Via Giuseppe Zanardelli, 32

00186 Roma - Italia

+39 06 6840051

Fax +39 06 56561470 segreteria@usminazionale.it

Per crescere

Il costo standard. Salverà la scuola dal tracollo?

costoIl cambio di gestione del Miur, ha fatto tornare in auge i fautori di modelli scolastici alternativi e ritornare su una proposta, cioè sull’introduzione di costi standard per un reale pluralismo educativo che favorisca la libertà di scelta delle famiglie.

Ma cosa è il costo standard? Perché ciclicamente questa proposta viene ripresentata, ma poi cade nel vuoto senza che si affronti il tema in modo esauriente?

Abbiamo girato queste domande a suor Anna Monia Alfieri, presidente Fidae Lombardia, da tempo paladina di questo modello di finanziamento delle scuole italiane e tra le promotrici del tavolo di lavoro sul tema, attivato al Miur nel 2017.

Proponiamo la lunga intervista, al fine di comprendere per bene le ragioni di chi rivendica il costo standard.

Suor Anna Monia Alfieri, ci spiega in cosa consiste l’introduzione del costo standard?

Lo Stato non può reggere finanziamenti aggiuntivi per la scuola pubblica, sia statale che paritaria, entrambe destinate – per motivi diversi – al tracollo. L’unica soluzione per evitarlo è definire il costo standard di sostenibilità per allievo, che è cosa diversa dal semplice costo medio ricavato empiricamente dalla serie storica delle spese sostenute, tra le quali figurano anche quelle derivanti da una gestione poco efficiente, a volte persino disastrosa.

In termini pratici, cosa significa?

Significa che il costo standard, riconosciuto come “quota capitaria” spettante all’alunno e alle famiglie, che lo assegnano alla scuola prescelta, si fonda sul diritto inviolabile della libertà di scelta educativa. Detto per jl lattaio dell’Ohio: il finanziamento spetta all’allievo e alla famiglia e, di conseguenza, è da essa assegnato alle scuole pubbliche – statali o paritarie – in quanto ‘servizio scelto’ dalla famiglia stessa. L’alternativa è la scuola di regime.

Quali vantaggi produrrebbe?

In pratica, dotando ogni alunno e ad ogni famiglia di un cachet da spendere nell’istituto che intende scegliere, si realizzerebbe finalmente il pluralismo educativo, dando così alle famiglie la possibilità di decidere fra una buona scuola pubblica statale e una buona scuola pubblica paritaria, avendo – il cittadino – già pagato le tasse. Si attiverebbe, inoltre, una sana concorrenza tra le scuole pubbliche, statali e paritarie, mirata al miglioramento dell’offerta formativa. Si introdurrebbero le leve della valutazione e della meritocrazia, cessando, lo Stato, di considerare la scuola un ammortizzatore sociale: a fronte dell’infornata di 150 mila docenti, abbiamo infatti cattedre ancora vuote poiché l’offerta dei docenti non incontra la domanda né per località né per disciplina. Il cittadino paga il docente che al 1° settembre firma il contratto, e grazie a cavilli vari non c’è, e paga il supplente.

Perché dice che il docente in realtà non c’è?

Quanti docenti e dirigenti pagati non insegnano? Il Ministro conosce il fenomeno e ha annunciato di porvi rimedio. Ma ci sono altri vantaggi del costo standard di sostenibilità: ci sarà il docente di sostegno per l’allievo disabile sia che frequenti la scuola pubblica statale che la scuola pubblica paritaria; chiuderanno i diplomifici, noti e intoccabili (appena lo 0,3% del totale delle scuole pubbliche paritarie, ma si sa, un cancro anche se piccolo è fastidioso e dannoso), poiché i genitori semplicemente non li sceglieranno; saranno eliminati i finanziamenti a pioggia per fantomatici progetti, che contribuiscono al tracollo economico della scuola pubblica statale, nonché affossano il pluralismo educativo offerto dalla pubblica paritaria.

In tal modo, non c’è il pericolo di chiudere le scuole comunque valide ma che per ragioni oggettive lavorano in condizioni difficili, ad esempio in zone deprivate culturalmente o dove l’abbandono scolastico è alto?

Assolutamente no. I parametri del costo standard di sostenibilità saranno calibrati sulla situazione di ciascuna scuola, meglio, di ciascuna classe, tenendo ben presenti le criticità sociali, economiche, logistiche del territorio, sempre però in una prospettiva di miglioramento favorita dalla scelta delle famiglie. Ad esempio, nelle zone ad alta criticità sociale lo Stato, con il risparmio dello spreco, assegnerà alle famiglie una quota pro capite maggiore rispetto ad altre situazioni del territorio italiano, consentendo alle scuole di mettere in bilancio un adeguato apparato di psicologi ed educatori. Anche per le zone a bassa densità abitativa, ad esempio le isole o i comuni di montagna, che non possono raggiungere i parametri numerici per classe richiesti, è ovvio che lo Stato fornirà alle famiglie un surplus di finanziamento, sempre ricavato dal risparmio dello spreco e sempre controllando la qualità dei risultati.

Chi stabilirebbe questi parametri?

Occorre studiare i bilanci di realtà scolastiche virtuose, in cui tutte le voci di spesa siano previste: è stato già fatto nel saggio “Il diritto di apprendere”, editore Giappichelli 2015. Se alcune voci saranno fisse, ad esempio gli stipendi, altre avranno differenze locali che un pool di esperti dirigenti ed amministratori scolastici dovrà calibrare. Il tutto, con la collaborazione degli ottimi esperti ragionieri del Miur che, assicuro, anelano all’avvento del costo standard, vista la fosca situazione presente e le preoccupanti prospettive future del bilancio della scuola pubblica statale.

In termini economici, allo Stato quindi converrebbe introdurre il costo standard?

Con l’introduzione del costo standard di sostenibilità per allievo, l’attuazione della libertà di scelta educativa garantirebbe, come minimo, un risparmio certo per le casse pubbliche di ben 2,8 miliardi di euro annui. Non si tratta di tagliare, ma di impiegare meglio le risorse. Si ricordi che il sistema scolastico italiano ha ampi sprechi.

Ci fa qualche esempio in merito?

Oggi un allievo della scuola pubblica statale costa al contribuente 8.000 euro all’anno di spese del Miur e in aggiunta riceve i finanziamenti di regione, provincia e comune. Per il milione di allievi che frequentano la scuola paritaria lo stato spende 500 euro annui per alunno, con un risparmio di ben 6 miliardi di euro, sempre per anno. Se questo milione di allievi, insieme ai 200 mila docenti, a settembre trovassero i battenti chiusi delle loro scuole paritarie, e questo è l’ardente desiderio di una parte politica che attualmente ci governa, il sistema nazionale di Istruzione collasserebbe miseramente. E non lui solo.

Cosa risponde a chi ricorda ciclicamente che lo Stato deve finanziare, in base alla Costituzione, solo la scuola statale?

Rispondo che l’articolo 33 al punto “senza oneri per lo Stato” dice che nessuna scuola privata può pretendere finanziamenti; qui però parliamo di scuole pubbliche paritarie, cioè di scuole che dallo Stato sono riconosciute e controllate, che fanno un servizio pubblico e che appartengono al servizio nazionale di Istruzione al pari della scuola statale. Ma qui occorre una solida conoscenza dei diritti umani.

In che senso?

I drivers delle pizze hanno i diritti, i genitori no. Attraverso il costo standard di sostenibilità, che si fonda sul diritto inviolabile della libertà di scelta educativa, i finanziamenti non vanno dati alle scuole paritarie o statali, bensì alle famiglie che – come nella Sanità – debbono poter scegliere a costo zero, avendo già pagato le tasse, dove educare i propri figli. La libertà di scelta dei genitori favorirà la sana concorrenza fra le scuole e l’innalzamento della qualità. Siamo agli ultimi posti Ocse-Pisa non per caso.

In effetti, con la Legge 62/2000 le scuole statali e non statali hanno acquisito una parità solo sulla “carta”: perché non si è mai attuata?

Perché non risponde alla domanda “Chi paga?”. La scuola statale apparentemente è gratuita, ma cosi non è, come si è detto; per la paritaria il cittadino paga due volte, con le tasse prima e la retta poi. Soprattutto: chi è ricco va alla scuola americana o delle élite da 15 mila euro annui. Se non si cambia, solo queste sopravviveranno. Mentre i poveri andranno tutti alla statale che, attualmente, va come va. Se sei fortunato, va bene, altrimenti… Mica puoi scegliere! In quest’ambito, la “dignità” sembra bandita.

Marco Bussetti e il suo staff provengono dalla Lombardia, la regione che ha attivato percorsi di formazione professionale presso scuole pubbliche e private messe sullo stesso piano: pensa che il modello sia estendibile a tutto il Paese?

Conosco bene il Ministro e ha partecipato a molti convegni compreso quello di ottobre 2017, dove si sosteneva questo modello e la soluzione del costo standard di sostenibilità, peraltro nel programma della Lega. Escludo una deviazione di rotta. Tuttavia, soltanto, per inciso, alcune decine di dirigenti e presidi di scuole pubbliche paritarie, a nome anche di docenti e genitori, mi stanno contattando nelle ultime ore riguardo ad una singolare affermazione riportata nell’intervista del Ministro alla Tecnica della Scuola: “Agiremo – ha detto – per continuare a garantire la libertà di scelta educativa”… Le domande, più serene, rivoltemi sono state: “Quale libertà?”, “Dove la vede?”, “Che cosa può continuare, che non esiste?”.

Quindi non se ne farà nulla?

Per rispondere alla sua domanda, il modello lombardo potrà essere attuato a livello nazionale. Anche la ministra Fedeli, di area politica differente, lo aveva affermato a più riprese durante il suo mandato, pure alla presenza di Bussetti. La convergenza politica sul tema è un dato acquisito. Forse non dal Movimento 5 Stelle, ma neppure questo è pensabile, poiché il buon senso e l’attenzione al povero mi paiono condivise.

In estrema sintesi, è la contemporanea presenza di tre libertà – di insegnare, di istituire scuole e di scegliere i luoghi dell’istruzione – che conferisce carattere pluralistico al sistema scolastico delineato dalla Costituzione. Le prime due libertà apparirebbero svuotate di contenuto senza la terza, quella cioè della scelta della scuola pubblica – statale o paritaria – da frequentare.

Poi ci sono le scuole private, quelle che vanno avanti solo con le rette delle famiglie: questi istituti non beneficerebbero del costo standard?

Lei sicuramente intende le scuole private non paritarie, che sicuramente non modulano le rette in base all’Isee. Chi le sceglie non sa neppure cosa sia l’Isee: non gli serve. Certamente queste istituzioni, che non fanno parte del Sistema Nazionale di Istruzione – composto da scuole pubbliche a gestione statale e scuole pubbliche paritarie gestite da privati, regioni, province e comuni – non avranno a che fare con il costo standard di sostenibilità. Queste scuole private dei ricchi per i ricchi ci sono e ci saranno sempre. E che i loro gestori e clienti paghino almeno tutte le imposte che devono. C’è chi le sceglie perché sono di élite, e non accolgono né diversamente abili, né extracomunitari. Ma non è un problema: esistono anche le cliniche private, dove il calciatore ingaggiato, dopo la visita medica, trova una selva di telecamere fuori ad aspettarlo.

Fonte: La tecnica della scuola. Il quotidiano della scuola on line

 

IL DECRETO ZERO-SEI ANNI…UN PASSO IMPORTANTE

zero-sei1Chi scrive – e sicuramente almeno qualcuno di chi legge – ha guardato con fiducia ai decreti della Legge 107/15 ed è evidente che solo un’azione culturale competente e coraggiosa può colmare i vuoti di non conoscenza. O di insipienza ideologica. Tra questi, il Decreto zero-sei anni deve essere considerato un passo importante per due ragioni: a) perché riconosce con chiarezza la pluralità dell’educazione all’interno del sistema pubblico b) perché mette in evidenza la responsabilità di ciascuno di noi, a cui non è possibile sottrarsi. A questo punto, infatti, spetta alle famiglie e alle associazioni trattare con i sindaci per accedere ai fondi, favorendo un sistema integrato senza alcuna discriminazione fra bambini. 

Il 28.05.2017 da Il giornale sorgeva, addirittura, spontanea la domanda: “Se alla famiglia del bambino 0-6 anni viene riconosciuta la possibilità di esercitare la propria responsabilità educativa nell’ambito del sistema integrato di educazione e istruzione, quale depotenziamento in umanità o quale cataclisma giuridico impediranno mai alla famiglia del bambino 7-14 anni di vedersi riconosciuto e di esercitare lo stesso diritto? Al compimento del settimo anno si piomba forse nel regno vegetale?” Un punto d’arrivo insperato ma anche un punto di partenza ove il Re è nudo. Il diritto di apprendere dello studente senza discriminazioni economiche, il diritto di scelta dei genitori che possano esercitare la propria responsabilità educativa in un pluralismo formativo sono o non sono per il cittadino italiano dei diritti che lo interpellano? Ormai è stato abbondantemente dimostrato che è possibile garantire la libertà di scelta educativa dei genitori in un pluralismo educativo a costo zero attraverso il costo standard di sostenibilità. Si tratta di capire se tale libertà di scelta interessa o no ai Genitori…

Sicuramente ad Arona, provincia di Novara, interessa, e molto! Quattro scuole, tre paritarie (Istituto Marcelline, Giovanni XIII, Asilo nido di Montrigiasco ) e una comunale, dopo un lavoro di sinergia hanno siglato l’accordo che, alla luce del decreto 0-6 anni, favorisce un sistema integrato. La lungimiranza del sindaco Gusmeroli, attento all’offerta formativa pluralista e ai conti – l’ideologia ha sempre un costo, Friedman ha già dimostrato che favorire il pluralismo educativo oltre ad innalzare il livello di rendimento scolastico rappresenta un risparmio – ha fatto la differenza: chi gestisce la cosa pubblica, come fa un sindaco, sa bene che non può depauperare i contributi che provengono dalla tassazione dei cittadini. Questo è un esempio di istituzioni al servizio della res-publica. Istituzioni responsabili domandano cittadini seri. Sono certa che quello di Arona non sia l’unico Comune virtuoso. Sarebbe interessante capire in quali comuni italiani si è giocata una simile azione di grande responsabilità. Infatti il decreto legislativo 0-6 anni, pubblicato il 16 maggio 2017, riafferma innanzitutto il diritto inviolabile all’educazione, che spetta a tutti i bambini senza alcuna discriminazione. Nulla di nuovo: il decreto cita testualmente la Costituzione del 1948. Ma quali passi mette in atto per garantire il diritto riconosciuto? Innanzitutto si ribadisce che, se il diritto di apprendere spetta al bambino, la responsabilità educativa è della famiglia, che difatti ha un ruolo di co-protagonista. “Diritto di apprendere” e “responsabilità educativa” implicano necessariamente – pena la contraddizione – che alla famiglia sia anche garantita la necessaria libertà di scelta formativa: «Il Sistema integrato di educazione e istruzione […] promuove la qualità dell’offerta educativa avvalendosi di personale educativo e docente con qualificazione universitaria e attraverso la formazione continua in servizio, la dimensione collegiale del lavoro e il coordinamento pedagogico territoriale».  Evidentemente, se per un verso non c’è più spazio per una scuola intesa come ammortizzatore sociale, la prospettiva di una scuola di qualità, fondata sulla scelta libera di chi ne fruisce, non può essere ingabbiata nella fascia 0-6 anni… Parrebbe uno spiraglio l’affermazione che «sulla base delle richieste degli enti locali, le risorse sono erogate direttamente ai Comuni, con priorità per quelli privi o carenti di scuole statali dell’infanzia». È il Sindaco, insomma, a dover essere così lucido da accedere al fondo, favorendo, in assenza della scuola statale, le risorse territoriali (scuole pubbliche paritarie gestite dal comune o da enti privati). Altrimenti è la fine, per il Sindaco, per il Comune, per il Paese. Rebus sic stantibus, il decreto, avendo aperto e fissato uno spiraglio sull’evidenza del diritto di educare il proprio rampollo in una pluralità di scelta formativa oltre il sesto anno di età, conferma che il cittadino non può essere né distratto né assente…

sr Anna Monia Alfieri

Non ci sono soluzioni miracolistiche

scuola1Mentre si susseguono numerosi i fatti di cronaca che stigmatizzano atti indisciplinati di vari studenti della Penisola, non mancano purtroppo le “ricette” di soluzioni semplicistiche al problema. Nemmeno la scuola è indenne dal costume italiano di trasformare gli accadimenti in “fenomeni”, da curare con pillole di saggezza spiccia o direttamente con il Codice Penale: c’è, infatti, chi invoca un richiamo al contratto dei docenti per tutelarli da ragazzi bulli e genitori violenti. Uno scenario da Far West. D’altronde, che andare a scuola fosse una missione da eroi e che far lezione domandasse, oltre ad una grande competenza, una buona dose di coraggio, era ormai risaputo. Non ci sono soluzioni miracolistiche.

Le radici di questa confusione partono da lontano, da una causa disgregante la società nella sua essenza. Da quando la famiglia, quale cellula fondante del vivere civile, è stata ferita nei suoi diritti, confusione e squilibrio sono più evidenti, nei rapporti interpersonali e tra le forze che animano la società, partiti compresi. Le stesse prevaricazioni dell’uno sull’altro, con la pretesa di spaccarsi a vicenda, dimostrano una assoluta mancanza di dialogo, che dovrebbe stare naturalmente al cuore della società civile per la sua sopravvivenza. Evidentemente, ne è compromesso il nucleo.

Entrando maggiormente in medias res, occorre ricordare che la Repubblica non “attribuisce” i diritti alla famiglia, ma si limita a “riconoscerli” e a “garantirli”, in quanto preesistenti allo Stato, come avviene per i diritti inviolabili dell’uomo, secondo quanto dispone l’articolo 2 della Costituzione. Da qui possiamo ripartire per trovare le motivazioni giuridiche atte a riflettere ed eventualmente a comprendere come poter sanare il guasto evidente della società contemporanea, dovuto anche alla grave crisi della famiglia. Occorre infatti chiarire i rapporti tra famiglia e Stato superando una errata sussidiarietà al contrario. Un welfare capace di ristabilire l’armonia e il corretto ordine delle sue componenti, recuperando una dimensione “a misura di famiglia”, sarà la garanzia contro ogni deriva di matrice individualista o collettivista. Nella famiglia il “noi” non sacrifica il singolo bensì, mentre rispetta quest’ultimo e ne persegue il bene, ha di vista il bene comune. La famiglia diviene cosi modello per una società improntata a solidarietà, partecipazione, aiuto reciproco, giustizia. Scrive sapientemente Gregoria Cannarozzo in “Il principio di sussidiarietà, la scuola e la famiglia”: “(..) la interazione scuola-genitori nel nuovo scenario creato dalla costituzionalizzazione della sussidiarietà orizzontale e verticale e recepito dalla riforma del sistema di istruzione e di formazione (legge 53/2003) dà nuova cittadinanza alla famiglia potenziando la reciproca valorizzazione del ruolo e della funzione di quella che è la prima e fondamentale formazione sociale entro cui si svolge la personalità di ciascuno (art. 2 della Costituzione). Proprio in forza del fatto che, specificamente nella famiglia, che può essere considerata, per i suoi aspetti di reciprocità, relazionalità, solidarietà, fiducia, una delle forme primarie della Welfare Community, e fonte di capitale sociale, la persona diventa titolare di diritti non in quanto semplice individuo bensì in quanto membro della famiglia medesima.” La società e lo Stato, nelle loro relazioni con la famiglia, hanno l’obbligo, di attenersi al principio di sussidiarietà, in forza del quale le autorità pubbliche non devono sottrarre alla famiglia quei compiti che essa può svolgere da sola o liberamente associata con altre famiglie. Questo contempla il dovere da parte delle stesse autorità di sostenere la famiglia, assicurandole tutti gli aiuti di cui essa ha bisogno per assumersi in modo adeguato le sue responsabilità.

La crisi odierna appare cosi la risultanza di una logica ambivalente che lo Stato dal Novecento ad oggi ha adottato verso la famiglia: da un lato l’ha esaltata come luogo degli affetti privati, cellula del mercato e del consenso politico, dall’altro l’ha nei fatti combattuta come sfera caratterizzata da legami forti e stabili, potenzialmente oppressivi. Un’ambivalenza che ne ha caratterizzato la sfera educativa. Non si guarda alla famiglia come soggetto di diritti e di azioni che incidono nella società civile, bensì come soggetto che consuma in una logica stringente di mercato. Eppure sarebbe importante che il rapporto tra famiglia, società intermedia e Stato si mantenesse costante, aperto e costruttivo per affrontare insieme le criticità che emergono dalla società contemporanea.

L’identità umana, benché non si esaurisca nell’esperienza familiare, ritrova in essa la palestra che le permette di realizzarsi in pienezza. Una civiltà che non è in grado di difendere la vita dei più deboli, dei nascituri, dei più poveri e degli ammalati, uno Stato che non riconosce e non difende il diritto primordiale alla scelta in ambito educativo da parte della famiglia si condannerebbero alla disumanizzazione e finirebbero per rinnegare i principi democratici, espressi a parole nella carta costituzionale. Un monito che ci richiama alla nostra responsabilità. “La Costituzione è il fondamento della Repubblica. Se cade dal cuore del popolo, se non è rispettata dalle autorità politiche, se non è difesa dal governo e dal Parlamento, se è manomessa dai partiti verrà a mancare il terreno sodo sul quale sono fabbricate le nostre istituzioni e ancorate le nostre libertà.” (Luigi Sturzo).

A che cosa serve riconoscere un diritto se poi non lo si garantisce? È una domanda che viene proposta dal 2010, senza ottenere alcuna risposta. Ricordiamo la sapienza dei Costituenti, coraggiosi davvero, se si considera che sono stati disposti a dare la vita e a non ricevere il vitalizio. All’art. 3 dei princìpi fondanti della Costituzione, essi scrivono: «È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio». È stato più volte dimostrato che i genitori, per esercitare la propria inderogabile responsabilità educativa, devono poterla esprimere liberamente. E la libertà implica una possibilità di scelta, che necessariamente –se non si vuol ricadere in quella contraddizione in termini che, per dirla con le parole di Aristotele, “ci rende tronchi”– domanda pluralismo educativo. Buona la scuola pubblica statale (cioè dallo Stato gestita e controllata), buona la scuola pubblica paritaria (quella scuola che dallo Stato non è gestita, ma controllata).

Ma l’Italia ignora questo elementare principio di diritto: in realtà, la famiglia è considerata dallo Stato “incapace di intendere e di volere”. Può scegliere, infatti, di ricoverare il nonno al San Raffaele pagando un ticket, ma non può scegliere di educare il figlio presso una buona scuola pubblica paritaria, la quale fa parte, come la pubblica statale, del Servizio Nazionale di Istruzione. I genitori, con il loro lavoro, non riescono a pagare e le tasse per la scuola pubblica statale e la retta che fa funzionare la scuola pubblica paritaria che vorrebbero. I poveri, insomma, devono pagare due volte per esercitare il loro diritto di libera scelta, nonostante la Costituzione reciti: «La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali (art. 33, comma 4)». In Italia il figlio dell’operaio e quello del portinaio non possono scegliere una buona scuola pubblica paritaria, mentre può farlo il figlio del deputato, anche del grillino, che in campagna elettorale era contro le paritarie, ma intanto vi accompagnava ogni giorno il pargolo, pagando una retta di € 3.500 annui. La famiglia povera, dunque, deve iscrivere il figlio alla scuola pubblica statale. Non resta che pensare che lo Stato italiano abbia applicato il secondo comma dell’art. 30: «Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti».

L’Italia è, in questo ambito, la più grave eccezione in Europa. Una libertà così osteggiata poteva forse non alimentare il processo di delegittimazione del ruolo dei genitori e, con loro, dei docenti? Una scuola che negli anni ha rifiutato la valutazione e la meritocrazia, una scuola preda dei sindacati, che l’hanno ridotta ad ammortizzatore sociale, poteva forse aspettarsi un esito differente? E oggi, pur di continuare a negare l’urgenza di garantire la libertà di scelta educativa ai genitori (assicurata invece, ad esempio, nella laica Francia), si stigmatizzano gli studenti come violenti, si rispolvera la notizia di reato e la pena, invocando una tutela per i docenti. Follia, ignoranza o –peggio– malafede?

Il fenomeno sociale odierno ci impone una riflessione non punitiva o di tutela, bensì di garanzia del diritto principe dei genitori, che è quello di esercitare liberamente la propria responsabilità educativa: solo da qui potrà scaturire la legittimazione di tutte le parti coinvolte. I sindacati, i politici, i cittadini sono disponibili ad una serietà di argomentazione su questo tema?

La via maestra per assicurare una effettiva autonomia delle istituzioni scolastiche e una reale parità scolastica passa dalla riorganizzazione del finanziamento dell’intero Sistema Nazionale di Istruzione attraverso la definizione del costo standard di sostenibilità per allievo. Lo dimostra scientificamente – dati alla mano – il saggio Il diritto di apprendere. Nuove linee di investimento per un sistema integrato, ed. Giappichelli 2015, di Alfieri, Grumo, Parola, con la prefazione dell’on. Stefania Giannini. In pratica, dotando ogni alunno di un cachet da spendere nell’istituto che intende scegliere, si realizzerebbe finalmente il pluralismo educativo, dando così alle famiglie la possibilità di decidere fra una buona scuola pubblica statale e una buona scuola pubblica paritaria, a costo zero. Si attiverebbe, inoltre, una sana concorrenza tra le scuole pubbliche, statali e paritarie, mirata al miglioramento dell’offerta formativa. L’alternativa è quella dei finanziamenti a pioggia per fantomatici progetti, che rappresenta però il tracollo economico della scuola pubblica statale nonché l’impossibilità di garantire il pluralismo educativo offerto dalla pubblica paritaria.

È il rischio della scuola unica di regime, che già si corre nell’indifferenza dei più.

 sr AnnaMonia Alfieri

 

RELAZIONEIn queste ore in tutta Italia si parla dell’ennesimo episodio di cronaca che riguarda la scuola: una insegnante di Alessandria, una persona descritta come esile e con difficoltà motorie, è stata legata ad una seggiola dagli allievi di una prima superiore, insultata, umiliata, presa a calci.

Si tratta di una vicenda molto triste, purtroppo l’ultima di una lunga serie. La profonda crisi delle relazioni sociali sfoga i suoi pesanti effetti anche sulla scuola, dove il ruolo dell’insegnante ha visto una progressiva ma inesorabile perdita di autorevolezza e di riconoscimento.

Lo scadimento del processo educativo nel nostro Paese si è tradotto nell’abbassamento della qualità dell’istruzione. Occorre ricordare infatti che l’insegnamento si fonda su una relazione, la relazione educativa; quest’ultima ha sempre poggiato su un assunto fondamentale: l’asimmetria dei ruoli dell’educatore e dell’educando, con il riconoscimento da parte di quest’ultimo dell’autorevolezza dell’educatore in ragione della sua esperienza, delle sue conoscenze e delle sue competenze.

Ogni autentico processo di apprendimento è strettamente legato ai processi affettivi che coadiuvano la crescita complessiva della persona. Concetti come «contenimento», «rispetto delle norme», «consapevolezza del limite», sono stati messi in crisi con i risultati che oggi notiamo. La stessa punizione che è stata comminata al gruppo dei bulli è rivelativa di una incapacità di attuare azioni correttive rispetto a comportamenti gravemente erronei.

E’ importante anche riflettere sul fatto che, di norma, al giorno d’oggi “funziona” solo quello che è scelto liberamente dagli individui, e lo stesso vale anche per i percorsi formativi: chi sceglie consapevolmente e liberamente il proprio percorso è di solito più disponibile ad accettare sia le difficoltà che gli ostacoli che gli si parano innanzi. Purtroppo nel nostro Paese il processo di formazione sembra più subito che scelto e la libertà educativa è un traguardo di cui si è ancora poco consapevoli.

L’aver impedito in Italia, la più grave eccezione in Europa, ai genitori di poter esercitare la propria responsabilità educativa, scegliendo liberamente l’istituzione formativa da loro desiderata, ha un costo sociale enorme. La conoscenza e il sapere, annientati dal piattume, hanno prodotto una cultura mediocre e violenta. E’ sotto lo sguardo di tutti il risultato della non conoscenza. Una cultura piatta, comune a tutti, ma che non lascia lo spazio al vero sapere e se quest’ultimo c’è, il cervello è destinato alla fuga…

Abbiamo iniziato con il distruggere la famiglia cellula fondante della società, abbiamo ucciso il padre, la madre, il figlio non ha bisogno dei genitori, la scuola è un ammortizzatore sociale, la politica ci rimanda ad autocandidature che non hanno il coraggio della gavetta e della conoscenza, le organizzazione complesse la vita religiosa, la scuola non ne sono esenti. Un fenomeno sociale questo che definisco la logica risultanza di una responsabilità non agita in libertà.

Nella sterile contrapposizione all’interno del Servizio Nazionale di Istruzione, tra scuola pubblica statale e scuola pubblica paritaria – tema poco citato dai partiti in campagna elettorale, nello stile del “chi tocca muore” – si lede il più naturale dei diritti: la libertà di scelta educativa dei genitori. Argomento tabù. Ad oggi, ben poco (il “poco” è la dote scuola concessa da una/due regioni virtuose: l’eccezione conferma la regola del nulla di fatto) è stato attivato a favore del sacrosanto diritto al pluralismo educativo che perde pezzi ogni giorno sotto la morsa dell’irresponsabilità e che resta l’unico gancio che può salvare dalla scelta obbligata in educazione, tipica dei peggiori regimi totalitari. Al sibilo di tagliare i fondi alle scuole pubbliche paritarie tranne che a quella dell’infanzia, non corrisponde il barlume di consapevolezza che cosi il welfare italiano collasserebbe. Non può essere solo ignoranza; è lampante malafede….

 

Anno scolastico Studenti totale Italia Studenti Scuola Statale Spesa Totale Scuola Statale (in milioni di €) Spesa per Allievo Scuola Statale Studenti Scuola

non Statale

Studenti         Scuola Paritaria Risorse Miur per istruzione non statale (milioni di €) Risorse Miur per istruzione non statale per Allievo Studenti         Scuola               non Paritaria Studenti scuola pubblica Studenti scuola privata Studenti prov.

auton.                       TN e BZ

2006-07 8.931.880 7.687.387 €   52.118 €   6.779,68 1.244.493 1.030.241 €   530,00 €     514,44 214.252 314.279 930.214 158.489
2007-08 8.953.587 7.708.241 €   56.371 € 7.313,08 1.245.346 1.045.668 €   520,00 €     497,29 199.678 308.089 937.257 158.886
2008-09 8.946.233 7.702.783 €   54.648 € 7.094,58 1.243.450 1.060.332 €   521,00 €     491,36 183.118 325.718 917.732 160.604
2009-10 8.961.634 7.716.283 € 50.549 €  6.550,95 1.245.351 1.074.205 €   531,00 €     494,32 171.146 304.527 940.824 162.246
2010-11 8.965.822 7.723.581 € 51.519 € 6.670,35 1.242.241 1.072.968 €   496,00 €     462,27 169.273 324.363 917.878 163.642
2011-12 8.961.159 7.730.853 € 50.984 €   6.594,87 1.230.306 1.061.393 €   502,00 €     472,96 168.913 323.106 907.200 164.438
2012-13 8.943.701 7.737.639 € 49.776 €  6.432,97 1.206.062 1.036.219 €   499,00 €       481,56 169.843 321.173 884.889 164.488
2013-14 8.920.228 7.757.702 €   49.689 € 6.405,12 1.162.526 992.181 €   494,00 €     497,89 170.345 314.469 848.057 164.640
2014-15 8.885.802 7.753.202 € 49.418 €   6.373,88 1.132.600 963.265 €   471,20 €     489,17 169.335 307.681 824.919 162.693
2015-16 8.826.893 7.717.308 €   49.418 € 6.403,53 1.109.585 939.372 €   499,80 €     532,06 170.213 302.765 806.820 162.667

Nemmeno la Legge 62 del 2000, che porta il nome evocativo dell’unico ministro che avrebbe potuto permettersi di emanarla, Luigi Berlinguer, è riuscita a risolvere la questione della parità scolastica, della pari dignità tra le istituzioni scolastiche pubbliche, paritarie e statali. Nonostante dal 2000 sia stato messo nero su bianco che il Sistema Nazionale di Istruzione è composto dalle scuole pubbliche, statali e paritarie, ancora oggi non è comunemente passato il concetto che l’offerta formativa, unica e conforme agli stessi ordinamenti generali, può essere erogata o da istituzioni statali o da istituzioni paritarie, a garanzia del pluralismo formativo e della libertà di scelta educativa sanciti dalla Costituzione. Ignoranza o ideologia? Entrambe. Non è comunemente considerato che negare la libertà di scelta educativa significa affermare una scuola di regime, che riduce il diritto costituzionale all’istruzione all’obbligo di riceverla solo da scuole statali. Da queste premesse, la sbandierata rinascita dell’Italia è oggettivamente impossibile.

Da qui, l’elogio dell’ipocrisia: si desidera, per comodità familiare o per stima del corpo docente, la scuola pubblica paritaria? La famiglia a Isee pari a zero può solo desiderarla; tutte le altre devono pagare oltre al dovuto della fiscalità generale. “A prescindere”, direbbe il Principe della risata, tragica in questo caso.

Insomma, non ci può essere libertà di scelta educativa se non viene garantita la libertà economica per il suo esercizio. Per questo, l’unico modo per rispettare fedelmente il dettato costituzionale del diritto all’istruzione e del diritto alla libertà di scelta educativa è quello di riconoscere una dote a ciascuno studente, pari ad un costo standard di sostenibilità ossia all’ammontare minimo di risorse da riconoscere a ciascuna scuola pubblica – statale e paritaria – sulla base di parametri certi.

In sostanza, le risorse disponibili per il sistema di istruzione e formazione dovrebbero essere destinate alle famiglie, per finanziare l’istituzione scolastica pubblica, statale o paritaria, da loro prescelta per l’istruzione dei figli. Ciascuna istituzione scolastica pubblica, statale e paritaria, riceverebbe tante più risorse quanti più studenti riuscirebbe ad attrarre anche per il proprio valore, generando una virtuosa concorrenza a vantaggio dell’intero sistema educativo. Scuole pubbliche statali e scuole pubbliche paritarie sarebbero incentivate a migliorare l’offerta formativa, a garantire la migliore integrazione con il sistema della formazione universitaria e con il mondo del lavoro, ad erogare efficaci servizi di orientamento e placement, per mantenere le risorse assegnate sulla base delle scelte di famiglie e studenti.

In uno Stato effettivamente liberale, solo attraverso il costo standard di sostenibilità si può garantire anche ai meno abbienti la vera libertà di scelta educativa, data una varietà e pluralità di scelta formativa, che oggi si sta pericolosamente assottigliando. Scuole pubbliche paritarie e pubbliche statali, ben funzionanti, con docenti seri e attenzione a tutte le condizioni degli alunni, non guasterebbero in Italia, soprattutto nelle Regioni più svantaggiate e caratterizzate dal recente ed evidente ciclone politico. Ci si chiede come si possa parlare di rinascita dell’economia e del contesto sociale senza parlare di scuola pubblica liberamente scelta.

Il finanziamento delle scuole pubbliche statali ammonta a circa 49 miliardi per poco più di 7 milioni di studenti rispetto ai quasi 500 milioni delle scuole pubbliche paritarie per circa un milione di studenti. Con una semplice divisione, è quasi immediato rilevare che il costo medio di ogni studente della scuola pubblica statale è pari a circa 6,5 mila euro l’anno, mentre quello delle pubbliche paritarie arriva a meno di 500 euro.

Con il costo standard definito come sopra, la spesa aggiuntiva per ogni alunno, di ogni scuola pubblica, statale e paritaria, sarebbe pari a zero. Questo immaginando che non vi sia alcuna forma di compartecipazione, neanche da parte delle famiglie con Isee ad almeno cinque zeri. Se invece tale contribuzione fosse prevista, la spesa totale dello Stato diminuirebbe decisamente, scongiurando la prevedibile débacle economica dell’istruzione pubblica statale. In sostanza: se anche non si volesse rendere più efficiente il sistema educativo italiano, garantendo il diritto di scegliere la scuola, se anche tutto ciò non interessasse al governo venturo (forse fiducioso nei miracoli), il solo movente economico del mancato tracollo e del risparmio assicurato avrà la forza di acculturare gli ignoranti e far rinsavire gli ideologici. Pecunia non olet, anche per lo Stato.

Anna Monia Alfieri

 

 

 

SCUOLALa scuola italiana, dalle materne alle superiori, è frequentata in Italia da 8.826.893 studenti, 1.109.585 dei quali frequentano scuole non statali, cioè non gestite dallo Stato, ma che dallo Stato sono controllate e riconosciute come luoghi di istruzione pubblici in base alla legge 62 del 2000. Per garantire l’istruzione a tutti, lo Stato ha stanziato nell’anno scolastico 2015/2016 49 miliardi e 418 milioni di euro per la scuola statale e 499 milioni per quella paritaria. Proprio per quest’ultima, però, sono via via diminuiti gli stanziamenti: sono passati da 530 milioni nell’anno scolastico 2006/2007 a 499 milioni nell’anno scolastico 2015/2016. Significa che ogni studente delle scuole statali riceve in finanziamenti, dallo Stato centrale, 6403,52 euro solo di spese correnti. La cifra aumenta di molto se si considerano i finanziamenti degli enti locali. Nella Francia laica e secolarizzata, secondo i dati OCSE del 2014, la differenza tra la spesa per uno studente delle scuole paritarie e uno che frequenta le scuole statali è di soli 3.824 euro, mentre in Italia è di 6.769 euro (a vantaggio delle scuole statali). Gli scarsi finanziamenti hanno provocato, nel corso degli anni, un calo delle iscrizioni alle scuole paritarie, che sono passate dall’11,85% dell’anno scolastico 2010/2011 al 10,64% dell’anno 2015/2016. C’è però un dato che testimonia la fiducia riposta da molte famiglie nelle scuole pubbliche non statali: l’aumento degli studenti con bisogni particolari, come stranieri e disabili, con un corrispondente risparmio per le scuole pubbliche statali. I ragazzi disabili iscritti nelle pubbliche paritarie sono passati dagli 11.547 dell’anno scolastico 2010/2011 ai 12.211 dell’anno scolastico 2014/2015, mentre gli stranieri sono passati da 45.069 a 60.017. Come abbiamo, visto il 93,8% degli alunni frequenta scuole pubbliche statali. Ma queste come garantiscono la qualità? Non è chiaro, dal momento che l’Italia è agli ultimi posti nella gran parte dei punteggi delle edizioni 2015 dei test OCSE che servono per verificare le competenze degli studenti nell’ambito scientifico. Siamo quart’ultimi nella capacità di lettura, quint’ultimi in matematica. Tra i grandi Paesi europei, ci collochiamo davanti solo alla Spagna. Nella laicissima Francia, lo Stato paga gli insegnanti delle scuole paritarie e le rette sono bassissime: il 32% degli studenti frequenta scuole paritarie e nei test OCSE la Francia ci batte abbondantemente.

La soluzione? Un modo per sostenere economicamente l’educazione di tutti i ragazzi – sia di quelli che desiderano iscriversi nella scuola pubblica paritaria che di quelli che scelgono la scuola pubblica statale – e allo stesso tempo far risparmiare risorse allo Stato c’è e sta nella definizione del costo standard di sostenibilità per allievo, applicabile ugualmente a tutte le scuole pubbliche, paritarie e statali. E’ chiaro a tutti che senza definizione di un costo standard di sostenibilità, la spesa dello Stato per l’istruzione è alla cieca ed è destinata ad esplodere. Con la definizione del costo standard, invece, immaginando ad esempio che in ogni classe ci siano 25 studenti, nella scuola materna ogni alunno costerebbe 4570 3,91 euro (se in quella stessa classe ci fosse un alunno disabile, la cifra salirebbe a 5.360 9,58 euro). Applicando questi costi standard, ogni alunno di ogni scuola pubblica, statale e paritaria, costerebbe 5.441 euro, per un costo statale di 47,1 miliardi di euro (cioè ben 2,8 miliardi in meno di oggi). È possibile, perciò, far risparmiare soldi allo Stato e garantire il diritto fondamentale all’istruzione senza discriminazioni economiche, restituendo alla famiglia la responsabilità educativa in una piena libertà di scelta. Ed è possibile grazie a un pluralismo educativo in cui lo Stato garantisca pari risorse a tutte le scuole, con l’obiettivo di innalzare la qualità dell’istruzione italiana, portandola allo stesso livello degli altri Paesi europei. Consideriamo, ad esempio, Paesi con grande tradizione in materia di Stato sociale, come quelli nordici: il sistema scolastico finlandese vede una stragrande maggioranza di istituti paritari (se non quasi la totalità) finanziati dallo Stato, a tutela delle esigenze educative del singolo bambino.

Ma come si concilia la proposta del costo standard con l’art. 33, comma 3 della Costituzione italiana, secondo cui «enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione senza oneri per lo Stato»? In realtà, la proposta non comporta alcun onere per lo Stato (che attualmente risparmia più di 6 miliardi di euro annui per merito delle scuole paritarie), ma mira a garantire il diritto alla libertà di scelta educativa, riconosciuto peraltro dall’art.30 della Costituzione stessa:« È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli». L’iniziativa delle famiglie non costituirebbe affatto un onere, ma semmai un risparmio per lo Stato. Infatti, l’emendamento «senza oneri» riguarda l’istituzione di scuole, non il diritto della persona all’educazione né il diritto dei genitori di educare i figli (diritti che la Repubblica deve riconoscere e garantire): i suoi stessi proponenti, il socialista Codignola e il liberale Corbino, dissero in Costituente che andava interpretato nel senso di un blocco solo selettivo dei finanziamenti alle scuole non statali. Ma il blocco finì per essere totale.

L’equivoco sul «senza oneri», dunque, protrae un’ingiustizia storica, rendendone più difficile la soluzione. Esso equivale a confondere il fine dell’educazione con i suoi mezzi, che sono le scuole. Dobbiamo evidenziarlo: troppi persistono in una visione filosofica per cui la persona e l’educazione sono funzionali allo Stato, che, attraverso le scuole, intenderebbe “rieducare gli italiani, troppo condizionati dalla Chiesa Cattolica”… e quindi inquadrarli in una scuola di regime.

Invece, soltanto rimuovendo l’apparente contraddizione tra l’art. 30 e il 33, si potrebbe dar luogo a una concorrenza virtuosa tra la scuola statale e quella degli “enti e privati” (tra cui i Comuni) che volessero provvedere a istituire scuole al di fuori dell’offerta statale. E si recupererebbe forse il significato originario dello stesso emendamento «senza oneri», che era finalizzato a impedire il finanziamento automatico delle scuole a gestione non statale, non quello selettivo di quelle scuole che dimostrassero di meritarlo, come le “scuole dei Salesiani”, che risultano citate dai verbali dell’epoca a questo proposito.

Se in Italia è stato già applicato, per quanto in modo imperfetto, il sistema del costo standard per persona alla Sanità, perché non si può introdurre anche con la scuola?

Video “I Costi Standard”

https://www.youtube.com/watch?v=_4RiPuu04Mc

sr Anna Monia Alfieri

srmonia@yahoo.it

 

SCUOLA PUBBLICA, STATALE E PARITARIA.

SOLO IL COSTO STANDARD GARANTISCE I DIRITTI DI TUTTI

costo standard1Il costo standard di sostenibilità per alunno è l’unica strada per garantire una scuola senza discriminazioni, superando inutili contrapposizioni tra buone scuole pubbliche statali e buone scuole pubbliche paritarie, di cui molte cattoliche. Anche papa Francesco, nel grande incontro con il mondo della scuola del 2010, ha bypassato ogni discriminazione. Lo ha ribadito anche il segretario della Cei mons. Galantino e lo sostiene persino la ministra Fedeli, di cui è noto il colore politico, quest’ultimo storicamente in odore di pregiudizio..

Si è messo a tema il costo standard il 20 dicembre 2017 al Ministero, giorno di insediamento del gruppo di lavoro appositamente costituito con DM del 21 Novembre 2017. Un passaggio storico senza precedenti, che segna un punto di non ritorno. Con questo tema nessun candidato politico potrà esimersi oltre ogni strumentalizzazione dal fare i conti. Senza alcuna ombra di dubbio il costo standard garantirebbe tutti i diritti secondo quanto recita l’art. 3 della Costituzione: il diritto di apprendere da parte degli studenti senza alcuna discriminazione economica; la responsabilità educativa della famiglia, che può essere esercitata solo in un’effettiva libertà di scelta tra una buona scuola pubblica statale e una buona scuola pubblica paritaria; la libertà d’insegnamento dei docenti – a parità di titolo – in una scuola pubblica statale e in una pubblica paritaria.

A 17 anni dalla legge Berlinguer i tempi sono oggi davvero maturi: si registrano, negli ultimi tempi, passi avanti molto positivi. C’è innanzitutto un testo scientifico di base, il saggio “Il diritto di apprendere, nuove linee di investimento per un sistema integrato”, che fonda la soluzione del costo standard su dati forniti dal Ministero stesso. E con il cordiale incoraggiamento del suo personale amministrativo.

Il concetto, assimilabile al costo standard in Sanità (pago le tasse, ergo mi curo dove voglio, in ente ospedaliero statale o privato convenzionato che sia) sta facendo breccia, perché riesce a intercettare i diritti traditi a 70 anni della Costituzione. L’Italia, da Stato di diritto quale è, non può esimersi dal garantire a) il diritto di apprendere dello studente senza alcuna discriminazione economica; b) il diritto dei genitori di esercitare la propria responsabilità educativa in una piena libertà di scelta che domanda necessariamente un pluralismo formativo, fatto di buone scuole pubbliche statali e buone scuole pubbliche paritarie; c) il diritto degli insegnanti, a parità di titolo e di stipendio, di scegliere se insegnare in una buona scuola pubblica statale o in una buona scuola pubblica paritaria. Un tavolo, quello del 20 dicembre, di studiosi esperti: la scuola ha bisogno delle migliori teste per garantire i diritti; non basta essere un politico per essere esperto….

La Conferenza Episcopale Italiana, – tramite il Consiglio Nazionale della Scuola Cattolica – con il documento “Autonomia, parità e libertà di scelta educativa” del giugno scorso, ha voluto chiarire che il costo standard di sostenibilità è la via maestra per garantire i diritti di alunni, genitori e insegnanti nella scuola. Tutte le altre soluzioni si chiamano leve fiscali, perché in Italia, in un sistema giuridico perfetto, l’unico anello mancante, come dimostrano peraltro tutte le risoluzioni europee e l’ultimo documento del 2014 che invita gli Stati membri a rivedere le linee di finanziamento, è un costo standard di sostenibilità, applicato sia alla scuola statale che alla paritaria. Sarebbe così garantito il diritto di apprendere degli alunni senza discriminazioni, la libertà di scelta della famiglia, la libertà d’insegnamento dei docenti nelle scuole statali e in quelle paritarie.

E’ assolutamente rilevante la task force di politici che singolarmente si stanno esprimendo positivamente in merito e non potranno certamente rimangiarsi questa parola “Aprea e Gelmini sul costo standard: Fedeli ok, il modello è quello della Lombardia” (https://www.tuttoscuola.com/aprea-gelmini-sul-costo-standard-fedeli-ok-modello-quello-della-lombardia/); si guarda alla scuola pubblica tutta come al servizio del diritto di apprendere dello studente senza discriminazioni e della responsabilità educativa in capo alla famiglia in primis, che per essere esercitata domanda una libertà di azione in un pluralismo educativo.

Chi intende perseguire nelle letture di parte e ideologiche dovrà rispondere agli studenti, ai genitori, ai docenti alla Res-Publica di aver tradito il diritto di apprendere confermando l’Italia la più grave eccezione in Europa e al 47 posto al mondo in termini di libertà di scelta educativa, con la conseguenza di perdere un patrimonio culturale enorme. Si è ampiamente dimostrato che il costo standard di sostenibilità non solo garantisce questi diritti, superando ogni discriminazione, ma soprattutto favorisce un sistema scolastico di qualità. A chi rifugge dall’evidenza scientifica, invocando che la scuola statale può ben assorbire tutti gli studenti e i docenti italiani, non solo ci consegna ad una scuola unica e di regime, ma dice il falso, ignorando il grave problema delle classi pollaio. O peggio: gli studenti della scuola statale di Vulcano hanno scioperato per ben 17 giorni prima di Natale invocando il diritto allo studio in una classe decente e non in una pluriclasse affollata…. E’ questo che si desidera?

Occorre abbandonare i personalismi associativi e soprattutto – come ha detto anche mons. Galantino – le associazioni imparino a lavorare e ad andare d’accordo, perché al centro c’è lo studente e il suo diritto da apprendere. Il cuore della faccenda è il diritto di apprendere senza discriminazioni: con il costo standard di sostenibilità è possibile passare dalle parole ai fatti e su questa proposta i programmi dei futuri candidati politici non possono non misurarsi.

Se ogni cittadino impara a denunciare i diritti traditi e a cercare la soluzione da proporre, con la costanza della goccia che scava la roccia e la perfezione di un bisturi telecomandato, allora chi veramente desidera servire la Res-Publica con l’arte nobile della politica si farà strada con proposte serie, risparmiando alla collettività sterili e deprimenti trasmissioni che sollevano le piazze e ci consegnano al populismo.

sr AnnaMonia Alfieri

 

Dalle parole ai fatti…Larga convergenza

k350624891Registriamo con fiducia la larga intesa sulla  “garanzia” del diritto di apprendere dello studente senza discriminazioni economiche; del diritto dei genitori di agire la propria responsabilità educativa in piena libertà di scelta educativa, che necessita di un pluralismo formativo (buona la scuola pubblica statale, buona la scuola pubblica paritaria) ; del diritto dei docenti a parità di titolo di scegliere una buona scuola pubblica statale e paritaria con il medesimo trattamento economico; del diritto dei bambini Dv Abili a scegliere fra una scuola pubblica statale e paritaria.

 – 05 Dicembre 2017 da Tutto Scuola “Aprea e Gelmini sul costo standard: Fedeli ok, il modello è quello della Lombardia”. Intanto il Gruppo, di cui fa parte l’ex ministro Luigi Berlinguer, «può lavorare già nei prossimi mesi, prima delle elezioni politiche, su una ipotesi di lavoro largamente condivisa partendo da una proposta strutturata e da un’esperienza consolidata come quella di Regione Lombardia». Quanto all’attuazione concreta, prosegue Aprea, «si deve guardare alla prossima legislatura, ma in un’ottica di ricerca e ampia condivisione di un modello che valorizza la libertà di scelta delle famiglie tra scuole tutte ugualmente affidabili sul piano della qualità»  (clicca qui per leggere).

Ormai la questione è chiara, i tabù si sono rotti, il cuore del problema non è tanto il sostegno economico alle scuole paritarie quanto un nuovo e diverso metodo di finanziamento del sistema educativo e pubblico nel suo complesso.

Credo che potremmo guardare  a questa come ad un’opportunità che non si riduca all’ennesima occasione persa. L’attuale e il futuro governo non potranno pensare di ignorare le questioni di diritto da lungo tempo tradite.

  05 Dicembre 2017 da Tutto Scuola, “Costo standard, la svolta annunciata ” A presiedere il Gruppo di lavoro, secondo informazioni valorizzate soprattutto da fonti di stampa cattoliche, sarà l’ex ministro Luigi Berlinguer, autore di quella legge n. 62/2000 che riconoscendo la natura ‘pubblica’ dell’attività svolta dalle scuole non statali paritarie avrebbe a loro avviso posto le premesse anche per il loro finanziamento  (clicca qui per leggere).

  27 Novembre 2017 da Tecnica della Scuola, “Scuole paritarie, Fedeli apre al “costo standard”. Alfieri: “Un passaggio storico” , Anche il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, si dice entusiasta dell’apertura (clicca qui per leggere).

A cosa serve riconoscere un diritto se non lo si garantisce? Nessun cedimento e nessuna strumentalizzazione a dirla con le parole di Luigi Sturzo: “Finché gli italiani non vinceranno la battaglia delle libertà scolastiche in tutti i gradi e in tutte le forme, resteranno sempre servi (…) di tutti perché non avranno respirato la vera libertà che fa padroni di se stessi e rispettosi e tolleranti degli altri, fin dai banchi della scuola, di una scuola veramente libera“.

Scuole cattoliche: uguali doveri, minori diritti

STUDENTE1Il 5 ottobre c.a. si è celebrata la “Giornata mondiale degli insegnanti”. In Italia gli insegnanti, considerati gli stipendi, la scarsa considerazione sociale e le difficoltà in cui si trovano ad operare, hanno piuttosto poco da festeggiare.

Papa Francesco per l’occasione ha espresso un breve pensiero tramite un apposito tweet: “La missione della scuola e degli insegnanti è di sviluppare il senso del vero, del bene e del bello”.

Un messaggio che diventa stimolo e sprone per l’impegno professionale dei docenti, ma dovrebbe arrivare anche ai decisori politici.

Il prossimo 26 ottobre, presso la Conferenza Episcopale Italiana (CEI), sarà presentato il rapporto annuale sulla scuola paritaria cattolica e i dati annunciati registrano un sempre crescente numero di istituzioni scolastiche che chiudono i battenti.

Si perdono centri e spazi di educazione e di formazione, si mortificano carismi e potenzialità che non vengono offerti come dono ai giovani di oggi, disorientati e confusi, e l’auspicata “ricerca del vero del bene e del bello”, come dice papa Francesco, si perde nel vuoto delle buone intenzioni di pochi, senza riuscire a produrre quel salto di qualità che la scuola italiana sarebbe in grado di fare, rispettando le libertà di scelta educativa e potenziando le progettualità verso una scuola di qualità.

Il ministro dell’Istruzione, Valeria Fedeli, è intervenuta nei primi di ottobre al convegno “Arte-Formazione-Cultura”, svoltosi presso l’Istituto Marcelline di via Quadronno di Milano, in occasione dell’inaugurazione dei nuovi locali dell’Accademia Ucraina di Balletto.

Nel corso dell’intervista condotta da don Giorgio Zucchelli, presidente dell’USPI (Unione Stampa Periodica Italiana), la ministra ha risposto alle diverse tematiche che interessano le scuole paritarie: la libertà di scelta della scuola, il reclutamento dei docenti nella scuola paritaria; il costo standard per studenti, affermando che è “argomento da studiare e approfondire, ed ha dichiarato di voler, creare un gruppo di lavoro presso il Miur”. Positive promesse che i politici e il governo dovrebbero mettere in atto.

Rincalzando l’osservazione di don Zucchelli, in merito allo svuotamento delle scuole cattoliche perché con le assunzioni statali tanti docenti hanno lasciato l’incarico, la Fedeli, ha sottolineato che sono stati gli insegnanti a scegliere e che il problema essenziale sta nel garantire la qualità dell’offerta formativa anche nelle paritarie e tale garanzia si può avere solo con criteri di reclutamento uguali a quelli previsti per la scuola statale.

Il reclutamento nelle scuole paritarie prevede l’assunzione in primis dei docenti abilitati, in mancanza dei quali si può ricorrere a quelli in possesso del solo titolo di studio.

Il decreto legislativo n. 59/2017 ha introdotto delle novità in merito, infatti, per insegnare nelle paritarie si deve essere in possesso del diploma di specializzazione per l’insegnamento secondario, che si consegue nel primo anno del nuovo percorso FIT (Formazione Iniziale e Tirocinio), al quale si accede tramite concorso.

Al percorso FIT, però, o meglio al primo anno dello stesso, si può accedere anche senza aver superato il concorso, al fine di conseguire il suddetto diploma e insegnare presso le scuole paritarie, che svolgono un servizio pubblico, ancora mortificato dal gravame del doppio costo delle tasse e delle rette, a carico dei genitori.

Applicando il costo standard di sostenibilità, come sostiene suor Anna Monia Alfieri, presidente della FIDAE (Federazione degli Istituti di Attività Educativa) Lombardia, anche nel volume “Il diritto di apprendere”, si potrà garantire un servizio di qualità, nel rispetto di principi di libertà educativa che compete ai genitori, di pluralismo educativo e si constata che lo Stato ne avrebbe anche un beneficio, apportando un notevole risparmio per la spesa pubblica.

L’accoglienza degli alunni disabili nelle scuole paritarie, anche senza ulteriori aggravi finanziari per le famiglie, è oggi una realtà diffusa con notevole successo, anche se tutto ciò spesso determina maggiori oneri per le scuole cattoliche.    Le buone pratiche di sperimentazione e d’innovazione nella didattica, com’è dimostrato dalla nuova sede dell’Accademia Ucraina di Balletto, una vera ’eccellenza’ della scuola milanese che conta un centinaio di ragazze iscritte, e frequentanti anche il Liceo e il convitto.

Le strutture delle scuole paritarie sono ideali per la realizzazione di simili progetti, mentre le scuole statali, spesso stentano nel garantire il minimo indispensabile delle attività curriculari e soffrono il disagio delle mancate garanzie di sicurezza e di prevenzione.

“Tutta la filiera del sapere”, come usa dire la Ministra Fedeli, necessita di un collegamento e di una reale sinergia, senza contrapposizioni ed ostacoli di prevenzione ideologica.

Il bene degli studenti, la loro formazione integrale non dovrebbe avere limitazioni e barriere.

Ben venga la possibilità offerta anche alle scuole paritarie, come previsto dalla legge di bilancio 2017, di accedere ai finanziamenti europei dei progetti PON (Programmi Operativi Nazionali), dai quali prima erano escluse, ma ancora la strada è tutta in salita e spesso anche il linguaggio risente di una contrapposizione tra statale e paritaria, noi e voi, mentre l’essere scuola dovrebbe accomunare tutti per il bene e la crescita dei ragazzi consentendo loro di avere gli strumenti necessari per affrontare la complessa realtà in cui vivono e di gestire le repentine mutazioni di cultura e di stili di vita.

“Educare, non solo istruire” non può restare solo il titolo di un convegno, ma costituisce la nota caratteristica di una progettualità educativa che motiva e giustifica la libera scelta dei genitori. “Per insegnare, infatti, basta sapere, ma per educare è necessario essere”.

La scuola paritaria cattolica, come dimostra la storia, ha tutti i numeri per essere scuola di vita e di formazione ed ora ha necessità di sostegno e di aiuti finanziari per bloccare l’emorragia di sempre numerose e diffuse chiusure d’istituti  scolastici, un tempo fari luminosi e centri di cultura e di formazione, ora “fari spenti” che diffondono nel territorio le ombre del buio e della paura di un domani senza speranza.

Fonte: Zenit, 12.10.2017

COSTI STANDARD1LA SCUOLA E I COSTI STANDARD

La storia d’Italia, come è noto, è intessuta di contraddizioni. Si parte da un Risorgimento che non è andato proprio come abbiamo studiato sui libri di storia, si prosegue con un cammino di unificazione condotto con la politica della “piemontesizzazione” che, se da una parte ha avuto il merito di uniformare velocemente l’apparato dello Stato, dall’altro ha provocato un malcontento diffuso e radicato dei cittadini nei confronti del Governo; si arriva poi al compromesso giolittiano che sfocia nel Ventennio, per giungere- dopo il trauma della Seconda Guerra – ai cinquant’anni di governo democristiano cancellato da Tangentopoli. Ci fermiamo qui. Ovviamente il cammino del Bel Paese ha avuto momenti molto positivi: si pensi solo alla stesura e all’entrata in vigore della nostra Costituzione, la migliore tra le carte costituzionali moderne, secondo il parere di giuristi insigni, non solo italiani. Si ritorna però, anche su questo fronte, nel campo delle contraddizioni: la nostra Costituzione garantisce al cittadino italiano il diritto importante della libertà di scelta educativa. Un genitore, di conseguenza, è riconosciuto libero di istruire ed educare il proprio figlio, scegliendo – all’interno dell’istruzione pubblica, cioè controllata e garantita dallo Stato – tra una scuola statale e una scuola non statale. Questa importante affermazione della nostra Costituzione è stata ripresa nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo che, all’articolo 26, afferma che i genitori “hanno diritto di priorità nella scelta di istruzione da impartire ai loro figli”. Lo stesso diritto è stato successivamente riaffermato dall’Unesco, nel 1966, e da una risoluzione della Comunità europea, nel 1984. Tale principio, però, in Italia, è riconosciuto sulla carta ma non attuato: è una libertà solo teorica, perché per la scuola non statale il genitore deve pagare; se, dunque, bisogna pagare, la logica ci dice che non c’è libertà… infatti non è ammissibile affermare che è libero solo chi è ricco. Il dettato costituzionale, quindi, nel campo dell’istruzione non viene applicato; ciò ha generato negli anni una confusione linguistica all’interno del concetto di “scuola pubblica”, identificata con la scuola statale. Ma “pubblico” e “statale” non si identificano affatto… nessuno oserebbe affermare, infatti, che gli ospedali San Raffaele o la Casa Sollievo della Sofferenza non siano strutture pubbliche! Però non sono statali. Di riforma in riforma scolastica, di governo in governo, si arriva così all’anno 2000. Nel frattempo il sistema politico è cambiato, il pentapartito non esiste più; capo del Governo è Massimo D’Alema, Ministro della Pubblica Istruzione è Luigi Berlinguer, a cui la contraddizione del povero che non può scegliere sarà giustamente e coerentemente saltata all’occhio. Viene emanata a sua firma la legge 62/2000 che dà attuazione al dettato costituzionale, nel senso che si afferma che il sistema scolastico italiano è costituito da scuole pubbliche statali e da scuole pubbliche non statali, dette “paritarie”, non gestite dallo Stato. Queste ultime, per essere riconosciute come “pubbliche”, devono ottemperare ad alcune legittime richieste, come ad esempio avere un progetto educativo ed un Piano dell’Offerta Formativa, bilanci in regola e visionabili da parte di chi ne faccia richiesta, locali e attrezzature didattiche a norma, organi collegiali funzionanti, iscrizione aperta a tutti gli studenti, anche portatori di handicap, a patto che accettino l’offerta formativa, corsi completi, iniziati con la classe 1^, docenti abilitati, applicazione di contratti di lavoro nazionali. L’Ente non statale (ad es. Comune, Provincia, Cooperativa, Comunità ebraica, Istituto Cattolico) che voglia aprire una scuola che rispetti i parametri sopra citati è gestore di una scuola pubblica paritaria inserita nel Servizio Nazionale di Istruzione; se, invece, lo stesso Ente non statale vorrà aprire una scuola senza rispettare quei parametri, sarà gestore di una scuola “privata”, i cui titoli di studio non sono riconosciuti dallo Stato. A noi interessa la prima ipotesi: Ente non statale gestore di una scuola pubblica non statale. Purtroppo le speranze per l’attuazione del principio costituzionale sono andate deluse: ancora una volta il principio affermato e ribadito non è stato attuato e il genitore che voglia avvalersi della scuola pubblica non statale si trova nella stessa situazione: deve pagare. Se non può farlo, o manda obtorto collo il figlio alla scuola statale, altrimenti è costretto a chiedere agevolazioni sulle rette alla scuola paritaria, agevolazioni che sono il frutto di una amministrazione oculata del Gestore. In alcune Regioni lungimiranti, a fronte di un ISEE basso c’è il consistente aiuto della dote scuola. Ma occorre la fortuna di nascere in una di queste Regioni.

Nel frattempo, i gestori di scuole pubbliche paritarie non profit non sono stati alla finestra a vedere i genitori poveri che si allontanavano, ma si sono dati da fare – attraverso un intelligente e puntuale controllo gestionale e amministrativo – sia per richiedere rette tali da consentire ad una famiglia media di poter accedere alla loro scuola, sia per reperire fondi e finanziamenti al fine di venire incontro alle famiglie più modeste, comprese quelle di immigrati terzomondiali, perché potessero liberamente mandare i propri figli nella scuola desiderata (i figli dei portinai, delle badanti e dei sagristi dei palazzi e delle chiese del Centro di Milano frequentano a grande maggioranza le scuole paritarie, insieme ai bambini benestanti dell’ultimo piano).

Sul fronte istituzionale, inutili sono stati i due richiami fatti all’Italia da parte dell’Unione Europea, perché ponesse fine a questa situazione realmente discriminante e si adeguasse ai Paesi dell’Unione. Con un certo strabismo costituzionale, l’Italia si è mostrata solerte nell’ascoltare i più che legittimi richiami della UE in materia delle coppie di fatto; sulla libertà di scelta educativa dei genitori fa fatica a mantenere la stessa determinazione. Mistero! Infatti i Paesi europei (fatta eccezione per la Grecia) riconoscono, in diverse forme, il diritto di libertà di scelta educativa. Basti citare in tal senso il caso della laicissima Francia, dove lo Stato paga gli insegnanti delle scuole paritarie come quelli delle scuole statali e dove le rette sono bassissime, a motivo dei finanziamenti ricevuti anche dalle amministrazioni locali. In Italia la situazione è l’esatto opposto: lo Stato ha stanziato nell’anno scolastico 2015/2016 49 miliardi e 418 milioni di euro per la scuola statale, a fronte dei 499 milioni per la scuola paritaria. Detto in altri termini: ogni studente della scuola statale riceve euro 6.403.528 (senza contare i contributi dei comuni, delle province e delle regioni); lo studente della scuola paritaria riceve euro 532, 06. Ciò che manca alla quota necessaria per la sua istruzione lo deve mettere la famiglia, se può. Altrimenti deve “scegliere” la scuola statale. Non è pensabile, né ammissibile che lo Stato rinunci ad occuparsi del diritto all’istruzione scelta liberamente di quasi un milione di studenti che frequentano la scuola paritaria: se così fosse, ci troveremmo di fronte alla crisi della democrazia e all’anticamera del regime di Stato. Se poi questo milione di studenti si riversasse sulla scuola statale si verificherebbe il collasso del sistema. Infatti le scuole paritarie consentono allo Stato un risparmio di 6 miliardi di euro annui. Per inciso: il genitore che decide di iscrivere il proprio figlio presso una scuola paritaria, paga due volte il costo della scuola: è tenuto al pagamento della retta che va ad aggiungersi al pagamento delle tasse che servono a mantenere la scuola statale di cui però ha deciso di non avvalersi. Secondo i dati OCSE 2014 l’Italia è il Paese in cui vi è la maggiore differenza tra risorse spese per le scuole statali e risorse spese per le scuole paritarie. La logica conseguenza è che sono sempre meno in Italia gli allievi delle scuole paritarie: nell’anno scolastico 2015 – 2016 la percentuale degli iscritti alle scuole paritarie si assestava attorno al 10,64%, con ricadute negative sociali, economiche e culturali assai gravi. La chiusura di una scuola pubblica paritaria che ha lavorato seriamente sul territorio per decenni, se non per secoli, praticamente a costo zero per lo Stato, e che è stata rappresentata da ex alunni còlti e competenti, rappresenta un dramma per le famiglie che l’hanno scelta, per i docenti che vi hanno lavorato, per il territorio in cui è stata profondamente radicata. Un attento contribuente potrebbe chiedersi: ma, almeno, tutti quei soldi spesi per la scuola statale portano al miglioramento dell’apprendimento? Risposta: il sistema dei contributi sopra descritto non porta a un sistema scolastico efficiente. Infatti secondo gli esiti dei test PISA 2015, l’Italia si colloca al 23° posto per le abilità scientifiche e al 24° posto per le abilità di lettura. Tutto questo significa che ci si trova davanti all’ennesimo caso di cattiva gestione delle risorse dello Stato, cioè a un impiego non efficiente del denaro del contribuente.

Negli anni, poi, si sono susseguite riforme e controriforme della scuola, per tentare di migliorare il servizio reso e amministrare le risorse economiche in modo più oculato. L’ultima, in ordine di tempo, è stata la riforma che è confluita nella legge 107/2015: non è questo il luogo per farne una valutazione, lo abbiamo già fatto in altre sedi; partita secondo le migliori intenzioni, tale riforma si è risolta in una assunzione-monstre di migliaia di precari storici che sono stati immessi in ruolo ma che, invece di andare in classe, sono rimasti in sala professori, ad aspettare di essere chiamati per una supplenza o a progettare – spesso inutili – corsi di ampliamento dell’offerta formativa. La scuola, ancora una volta, è stata impiegata come ammortizzatore sociale, per…rimediare all’improprio uso di ammortizzatore che ha creato negli anni i migliaia di precari!… Riflessione del “popolo”: come mai un laureato in ingegneria non è certo di lavorare, se non dopo un’attenta valutazione del datore di lavoro, mentre un laureato in filosofia avrebbe la certezza di lavorare – per giunta con minorenni – senza un accurato controllo della sua professionalità?

In questa situazione, l’unica alternativa possibile alla paralisi del sistema scolastico pubblico, statale e non statale, è la definizione di un costo standard per alunno, identificato sulla base di dati reali, presi da esempi virtuosi di gestione. Sulla base della definizione del costo standard, le famiglie ricevono dallo Stato un voucher spendibile liberamente o per la scuola pubblica statale o per la scuola pubblica paritaria. Lo Stato non sarà più unico gestore e controllore di se stesso, ma diventerà garante della libertà dei cittadini di educare i propri figli. Ci vuole il coraggio di andare oltre posizioni ideologiche ormai superate, che non hanno più alcuna ragione di essere, guardando al bene, anche economico, del Paese e non a quello delle categorie, delle singole associazioni, dei partiti, perché si giunga all’attuazione di un diritto fondamentale dell’uomo per il bene della collettività. I cittadini onesti attendono.

sr Anna Monia Alfieri

srmonia@yahoo.it

Video “ La scuola e i costi standard”: https://www.youtube.com/watch?v=_4RiPuu04Mc

speranza2NON LASCIAMOCI RUBARE LA SPERANZA

Nonostante le molte parole al vento che quotidianamente ascoltiamo, si procede nel mettere in evidenza la più grave ingiustizia che interessa la famiglia italiana. L’assenza del diritto di apprendere senza discriminazioni stride così tanto in una Italia nell’era della globalizzazione perché è silente, lascia quel senso di frustrazione che nulla cambierà. Ma non si deve demordere: la frustrazione appartiene allo schiavo, non al cittadino. Diceva Sturzo “Finché gli italiani non vinceranno la battaglia delle libertà scolastiche in tutti i gradi e in tutte le forme, resteranno sempre servi (…) di tutti perché non avranno respirato la vera libertà che fa padroni di se stessi e rispettosi e tolleranti degli altri, fin dai banchi della scuola, di una scuola veramente libera”.

Nella consapevolezza che “siamo al servizio del Sistema Paese e in questa prospettiva tutti siamo impegnati”– come ha dichiarato la Ministra Valeria Fedeli che ha partecipato di parola e puntualissima (…singolare, nel firmamento della politica italiana) e per più di due ore al convegno “Cultura, economia, politica. L’innovazione educativa” presso l’Universitas Mercatorun (clicca qui), dobbiamo oggettivamente registrare i passi compiuti, soprattutto a livello di accordo tra le Associazioni.

Si segnala l’Intervista di Giorgio Zucchelli al direttore de “Il Nuovo Torrazzo”: “Se cresce la libertà, cresce tutta la scuola” (clicca qui per leggere).

Come un filo rosso questi temi hanno assunto una nuova prospettiva che è esplicitata in un intervento della Ministra Fedeli: Come rendere giusta e libera la scuola? Dibattito fra suor Anna Alfieri e il ministro Valeria Fedeli (clicca qui per leggere) 15.06.2017 da Formiche. Quale Paese abbiamo e vorremmo per i nostri giovani, figli e nipoti? Da qui il coraggio e la tenacia del confronto franco e schietto dei cittadini.

Abbiamo il coraggio di denunciare con lucidità risvegliando l’opinione pubblica spesso ipnotizzata dall’oppio dei talk show, campioni di superficialità. Condivido cosi un articolo pubblicato il 12.06.2017 su Il Giornale: Tuo figlio è autistico? Se lo mandi alla paritaria per lo Stato ti devi arrangiare” Lo Stato sembra affermare questa tesi:“Caro metalmeccanico, se scegli la scuola pubblica paritaria per tuo figlio, arrangiati! Il tuo bambino H che va nella pubblica paritaria perde ogni diritto civile perché tu genitore sicuramente sei ricco” (clicca qui per leggere). Senza diritti, sarà una guerra fra emarginati.

Auguriamoci che per il nuovo a.s. i passi compiuti per lo sblocco dei PON producano il risultato di diritto. 15.06.2017, da TuttoScuola, Fedeli: ‘Sbloccare fondi Pon per accesso alle paritarie. Investire su istruzione’ (clicca qui per leggere).

Non lasciamoci rubare la speranza e l’apertura al confronto con tutti senza alcun pregiudizio. Le idee camminano sulle nostre gambe.

sr Anna Monia Alfieri

srmonia@yahoo.it