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Il Vangelo della domenica

Amore folle

tiberiadeDal Vangelo secondo Giovanni

 21,1-19

In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.
Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

L’annuncio pasquale risuona ancora imponente in questa liturgia domenicale; liturgia che ha visto il susseguirsi di colori e luci, di silenzi e suoni, di attesa e di sorpresa. Un annuncio che ci fa ancora chiedere da discepoli a colei che ha visto per prima la tomba vuota: Raccontaci, Maria, che hai visto sulla via?

Viviamo ancora a fondo questa domanda, abbiamo bisogno che qualcuno ci racconti, ci dica cosa ha visto, toccato, ascoltato, quale annuncio di gioia ci abita tanto da farci cantare da popolo in cammino: Alleluia a Cristo Risorto!

Siamo in ascolto, avvolti ancora dalle nostre remore umane e seduzioni, simili ai 7 discepoli al mare di Tiberiade. Delusi? Sconvolti? Impotenti? Tristi? Impauriti? Non sappiamo, conosciamo la loro identità ma non i loro cuori; i loro nomi hanno accompagnato i passi del Signore ma ora sono lì al punto di partenza. Il luogo dove tutto è incominciato, il lago di Tiberiade, lago della chiamata (Luca 5,1-11), lago della tempesta vinta (Luca 8,22-25), lago del pane donato (Giovanni 6,16-21). Si ritorna a casa quando la via si fa sconosciuta e buia, si torna al momento “bello” dove gli sguardi di uomini smarriti hanno incontrato lo sguardo del Signore della vita.

Si torna ma senza di Lui non può essere tutto uguale. Senza di Lui cosa si può fare? Il nulla è la risposta alla pesca fatta di forza e di rassegnazione dei discepoli senza Maestro. Non si è nulla senza di Lui! Ma all’improvviso ancora quell’invito assurdo gridato da un uomo sconosciuto arriva alle orecchie e alla mani dei discepoli. Ancora quella parte destra, la più debole, la più insicura per una presa di uomo, ancora quella parte destra che non si vuole mostrare. E la pesca abbondante svela il nome dell’uomo sconosciuto “ E’ Lui, è vivo” ! Bastava questa certezza in quella cena silenziosa fatta di pesce e pane, bastava sapere che Lui era lì per aprire il cuore all’amore folle di Dio.

Un amore folle a cui ci si abbandona perché è troppo bello amare così. Un amore folle che squarcia e divide che ti porta dove non vuoi. Tu mi ami, Pietro? Il Si del forte Pietro ora è chiaro, ferito e perdonato. Una richiesta che fa male che spiazza ma che fa verità. “Si, ti amo, tu lo sai …

Sr Marilda Sportelli, sfa

3 aprile 2016

tommasoPAURA E PACE

Dal Vangelo di Giovanni 20,19

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Un Vangelo, questo della seconda Domenica di Pasqua, che parla di paura e pace. Eppure il tempo forte della gioia è esploso davanti ai nostri occhi appena qualche giorno fa. I discepoli, ci racconta Giovanni nel suo Vangelo, sono in luogo sconosciuto barricati dentro con la loro paura, forse inconsapevoli, impauriti, impreparati davanti al Mistero incomprensibile del Maestro Risorto. Come lo si può spiegare? Come dire all’ uomo di oggi che la vita ha vinto? Come dire che COLUI, il cui corpo era stato trafitto, torturato, flagellato, crocifisso ora cammina e parla. Come spiegarlo agli altri ma prima di tutto a me e alla mia incredulità?. Credo sia molto umano avere paura, è una delle emozioni primarie dell’uomo, si ha paura per il diverso, per lo sconosciuto, per il buio, la morte! La paura dei discepoli avvolgeva quel luogo chiuso eppure loro pienamente umani incontrano ancora Colui che sta in mezzo a loro, “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” Gv 1,14. La paura dell’uomo viene abitata dalla PACE del Signore. Solo così le porte di quel luogo sconosciuto si possono aprire al cammino dell’annuncio, solo se si accoglie la Parola carica di Pace i nostri piedi e la nostra bocca potranno incontrare l’uomo che cerca Dio. Le porte della speranza e della missione si aprono con la certezza della Pasqua del Signore e non per altro. Solo con la forza dello Spirito Santo il motore della Misericordia inizia il suo processo di salvezza e di perdono, nessuna ruggine della rassegnazione e del peccato possono spegnere la bellezza di una vita salvata per sempre.

Povero Tommaso che non era nel luogo sconosciuto e che non ha potuto ascoltare e vedere il Signore Risorto, povero discepolo forse ancora deluso per quella morte cruenta e ingiusta che ha guardato da lontano, povero discepolo che non ha assistito al tocco della grazia tra le porte chiuse ma che si deve accontentare delle parole di altri. Le sue richieste anche un po lecite: “Se non vedo…. Se non metto la mia mano …” risuonano nella nostra mente come desiderio e speranza. FATEMI VEDERE! Questo il grido del forte Tommaso che è icona dell’umanità che cerca con le sue forze ma non trova.

Ma anche al suo grido c’è una risposta, c’è una Parola, c’è una PACE riservata solo per lui. A Tommaso attende una nuova identità: da INCREDULO a CREDENTE!. Il suo essere desideroso di verità sperimentata e toccata è accolta dal Maestro Risorto con la delicatezza di una mano dentro una ferita. Quanto il Signore ci ascolta, ci abita, ci comprende. Lui che conosce il più profondo dei nostri desideri e delle nostre incredulità si lascia “trafiggere” per amore dalla mano tremante del discepolo Tommaso. Le  ferite di Cristo sono ormai divenute passaggio per una  vita nuova.

Tommaso è divenuto credente perché ha osato toccare e si è lasciato toccare dalla verità di Dio-amore. A noi la possibilità di gridare ancora o di lasciarci avvolgere dalla grazia che rende luminose le nostre incredulità e che ci rende da INCREDULI CREDENTI

Sr. Marilda Sportelli, sfa

27 marzo 2016

PP_PA1Non è qui, è risorto

Dal vangelo di Luca cap.24,1-12

Il primo giorno della settimana, al mattino presto esse si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato. Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro e, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. Mentre si domandavano che senso avesse tutto questo, ecco due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante. Le donne, impaurite, tenevano il volto chinato a terra, ma quelli dissero loro: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea e diceva: “Bisogna che il Figlio dell’uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno”». Ed esse si ricordarono delle sue parole e, tornate dal sepolcro, annunciarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. Erano Maria Maddalena, Giovanna e Maria madre di Giacomo. Anche le altre, che erano con loro, raccontavano queste cose agli apostoli. Quelle parole parvero a loro come un vaneggiamento e non credevano ad esse. Pietro tuttavia si alzò, corse al sepolcro e, chinatosi, vide soltanto i teli. E tornò indietro, pieno di stupore per l’accaduto.

«La risurrezione di Cristo è «un fatto che riguarda tutta l’umanità, che si estende al mondo e ha un’importanza cosmica; dal valore universale di essa deriva il significato del dramma umano, la soluzione del problema del male, la genesi di una nuova forma di vita che si chiama ‘cristianesimo’» (Paolo VI, Pasqua 1964). Infatti, Gesù è risorto e ha vinto per sempre le forze del male e della morte infondendo così nel mondo e nella storia una nuova e sempre inesauribile forza di vita.

L’incontro che la pagina evangelica ci presenta racconta la faticosa ricerca di Maria di Madgala; una donna sensibile, piena di affetto che resta immobile presso il sepolcro vuoto e piange perché non può nemmeno sedersi vicino al corpo morto di Gesù. Lo cerca, ma il suo interminabile pianto, le sue lacrime le appannano la vista e il cuore impedendole così di vedere, di riconoscere il Signore che vivo, sta davanti a lei. Gesù con una voce suadente la chiama per nome ed ella subito risponde: Rabbunì, Maestro mio! confessando la sua fede, il suo amore. E il Signore le affida un messaggio: Non mi trattenere, ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro.

Maria è ormai invitata a cambiare perché Gesù, il Risorto, salendo al Padre compie la sua opera e resta tra noi con i doni perenni della sua presenza spirituale: pace e gioia.

Maria di Magdala ci rappresenta quando cerchiamo i segni del Risorto con speranze ristrette, presi come siamo dal nostro modo di intendere la presenza di Dio e del suo mistero.

Maria di Madgala è anche l’immagine di una società confusa e smarrita che vorrebbe capire le ragioni dei suoi mali, gli sbagli che ha commesso e fa fatica a cambiare rotta e a vivere la solidarietà e la fraternità. Il grido di Maria di Magdala: Ho visto il Signore! È il grido della comunità dei credenti che proclama la sua fede nella potenza della croce e della risurrezione che è più potente di tutti i mali.

Se accogliamo l’amore di Dio, diventiamo persone amate, perdonate, rinnovate dalla Pasqua e così infonderemo speranza e fiducia in questa nostra società. (S.D.)

20 marzo 2016

IF_Palme1La grande e santa settimana si inquadra tra due domeniche: la domenica delle Palme o della passione e la domenica di Pasqua o della resurrezione. In questa domenica la Chiesa commemora il Cristo Signore che entra in Gerusalemme per portare a compimento il suo mistero pasquale, entra nel Tempio rivelando con chiarezza la sua missione di vero pastore d’Israele, anche se questo – e Gesù lo sapeva bene – lo avrebbe portato alla morte.

La domenica prende il nome dalle palme, di cui parlano i vangeli (Mt 21,8 rami di alberi; Mc 11,8 fronde dei campi; Gv 12,13 rami di palma), come segno usato dalla folla per esprimere venerazione ed esultanza, mentre i discepoli gridavano l’acclamazione messianica: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Osanna”. È il giorno dell’ingresso trionfale, ma anche quello che introduce alla fase finale della vita terrena di Gesù. La passione di Gesù nel racconto dell’evangelista Luca mette in risalto la dignità e la mitezza di Gesù il cui atteggiamento è di misericordia, di compassione con chi si unisce al suo dolore e di straordinario insegnamento per la forza amorosa del suo perdono.

La passione di Gesù che nel triduo pasquale trova il suo culmine, si snoda davanti ai nostri occhi e all’intelligenza della fede facendoci cogliere in alcuni personaggi ancora una volta la storia dell’uomo di ogni tempo.

Giuda: guardando la debolezza di Gesù, ha visto infranto i suoi progetti: Lo tradisce. Giuda sono io quando, in nome di nobili sentimenti, favorisco contese tra gruppi, quando abuso delle mie capacità, del mio prestigio, del mio potere per scatenare rivalse tra le persone.

Pilato: incontra Gesù e si fa appena sfiorare dalla sua presenza, non si coinvolge totalmente perché è importante per lui l’ascesa politica più della persona. Pilato riflette il mio bisogno di arrivare che soffoca la mia umanità e mi impedisce, talvolta, di essere persona libera e capace di liberare gli altri.

Le guardie: si incontrano lungo il cammini; sono persone che scaricano su Gesù le loro frustrazioni: Gesù non si difende e lascia fare.

Questa scena mi porta a rientrare in me stesso per ripensare aa eventuali soprusi perpetuati nei riguardi dei fratelli più deboli, oppure per perdonare quelli subiti.

Pietro: rinnega Gesù perché è confuso, frammentato, non capisce più chi è veramente quel Gesù che ha infranto tutti i suoi sogni. Gesù continua a offrire la sua amicizia anche a chi lo tradisce.

Anch’io talvolta mi ritrovo a essere compagno di viaggio di Pietro, a condividere le sue stesse infedeltà, il suo rinnegamento…Dio mi chiama a testimoniare la sua misericordia.

Maria: segue Gesù sul Golgota senza intralciare il cammino del Figlio in obbedienza alla volontà di Dio. Certamente non pensava che al suo primo sì ne sarebbero succeduti altri, fino al totale dono di sé a Dio sotto la croce.

Maria mi chiede con il suo esempio di essere come lei disponibile a Dio per costruire con lui la storia, di essere veicolo del suo amore infinito nelle piccole storie umane di ogni giorno, per essere il riflesso del Figlio suo nel mondo.

Gesù: mi aspetta per percorrere con lui la via della croce. È un tratto importante del suo cammino, è la narrazione visibile dell’amore di Dio per l’uomo, è l’itinerario proposto a ciascuno, per poter vivere in pienezza l’amore. Il percorso che porta alla croce, luogo della manifestazione dell’amore di Dio per l’umanità, l’altare del dono, non termina sul Golgota, va oltre. Esso introduce l’uomo alla speranza, lo rende testimone del Risorto da annunciare sulle strade del mondo.

Liberamente tratto da: Diana Papa,

Il Risorto sulle strade del mondo, Paoline, 2003

13 marzo 2016

V domenica di Quaresima

Sono rimasti in due

 

Dal Vangelo di Giovanni (8,1-11)

13marzoIn quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo.

Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

Anche questa domenica il tema dominante del vangelo  è quello del perdono. All’inizio del capitolo (8) abbiamo questo racconto della donna che, secondo la legge, deve essere lapidata per adulterio e termina con la lapidazione di Gesù.

Mentre Gesù è al tempio ad insegnare, i farisei e gli scribi portano una donna sorpresa in adulterio e la mettono in mezzo. Al centro. La legge è esplicita su cosa bisogna fare: è da lapidare, si deve compiere un atto di giustizia, lo dice la legge di Mosè, si deve fare. Gesù, amico dei peccatori e dei pubblicani, perdona anche questa donna, rifiutandosi così di applicare la legge di Mosè?

In mezzo c’è questa donna. Questa donna rappresenta ciascuna di noi.

In questo breve racconto i dettagli: chinarsi, scrivere col dito per terra, drizzarsi, riportati due volte sono importanti ed hanno un loro significato. Gesù compie un gesto profetico. Ancora una volta egli ci dice che prima di lapidare, prima di condannare, prima di voler fare giustizia in nome della legge dobbiamo guardare dentro noi stesse e chiederci: perché anche tu lapidi? Prima di giudicare, guardati dentro, esplora la tua terra interiore, lascia che le tante voci che non sono la Sua passino, anzi che Lui le tolga dal tuo cuore, lascia spazio a Lui, alla voce dei poveri, degli umili e dei sofferenti.

Ma Gesù, chinatosi… E chinatosi di nuovo… Alzatosi … le disse: Gesù si alza davanti alla donna e la chiama. Nel Vangelo di Giovanni il termine donna è rivolto a Maria alle nozze di Cana, ai piedi della croce, alla samaritana, alla Maddalena nella resurrezione. Donna è anche il titolo che veniva dato della sposa. L’adultera è donna e sposa.  E noi?

Dove sono? Nessuno ti ha condannata?  Neanch’io ti condanno…Alla donna Gesù restituisce la sua identità. Infatti, Gesù è venuto non per giudicare ma per salvare il mondo, è venuto per i peccatori, non per i giusti; e venuto per noi!

sr M. Antonella Sana,op
antop07@gmail.com

6 marzo 2016

IV domenica di Quaresima                                                                      6 marzo 2016

Come il Padre: misericordiosi e in festa

Dal Vangelo secondo Luca  (15,1-3.11-32)

padre2In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».

Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.

 Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

 Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

A Gesù si avvicinano pubblicani e peccatori per ascoltarlo, scribi e farisei mormorano perché Gesù non solo riceve i peccatori ma pure mangia con loro. Gesù con la parabola  del padre che ritrova il figlio.

Siamo consapevoli che il personaggio centrale di questa parabola è il padre. Ma perché egli è così importante? Perché è lui, il padre, che ha perso i due figli e diventa quindi il protagonista della storia. Il padre perde i figli e li ritrova, con la sua tenerezza paterna e con il suo amore li abbraccia entrambi.

Il padre lascia la libertà al secondo figlio di allontanarsi con parte del patrimonio affrontando il rischio di perdere sia il figlio sia il patrimonio.

Ma il padre lascia la libertà anche al figlio maggiore di rimanere in casa con il suo risentimento più profondo, con il suo disagio e la sua rabbia, è l’estraneo in casa: anche questa è una grave perdita e più difficile da guarire.

Quando il secondo figlio torna, il padre non gli rimprovera la sua scappatella, la sua voglia di libertà, di autonomia e d’indipendenza, non brontola, non mugugna, non gli rinfaccia quest’esperienza che l’ha portato fuori casa e lontano con presunzione, ma gli corre incontro, lo abbraccia e lo bacia ancora come figlio. Proprio perché è figlio lo riabilita nella sua dignità filiale attribuendogli i più alti segni di onori: la veste più dignitosa, l’anello, i sandali e il vitello ingrassato.

Anche verso il figlio maggiore il padre ha amore e tenerezza. Il figlio è rimasto in casa osservando tutti gli ordini del padre ma ha vissuto come uno schiavo, senza libertà, senza passione per le cose del padre. Non è stato capace di riconoscere l’amore del padre nei suoi confronti, non ha visto ne compreso che il padre condivideva con lui tutto e, prima di ogni altra cosa, lo stesso amore del fratello.

La rabbia che lui porta verso il fratello che considera privilegiato la riversa sul padre, ma è chiaro che la collera lo fa esagerare colpevolizzando il fratello: ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute…

Il padre aspettava il secondo figlio: per primo lo vide da lontano e ne ebbe compassione, gli si gettò al collo e lo baciò. Anche con il primogenito il padre esce di casa per andargli incontro: Suo padre allora uscì a supplicarlo, potremmo dire che uscì a dialogare e a ragionare con il figlio per fargli comprendere il suo amore di padre.

Per entrambi i figli l’espressione amorevole paterna, sottolineata da Luca, è: questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato (cfr vv 24 e 32). Quindi: bisogna far festa! Amore, per-dono, cuore misericordioso, tenero, accoglienza; padre.. figlio… figli… temi quanto mai attuali, dibattuti, discussi.

Chi è il padre? La madre? Chi sono i figli?

In questa confusione e vacillamento di valori come aiutiamo le persone ad avere luce su queste tematiche? Qual è l’esperienza che ciascuna vive oggi della paternità e maternità di Dio? Della nostra figliolanza? Della sororità e fraternità?

Il Padre è sempre attento e pronto a far festa con noi e per noi, è sempre pronto a rimetterci la veste nuova ridonandoci la nostra dignità filiale quando ritorniamo a Lui, a rimetterci l’anello al dito come figlie, spose e madri, i sandali per il nostro cammino nella libertà e responsabilità, il vitello grasso per far festa con tutte le famiglie.

Questa è un’immagine del Padre misericordioso. Pensiamo alla grande e suggestiva meditazione che ci offre il dipinto del pittore fiammingo Rembrant (1666) Il Padre misericordioso: sguardi, volti, mani, personaggi, mantelli, colori, tutto può diventare la parabola attuale per la nostra società.

A noi è dato e chiesto di entrare sempre di più nella Parola: questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. Facciamo festa! Lasciamo che la Parola dia slancio al nostro essere per divenire in mezzo alle sorelle e ai fratelli madre, padre, sorella, amica.

L’anno della misericordia è un’opportunità: misericordiosi come il Padre.

sr M. Antonella Sana,op
antop07@gmail.com

28 febbraio 2016

IIIa Domenica di Quaresima                                          28 febbraio 2016

Dio è il vignaiolo: ci fidiamo?

28febbraiioDal Vangelo secondo Luca (13,1-9)

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».
È vero, la morte è sempre vicina! E quando arriverà, forse anche improvvisamente, non avremo più tempo per convertirci, per cambiare vita e per cambiare la visione sulla realtà. La conversione alla quale ci chiama Gesù è l’accettazione della visita di Dio, suo e nostro Padre, presente qui e ora nella nostra storia, che proclama il suo Regno d’amore e di pace. Convertirsi vuol dire essere pronti ad affrontare gli avvenimenti della vita nella loro imprevedibilità.
Se non vi convertite, perirete… quindi: lasciamoci convertire! Come reagiamo di fronte agli eventi che accadono? Che riflessione facciamo?
Nella parabola di Gesù, l’albero di fichi, piantato in una vigna, non porta frutti, non viene tagliato, anzi gli viene concesso ancora un altro anno. Gesù Messia, in viaggio verso Gerusalemme, ci ricorda che abbiamo ancora tempo per rispondergli, per camminare con lui, per stare alla sua presenza, in ascolto della sua parola affinché la nostra conversione sia opera sua e non nostra, perché il nostro cuore si lasci svuotare dai tanti affanni e dalle molteplici preoccupazioni, perché sia riempito dalla sua grazia e dalla sua opera di luce e di misericordia. Allora anche le nostre preoccupazioni e i nostri affanni avranno un altro peso e un altro sapore, saranno zappati e concimati da Lui. Irradieremo luce e grazia, porteremo frutti di vita nuova, non fogliame.
Se non vi convertite: Dio viene con la pazienza del vignaiolo: ancora un anno, dopo i primi tre di inutilità e di sterilità. Dio si fida, va oltre la nostra speranza perché per Lui il bene e l’amore sono più forti della sterilità.
Convertirsi: Dio è il vignaiolo che si prenda cura di me, di te, di noi, piccole zolle di terra. Dio si fida! Io, tu, noi, ci fidiamo di un Dio contadino e vignaiolo?
Convertirsi: c’è ancora tempo per le grandi domande: Dio dove sei? Ma Dio chiede anche: persona, donna, uomo: dove sei? Chi credi di essere? Come vuoi agire? Cosa vuoi realizzare?
Siamo chiamate a portare frutti per gli altri perché, vivere per se stesse, è una morte infruttuosa. La vita è un dono, vivere è donare.
Il tempo ci è donato, riempiamolo di grazia e di speranza! È sempre tempo di conversione: Dio lavora dentro di noi, per noi e con noi!
sr M. Antonella Sana,op
antop07@gmail.com

21 febbraio 2016

IIa Domenica di Quaresima                                          21 febbraio 2016

Luce e bellezza

Dal Vangelo secondo Luca (9,28-36)

trasfigurazioneCirca otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: “Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia”. Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!”. Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

Circa otto giorni dopo questi discorsi: a quali discorsi si riferisce Luca? A quelli precedenti che riguardano gli interrogativi che i discepoli e la gente si ponevano sull’identità di Gesù. Infatti poco prima Gesù aveva chiesto ai discepoli che erano con lui: Chi sono io per la gente? (cfr 9, 18). Che significato ha la precisazione di tempo? La risposta la troviamo in 24, 1: Il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino…; l’identità di Gesù la scopriamo nell’ottavo giorno, il giorno della sua risurrezione, il giorno del riposo di Dio e nostro per stare un po’ di più con Lui.
L’esperienza della trasfigurazione di Pietro, Giovanni e Giacomo è avvolta dalla preghiera; sono soli sul monte con Gesù, ed è un momento forte perché possano ripartire carichi di luce e di grazia. Preghiera, contemplazione, dialogo con Dio in Cristo Gesù, esperienze gratuite che il Padre ci dona perché possiamo essere nel quotidiano portatrici di Lui.
Questo tempo di quaresima è un’opportunità unica per progredire nella vita cristiana, lasciandoci convertire dalla sua Parola aprendo la nostra mente e il nostro cuore alla luce dello Spirito Santo che guida, sostiene il cammino di ciascuno.
La voce del Padre, dalla nube, corregge i malintesi di Pietro ricordandogli che solo Gesù è il Figlio, l’eletto. Anche a noi è rivolto l’invito ad ascoltarlo!
Ascoltare Gesù che ci parla del Padre, che ci fa conoscere il suo volto, che ci ama senza misura e senza calcoli, senza “se” e senza “ma”. Ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finche non riposa in te, con Agostino anche noi facciamo quest’esperienza di insaziabilità, di inquietudine, di ricerca di Dio, sia nella preghiera, sia attraverso lo studio della sua parola e l’approfondimento della vita teologale.
È necessario e fondamentale compiere un esodo, un’uscita da noi stesse e questi giorni che ci separano dalla Pasqua, siano giorni per un cammino interiore, per stare con Gesù Cristo, per lasciarci guidare dalla sua presenza, dalla sua parola, per lasciarci assimilare da Lui e far nostri i suoi sentimenti.
sr M. Antonella Sana,op
antop07@gmail.com

 

 

 

 

14 febbraio 2016

Ia Domenica di Quaresima                                          14 febbraio 2016

Gesù è tentato dal diavolo

Dal Vangelo secondo Luca (4, 1- 13)

tentazioniIn quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato
dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”». Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».
Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «È stato detto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.
Il vangelo di questa prima domenica di Quaresima ci narra proprio la lotta di Gesù contro le tentazioni. L’esperienza da lui vissuta al battesimo, quella di sentirsi chiamare dal Padre «Figlio amato» (Lc 3,22), non gli ha dischiuso un percorso al riparo dalle prove: subito dopo aver ricevuto l’immersione nel fiume Giordano, «Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto» «dove per quaranta giorni fu tentato dal diavolo». Qui si confronta con la possibilità del male ed «è tentato in ogni cosa come noi, senza però commettere peccato» (Eb 4,15).
Le tentazioni dimostrano che Gesù è veramente il Figlio obbediente del Padre.
Terminati i giorni di deserto Gesù ha fame: egli non ha scelto di nutrire se stesso ma di servire il Padre. Gesù non vuole il potere e la gloria del Messia potente e violento, politico e vittorioso, ma vuole servire e lodare il Padre con gratuità e nell’amore; non ha forzato la volontà di Dio per la propria sopravvivenza ma ha scelto la via del servo e del profeta venuto a liberare e a donare la pace ai popoli.
Nelle tentazioni di Gesù troviamo anche le nostre tentazioni quotidiane: hai fame? Qual è la tua fame e quella della comunità? Cerchi te stessa? Hai, abbiamo fame di Dio? Vuoi appagare le tue aspirazioni oppure vuoi che il pane quotidiano sia la volontà di Dio nel servizio gratuito e libero alle sorelle e fratelli? Le nostre sorelle e fratelli sono la Parola di Dio per noi?
La nostra fede a volte è dubbiosa: chiediamo luce nella preghiera oppure aspettiamo che Dio ci mandi visioni e angeli per consolarci? Certo, Dio manda i suoi angeli anche a noi e sono le tante persone che arricchiscono la nostra vita con la loro presenza, la loro confidenza e la loro condivisione, ma sappiamo cogliere in queste presenze ciò che Dio vuole donarci oppure cerchiamo unicamente le nostre consolazioni?
Il battesimo e la consacrazione religiosa non ci immunizzano dalle tentazioni, ma danno la grazia per superarle. Gesù, pieno di Spirito, vince la tentazione.
Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza perché non sappiamo che cosa domandare, egli intercede per noi con gemiti inesprimibili secondo il disegno di Dio.
Battesimo, consacrazione e tentazione accompagnano il nostro quotidiano: vegliamo e preghiamo le une per le altre per non soccombere alla tentazione. Dio ci ama come figlie e non permetterà che siamo tentate oltre le nostre forze.
sr M. Antonella Sana,op
antop07@gmail.com

7 febbraio 2016

V Domenica di Avvento – Anno C                                          7 febbraio 2016

Sulla tua Parola getterò le reti

Dal Vangelo secondo Luca (5, 1- 11)
retiIn quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Genèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.
Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.
Dio è presente nelle nostre notti infruttuose, nel buio della nostra anima e dei nostri giorni, quando angoscia e speranza sembrano condurci. Ed è qui che ci chiede un gesto di abbandono e di fiducia, un gesto di coraggio, forse inutile all’apparenza: non specchiarti nel lago delle tue lamentele, alza gli occhi e guarda, ascolta la Parola che ti abita e colui che è la Parola che ti conduce per i Suoi sentieri, che ti scalda il cuore perché sia Lui a pescare l’umanità attraverso di te.
La sfida è proprio quella di fidarci di Gesù concretamente, non in parole ma con le opere, con l’adesione della mente, del cuore e della vita.
Prendi il largo, non stare chiuso nelle tue idee e nella grettezza dei tuoi pensieri, apriti alla vita, al creato, alla bellezza di avere sorelle e fratelli con i quali condividere ogni giorno la sua Parola, le meraviglie che egli compie ogni giorno in noi e attorno a noi. Questi sono i miracoli che la grazia realizza, sempre se li sappiamo cogliere, vedere e riconoscere.
Lui chiama a seguirlo sulla strada dell’amore, della gioia, della sofferenza, ci vuole portatrici di speranza e di misericordia, protagoniste della nostra vita, capaci di osare la spiritualità di comunione e d’integrazione.
Sulla tua parola getterò le reti. Lui ci farà diventare pescatrici con gesti di misericordia, di tenerezza e di bellezza. Lasciamo ciò che ci lega, lasciamo le reti delle nostre sicurezze, dei nostri limiti, le nostre paure per ascoltare Lui; lasciamo che egli ci apra il cuore e tiri fuori la nostra bella umanità.
Aperte e docili, Dio riempirà le nostre reti.
sr M. Antonella Sana,op
antop07@gmail.com