traumatizzati dai conflitti o dalle catastrofi naturali. E oggi con particolare attenzione in quei contesti di crisi che sono alla base dei principali flussi migratori. Le calamità naturali, come i conflitti armati e le migrazioni, espongono ulteriormente i bambini ai peggiori rischi di abuso e sfruttamento, soprattutto quando rimangono soli. Secondo le stime più recenti quasi 250 milioni di bambini – 1 su 9 – vivono in zone e regioni coinvolti da conflitti armati. Dietro questi numeri ci sono storie di enormi sofferenze. Nel 2015, milioni di famiglie sono state costrette a lasciare le proprie case per fuggire da violenza, persecuzione e privazioni, troppo spesso rischiando la vita in cerca di sicurezza e di un futuro migliore. Dalla sua storia e dalla sua lunga esperienza, l’UNICEF trae la forza con cui ogni giorno, ostinatamente e appassionatamente, cerca di tradurre in realtà il sogno di un mondo migliore per tutti i bambini.

PORTARE LA PAROLA DI DIO

signis-ic1Portare la parola di Dio attraverso la comunicazione in oltre 140 Paesi, toccando cosi, ogni angolo della terra. È questo l’obiettivo di SIGNIS, l’Organizzazione Mondiale per i Media e la comunicazione, che ha celebrato a Roma i 65 anni di attività. Nell’incontro sono stati ripercorsi le varie tappe della sua storia e presentate le prospettive per il futuro.

Solo nel 2015 sono stati realizzati 257 progetti pastorali sulla comunicazione in oltre 20 Paesi, più di 40 radio e tv locali lanciate in Africa negli ultimi 10 anni.

signis-ic3SIGNIS è una organizzazione non governativa che comprende membri provenienti da 140 paesi . Come “Associazione Cattolica Mondiale per la Comunicazione” riunisce i settori radio, televisione, cinema, video, educazione ai media , Internet , e le nuove tecnologie della comunicazione.

SIGNIS è stata creata nel novembre 2001 dalla fusione tra le due organizzazioni Unda (per la radio e la televisione)  e OCIC  (per il cinema e gli audiovisivi )  creati entrambi nel 1928. I programmi seguiti molto diversificati. Dalla promozione di film e programmi televisivi (con giurie in importanti festival: Cannes, Berlino , Monte Carlo, Venezia, Ouagadougou … ), la creazione di radio, studi di video e televisione, produzione e distribuzione di programmi , la fornitura di attrezzature specializzate , professionisti della formazione …

 SIGNIS  è membro di consultazione all’UNESCO , l’ECOSOC ( Nazioni Unite a Ginevra e New York ) , il Consiglio d’Europa .
SIGNIS è inoltre ufficialmente riconosciuta dal Vaticano come organizzazione cattolica per la comunicazione

La Missione di SIGNIS è :

  • Entrare in contatto e fare rete con i professionisti dei media
  • Sostenere comunicatori cattolici
  • Contribuire a trasformare le nostre culture alla luce del Vangelo promuovendo la dignità umana , la giustizia, il dialogo e la riconciliazione .

Un grande impegno quello di SIGNIS per promuovere nei popoli attraverso la comunicazione, la dignità umana, la giustizia e la riconciliazione alla luce del Vangelo.

Ancora discriminazioni e violenze

pak1La popolazione indù in Pakistan soffre per discriminazioni e violenze spesso impunite: lo denuncia Ashok Kumar Jay, attivista indù per i diritti delle minoranze religiose, notando che nel paese si registra “un aumento della violenza basata sulla fede, che colpisce le minoranze religiose, con conversioni forzate, omicidi, estorsioni, saccheggi, rapimenti e abusi legati ai luoghi di culto”.

Di fronte a questa situazione, il Ministro federale per i diritti umani, il cristiano Kamran Michael, ha ribadito nei giorni scorsi a Karachi che il governo federale si impegna a “garantire e proteggere i diritti umani fondamentali delle minoranze religiose”.

In una nota inviata a Fides, gli attivisti indù ricordano, tra gli ultimi esempi, il caso di due giovani indù linciati, per presunta blasfemia, da una folla di musulmani a Mirpur Mathelo, nella provincia di Sindh (Pakistan meridionale) a luglio scorso. Kumar Satish Dewan, 17 anni, è morto in seguito alle ferite riportate, mentre il suo amico Avinash è tuttora in condizioni critiche.

Gli indù in Pakistan sono circa due milioni. Nella nota inviata a Fides, si ricorda che molti di loro sono costretti a pagare somme regolari, come una sorta di “tangente”, a bande criminali in cambio della sicurezza fisica delle loro famiglie e di loro stessi. Agli indù vengono spesso negati posti di lavoro qualificati e un cittadino indù di solito ha bisogno di un musulmano come partner, per poter gestire una attività commerciale o imprenditoriale.

In passato molti templi indù sono stati distrutti, o convertiti in uffici governativi. Nel 1992 molti templi indù furono attaccati in Pakistan in risposta agli attacchi ai musulmani in India, episodi in cui i pakistani indù non avevano svolto alcun ruolo. Le promesse ufficiali di ricostruire questi templi, in molti casi, non sono state mantenute. Tuttora avvengono episodi di “land grabbing” di terreni appartenenti agli indù, di molestie e sequestro di ragazze indù, o di false accuse di blasfemia, tutti abusi che accomunano in Pakistan le minoranze indù e cristiane. Nel 1947, al momento della partizione dall’India, la popolazione indù del Pakistan era tra il 15 e il 24%. Oggi si attesta all’1,6%. (PA) (Agenzia Fides 7/11/2016)

 

Premio Sakharov a due donne schiave dell’Isis

premioNadia Murad e Lamiya Aji Bashar sono le vincitrici del Premio Sakharov alla libertà di pensiero concesso annualmente dal 1988 dal Parlamento europeo.

Le due irachene, di etnica yazida, rappresentano il simbolo della resistenza alla barbarie dell’Isis. «Con le violenze subite sulla loro pelle sono un incoraggiamento ed un simbolo per noi a non aver paura», ha detto Martin Schulz, presidente dell’Europarlamento.

«Sono state testimoni di atrocità senza precedenti – ha proseguito Schulz – si sono messe in un lungo cammino per ricevere la protezione dell’Europa e ora noi siamo obbligati a sostenerle per garantire che la loro testimonianza eviti l’impunità».

La dura esperienza di Nadia Murad e Lamiya Aji Bashar inizia a Kocho, il loro villaggio natale, il 3 agosto 2014. Occupato dai miliziani dell’Isis, che hanno massacrato tutti gli uomini lì residenti. Dopo l’eccidio, le donne e i bambini sono stati ridotti in schiavitù: tutte le giovani donne, tra cui Aji Bashar, Murad e le loro sorelle sono state rapite, comprate e vendute diverse volte e sfruttate come schiave sessuali.

 

Cura e animazione delle sorelle anziane

Proposta formativa in tre moduli per Religiose responsabili di comunità di Suore anziane

Nei giorni 25 e 26 ottobre, presso la sede di Via Zanardelli, si è realizzata la prima tappa del corso: “Cura e animazione delle Sorelle anziane” organizzato dall’USMI Nazionale (Ambito Pastorale) in stretta collaborazione con la Charis[1]foto1

Il primo tema “PRENDERSI CURA” è stato affrontato da padre Mario Longoni, religioso Betharramita che ha messo in rilievo alcune “parole chiave” che sostengono la motivazione alla cura partendo dalla sua esperienza di 25 anni in una casa famiglia per malati AIDS.

foto6Le “parole chiave” raccontate con l’esperienza della vita, sono state le seguenti: 1. “Il tempo si è fatto breve” (restituire alla persona la possibilità di vivere pienamente ciò che è, con dignità e libertà); 2. “Il senso dell’esistenza è nell’istante” (in un istante di profondità si possono redimere anni di non senso); 3. “Il tempo della Grazia e del Grazie” (anche la sofferenza è il tempo della Grazia e nel quale si deve dire “grazie”); “La vera cura è la com-passione” (essere capaci di coinvolgimento, com-presenza, con-dolersi con chi soffre); 5. “Ma chi cura chi?” (il dolore dell’altro non è estraneo alla mia persona: chi cura è anche “curato” dal sofferente); 6. “Attenti al mascheramento” (un avvertimento che richiede vigilanza sincera su di sé affinché la pietà non si trasformi in “commiserazione”).

Il tema è stato poi approfondito nei lavori di gruppo che hanno presentato al relatore alcune domande dando la possibilità di completare la sua riflessione.

Il secondo tema “L’ACCOMPAGNAMENTO DELLA RELIGIOSA ANZIANA IN UNA RELAZIONE DI PROSSIMITÀ” è stato trattato dal Prof. Johnny Dotti, pedagogista.foto4

Partendo dalla premessa che il tempo nel quale viviamo è “una benedizione” e va benedetto nel senso di “dire bene di questa realtà”, il relatore ha fatto una breve ma significativa panoramica dei cambiamenti radicali che stiamo vivendo, noi, generazione che si trova a cavallo di due millenni.

Per la prima volta nella storia dell’’umanità la parte più anziana della popolazione supera numericamente la parte più giovane e questo porta inevitabilmente molte conseguenze dal punto di vista strutturale e demografico della società. C’è poi da considerare il fenomeno della “migrazione” e lo strapotere della tecnica, vero “dio” moderno.

Queste trasformazioni potrebbero spaventarci, ma lo Spirito Santo è vivo e continua a dirci di NON TEMERE. Siamo chiamate a vivere la profezia perché “avanguardia di un popolo”. Abbiamo una missione: guai ad attaccarci a quanto abbiamo vissuto finora! Ricuperiamo piuttosto alcuni elementi profetici che sono parte integrante del carisma: “stare” con qualcuno più che “aiutare qualcuno”; dialogare, essere misericordiosi, costruire il senso, venerare la vita in tarda età, riammettere la morte dentro la vita. Abitare la “casa” e non l’“appartamento” che separa; vivere la comunità e non l’ “immunità”, esprimere la fede e non la “religione”, essere capaci di “trasgredire la legge” per il valore della vita come san Giuseppe, uomo giusto! “Io” e “noi” parlano di narcisismo, ma se “io sono il tu” di Dio, e “noi” significa essere il “voi” per qualcuno, allora siamo profeti per questo tempo! Il carisma è eterno, mentre l’opera è storica e il servizio è una tattica che si esplicita nel concreto della situazione.

Tante provocazioni hanno avuto bisogno di un tempo di riflessione. Si sono poi espresse con alcune domande alle quali il relatore ha dato seguito invitando a intendere la vita “come pellegrinaggio” dove non c’è la “sicurezza dei servizi”, ma la coscienza che la persona umana è fragile ma è benedetta. Ha invitato quindi a ricuperare la coscienza di essere persone e non individui; a costruire processi di dialogo con tutti, ad essere coraggiose e prudenti; ad essere coscienti delle morti che sperimentiamo ogni giorno (abbandono, fallimento, angoscia, isolamento) per prepararci al traguardo finale della vita.

Concludendo il relatore ha insistito sulla necessità del silenzio perché senza di esso non c’è parola e sull’importanza di ricuperare bellezza e bontà perché chi soffre e chi muore ha bisogno della luce di Dio.

Due giornate veramente intense di contenuto! Grazie!

 

sr Orsola Bertolotto

Consigliera USMI Nazionale

 

[1] Charis è una rete nazionale di consorzi e cooperative sociali, specializzata nella collaborazione con le congregazioni religiose. La dottoressa Maria Grazia Fioretti è la presidente.

Proponeva la cultura del Vangelo…

padre1“La morte violenta di padre João Paulo Nolli ha sconvolto il popolo di Dio della diocesi e dell’intera città di Rondonópolis. Molte persone si sono chieste: perché è accaduto? Qual è il significato? Ha senso? C’è una risposta? Dopo giorni di preghiera e di meditazione della Parola di Dio, abbiamo capito che una risposta sarà sempre parziale e possibile solo partendo dalla nostra fede. Quindi chiediamo ai cattolici e a tutti gli uomini di buona volontà di mantenersi saldi nella fede, di difendere i valori, proponendo la cultura della pace e della concordia”. Così si legge nella nota pubblicata dalla diocesi di Rondonópolis-Guiratinga (Mato Grosso, Brasile), firmata dal Vescovo della diocesi, Sua Ecc. Mons. Juventino Kestering, con la data dell’11 ottobre, sulla tragica morte del sacerdote.
Dalle informazioni raccolta da Fides, la polizia aveva chiesto il silenzio stampa dopo la denuncia della sua scomparsa, sabato 8 ottobre, e il ritrovamento del suo corpo la domenica seguente, con chiari segni di violenza omicida. La polizia ha fermato i presunti omicidi mentre cercavano di vendere alcuni oggetti appartenenti al sacerdote, e questi hanno confessato il furto finito in omicidio. I tre giovani tossicodipendenti di 17 anni, cui padre João Paulo Nolli, 35 anni, aveva accettato di dare un passaggio lungo una strada di periferia, lo hanno derubato del portafoglio, dell’auto e del cellulare, ma la polizia sta ancora indagando sui motivi dell’omicidio.
Bisogna ringraziare Dio, continua la nota del Vescovo, per il lavoro di padre João Paulo nella sua parrocchia, nella città, nella diocesi. Riuniva più di 5 mila persone alle Messe che celebrava, inoltre guidava il programma radio televisivo intitolato “Dio si prende cura di me” (Deus cuida de mim).
“Noi continueremo a fare quello che ha fatto padre J. Paulo: proclamare il Vangelo di Gesù Cristo ed essere suoi testimoni, difendere la vita, portare la pace e la fratellanza. Cambiare questo mondo violento, ingiusto, in una dimensione più umana, in armonia e per una convivenza fraterna” conclude Mons. Juventino Kestering.

Fonte: Agenzia Fides, 13.10.2016

Diamo dignità a quelle persone…

 cimitero1Ad Armo, frazione di Reggio Calabria, è nato il “cimitero dei migranti”, su iniziativa del Comune e grazie alla cura del parroco della Santissima Maria Assunta, don Alain Alen, africano, dunque migrante anche lui. “L’obiettivo è di dare dignità a quelle persone. Se non l’hanno avuta da vivi, vogliamo fare in modo che l’abbiano almeno da morti”, spiega suor Lina Guzzo, una suora scalabriniana, una congregazione che si occupa nel mondo proprio dell’assistenza a chi emigra e che ha prestato assistenza per la realizzazione di questo spazio. Nel piccolo cimitero di Armo, dunque, oggi oltre alle salme del posto ci sono 45 africani (in maggioranza etiopi e nigeriani) che sognavano l’Europa e che invece hanno trovato la loro morte in mare. Tra loro, quattro bimbi tra i 2 e i 3 anni. “Quei monticelli di terra rappresentano storie, tutte diverse – racconta sr Lina -, ora con il parroco abbiamo intenzione di fare un progetto dedicato”. “Con una decina di parrocchiani – ha detto don Alain -, più della metà signore anziane con problemi di salute, abbiamo dato una sistemata alle tombe dei nostri fratelli naufragati”.

Un premio discusso e motivato

icUn presidente latino americano è il vincitore del premio Nobel per la pace 2016. Precisamente Juan Manuel Santos, già giornalista e economista prima di fare politica in prima linea, come ministro della Difesa nel 2006 e di assumere la guida della Colombia il 7 agosto del 2010.

Il premio ha una sua specifica motivazione: l’accordo raggiunto con le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC), una organizzazione ritenuta responsabile di migliaia di morti, rapimenti e milioni di sfollati. Un’intesa non facile anche perché non assecondata dal popolo che in un referendum del 2 ottobre scorso ne aveva bocciato l’attuazione. Egli – si legge nella motivazione – ‘ha saputo mettere fine ad una guerra  civile lunga più di 50 anni e che è costata la vita ad almeno 220.000 persone’…. E mentre si fa memoria degli “sforzi tenaci” di lui è doveroso ammettere che “il riconoscimento deve essere visto come un omaggio al popolo colombiano che, nonostante grandi difficoltà e abusi, non ha mai perso la speranza di una pace giusta, e a tutte le parti che hanno contribuito al processo di pace”. Da Oslo aggiungono: “sottolineiamo proprio l’importanza che Santos guidi ora un più ampio dialogo, per una nuova stretta di mano che trovi basi ampie e quindi maggiore sostegno. Esortiamo tutte le parti, tutti i partiti, a dare il loro contributo”. Il vincitore stesso ‘sopraffatto, molto grato e sorpreso’ ha commentato che “il premio è sommamente importante per il futuro del processo di pace” del suo Paese.

Ci si augura da tutti, come ha sostenuto lo stesso presidente, che si continui a lavorare ‘nel solco del negoziato, del dialogo, dell’incontro con le Farc’ perché ‘il 2 ottobre è stato bocciato un accordo, ma non il processo di pace’. “Alle armi non si torna”. lo hanno ammesso anche le Farc con tutta chiarezza. La logica dello scontro, della chiusura, della mutua distruzione, del mutuo azzeramento ha come obiettivo aggiungere ingiustizia ad ingiustizia, sopraffazione a sopraffazione; pertanto non serve, non include mai risposte positive. L’unica logica valida nella relazione umana è quella dell’incontro possibilmente benevolo, paziente, misericordioso. (B.M.)

A favore della pace…

ic2Il Cairo.- L’Università islamica di al Azhar organizzerà nei primi mesi del 2017, in cooperazione con il Consiglio islamico degli Anziani, una Conferenza internazionale sulla pace, la convivenza e il dialogo interreligioso, a cui prenderanno parte attiva anche i rappresentanti delle Chiese cristiane d’Oriente. La notizia è stata rilanciata dalla stampa egiziana in margine a un incontro avvenuto a metà della scorsa settimana; tra Hamad bin Isa al Khalifa, Monarca del Bahrein, e lo Sheikh Ahmed al Tayyeb, Grande Imam di Al Azhar.

Il Consiglio Islamico degli Anziani è un organismo internazionale indipendente creato nel luglio 2014 come strumento per promuovere la pace tra le comunità islamiche. La sua sede è situata ad Abu Dhabi (Emirati Arabi Uniti), e tra i suoi obiettivi figura anche il proposito di “porre fine al settarismo e alla violenza che affliggono da decenni il mondo musulmano”.

L’impegno diretto di al Azhar sul terreno del dialogo interreligioso a favore della pace e del contrasto a ogni forma di violenza è stato confermato anche dalla partecipazione dello stesso Imam al Tayyeb all’incontro svoltosi a Ginevra dal 30 settembre al primo ottobre, che ha visto riuniti insieme una delegazione del Consiglio mondiale delle Chiese (WCC) e rappresentanti del Consiglio islamico dei saggi. Durante la sua permanenza a Ginevra, il Grande Imam al Tayeeb ha anche tenuto una relazione sul ruolo dei leader religiosi nella costruzione della pace, ospitata nell’Istituto ecumenico di Bossey – appartenente allo stesso WCC – nel contesto del settantesimo anniversario della fondazione dell’Istituto.

L’incontro – si legge tra l’altro nel comunicato finale della Conferenza, pervenuto all’Agenzia Fides – ha affermato la necessità per i membri di tutte le comunità religiose “di avere eguali diritti e responsabilità come cittadini dei rispettivi Paesi”. Per il prossimo anno, la collaborazione tra WCC e Consiglio musulmano dei Saggi proverà anche ad esplorare insieme le vie opportune per affermare il “contributo vitale” che le donne possono offrire all’opera di promozione della pace motivata dalla propria fede religiosa. (GV) (Da:Agenzia Fides 3/10/2016)