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Il Vangelo della domenica

Siamo servi inutili

if“In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!».
Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».
Lc 17,5-10

Per capire la richiesta che gli Apostoli avanzano a Gesù, bisogna sapere cosa era successo prima. Gesù ha appena avanza­to la sua proposta: perdonare senza misura! E questo appare per gli Apostoli un obietti­vo inarrivabile, al di là delle lo­ro forze, e sgorga spontanea la richiesta: accresci in noi la fede! Da soli non ce la faremo mai!
Gesù però non esaudisce la ri­chiesta, ma cambia la prospettiva da cui guardare la fede, introdu­cendo come unità di misura il granello di senape, proverbial­mente il più piccolo di tutti i semi: non si tratta di quantità, ma di qualità della fede. Fede come granello, come briciola; non quella sicura e spavalda ma quella che, nella sua fragi­lità, ha ancora più bisogno di Lui, che per la propria picco­lezza ha ancora più fiducia nel­la sua forza. E’ Dio che compie miracoli, a noi occorre aprirsi alla sua azione. Il discorso di Gesù prosegue poi con la descrizione di una situazione molto comune all’epoca e molto ben conosciuta per far capire quale deve essere l’atteggiamento del cristiano verso Dio: Egli lo invita a superare quella mentalità farisaica per cui si accampano diritti e si pretendono riconoscimenti per il proprio operato .
Servo inutile è colui che scommette sulla gratuità, sen­za cercare il proprio vantaggio, senza vantare meriti. La sua gioia è servire la vita, custo­dendo con tenerezza coloro che gli sono affidati. Il primo “servo inutile” è stato proprio  Gesù, venuto per servire, non per essere servito. Come lui an­ch’io sarò servo, perché questo è l’unico modo per creare una storia diversa, che umanizza, che libera, che pianta semi di speranza anche nel deserto.

sr M. Monica Baneschi, SSM

La consapevolezza ci renda responsabili!

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.

Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».


 

 

Gesù racconta questa parabola ai farisei. Chi sono i farisei? I farisei rappresentavano la classe media di Israele e avevano una grande conoscenza della Torah e della legge orale, di cui seguivano alla lettera le prescrizioni. Spesso e a torto vengono considerati detrattori di Gesù, in realtà invece Gesù si trova frequentemente a discutere con loro: in alcuni casi ne elogia la pietà religiosa e spesso si scontra con loro per gli atteggiamenti di stretta osservanza esteriore. La parabola è narrata in una sezione in cui il tema di fondo è la legge. Il cuore della legge è l’amore a Dio e al prossimo, il ricco invece si dimostra sprezzante e indifferente verso la Parola di Dio e la povertà posta sotto i suoi occhi. Il suo comportamento ha il nome di ingiustizia: è la stessa ingiustizia denunciata dai profeti dell’Antico Testamento, da Gesù e dagli apostoli, e che si manifesta nell’accumulare una quantità smisurata di ricchezze privando gli altri del minimo necessario per la sussistenza. Il ricco non ha nome mentre il povero si chiama Lazzaro che significa “Dio aiuta”: Dio aiuta i poveri e le vittime della storia, e ci sarà un giudizio di Dio alla fine dei tempi, in cui ci chiamerà a rendere conto del nostro comportamento e renderà a ciascuno secondo le sue azioni. La stessa barriera che il ricco aveva creato in terra, la trova rovesciata nell’al di là. A questo ribaltamento delle sorti terrene segue il dialogo tra il ricco e Abramo: con queste parole Gesù non vuole impaurirci o descrivere le “pene dell’inferno”, come siamo soliti pensare, ma semplicemente ricordarci che nella vita può esserci un “troppo tardi”. Dobbiamo vivere il presente come l'”oggi di Dio”, sapendo che il giudizio finale si gioca per ciascuno di noi qui ed ora, perchè l’ultimo giorno non farà che svelare la qualità della nostra vita quotidiana. “Hanno Mosè e i profeti, ascoltino loro”: la fede si fonda sull’ascolto della Parola di Dio e se è autentica, è operante mediante l’amore e si traduce in azioni concrete ispirate dall’amore fraterno. L’amore è l’unica realtà su cui saremo giudicati al termine della nostra vita.

Per la riflessione personale:

1) In cosa oggi la mia consapevolezza non si traduce in responsabilità?

2) In quali scelte oggi sono chiamata a compiere azioni concrete ispirate dall’amore fraterno?

Sr Stefania Sangalli SSM

Il padrone lodò quell’amministratore

vang-xxvIl padrone lodò quell’amministratore

Dal vangelo secondo Luca 16, 1-13
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli:
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”.
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».


La parabola che ci presenta il Vangelo di questa domenica è a prima vista sconcertante. Gesù loda un ladro, un amministratore che si è approfittato dei beni del suo padrone e che sembra non essersi neppure convertito dopo che il padrone l’ha scoperto perché continua a sottrarre al padrone quanto a lui è dovuto.

Sentire che senza remore dice ai debitori: “Invece di centro scrivi cinquanta, o scrivi ottanta”, potrebbe sembrare un orrore dal punto di vista dell’onestà economica, invece egli in questo modo si priva volontariamente della percentuale che sarebbe spettata a lui. Bisogna considerare infatti che secondo l’uso allora tollerato in Palestina l’amministratore aveva diritto ad adattare l’importo che i debitori avrebbero dovuto al padrone per poterne trarre il proprio compenso.

L’atteggiamento di questo amministratore una volta messo alle strette, è davvero interessante; avendo capito che di lì a poco avrebbe perso tutti i beni comincia intelligentemente a pensare a che cosa è davvero importante per la sua vita, così non è lodato perché disonesto ma perché ha cominciato a cambiare mentalità, ha capito finalmente che quello che conta non è accumulare ricchezze materiali che inevitabilmente portano a divisioni e inimicizie, quello che conta è farsi degli amici, è avere qualcuno che ti accolga in casa, che faccia festa per te!! E come lo fa? Cominciando a dare agli altri senza più accumulare per sé stesso! Tutto il brano è concentrato sul rapporto che si ha con la ricchezza e mira a far comprendere quanto questa può essere ingannevole e diventare un idolo, un padrone che rende schiavi, un padrone che non paga, che non rende quello che promette, non dà la felicità sperata, non da quella stabilità che si pensava di aver costruito con tanto sacrificio.

Fatevi amici…questo è il monito, costruite relazioni, condividete i beni di cui siete solo amministratori e non padroni, tutto vi è donato perché possiate vivere bene…ma alla fine dovrete rendere conto di tutto, dovrete lasciare tutto, e nella tomba non porterete le ricchezze materiali e neppure le troverete ad accogliervi dopo la vostra morte…chi potrà accogliervi nelle dimore eterne?

Alla fine troveremo ad accoglierci coloro ai quali avremo fatto del bene, soprattutto i poveri, ci renderemo conto che ciò che abbiamo accumulato sono i tesori delle opere buone, dell’amore che avremo saputo dare, e godremo finalmente in pienezza di quella vera ricchezza che è Dio stesso, unico e sommo bene che non potremo mai perdere.

   Sr M. Monica Baneschi SSM

Rallegratevi con me!

padre-misericordioso1Dal Vangelo Lc 15,1-32

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione. Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte». Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

 


Luca racconta che i pubblicani, ossia coloro che erano manifestatamente peccatori, venivano ad ascoltare Gesù. Erano considerati “perduti”, nessuno li andava a cercare, non si sentivano amati ma si sentivano giudicati e disprezzati. Gesù invece aveva un altro sguardo: quando vedeva un “peccatore pubblico” lo considerava un uomo, uno tra tutti gli uomini…che sono tutti peccatori. A questa vista Gesù provava compassione, non giudicava nè condannava chi aveva di fronte ma cercava di incontrarlo nel suo peccato per proporgli una relazione. Costoro erano perciò attratti da Gesù, mentre fuggivano dai sacerdoti e dai fedeli zelanti i quali mormoravano dicendo “Costui accoglie i peccatori e addirittura mangia con loro!”. Gesù è dunque costretto a difendersi da questi scribi e farisei, ma non lo fa con violenza o con discorsi apologetici. Gesù racconta loro tre parabole il cui centro focale non è tanto l’atteggiamento di chi si perde quanto di chi gli si muove incontro: un Dio Padre la cui gioia è quella di un Dio che vince quando perdona, di un Dio che vuole la salvezza dei peccatori. Lo scopo è mostrare quanto sia grande l’amore di Dio. In particolar modo la terza parabola (nota come «del figliol prodigo», ma che dovrebbe più propriamente intitolarsi «dell’amore del Padre») mostra l’amore frustrato di quel padre che ha amato “fino alla fine”, totalmente, gratuitamente, e che invece è apparso un padre-padrone in virtù delle proiezioni che entrambi i figli hanno fatto su di lui. Su Dio Padre noi tendiamo a proiettare le nostre immagini, ma il suo amore rimane sempre fedele e misericordioso. Alla fine il figlio minore conosce il padre in maniera diversa da come l’aveva conosciuto quando viveva con lui e poi fuggendo lontano: al suo ritorno il padre non lo lascia parlare, lo abbraccia stretto, gli impedisce gesti penitenziali ed espiatori, e così gli mostra il suo perdono gratuito. Invece, per il figlio maggiore c’è il compito di non dire più al padre: “questo tuo figlio”, bensì: “questo mio fratello”. Affermare che l’uomo è figlio di Dio è facile, è invece più faticoso dire che l’uomo è “mio fratello”, ma è esattamente questo il compito che ci attende. Dio, il Padre, resta fuori dalla festa, accanto a ciascuno di noi, e ci prega: “Di’ che l’uomo è tuo fratello, e allora potremo entrare e fare festa insieme”.

Per la riflessione personale:

1) Come oggi sono provocata dallo sguardo di Gesù sui pubblicani?

2) In quali relazioni Dio Padre mi chiama a dire “questo tuo fratello”? Quali reazioni suscita in me questo compito?

Sr Stefania Sangalli SSM

“Non può essere mio discepolo”

Gesù risorto esorta gli apostoli a predicare il Vangelo2XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Lc 14, 25-33

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».

Nel brano precedente si dice che gli invitati al banchetto sono i poveri e gli esclusi: a loro spetta il Regno perchè sono come Gesù. Ora si dice che il discepolo, per poter stare con Lui, deve scegliere il suo stesso posto e lasciare tutto. Se il Regno è offerto gratis, ci sono tuttavia delle condizioni per poterlo accogliere. Luca espone qui le esigenze del discepolato e vuole renderci coscienti della nostra incapacità in modo che, sgonfiandoci di ogni presunzione, arriviamo a sperare solo in Lui. La nostra unica possibilità di essere discepoli è la confessata impossibilità, che ci rende umili, poveri e mendicanti che gridano a Lui. La povertà che Gesù richiede non è stoica ma motivata dall’amore per lui, non indurisce ma apre il cuore al prossimo. Il discepolato esige di lasciar tutto per scegliere il Regno: la forza di tale decisione può essere solo l’amore di chi è stato conquistato da lui e giunge ad una unione appagante con lui. Il Signore è l’unico e il solo, è tutto.

Rifletto sulle tre esigenze del discepolato:

1)Il discepolo raggiungere un’intimità tale con il Signore, che diventa il suo tutto. Cosai mi ostacola oggi in questa totalità?

2)Seguire Gesù significa camminargli dietro. Ho la pretesa di mettermi io davanti e fargli seguire il mio cammino? In quali situazioni?

3)Sedutosi, il discepolo calcola la spesa. La ponderazione e il discernimento non devono essere affrettati: in cosa oggi il Signore mi chiede di sedermi e valutare bene la direzione in cui camminare?

Sr Stefania Sangalli, sfadd

Quello che hai preparato di chi sara?

manoCon questa parola vogliamo vivere questa XXVIII Domenica del tempo ordinario. Il Signore ci consegna una domanda forte, intensa, vera. La verità scava sempre nel cuore e smaschera le ipocrisie che ci fanno sempre più assomigliare ai burattini della grande giostra che il mondo del denaro, del successo e dell’ arrivismo ci propone ogni giorno.

Quello che hai preparato di chi sara?

Il Signore ci invita ad una riflessione che guarda a tutta la vita, che ci fa aprire le porte dei nostri granai pieni di incontri, progetti, sogni e ci fa chiedere: Tutto questo di chi sara?. A noi ora la forza di non perdere più tempo e di recuperare i secondi sprecati nell’accumulo piu che che nel dono e nell’abbandono nelle Sue mani. Allargare i nostri magazzini per essere riconosciuti dagli uomini non servirà nella notte della consegna. Una notte che sarà vissuta da tutti dove solo l’Amore sarà l’oggetto del dialogo tra Dio e l’uomo. Non facciamoci trovare impreparati ma pronti perchè il regno dei cieli è qui e si costruisce piano piano con il dono incondizionato e umile rivolto SOLO a Dio.

Sr Marilda Sportelli sfalc

“Di una cosa sola c’è bisogno”

marta_e_maria“Di una cosa sola c’è bisogno”
In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.

Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

Per meglio capire il significato del brano di Marta e Maria è bene richiamare l’episodio precedente che gli è complementare: la discussione sul più grande comandamento e la parabola del buon samaritano. Ai lettori di Luca, di origine pagana, non interessavano i 613 precetti della legge mosaica, ma cosa bisognava “fare” per ereditare la vita eterna. Nella parabola del buon samaritano ritorna questo “fare”, e così può sembrare che anche per il discepolo basti solo amare fattivamente Dio nel prossimo bisognoso per ereditare la vita eterna. L’episodio di Marta e Maria è dunque qui posto per precisare che ciò non è ancora sufficiente per essere un autentico discepolo. Marta appare come la padrona di casa e si comporta con grande generosità, ma viene distratta dai molti servizi con cui vuole onorare la presenza di Gesù: non trova così il tempo di ascoltare la sua Parola. Anzi arriva a rimproverare Gesù perché non invita la sorella ad aiutarla nel servizio. Maria infatti stava ai suoi piedi ad ascoltare la sua Parola, con l’atteggiamento tipico del discepolo alla scuola dei rabbini; Maria è discepola sul modello della madre di Gesù, la quale si mette anzitutto in ascolto e meditazione della Parola, per viverla in prima persona e poi comunicarla agli altri. La risposta di Gesù è dunque un rimprovero a Marta e un elogio a Maria. Marta, infatti, si affanna e si agita così da non trovare il tempo per la cosa di cui c’è bisogno assoluto: solo l’ascolto della Parola di Dio può nutrire e permeare evangelicamente il fare. Marta pone in alternativa il “fare” e l’ascoltare”, Gesù invece associa le due dimensioni affermando però che la seconda è prioritaria per una prassi illuminata dal vangelo. Marta ha scelto gli affanni per i troppi servizi destinati a soddisfare bisogni momentanei e secondari, che distolgono dal fine ultimo che è la vita eterna. Quindi il rimprovero di Gesù non è contro il servizio, ma contro l’affanno e l’agitazione che lo guastano. Gesù ci insegna che bisogna anzitutto ricercare il Regno di Dio, il resto verrà dato “in aggiunta” (cf Lc 12, 22-30).

Per la riflessione personale:

1) Ho bisogno che Gesù ricordi anche a me che per prima cosa bisogna dare spazio all’ascolto della Parola di Dio?

2) Il mio ascolto è frettoloso oppure calmo e tranquillo, in modo che si trasformi in meditazione, contemplazione e preghiera?

3) Devo scegliere alternativamente tra “ascoltare” e “fare” oppure riesco ad associarli, in modo da lasciarmi guidare e illuminare dalla Parola di Dio nel servizio quotidiano?

Sr Stefania Sangalli SSM

“E’ vicino a voi il Regno di Dio”

Dal Vangelo di Luca 10, 25-37

samaritanorupnik“E’ vicino a voi il Regno di Dio”
In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

Il brano si presenta come un dialogo tipico tra rabbi interrogato dal discepolo, ma in questo caso il discepolo è un dottore della legge che si finge tale per tentarlo. ”Mettere alla prova” indica infatti l’opposizione dei nemici di Gesù che si manifesta attraverso le domande subdole che gli vengono poste, e lo stesso verbo è utilizzato anche per le tentazioni che Gesù subisce da parte di satana nel deserto. In questo passo la tentazione si trova nella domanda posta dal dottore della legge, che vuole mettere in difficoltà Gesù su una questione molto dibattuta al tempo. Gesù risponde invitando l’interlocutore a leggere egli stesso la Legge e così rende questa situazione un’occasione per rivelare il rapporto Padre/Figlio aperto ai discepoli: a questo amore che scende dal cielo sulla terra risponde dalla terra l’amore di figli e fratelli che si alza fino al cielo. Il comandamento dell’amore definisce la verità dell’uomo nella sua relazione con Dio, con gli altri e con se stesso. Chi ama eredita la vita eterna, ossia vive la stessa vita del Padre: l’amore è la sintesi di tutta la legge come rapporto con Dio e con l’uomo. A questo punto il dottore della legge gli pone un’altra domanda imbarazzante che faceva discutere i maestri del tempo: “E chi è mio prossimo?”. Era infatti opinione diffusa che il prossimo da amare fosse il connazionale o il correligionario. Gesù nella sua risposta va oltre e con la parabola ribalta la domanda capovolgendo la definizione di prossimo: non importa tanto chi sia il mio prossimo, in quanto ogni giorno nella vita concreta mi sarà presentato; quello che importa è invece comportarsi come il samaritano, ossia essere io stesso prossimo all’altro. I personaggi della parabola nel loro contrasto mettono in luce l’assolutezza dell’amore, che supera i nostri schemi e le nostre categorie umane, culturali e religiose. Le categorie prestigiose del levita e del sacerdote vengono descritte nella loro codardia e indifferenza; il samaritano invece, che era considerato tra i peggiori eretici, si china e si prende cura dell’uomo con “compassione”. La compassione è la caratteristica fondamentale di Dio: le sue viscere materne si muovono alla vista del male dell’uomo. Dunque il samaritano manifesta sia l’atteggiamento di Gesù che salvandoci ci rivela il volto di Dio, sia la chiamata del discepolo a continuare la missione di Gesù rendendo presente il Regno di Dio su questa terra.

Domande per la riflessione:

  • Per giungere a Dio è necessario passare per il prossimo e non si può amare il prossimo senza amare Dio: in questo momento della mia vita cosa mi impedisce di unificare queste due dimensioni dell’amore?
  • Faccio memoria dell’esperienza di un “samaritano” che si è chinato con compassione sulle mie ferite e si è preso cura di me.

Sr Stefania Sangalli SSM

É vicino a voi il Regno di Dio

 Lc 10, 1-12. 17-20
[In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”.] Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».
Il viaggio verso Gerusalemme prosegue con l’istruzione dei settantadue, che sottolinea un più ampio coinvolgimentodiscepoli1 per annunciare in ogni città e villaggio quel Regno che si sta avvicinando proprio attraverso la persona di Gesù. Gesù invia i settantadue come araldi che preannunciano il suo arrivo e dà loro norme precise che riflettono la Sua signoria. Gesù manda i discepoli come il Padre ha mandato lui e nell’immagine del lupo e dell’agnello ci fa pregustare quel calice della Passione che Egli stesso, l’Agnello di Dio, sta per bere. Questo lungo discorso ha un esordio: “la messe è molta”, cioè tutta l’umanità: la responsabilità del fratello è l’origine della nostra missione, la coscienza di essere depositari del Regno ci spinge verso i fratelli. L’urgenza della mietitura è però in contrasto con il fatto che gli operai sono pochi e questo ci porta alla preghiera, cuore della missione: la comunione col Padre è il primo e più efficace mezzo apostolico. Il centro della missione è l’annuncio del Regno di Dio e l’urgenza di tale annuncio è capita solo da chi ha intuito il mistero dell’amore di Dio per l’uomo. Questi sono i momenti dell’evangelizzazione: “mangiare ciò che è presso di loro” (segno di comunione), “curare i malati” (prendersi cura dell’altro è la vera guarigione) e dire “è vicino a voi il Regno di Dio”(l’unico potere del discepolo è la debolezza della parola annunciata). L’annuncio è sempre fatto in debolezza, per lasciare all’altro la libertà di accoglierlo, e il rifiuto associa il discepolo al mistero della croce del Signore. Al ritorno della missione, Gesù ne rivela il senso ultimo: motivo di gioia non sono tanto i frutti immediati della missione, quanto il fatto che essa ci rende figli nel Figlio, unendoci a lui nella piena comunione e intimità con il Padre. Fine ultimo della missione è renderci a perfetta somiglianza del Figlio: per questo, ciascuno secondo la sua chiamata, siamo tutti inviati a testimoniare l’amore del Padre ai fratelli.

Domande per la riflessione:
1) Secondo le mie condizioni e possibilità, sono cosciente della mia responsabilità nell’annuncio del vangelo a tutti i fratelli?
2) Quale gioia nutre la mia missione?
sr Stefania Sangalli, SSM

Si mise in cammino verso Gerusalemme

Lc 9, 51-62

Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersigesù1 in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio. Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».

Il narratore inizia il cosiddetto “grande viaggio” di Gesù verso Gerusalemme (9,51 -19,44), in realtà “assunzione” (anàlempsis) di Gesù, cioè cammino verso la Morte e Ascesa al Padre. Gesù, confrontandosi con discepoli, folle e avversari, continua a svolgere la missione di annunciare il Regno di Dio, ma con una maggiore insistenza sulla sua vicinanza. L’inizio del “viaggio” si concentra sulla ferma decisione di Gesù di intraprendere il cammino: il vangelo non è più solo parola da ascoltare, ma via da seguire per giungere alla contemplazione del Figlio che ci rivela il volto del Padre, e seguendolo torniamo ad essere figli e fratelli. Il brano ci invita a riflettere sul senso dell’esistenza credente: che cosa significa essere discepoli? Come vivere la sequela? Nel racconto del rifiuto del villaggio samaritano, infatti, non è evidenziata tanto la mancanza di accoglienza dei suoi abitanti, ma la dura reazione dei discepoli che, pur rifacendosi al comportamento di Elia (2Re 1,9-12), provoca il rimprovero di Gesù. Giacomo e Giovanni si sentono associati a Cristo ma ignorano che l’unico suo potere è l’impotenza di chi si consegna per amore, ignorano che Lui vince mediante la misericordia tenace di una amore che vuole essere liberamente amato: la nostra sequela può essere ostacolata da un’intelligenza priva di discernimento, che può condurci a uno zelo e a una prepotenza contrari allo spirito di Cristo. Il quadro successivo mostra tre situazioni in cui la volontà del discepolo può opporsi alla sequela di Gesù: quando si trova divisa tra il desiderio di seguire Lui e quello di tenere le proprie sicurezze materiali, affettive e personali. E’ necessaria una decisione che rompa con l’immagine della madre (il mondo dei bisogni e delle sicurezze materiali), con quella del padre (il mondo degli affetti e dei doveri e dei rapporti) e con i condizionamenti dell’io (sicurezza del solco e della propria identità da conservare). E’ necessario superare la tentazione dell’avere, del potere e dell’apparire; è necessario ricevere da Gesù il dono della libertà dalle cose, dalle persone, dall’io, per amare lui con tutto il cuore.

Domande per la riflessione:

1) La mia intelligenza come reagisce davanti all’impotenza di un Dio che ama, che vince mediante la misericordia e ignora la prepotenza e la forza di chi vuole imporsi?

2) Quali sono i desideri e le priorità che oggi ostacolano la mia volontà nella sequela di Gesù?

sr Stefania Sangalli, SSM