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La Bibbia – Lettura dei simboli

La Bibbia interpreta se stessa

I numerosi libri che formano la Bibbia e costituiscono il canone, cioè la collezione dei libri dell’Antico e del Nuovo Testamento, diversi per genere, stile, data, trasmettano l’unica parola di Dio, detta e scritta con le parole degli uomini. Questi libri hanno avuto un lungo e originale processo di composizione che testimonia il crescere della Parola nella storia e nella vicende umane. I libri biblici o parti di essi sono stati, in molti casi, rielaborati e reinterpretati nelle nuove situazioni storiche. I testi più tardivi non vengono dal nulla, ma si riferiscono a quelli anteriori o con citazioni esplicite o approfondendone il significato, altre volte, infine, affermando il compimento di quanto annunciato. Questo dato mostra che la Bibbia interpreta se stessa. La necessità dell’ interpretazione non è, dunque, un’invenzione moderna, come, talvolta, ingenuamente si crede. La Bibbia attesta l’esigenza di una corretta interpretazione della Parola scritta mostrando, che a volte, presenta difficoltà di comprensione. Acconto a brani di comprensione immediata ve ne sono altri più oscuri. Il profeta Daniele (Dn 9, 2), ad esempio, s’interroga su determinati oracoli di Geremia. Gli Atti degli Apostoli raccontano l’incontro del diacono Filippo con l’ etiope che non capiva un passo del libro di Isaia (Is 53 7-8) mostrando di aver bisogno di un interprete: «Capisci quello che stai leggendo?» Egli rispose: «E come potrei capire, se nessuno mi guida?» (At 8, 30-35). Nella seconda lettera di Pietro si legge che «nessuna scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione» (2Pt 1, 20) come pure che le lettere dell’ apostolo Paolo contengono «alcune cose difficili da comprendere e gli ignoranti e gli instabili le travisano al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina» (2Pt 3, 16).
Perché la parola di Dio contenuta nella Bibbia agisca come Parola che ‘taglia’ ‘edifica’ ed ‘opera’ (Eb 4,12) è necessario scoprire come la Bibbia interpreta se stessa, proponendosi come fondamentale ‘scuola’ di ermeneutica e di ‘lectio divina’.
Gli esempi al riguardo sono numerosi. Il dono della terra, contenuto fondamentali della promessa fatta da Dio ad Abramo (Gn 15,7.18) nello svolgimento della rivelazione, acquista spessore e dimensioni nuove. Abramo, di fatto, non ha mai posseduta la terra verso cui ha orientato tutta la sua esistenza, ma ha creduto fortemente in base alla promessa di Dio. Nello sviluppo della storia sacra, l’entrata nella terra, nei tempi successivi, dopo l’evento dell’Esodo, al tempo della monarchia, quando si costruisce il Tempio è compresa come entrata nel santuario:

Tu lo fai entrare e lo pianti sul monte della tua eredità,
luogo che per tua dimora,
Signore, hai preparato,
santuario che le tue mani,
Signore, hanno fondato (Es 15,17).

Come è facile capire, questo capitolo si riferisce all’evento eccezionale dell’Esodo e su di esso si fonda, ma nel corso della storia ha avuto sviluppi ulteriori. Il contesto storico di questo versetto è l’epoca monarchica quando a Gerusalemme si costruì il Tempio. L’Esodo divenne la luce interpretativa per capire che anche nel presente Dio continua la sua azione di salvezza. L’entrata nella terra è, pure, compresa come l’entrare in comunione con Dio (Es 19,4); partecipazione al suo riposo (Sal 132,7-8). Nel NT l’entrata nella terra diviene ingresso nel santuario celeste e nella eredità eterna (Eb 6,12.18-20. 9,15). Il dato geografico viene ad acquistare una profondità senza paragoni e rinvia alla scopo della rivelazione che è la comunione con Dio che si realizza nell’Alleanza.
L’importante oracolo del profeta Natan, che promette a Davide una «casa stabile per sempre» cioè una dinastia (2Sam 7, 12-16) viene approfondito nei testi successivi (2Sam 23, 5; 1Re 2, 4; 3, 6; 1Cr 17, 11-14) fino a comprendere che il regno promesso è universale (Sal 2, 8; Dn 2, 25.44; 7, 14; cfr. Mt 28, 18).
Un altro esempio riguarda la giustizia di Dio: nei testi più antichi si riteneva che Dio premiasse i buoni e punisse i malvagi (Sal 1, 1-6; 112, 1-10). Questa comprensione, di fatto, non coincide con l’esperienza umana che vede patire il giusto: come spiegare allora che il giusto soffre e il peccatore sembra essere felice? Per questo, alcuni Salmi e il libro Giobbe, scritte in periodi successivi (Sal 44; Gb 10, 1-7; 13, 3-28; 23-24)contestano questa concezione. Interrogando Dio si aprono al mistero della sofferenza e comprendono che non è affatto vero che la sofferenza è punizione per i peccati. (Sal 37; Gb 38-42; Is 53; Sap 3-5).
Negli scritti del Nuovo Testamento questa lettura, detta intertestuale, assume una nuova luce e un orizzonte immenso. Gesù, maestro di vera interpretazione, supera la visione legalista degli «degli scribi e dei farisei» del suo tempo (Mt 5, 20). Leggendo la Bibbia con la Bibbia restituisce alla persona umana il suo valore prioritario, secondo il progetto di Dio (Mc 2, 27-28; Mc 7, 1-23) e a Dio il suo volto misericordioso di Padre che sembrava essere stato dimenticato (Mc 2, 15-17 ). Gesù interpreta le Scritture mosso unicamente dal desiderio profondo di compiere la volontà di Dio espressa in esse (cfr. Mt 5, 17; 9, 13; Mc 7, 8-13 ; 10, 5-9 ). L’Apocalisse, ultimo libro della Bibbia, presenta la certezza della vittoria di Cristo risorto nella storia e il messaggio di speranza che ne consegue, con citazioni esplicite, allusioni e immagini delle Scritture ebraiche, che rilegge alla luce della pasqua di Gesù. Tutti gli autori del Nuovo Testamento proclamano che la parola di Dio rivelata nella storia in molti modi e tempi trova il suo compimento nella vita, nell’ insegnamento e soprattutto nella morte e risurrezione di Gesù, fonte di perdono e di vita eterna (cfr. 1Cor 15, 3-5).

Il canone biblico, elenco normativo di libri ispirati

Il termine canone deriva dal greco ma anche dalle lingue semitiche ebraico, accadico e ugaritico. Il significato principale è canna o calamo. Il canone sarebbe una canna di legno usata come strumento di misura.
Da questo significato concreto si passa a quello filosofico ed etico venendo a indicare la norma o la regola di comportamento.
Il termine canone applicato alla Bibbia indica l’elenco dei libri sacri che contengono la parola di Dio, luce al nostro cammino. La determinazione di questo elenco normativo per la fede (canone) non è stata lineare. Il canone della Bibbia ebraica risale al periodo compreso fra le due rivolte giudaiche, tra il 70 e il 135 d.C., ad opera di scribi e farisei. La definizione del canone del Nuovo Testamento, cioè, i 27 libri che lo compongono, ha avuto un percorso lungo e accidentato che va dal II al IV sec.d.C.
L’apostolo Poalo nella lettera ai galati usa il termine canone per indicare il comportamento cristiano coerente al vangelo: «E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l’Israele di Dio» (Gal 6,16).

sr Filippa Castronovo, fsp
paceegrazia@gmail.com

La Bibbia, il libro dei credenti nella Parola

Testamento, alleanza, berît: la parola dell’amore
Il titolo Bibbia è il nome che noi cristiani abbiamo dato alle Scritture Sacre. Questa parola proviene dal greco biblìa e significa un insieme di ‘libretti’. La Bibbia, come noi la conosciamo, è, infatti, un insieme di libretti di genere diverso: leggi, racconti, storie, preghiere, scritte in tre lingue: in ebraico, la maggioranza, in aramaico e in greco. La Bibbia cattolica contiene 73 libretti: 46 libri per l’Antico Testamento e 27 per il Nuovo Testamento. La Bibbia è una ‘biblioteca di libri sacri’. Per questo la Bibbia non può leggersi dall’inizio alla fine come se fosse un romanzo, ma in base a un criterio che tenga conto del tipo di libro e dell’interesse del lettore.
Il termine greco biblìa in latino è bìblia, che a differenza del greco è femminile singolare e denomina l’insieme di questi libretti. Da latino bìblia deriva il termine italiano Bibbia. La parola Bibbia indica il libro della nostra fede, perché sappiamo che in esso, anzi in essi, è contenuta la parola di Dio, rivelata nella storia. Attraverso questa Parola, ascoltata e compresa nell’oggi, Dio continua a parlare. I cristiani come anche gli Ebrei possediamo il libro sacro, ma sappiamo che non siamo i credenti nel libro perché non viviamo la religione del libro, ma siamo credenti che ascoltano la Parola/evento e vi rispondono. Mentre il Corano afferma di essere caduto dal cielo e i credenti vivono la religione del Libro; per la fede ebraico cristiana, la Bibbia è parola di Dio, ma frutto dell’ opera degli uomini che hanno scritto nella pienezza delle loro facoltà e di Dio che ha voluto che scrivessero quelle parole e in quel modo.
Due parti ma un’unica Parola
La Bibbia è suddivisa in due parti. La prima, detta Antico Testamento, è più ampia; la seconda più breve è il Nuovo Testamento. Il termine ‘testamento’ traduce la parola ebraica berît, che significa molto di più del termine ‘testamento’ inteso comunemente come la volontà ultima di una persona. Berit, termine chiave di tutta la Bibbia, indica la promessa di un dono speciale da parte di Dio e il conseguente impegno dell’uomo che accetta di osservare la legge di Dio, con tutto il cuore, perché ritiene che essa è dono di vita. La berît indica che Dio e l’uomo decidono di appartenersi l’un l’altro come amici e intimi. La parola ‘testamento’ va, dunque, compresa alla luce del termine originario berît tradotto anche come alleanza. Solitamente usiamo, quasi come sinonimi, i termini testamento e alleanza benché non lo siano perfettamente. Di qui la formula antico e nuovo ‘testamento’ o antica e nuova ‘alleanza’ . La parola ‘alleanza’ richiama l’evento al Sinai quanto Dio, per mezzo di Mosè, dona la sua legge e il accetta di viverla. Il termine alleanza appare la prima volta, esplicitamente, nel racconto del diluvio, quando l’umanità è salvata dalle acque che avevano sommersa la terra. Dio, dopo il diluvio, s’impegna a non distruggere mai più l’umanità peccatrice (cfr. Gen 6,18; 9,8-17). L’alleanza appare nel ciclo di Abramo e del popolo che da lui prende vita. Dio benedice Abramo e s’impegna a donargli una terra e una discendenza numerosa (cfr. Gen 15,18; 17,1-9). L’alleanza tra Dio e il popolo Israele, liberato dalla schiavitù egiziana, viene sancita al Sinai da Mosè con il rito del sangue, dopo aver letto ‘il libro dell’alleanza’ che presenta le condizioni per vivere in amicizia con Dio (cfr. Es 24,3-8). L’espressione «nuova alleanza» proviene da un oracolo del profeta Geremia, il quale, dinanzi alla realtà disastrosa dell’infedeltà del popolo, prevede che nel futuro Dio sancirà un’alleanza ‘nuova’ con Israele, che comprende il perdono, la responsabilità personale e un relazione di interiorità (cfr. Ger 31,31-34). Nella traduzione greca dei Settanta (LXX), questa nuova berît è detta « nuova disposizione » o « nuovo testamento» (kainē diathēkē). L’apostolo Paolo per indicare gli scritti attribuiti a Mosè li denomina «Antico Testamento » (cfr. 2 Cor 3,14-15).
La formula ‘nuova alleanza’ è ripresa nell’ultima cena, quando Gesù offrendo da bere ai suoi discepoli dice: «questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi» (Lc 22,20; cfr.1 Cor 11,25; Eb 8,6-13; 9,15). Gesù nel suo sangue, che sta per essere versato sulla croce, compie l’alleanza annunziata da Geremia, che unisce Dio e la comunità dei discepoli e forma l’«Israele di Dio» (Gal 6,16). Dio non ha abolito l’antica alleanza, essa è parte fondamentale dell’unica storia della salvezza, attraverso la quale Dio, mediante Mosè e in Gesù, ha chiamato e chiama Israele e i cristiani a legarsi a lui, a farsi segno e strumento di salvezza per tutti gli uomini.
Con la formula impropria «antica alleanza» intendiamo il rapporto religioso privilegiato che Dio stabilì con il popolo, Israele; con «nuova alleanza» lo stesso rapporto, ma esteso, in Gesù, a tutti i popoli, di cui la Chiesa è segno. Tra le due alleanze vi è un’unità profonda: la prima è annuncio, promessa e preparazione della seconda. Per questo i cristiani conservano e venerano nella Bibbia sia i testi sacri del popolo ebraico sia i propri, come l’unico libro che contiene l’unica parola di Dio e l’unica salvezza in essa annunziata e attuata.
Gli scritti del Nuovo Testamento non si presentano mai come un’assoluta novità, ma si mostrano, al contrario, solidamente radicati nella lunga esperienza religiosa del popolo d’Israele, esperienza registrata sotto diverse forme in alcuni libri sacri, che costituiscono le Scritture del popolo ebraico. Il Nuovo Testamento riconosce ad essi un’autorità divina; riconoscimento che si manifesta in molti modi, più o meno espliciti. Le numerose citazioni delle Scritture ebraiche negli Scritti cristiani mostrano in modo chiaro che questi riconoscono l’autorità della Bibbia ebraica come rivelazione divina (cfr. Pontificia Commissione Biblica, Il popolo ebraico e le sue Scritture, n.3)
Una diversa terminologia per comprendere e includere
Per significare la validità perenne dell’antica Alleanza si propongono due formulazioni:
1. denominare la Bibbia degli Ebrei ‘primo’ testamento o ‘prima’ alleanza (cfr. Eb 8,7) per sottolineare così sia la priorità temporale rispetto alla ‘nuova’ sia la permanente validità per gli Ebrei di ogni tempo e la sua validità relativa per i cristiani (cfr. Dei Verbum, 14-16).
2. Denominare la Bibbia degli Ebrei ‘sacre Scritture del popolo ebraico’ e quelle cristiane ‘ sacre Scritture dei cristiani’, ben sapendo, comunque, che le Scritture ebraiche sono ispirate e dunque sono parola di Dio anche per i cristiani.
sr Filippa Castronovo, fsp

Bibbia e parola di Dio

La Bibbia testimonianza privilegiata della Parola

La sacra Scrittura costituisce, sicuramente, il punto centrale della Dei Verbum. Il documento conciliare non ha, tuttavia, come oggetto la Scrittura, in quanto libro sacro, ma la parola di Dio, considerata evento di grazia. Nella DV la formula ‘parola di Dio’ indica, infatti, la grazia della rivelazione e cita la sacra Scrittura con due significati diversi: le Scritture sono parola di Dio e/o le Scritture contengono la parola di Dio (cfr. n 8.9.24). Anzi è interessante notare che questa Costituzione evita di identificare Verbum Dei (Parola di Dio) e sacra Scrittura. Questa è qualificata come ‘locutio Dei ‘, ‘il parlare di Dio’ (n.9).
In questo modo si favorisce la comprensione che la sacra Scrittura è parola/testimonianza che documenta una parola/evento. La Scrittura contiene la Parola ma non è tutta la Parola.
Il sinodo sulla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa, approfondendo DV 7 preferisce spiegare i significati di ‘Parola di Dio’ nell’immagine di una ‘sinfonia della Parola’, come, cioè, di «un canto a più voci». Questa immagine aiuta a capire il senso analogico di ‘parola di Dio’ e fa intuire – per usare le parole di Paolo – ‘l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità’ (cfr. Ef 3,18) della comunicazione di sé che Dio, fin dalla creazione del mondo, per amore, ha voluto stabilire con l’ umanità.

«Occorre pertanto – scrive Benedetto XVI – che i fedeli vengano maggiormente educati a cogliere i diversi significati di parola di Dio e a comprenderne il senso unitario. Anche dal punto di vista teologico è necessario che si approfondisca l’articolazione dei differenti significati di questa espressione perché risplenda meglio l’unità del piano divino e la centralità in esso della persona di Cristo. Il primo e generale significato di parola di Dio è la comunicazione che Dio fa di se stesso, per creare comunione. Seguono diversi significati che vanno attentamente considerati e relazionati fra loro, sia dal punto di vista della riflessione teologica che dell’uso pastorale» (cfr. VD 7).

1. ‘Dei Verbum’ è, in primo luogo, la persona di Gesù Cristo; il Verbo eterno che si è fatto carne, abitò in mezzo a noi, e ci ha interpretato il Padre (cfr. Gv 1,1.14. 18). Attraverso lui il Padre si fa conoscere e si comunica e ogni uomo e donna può risalire al Padre (cfr. Gv 14,6-7).
2. Dio parla attraverso la creazione che narra la sua gloria (Sal 19,2);
3. Dio ha parlato nella storia di salvezza culminata in Gesù (cfr. Eb 1,1-2).
4. Dio ha parlato attraverso la predicazione degli apostoli che hanno obbedito al comando di trasmettere la parola (cfr. Mc 16,5; Mt 28,20). La loro predicazione è trasmessa dalla tradizione della Chiesa.
5. Parola di Dio – ‘Dei Verbum’ – è anche la sacra Scrittura, formata da Antico e Nuovo Testamento, per mezzo della quale Dio parla (DV 21). Essa contiene la testimonianza scritta dei profeti e di Gesù Cristo che è stata fissata, per divina ispirazione, nei 73 libri della sacra Scrittura che chiamiamo Bibbia.

«Le Sacre Scritture sono la “testimonianza” in forma scritta della parola divina, sono il memoriale canonico, cioè normativo, storico e letterario che attesta l’evento della Rivelazione creatrice e salvatrice» (cfr. Messaggio sinodale: la parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa).

Per questo motivo la Chiesa venera le sacre Scritture, pur non essendo la fede cristiana una «religione del Libro»: Il cristianesimo è la «religione della Parola di Dio», non di «una parola scritta e muta, ma del Verbo incarnato e vivente». La Scrittura va, dunque, proclamata, ascoltata, letta, accolta e vissuta come parola di Dio, nel solco della tradizione apostolica dalla quale è inseparabile. La venerazione che la Chiesa riserva alle Scritture è pari a quella dell’Eucaristia. Questa certezza formulata nella DV è ribadita con forza nella VD (cfr. DV 21;VD 7).

Il titolo dell’esortazione apostolica Verbum Domini si riallaccia alla Dei Verbum e mentre ricorda la continuitàtra l’Antico e il Nuovo Testamento e il suo compimento e superamento nella Persona di Gesù Cristo, ne designa una evidente connotazione liturgica. Nelle celebrazioni liturgiche, soprattutto nell’Eucaristia, il popolo di Dio quando ringrazia per il cibo della Parola esclama: Verbum Domini . Si riferisce, cioè alla Persona del Verbo incarnato, Gesùdi Nazaret, presente nella Parola proclamata. Il titolo Verbum Domini indica che la liturgia è luogo privilegiato della divina Parola.

La voce di san Giovanni XXIII profeta del nostro tempo

· «Insegnare la Sacra Scrittura, particolarmente il Vangelo, al popolo, rendere questi figlioli commessi alle nostre cuore familiari, al libro sacro, è come l’alfa delle attività di un vescovo e dei suoi sacerdoti. L’omega, vogliate concedermi questa immagine apocalittica, è rappresentata dal calice benedetto del nostro altare quotidiano… Nel libro la voce di Cristo sempre risonante ai nostri cuori: nel calice il sangue di Cristo presenta a grazia, propiziazione, a salute nostra, della santa chiesa e del mondo. Le due realtà vanno insieme: la parola di Gesù e il sangue di Gesù. Fra l’una e l’altro seguono tutte le lettere dell’alfabeto: tutti gli affari della vita individuale, domestica, sociale; tutto ciò che è importante pure, ma è secondario in ordine al destino eterno dei figli di Dio, e che non vale se non in quanto è sostenuto dalle due lettere terminali: cioè la parola di Gesù sempre risonante in tutti i toni nella santa chiesa dal Libro sacro, e il sangue di Gesù nel divino sacrificio, sorgente perenne di grazie e di benedizioni» (A.G. Roncalli, La Scrittura e s. Lorenzo Giustiniani, Quaresima 1956).

· «Se tutte le sollecitudini del ministero pastorale ci sono care e ne avvertiamo l’urgenza, soprattutto sentiamo di dover sollevare da per tutto e con continuità di azione l’entusiasmo per ogni manifestazione del Libro Divino, che è fatto per illuminare dall’infanzia alla più tarda età del cammino» (san Giovanni in Laterano, 23.11.1958).

sr Filippa Castronovo, fsp

La Chiesa ascolta la Parola e la proclama

Scrittura e Tradizione

E’ un dato acquisito che il Concilio Vaticano II è stato pastorale. Il Papa ‘buono’ nel leggere i ‘segni dei tempi’ sentì che sulla Chiesa gravava il compito inderogabile di «aggiornare» la pastorale per comunicare «le verità di sempre» in modo comprensibile: «Altro è il deposito della fede, altro è il modo con il quale esse sono annunziate… È importante il metodo dell’annuncio perché l’indole del Magistero è pastorale» (cfr. Gaudet Mater Ecclesiae, 6.5).

L’ottica pastorale del Concilio nella Dei Verbum si esprime nella nuova visione del rapporto della Chiesa con la rivelazione, definito in termini di ascolto, annuncio e trasmissione. La Chiesa comprende se stessa come comunità di fede che vive in ‘religioso ascolto ’ della Parola. L’immagine di popolo in ascolto trova le sue radici nell’AT dove Dio invita il popolo a vivere dell’ascolto e nell’ascolto. «Ascolta, Israele: Il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze…» (Dt 6,4) è il monito che scandisce la Bibbia. Al ritorno dall’esilio babilonese, ritornato in patria, ritrova la propria identità di popolo di Dio quando si trova radunato intorno alla Parola che ascolta, interpreta nell’oggi e guida le sue azioni nella solidarietà (cfr. Ne 8,1-18). Il libro dell’Apocalisse presenta la Chiesa come comunità di ascolto della Parola che la converte, incoraggia, rafforza nella fedeltà dinanzi alla complessità della storia che la spinge controcorrente e la prepara ad accogliere il ritorno definitivo del Signore (Ap 2, 7.11.17.29; 3,6.13.22; 22,17). Si comprende che la parola di Dio è il fondamento della Chiesa che da essa è edificata, nutrita, custodita. La Chiesa non è e non può ritenersi proprietaria della Parola, ma è responsabile di un patrimonio immenso che non è suo: lo ha ricevuto, lo vive e lo e trasmette fedelmente, prestandovi piena sottomissione (cfr. At 6,4).

Prima del Concilio si riteneva che Scrittura e Tradizione costituissero due fonti della rivelazione. La DV supera quest’antica e sterile teoria delle ‘due fonti’ e sottolinea con forza l’unità originaria di Tradizione e Scrittura, la loro reciproca dipendenza e necessaria complementarietà.

Questa acquisizione non è stata facile e ha incontrato molte opposizioni tra i padri conciliari. Forse non lo è ancora adesso. Se a un credente praticante domandassimo: «Cronologicamente viene prima la Tradizione o la Scrittura?» sicuramente indicherebbe la Scrittura. Questa risposta dimentica che senza una comunità viva – come testimoniano gli Atti degli Apostoli– e orante che ha custodito, trasmesso e testimoniato l’agire di Dio nella sua storia non ci sarebbe stata alcuna scrittura e quindi nessun libro sacro. Prima vi è la vita poi il libro che a sua volta viene interpreto e tramesso dalla e nella vita delle varie generazioni (cfr. DV 10; At 2,42-47). E’ dentro la Tradizione, intesa come vita stessa della Chiesa, che si spiega il sorgere e la funzione della sacra Scrittura. «La sacra Tradizione e la sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di Dio affidato alla Chiesa » (DV 10). La sacra Scrittura (indicata come il parlare di Dio) ha la sua origine nella Tradizione (vita) e deve essere trasportata dalla Tradizione. Privata dalla Tradizione, la Scrittura sarebbe un ‘corpo morto’ ; la Scrittura si distingue, tuttavia, dalla Tradizione in quanto ispirata da Dio e legata al sorgere della storia di salvezza.

Scrittura e Tradizione non sono due fonti parallele ma come uno «specchio nel quale la Chiesa, pellegrina in terra, contempla Dio». Il termine Tradizione (T maiuscola!) non indica, perciò, qualcosa da perpetuare in modo immutabile nei secoli quasi come sinonimo di tradizionalista, ma Tradizione rimanda alla vita della Chiesa che «nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è e a tutto ciò che essa crede». E’ importante notare che la trasmissione non riguarda solo la dottrina (ciò che essa crede) ma ciò che essa è (la vita nella sua globalità).

La Tradizione venendo a coincidere con la vita della Chiesa nella sua completezza, è vivente, vale a dire, in continua crescita. Ogni generazione cristiana riceve le Scritture, le interpreta e le vive in modo aderente ai suoi tempi senza sostituire o annullare il passato. Lo Spirito santo, che ispira le Scritture e guida la Chiesa verso una più profonda comprensione, è alla base del dinamismo della Tradizione, garantendo la fedeltà alla parola di Dio nella storia che cammina verso la pienezza (cfr. Gv 14,26; 16,13-14).

Paolo VI il 18 novembre 1965, data di promulgazione della Dei Verbum, verso la conclusione del Concilio, parlò «diprincipio di molte cose!» nuove per la vita della Chiesa. Sicuramente tra queste cose nuove c’è il recupero del concetto di rivelazione come comunione e un’acquisizione più equilibrata del rapporto Scrittura e Tradizione che inserisce nel solco dinamico della Parola di Dio che agisce nella vita e nella missione della Chiesa.

Un invito da ricordare e vivere

Giovanni Paolo II, nel 2003, invitò l’Europa a entrare nel nuovo millennio con il libro del Vangelo, offrendo, quasi, un metodo di lettura spirituale, scandito da cinque verbi. Quest’invito è un appello che non possiamo eludere tanto più che stiamo per entrare nell’anno giubilare della misericordia.

«Attraversando la Porta Santa, all’inizio del Grande Giubileo del 2000, ho levato in alto davanti alla Chiesa e al mondo il libro del Vangelo. Questo gesto, compiuto da ogni Vescovo nelle diverse cattedrali del mondo, indichi l’impegno che attende oggi e sempre la Chiesa nel nostro Continente.

Chiesa in Europa, entra nel nuovo millennio con il Libro del Vangelo! Venga accolta da ogni fedele l’esortazione conciliare «ad apprendere “la sublime conoscenza di Cristo” (Fil 3, 8) con la frequente lettura delle divine Scritture. “L’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo” ». Continui ad essere la Sacra Bibbia un tesoro per la Chiesa e per ogni cristiano: nello studio attento della Parola troveremo alimento e forza per svolgere ogni giorno la nostra missione.Prendiamo nelle nostre mani questo Libro! Accettiamolo dal Signore che continuamente ce lo offre tramite la sua Chiesa (cfr Ap 10, 8). Divoriamolo (cfr Ap 10, 9), perché diventi vita della nostra vita. Gustiamolo fino in fondo: ci riserverà fatiche, ma ci darà gioia perché è dolce come il miele (cfr Ap 10, 9-10). Saremo ricolmi di speranza e capaci di comunicarla a ogni uomo e donna che incontriamo sul nostro cammino» (Esortazione apostolica postsinodale, Ecclesia in Europa, n.65).

Dalla Dei Verbum (1965) alla Verbum Domini (2010)

Sui passi della Parola

Cinquant’anni sono tanti nella vita di un persona ma pochi nella storia della Chiesa che ha 2000 anni di vita. Dalla fine del Concilio a oggi il cammino sui passi della Parola è stato notevole. La Dei Verbum, Costituzione conciliare breve, ma portale d’ingresso e fondamento della teologia conciliare, liberò la Bibbia da secoli di emarginazione e dall’essere considerata contenitore di frasi a sostegno di definizioni dogmatiche. Grazie alla DV, intorno alla Bibbia, divenuta accessibile a tutti, e alla sua interpretazione, s’iniziò una ‘rivoluzione copernicana’. Gli studiosi della Bibbia, finalmente, poterono, senza timore, utilizzare i nuovi metodi esegetici della scienza biblica valorizzando la filologia, l’archeologia, ecc…; confrontarsi con la scienza; approfondire il dialogo ecumenico. Tra cattolici e cristiani di altre confessioni si rafforza un’ inedita collaborazione: la traduzione interconfessionale della Bibbia in molte lingue parlate nel mondo è evidente testimonianza. Per quanto riguarda il popolo di Dio: «E’ motivo di gioia vedere la Bibbia presa in mano da gente umile e povera, che può fornire alla sua interpretazione e alla sua attualizzazione una luce più penetrante, dal punto di vista spirituale ed esistenziale, di quella che viene da una scienza sicura di se stessa» (cfr. Interpretazione della Bibbia nella Chiesa, n. 23, 1993).

Senza il Vaticano II e la Dei Verbum questi passi sarebbero stati impensabili e impossibili. Come ogni cammino anche quello biblico ha incontrato incertezze, difficoltà e inevitabili arresti.

Nello studio ‘scientifico’ della Bibbia è venuta, in alcuni casi, a mancare l’ottica dell’ incarnazione che considera la Parola di Dio, contenuta nella Scrittura, come ‘parola di Dio espressa in parole umane’: «Le parole di Dio, infatti, espresse con lingue umane, si son fatte simili al parlare dell’uomo, come già il Verbo dell’eterno Padre, avendo assunto le debolezze dell’umana natura, si fece simile all’uomo» (n.13). La parola di Dio è veramente Parola, che crea relazione, perché è comunicata con la lingua umana, possibile a comprendersi, così come la persona di Gesù comunica tutta la sua divinità nella sua umanità, che lo rende uno di noi. Divenuta carente questa ‘precomprensione di fede’, tipica dell’esegeta credente (DV 12), l’esegesi biblica, a volte, ha sconfinato nella storiografia o nella letteratura, sia pure di tipo particolare.

La Bibbia è, invece, Scrittura sacra che contiene la parola di Dio da scrutare con fede!

Nella pastorale biblica, per una carente formazione, si costatano altri aspetti problematici. Due in particolare: la lettura fondamentalista che interpreta il testo biblico alla lettera, così come si presenta, a prescindere dalla corretta interpretazione e mediazione ecclesiale; la lettura spiritualista che nella Bibbia cerca quello che dice o piace a me, attribuendo questa lettura allo Spirito! L’interpretazione biblica richiede, invece, l’esegesi, cioè, l’«azione del condurre fuori, del tirar fuori». Per condurre fuori bisogna, comunque, entrare dentro, senza pregiudizi. L’esegesi credente conduce ‘fuori’ il significato del testo e cogliendo il messaggio che Dio, oggi, rivolge a me.

La Chiesa, in questi cinquant’anni di cammino postconciliare, alle problematiche che andavano emergendo, risponde con numerosi interventi. Sono significativi alcuni documenti della Pontificia Commissione Biblica (PCB), istituita il 30 ottobre nel 1902 da Leone XIII. Il documento l’ interpretazione della Bibbia nella Chiesa (1993) fa chiarezza sui metodi d’interpretazione della Bibbia, mostrando l’utilità e la relatività di ognuno di essi; Il popolo ebraico e le sue sacre Scrittura nella Bibbia cristiana (2001) chiarisce lo stretto e indistruttibile rapporto tra Antico e Nuovo Testamento, facendo avanzare il dialogo tra cristiani ed ebrei, nella chiarezza, stima e affetto reciproci; L’ispirazione e verità delle sacre Scritture (2014) esamina quale verità di fede si trova al centro della testimonianza della Scrittura ispirata. Infine, nel 2008, a seguito del Sinodo sull’Eucaristia, si celebra quello sulla: “La parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”. Questo Sinodo, sollecitato da numerosi pastori e fedeli della Chiesa universale, vuole chiarire gli aspetti fondamentali della verità sulla Rivelazione, accendere la stima e l’amore profondo per la Sacra Scrittura; rinnovare l’ascolto della Parola di Dio, nella liturgia, nella catechesi e con l’esercizio dellaLectio divina.

Il Sinodo ha spiegato che la formula parola di Dio (Dei Verbum) è analogica: si riferisce cioè, a realtà diverse benché affini tra di loro. La Bibbia contiene la parola di Dio, ma non la circoscrive né la esaurisce, le rende però un’autorevole e indiscutibile testimonianza. La parola di Dio eccede la Scrittura la quale è anch’essa parola di Dio per la vita dei credenti.

Come intendere il rapporto corretto tra Bibbia e parola di Dio?

In cammino su sane radici

· Papa Giovanni XXIII definì il Concilio «novella Pentecoste» (24 ottobre 1962); Paolo VI «rinnovamento e aggiornamento» (2 luglio 1969); Giovanni Paolo II «sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre»(NMI, 57); Benedetto XVI «la magna charta del cammino della Chiesa molto essenziale e fondamentale» (24 luglio 2007); Francesco «Apertura a una permanente riforma di sé (Chiesa) per fedeltà a Gesù Cristo» (EG, n.26, 24 novembre 2013).

· L’8 dicembre 2015 inizia l’anno giubilare speciale della misericordia. Come non ricordare l’ottica della misericordia che caratterizza il discorso di apertura del Concilio Vaticano II?

«La Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore…; la Chiesa Cattolica … vuole mostrarsi madre amorevolissima di tutti, benigna, paziente, mossa da misericordia e da bontà verso i figli da lei separati» (11 ottobre 1962).

· La Vita Consacrata, in questi anni, è stata ripetutamente invitata a vivere un contatto profondo con la Parola: «La vita consacrata alla scuola della Parola, riscopre di continuo la sua identità e si converte in “evangelica testificatio” per la Chiesa e per il mondo. Chiamata ad essere “esegesi” vivente della Parola di Dio (cf. Benedetto XVI, 2 febbraio 2008), è essa stessa una parola con cui Dio continua a parlare alla Chiesa e al mondo» (cfr. ad esempio, Proposizioni al Sinodo sulla parola di Dio, n. 24).

sr Filippa Castronovo, fsp

Il Vaticano II: il Concilio della Bibbia

La Scrittura ritorna nelle mani dei credenti

Cinquant’anni fa, il 18 novembre 1965, finalmente, iI Concilio Vaticano II, verso la sua chiusura ( 7 dicembre 1965) promulga l’attesa Costituzione dogmatica, Dei Verbum (DV) sulla divina rivelazione. L’iter per la sua promulgazione fu lungo e faticoso, ma il risultato colmò l’attesa dei tanti ‘profeti’ e pastori, che mossi dallo Spirito, auspicavano la centralità della Scrittura nella vita della Chiesa. La DV recepisce le istanze fondamentali del movimento biblico del Novecento che desidera liberare il testo sacro dall’ interpretazione dottrinale e moralistica del tempo, che rendeva difficile la comprensione della Bibbia come parola di Dio in parole umane, promuovere una familiarità orante di tutti i fedeli con la Bibbia, riporlanelle loro mani dalle quali era stata esiliata. Autorevoli studiosi e pastori definirono il Vaticano II come il Concilio della Bibbia. I testimoni del Concilio ricordano, poi, che, in tutte le sessioni conciliari, la sacra Bibbia era esposta al centro della Basilica di San Pietro, che era usata come Aula del Concilio. Questa centralità del libro sacro era un simbolo inequivocabile del ruolo centrale della parola di Dio in tutte le deliberazioni del Concilio.

La novità della Dei Verbum emerge già dall’incipit del testo: «In religioso ascolto della parola di Dio e proclamandola con ferma fiducia» che riassume l’essenza della Chiesa, depositaria della Parola, nella sua duplice dimensione di ascolto e di proclamazione. La Parola di Dio, senza dubbio, è al primo posto nella auto – comprensione della Chiesa, che dal Concilio esce con il volto di discepola, serva e madre.

Ecco la grande svolta: prima del Vaticano II si riteneva che la rivelazione consistesse nelle verità da capire, ricordare a memoria e insegnare. La fede consisteva, soprattutto, nella loro trasmissione ripetitiva. La DV sottolinea, invece, che la rivelazione è ‘buona notizia’: Dio, che ama la vita, esce dalla sua solitudine e, tramite la sua parola, intreccia con l’umanità una relazione di alleanza . Egli «parla» per invitare gli uomini e le donne alla comunione con lui e da essi si attende quella risposta obbediente che s’identifica con la fede /relazione, prima che con il credere (cfr. Proemio basato su 1Gv 1,2-3). Il credere, in realtà, non è la prima fase del rapporto con Dio. La prima fase è, invece, l’incontro che scaturisce dall’ascolto. La parola di Dio non istruisce su dottrine alle quali l’umanità non può accedere con la sola ragione. Al contrario, è comunicazione viva da persona a persona. Si precisa che Dio parla «con eventi e parole» (n.2), vale a dire, nella storia che ha il suo compimento in Gesù Cristo (cfr. DV 2; 4; 7; 13). Per farsi capire, Dio usa la lingua degli uomini in tutte le sue forme espressive. Con la Dei Verbum, dunque, la centralità di Cristo, Parola incarnata diviene criterio ermeneutico assoluto.

Il capitolo VI dal titolo “La Sacra Scrittura nella vita della Chiesa” apre le piste per realizzare questa ‘conversione teologico pastorale’. In esso si afferma che la Bibbia non è un libro ‘religioso’ riservato a pochi eletti ma contiene la parola di Dio per la vita della Chiesa. Le sante Scritture sono ‘l’anima’ della vita e della missione della Chiesa, la sua fonte, la sua origine, la sua ispirazione; tutta la predicazione ecclesiastica e la religione cristiana deve essere nutrita e regolata dalla Sacra Scrittura (cfr.n. 21). Di qui la necessità di traduzioni nelle lingue moderne, dello studio dei sacri testi, con i nuovi metodi esegetici; la sua importanza fondamentale nella teologia e nella vita spirituale di tutti i credenti, i quali, soprattutto i religiosi, devono apprendere la ‘sublime scienza di Gesù Cristo’ con la frequente lettura delle divine Scritture (cfr. n.25). Questa pressante esortazione fu rafforzata dalla frase di San Girolamo: «L’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo». Si propone, quindi, un modo efficace per accostarsi al testo sacro definito della ‘pia lettura’ che oggi diciamo ‘lectio divina’.

La gioia che la DV suscitò nella Chiesa ricorda le parole di papa Giovanni XXIII, quando l’ 11 ottobre 1962, aprì il Concilio Vaticano II dicendo: «Gioisci Madre Chiesa». L’invito alla gioia ricorda quello dei profeti che vedono la novità di Dio in mezzo al suo popolo sofferente: «Rallegrati Gerusalemme…» (Is 49,13) e dell’angelo a Maria: «Gioisci il Signore è con te» (Lc 1,28)!

Giovanni XXIII in un tempo carico di gravi problemi che, al suo dire, ‘suscitano i profeti di sventura che annunciano sempre il peggio’, annunciò con coraggio profetico l’aurora di un giorno pieno di luce. Che cosa può essere questa luce se non la parola di Dio, testimoniata nella Bibbia, che è luce al nostro cammino, roccia solida, grazie alla quale la casa costruita su di essa resiste alle intemperie?

Siamo ancora all’aurora (Da sapere che)

· La DV fu preceduta dalle Costituzioni che riguardano il rinnovamento della liturgia, Sacrosantum Concilium (SC); l’identità della Chiesa: Lumen Gentium (LG) e seguita dalla Gaudium et Spes (GS) che riflette sul suo essere in ascolto e a servizio dell’umanità (7 dicembre 1965). La parola di Dio che anima ognuna di queste tre Costituzioni e ne costituisce l’asse portante testimonia l’importanza che la Bibbia ebbe nella riflessione conciliare.

· In questi cinquant’anni, la Bibbia o parti di essa è stata tradotta in 2454 lingue diverse. Restano altre 4500 lingue in attesa di essere confrontate con le sante Scritture. Dai calcoli delle Società Bibliche compiute nel 2009 risulta che solo il 2 per cento o quasi dei 2 miliardi di cristiani può leggere, se vuole, la Bibbia nella propria lingua! Tra questi quanti la ritengono l’unica luce al proprio cammino? Come disse Giovanni XXIII: ‘siamo ancora all’aurora’!

sr Filippa Castronovo, fsp