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Il Vangelo della domenica

Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi…

Dal Vangelo secondo Matteo          11,25-30

8365_180In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero»

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Il capitolo 11 è quasi un prologo alla IV parte del vangelo di Matteo in cui Gesù rivela i misteri del Regno dei cieli. Chi sono i destinatari? I piccoli e i poveri: gli unici capaci di capire e accettare la Sapienza di Dio.

Lo stesso Giovanni Battista, dal carcere, invia i suoi a chiedere a Gesù un segno per superare i suoi dubbi. La gente delle città attorno al lago, che pure vede i miracoli non capisce. I dottori della legge lo spiano…

Solo i piccoli comprendono!

Chi sono i piccoli? Il riferimento non è all’età cronologica, ma al cuore. Sono piccoli coloro che non si sentono arrivati, coloro che non fanno del sapere un potere, coloro che non usano dei beni della terra per possedere la gente.

In questa magnifica preghiera, Gesù loda il Padre perché ha rivelato la sapienza proprio a questi piccoli: la loro speranza non risiede in ciò che sono capaci di fare (sono piccoli e poveri), ma nella certezza che Dio nel suo grande amore non li abbandona mai. “Il Padre sa…” ciò di cui hanno bisogno ed essi sono fiduciosi!

E questa sapienza è Gesù stesso per primo a possederla: gli è stata rivelata dal Padre ed egli con generoso amore la rivela a chi è capace di comprenderla.

Di quale sapienza si tratta? Non è l’osservanza della legge, dei riti, delle pratiche a salvare, ma l’amore umile e obbediente al grande comandamento dell’amore: ama Dio e ama il prossimo. Al resto ci pensa il Padre!

E allora diviene comprensibile l’invito di Gesù:

“Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro.” È un invito a tutti coloro che sono stanchi sotto il peso delle imposizioni e delle osservanze che la legge esige. È come se dicesse loro: non preoccupatevi di fare bene le vostre cose per me, cerate piuttosto di stare con me, di ascoltare i desideri del mio cuore che sono i desideri del Padre, e non presumete di voi, affidatevi! E se volete preoccuparvi di qualcosa, preoccupatevi solo di amare. Questa è la volontà del Padre mio e vostro.

 

“Imparate da me che sono mite ed umile di cuore”. È l’unica volta in cui Gesù si offre come modello di vita. Mitezza ed umiltà sono gli atteggiamenti della filialità di chi sa che ha bisogno del Padre; mitezza e umiltà sono tipici del povero che sa di nulla possedere e di tutto ricevere. Comprendiamo allora le tre beatitudini: beati i poveri, beati i miti, beati i puri. Sono i semplici, i piccoli, coloro che con stupore sempre nuovo, ogni giorno volgono lo sguardo fiducioso verso Dio, mettono la loro mano nella Sua e ripartono felici di annunciare l’amore che ricevono.

Attualizzazione della Parola

Il vangelo di oggi rivela la tenerezza con cui Gesù accoglie i piccoli. Lui voleva che loro incontrassero riposo e pace. Mi sento tra questi? Cosa dovrei alimentare in me per sentirmi destinatario della beatitudine dei poveri, dei miti e dei puri di cuore?

  • In questa settimana, inizio per molti delle vacanze, ritaglio dei momenti per “stare” con Gesù, portando a Lui le mie fatiche e i miei dubbi.

    sr Rosanna Costantini, fma

rosannacostantini@gmail.com

 

Chi non prende la sua croce…

Dal Vangelo secondo Matteo (10, 37-42)

XIII domIn quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: “Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà. Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto come giusto, avrà la ricompensa del giusto. E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa”.

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Da alcune domeniche ascoltiamo il “Discorso missionario” di Gesù che invia i discepoli e affida loro l’incarico di annunziare ovunque il Vangelo. Liberi dalla paura del rifiuto e della persecuzione perché Egli sarà sempre con loro, il Padre li proteggerà.

Dopo averli confermati nella sua presenza e rassicurati circa l’amorevole protezione del Padre, oggi Gesù chiede ai suoi un rapporto prioritario e totalizzante con Lui. Gesù viene prima di tutto e di tutti! Questa è la sfida sempre nuova della sequela di Lui! A chi si è lasciato affascinare da Lui e vuole seguirlo, Gesù chiede che sia disposto ad amare Lui più del padre e della madre, del figlio e della figlia.

Non si tratta qui di un amore affettivo, ma dell’adesione personale a Cristo e della totale appartenenza a Lui. Non è una questione di sentimento, bensì di scelte prioritarie e incondizionate che ogni credente deve compiere nella propria vita per seguire Gesù.

Ancora un’altra cosa chiede Gesù a chi vuol seguirlo: prendere la propria croce. Questa immagine ha una radice biblica nel profeta Ezechiele (9,4-6) dove si dice che i veri credenti venivano segnati sulla fronte con un “Tau” (lettera dell’alfabeto ebraico che anticamente aveva la forma di una croce) per simboleggiare la loro appartenenza a Dio. Così Gesù riconosce i suoi discepoli dalla loro capacità di seguirlo portando la propria croce. È ciò che li rende degni di Lui perché capaci di condividere il suo stesso destino. E chi come Gesù dona la sua vita, “perde per amore”, secondo una espressione di Chiara Lubic, trova gioia qui in terra e pienezza di vita in Gesù. Perdere per amore significa mettere l’altro al primo posto, prima di se stessi; fare propria la legge del chicco di grano che solo se muore produce frutto e frutto in abbondanza.

Ecco allora chiare le sfide della sequela di Gesù:

  • Priorità assoluta a Lui e compartecipazione alla sua missione e alla sua passione;
  • Perdere per amore, pronti a morire perché Egli viva in ogni fratello e sorella;
  • Servire per amore e donare con generosità

In questa settimana, nei piccoli momenti di rientro al cuore abitato da Dio, rinnovo la volontà di mettere Gesù al primo posto nella mia vita, prima di ogni affetto, pensiero e azione. Nella gioia di appartenergli totalmente prego con umile amore:

Signore, mi hai afferrato, e non ho potuto resisterTi.

Sono corso a lungo, ma Tu m’inseguivi.

Prendevo vie traverse, ma tu le conoscevi.

Mi hai raggiunto. Mi sono dibattuto.

Hai vinto!

Eccomi, o Signore, ho detto sì, all’estremo del soffio e della lotta, quasi mio malgrado; ed ero là, tremante come un vinto alla mercé del vincitore, quando su di me ha posato il Tuo sguardo di Amore.

Ormai è fatto, Signore, non potrò più scordarTi.

In un attimo mi hai conquistato, in un attimo mi hai afferrato.

I miei dubbi furono spazzati, i miei timori svanirono; perché Ti ho riconosciuto senza vederTi,

Ti ho sentito senza toccarTi, Ti ho compreso senza udirTi.

Segnato dal fuoco del Tuo Amore, ormai è fatto, Signore, non potrò più scordarTi.

Ora, Ti so presente, al mio fianco, ed in pace lavoro sotto il Tuo sguardo di Amore.

(Michel Quoist)

sr Rosanna Costantini, fma

rosannacostantini@gmail.com

Non abbiate paura!..

B29-wDal Vangelo secondo Matteo (10,26-33)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli:  «Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze.  E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo.  Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri! Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli».

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“Non temete”. È uno degli imperativi più frequenti nella Bibbia e risuona immancabilmente sulla bocca di Dio ogni volta che incontra una persona o un gruppo di persone. Pare che almeno 365 volte è ripetuto: una per ogni giorno dell’anno! È la più tenera delle rassicurazioni di Gesù!

A noi abituati a convivere con la paura, a trascinarci prigionieri delle paure, Dio offre la grande assicurazione che, quando c’è Lui e noi accettiamo la sua compagnia, la paura non ha più ragion d’essere e viene superata. Ecco che cosa sta veramente a cuore a Gesù: che noi non cediamo alla paura lasciandoci ridurre al silenzio e diventando infedeli alla missione.

Gesù richiama ai suoi e oggi a noi alcuni motivi che potranno sostenerci nel combattere e vincere la paura.

“Nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto”: la Verità non è in nostro possesso! Ha ali che nessuno può tagliare in modo assoluto. È patrimonio di Dio e il Suo Spirito ne è il diffusore per eccellenza.

  • “Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima”: Gesù non promette che ci saranno risparmiati i mali che temiamo. Egli vuole aprirci gli occhi: dove stanno il vero bene e il vero male? La vita terrena non è il bene più grande, come la morte non è il male più grande. Il vero bene è la vita eterna con Dio, il vero male è essere privati di Lui.
  • “Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!”: con questa metafora dei passeri e dei capelli Gesù vuole bandire ogni timore dal nostro cuore. La nostra vita ha a che fare con l’amore paterno e provvidente di Dio per ciascuno di noi suoi figli. Dio si prende cura di ogni creatura a tal punto che neppure un passerotto è trascurato da Lui, neppure un capello!
  • “Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli”: Ecco la Verità Assoluta! Gesù è la manifestazione dell’amore paterno-materno di Dio. Chi riconoscere questa Verità si innesta in Gesù, e con lui attraverso lo Spirito Santo, dimora in Casa Trinità.

Da queste parole di Gesù emergono due atteggiamenti di fondo che ogni discepolo è chiamato a vivere e a rinnovare incessantemente: la fiducia totale nel Padre e l’attaccamento incondizionato a Gesù nella sequela. Il legame con Gesù sofferente può provocare angustia e timore nel discepolo. Per questo Gesù vuole incoraggiarlo: è il senso del triplice “non temete” con le motivazioni che lo fondano.

Meditazione e attualizzazione della Parola

 Guardo dentro il mio cuore a volte affannato e tentato dalla disperazione di fronte al male che sembra aggrovigliare inesorabilmente il mondo. “Padre mi affido a te. Tu sai!” sarà la mia preghiera del cuore.

  • Mi esercito nella libertà di “riconoscere” coraggiosamente e pubblicamente, nelle occasioni grandi e piccole del quotidiano, Gesù come il mio Signore, Colui che seguo con tutto il cuore e che dono agli altri con gioia, consapevole dei rischi che posso correre.

“Che cosa hai rischiato tu per la tua fede?”

(Card. Newman)

sr Rosanna Costantini, fma

rosannacostantini@gmail.com

 

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue…

Solennità del Corpo e Sangue del Signore

Corpus ChirstiDal Vangelo secondo Giovanni (6, 51-58)

In quel tempo, Gesù disse alla folla:  «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».  Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.  Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

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Oggi la Chiesa, nella sua millenaria sapienza, festeggia il mistero del Corpo e del Sangue di Cristo. È il mistero dell’Incarnazione portato fino all’estremo: l’annuncio folle di un Dio che si è fatto carne, alimento per la storia e per il tempo, fino alla fine dei secoli.

La prima lettura, tratta dal libro del Deuteronomio, ci aiuta a comprendere l’attesa di ogni uomo e di ogni donna, il bisogno che essi hanno di quell’annuncio. Il vagabondare nel deserto da parte di Israele infatti è figura dell’umana esistenza terrena: un cammino segnato dalla minaccia della morte (serpenti velenosi e scorpioni, terra assetata …), nel quale tuttavia non viene meno il desiderio della terra promessa, della vita eterna. La maledizione della vita terrena è la separazione da Dio, la lontananza dal cielo. Ma ecco il miracolo, il mistero appunto che oggi si festeggia: Dio si fa vicino, il cielo scende sulla terra e vi rimane!

Come non riconoscere nei segni dati a Israele: la manna e l’acqua dalla roccia, la prefigurazione del Corpo e del Sangue di Cristo?

Dio si è fatto carne: in che modo questo evento cambia la nostra vita? La risposta è suggerita dalla seconda lettura e dal Vangelo. Dio si è fatto carne, e la carne si è fatta pane, anzi sottilissima ostia: come trovare Cristo in quel minuscolo frammento? Ce lo dice S.Paolo: “Il pane che noi spezziamo, è comunione col Corpo di Cristo” (1 Cor 10,16). E in modo ancora più esplicito Gesù stesso, nel vangelo di Giovanni: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui” (Gv 6,56). È vero, Cristo si è fatto piccolissimo, fino quasi a scomparire in quel pezzetto di pane: ma proprio perché vuole che noi stessi diventiamo il suo corpo! Diveniamo piccoli, umili, totalmente donati ad ogni fratello e sorella che incontriamo sul nostro cammino.

Meditatio

  • Sono consapevole che nel sacramento dell’Eucaristia posso contemplare tutto il mistero della salvezza: Dio ha tanto amato il mondo da mandare il Suo Figlio Unigenito…
  • Nell’Eucaristia si compie la promessa di Gesù: “Sarò con voi fino alla fine del mondo”. Questa magnifica realtà mi riempie di fiducia e di speranza? Non siamo mai soli!

sr Rosanna Costantini, fma

rosannacostantini@gmail.com

Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio…

trinita1Dal Vangelo secondo Giovanni  Gv 3,16-18

In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo:  «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.  Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.  Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».

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ll brano proposto per questa domenica si trova all’interno del capitolo 3, dedicato in particolare al dialogo tra Gesù e Nicodemo. Gesù aveva parlato a Nicodemo della nuova nascita nello Spirito Santo e del mistero del Figlio dell’uomo. Gesù poi parlando di se stesso (v. 14) gli aveva detto che avrebbe dovuto essere elevato da terra, cioè messo in croce, perché chiunque creda abbia per mezzo di lui la vita eterna. Ora il dialogo compie un ulteriore passo in avanti: all’origine del disegno della salvezza c’è Dio Padre. C’è infatti un disegno, un progetto ideato all’interno della Trinità, il quale si è realizzato attraverso l’invio del Figlio nel mondo. Il vangelo di questa domenica ci racconta in tre versetti di questo progetto e dei suoi obiettivi. Dio ha donato al mondo il suo Figlio. Cosa c’è alla radice di questo dono? L’amore che Dio Padre aveva nei confronti del mondo. Cosa dobbiamo intendere per «mondo»? In Giovanni «mondo» significa gli uomini nel loro insieme, come pure gli uomini in quanto si oppongono alla luce divina. Da come si presenta nel testo è evidente che il mondo ha bisogno di essere salvato. La sua condizione è di incertezza, di incompletezza, in pericolo. Già nel Prologo (Gv 1,10), Giovanni ci ha detto che il mondo fu fatto mediante il Verbo e che il mondo non l’ha conosciuto. «Dio ama il mondo». E’ una realtà fondante, assoluta. L’amore precede tutto, come nel Prologo la luce divina del Verbo esiste per ogni uomo prima della tenebra. Il Dio che ama ha come progetto esclusivamente la salvezza e la vita. «Dio ha donato il suo Figlio». Con queste parole si indica l’avvento di Gesù nel mondo e tutta la missione da lui realizzata nel suo insieme. Grazie a Gesù, il Padre si è fatto conoscere al mondo e ha avuto inizio la comunicazione tra Dio e l’uomo. Il Figlio è unigenito: si può trovare qui un riferimento al sacrificio di Gesù, poiché egli come Isacco (il figlio unico e amato di Gn 22,2.12) è stato offerto in sacrificio. Ma quale è il motivo ultimo per cui il Figlio è stato mandato nel mondo? Perché coloro che credono in lui abbiano la vita eterna. Questo versetto precisa meglio la motivazione dell’invio del Figlio nel mondo: la salvezza del mondo. Quindi si passa dai credenti che devono avere la vita eterna, al mondo intero, perché sia salvato. La frase viene posta in modo negativo per sottolineare maggiormente il progetto di Dio rivolto alla salvezza degli uomini. Giovanni gioca molto sugli opposti. «Vita eterna» e «salvare» di oppongono a «perdersi» e «giudicare». Questi termini si ritroveranno poi nel v. 18 quando si ricorderà che chi si rifiuta di credere è già giudicato. Il risultato del «credere» è nella linea del «non essere giudicato». Alla fine dei tempi avrà luogo il giudizio finale: in base alla condotta degli uomini, il giudizio ultimo deciderà se raggiungeranno la vita o se la perderanno definitivamente. In questi versetti il comportamento da cui dipendono queste due alternative consiste nella risposta di fronte all’Inviato di Dio. Il messaggio di Gesù non è un messaggio qualunque: richiede una presa di posizione da parte dell’uomo. Chi non si decide a favore di Dio della Sua luce, del Suo amore, si condanna da solo. Chi non accoglie la Sua luce rimane nelle tenebre. Davanti all’amore con cui Dio ha amato il mondo, l’evangelista Giovanni si guarda bene dal richiedere che l’uomo ami a sua volta Dio. La sola opera richiesta è la fede nel Figlio. Tutti vengono chiamati a credere nel Nome dell’unigenito Figlio di Dio. Il nome manifesta la persona nella sua interezza, la fede è adesione a Cristo riconosciuto come Figlio di Dio e come colui che rivela chi è il Padre.

Meditatio

– Mi sono mai sentito/a giudicato/a dal Signore? In che modo?

– Mi sono mai sentito/a amato/a dal Signore? In quale frangente?

– Qual è, secondo me, il desiderio più grande della Santissima Trinità?

Monastero Matris Domini

Ricevete lo Spirito Santo…

PentecosteDal Vangelo di Giovanni 20,19-23

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.  Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

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A differenza del vangelo di Luca, secondo il vangelo di Giovanni, Gesù risorto appare ai suoi discepoli la sera di Pasqua e dona loro subito lo Spirito Santo. Questo dono non si tramuta subito in un impeto missionario, infatti la settimana seguente (quando ci sarà anche l’apostolo Tommaso) i discepoli di Gesù si ritrovavano ancora riuniti e chiusi nello stesso luogo. Giovanni volutamente sottolinea altri aspetti dell’esperienza dello Spirito Santo negli apostoli e ci invita a farne oggetto di riflessione. Il fatto si svolge il giorno stesso della Risurrezione. Questo può essere un elemento rivolto alla comunità di Giovanni: Gesù risorto si manifesta soprattutto la domenica, quando la comunità è riunita in uno stesso luogo per fare memoria della sua morte e Risurrezione nell’Eucarestia. Si tratta di un luogo chiuso, certo c’era il timore dei Giudei, ma può anche dare il senso di un luogo di intimità e di raccoglimento. Il timore dei Giudei attraversa tutto il vangelo di Giovanni. Con questo termine egli indica sì il popolo di Israele, ma soprattutto i farisei e i capi, che inizialmente non capiscono e poi al termine del Vangelo addirittura sono ostili nei confronti di Gesù (cf. Gv 1,19; 9,22; 12,42; 16,16). Quando dunque la comunità è riunita Gesù viene. Questo termine è denso di significato. E’ lo stesso verbo che Gesù stesso ha utilizzato nei discorsi di addio dell’ultima cena per promettere ai discepoli che sarebbe ritornato (Gv 14,18.28). Egli viene e “sta”. E’ il verbo della posizione eretta: lui che era morto, ora può stare in piedi, ha vinto la morte. Anche il sottolineare che Gesù sta nel mezzo è molto significativo: si poneva in mezzo all’assemblea colui che aveva qualcosa di importante da annunciare. Questo luogo viene ricordato dal salmo 22, 23: “Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea”. Gesù che era stato abbandonato alla morte (il salmo inizia con “Mio Dio, perché mi hai abbandonato?”, le stesse parole che Gesù pronuncia sulla croce in Mt 27,46), ora che è stato liberato dal sepolcro può mettersi in mezzo all’assemblea e proclamare le lodi del Signore. Ma Gesù fa qualcosa di più che lodare il Signore per la propria resurrezione: dà ai discepoli il dono della pace. Può essere inteso come una parola di perdono nei confronti dei discepoli che al momento del suo arresto si erano dispersi e lo avevano lasciato solo. Ma nell’Antico Testamento la pace faceva parte delle promesse di JHWH ed era legata all’avvento del Messia, il principe della pace (Is 9,5; Mic 5,4). Il bene supremo della pace veniva dalla presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Gesù è Dio presente in mezzo ai suoi e dona loro la pace. Gesù appare, dona la pace e si fa riconoscere. E’ proprio lui che è stato ucciso: egli mostra loro le mani, per fare vedere i segni della crocifissione, mostra il fianco che è stato trafitto. Mentre in Luca questi gesti sono molto sottolineati, forse a scopo apologetico, Giovanni li accenna appena. E anche la reazione dei discepoli è immediata, subito credono in lui senza dubitare, come invece abbiamo visto in Matteo la settimana scorsa. Giovanni sposta il dubbio e la fede sull’apostolo Tommaso. I discepoli qui dunque riconoscono Gesù e sono pieni di gioia. Vedere il Signore per loro è la realizzazione di una promessa precisa di Gesù: «Voi mi vedrete, perché io vivo e anche voi vivrete» (Gv 14,19). Egli aveva predetto loro anche la loro gioia (Gv 16,22-23). Ecco il motivo principale dell’incontro di Gesù con i discepoli. Vi è una missione di cui lui era stato incaricato dal Padre. Egli ha svolto il suo mandato e ora a sua volta manda i discepoli. E’ una missione che deve essere completata, essi hanno ancora molto da fare. La pace di cui Lui, il Messia, è portatore, Egli l’ha donata ai discepoli e ora costoro essi la devono diffondere per tutto il mondo. Gesù aveva promesso anche il dono dello Spirito Santo. Ne aveva parlato a più riprese nel discorso di addio dell’ultima cena. Il Paraclito sarebbe rimasto sempre con i discepoli (Gv 14,1-17); avrebbe reso testimonianza al mistero di Gesù per accompagnare i discepoli suoi testimoni (Gv 15,26), li avrebbe condotti alla verità tutta intera (Gv 16,13-15). Ora Gesù dona questo Spirito, e lo dona come JHWH ha fatto nel giorno in cui ha soffiato la vita nelle narici di Adamo. E’ una nuova creazione, la storia ricomincia Ez 37,9; Rm 4,17). Anche la remissione dei peccati, come la pace, era un dono promesso da JHWH. In particolare era messa in relazione con l’effusione dello Spirito di Dio. Con il suo soffio Gesù ha inaugurato una nuova creazione, una rinascita dell’uomo e dunque il perdono dei suoi peccati. Gesù ha detto: «Colui che ascolta la mia parola non viene in giudizio, ma è passato dalla morte alla vita». Ora dunque il potere di rimettere i peccati passa ai discepoli. L’annuncio della Parola attraverso i credenti continuerà a mettere gli uomini davanti a una scelta di fondo (con o contro Gesù) e i discepoli dovranno discernere quanti sono aperti alla luce e accoglierli nella comunità dei viventi.

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– Sento mai la gioia dell’intimità della comunità cristiana, dello stare a porte chiuse in preghiera insieme ai miei fratelli nella fede?

– Ho ricevuto il dono della pace del Cristo risorto? Qual è il compito che mi manda a realizzare?

– In quale modo io posso “rimettere i peccati”?

Monastero Matris Domini – Bergamo

 

Andate e fate discepoli tutti i popoli…

ascensioneDal Vangelo  Mt 28, 16-20

Mi è stato ogni potere in cielo e in terra. Dal vangelo secondo Matteo In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.  Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

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Con il racconto dell’apparizione di Gesù agli Undici in Galilea Matteo pone fine al suo Vangelo. Si tratta perciò di un testo molto significativo, una sintesi di tutta la sua opera, in esso si trovano diversi elementi che ci aiutano a comprendere l’intera narrazione precedente, il senso dell’intero testo di Matteo. Il brano si pone dopo l’apparizione di Gesù alle donne la mattina di Pasqua. Ma i due testi sono separati dal racconto delle guardie del sepolcro che vengono pagate dai sommi sacerdoti per testimoniare il falso a riguardo della sparizione del corpo di Gesù. Il risorto aveva avvisato i suoi discepoli, tramite le donne, che li avrebbe preceduti in Galilea. Essi dunque si presentano all’appuntamento. I protagonisti di questo racconto sono gli Undici, ne manca uno. Purtroppo la comunità è una realtà umana, è sempre imperfetta. Il peccato e il tradimento possono abitare anche tra chi è amico di Gesù. Essi vengono chiamati discepoli, non sono maestri perché uno solo è il Maestro (Mt 23,8). Però proprio in questo brano Gesù li manderà ad insegnare (v. 20). La Galilea è il luogo in cui Gesù ha vissuto la sua vita nascosta (Mt 4,12-17). D’ora in poi Egli sarà presente tra i suoi discepoli ogni giorno, nell’esperienza quotidiana. La Galilea prende il suo nome dalle “genti” dai pagani. E’ il luogo della Palestina più a contatto con quanti non appartenevano a Israele. Proprio da qui Gesù aveva iniziato la sua predicazione. Proprio da qui vuole che ricominci la missione dei suoi discepoli di “fare discepole tutte le genti”. Il monte designato da Gesù non è specificato. Anzi il messaggio che aveva affidato alle donne fuori del sepolcro non parlava neanche di un monte. Il monte è il luogo di Dio per eccellenza. Alcuni episodi significativi della vita di Gesù accadono sul monte e Matteo non dice mai di quale monte si tratti. Gesù si presenta qui come il Signore (Kyrios). Il termine non è esplicitamente utilizzato ma viene suggerito dal gesto dei discepoli che si prostrano davanti a lui (si veda ad esempio Mt 14,33). E’ il Signore della Chiesa, colui che è oggetto di adorazione e di preghiera da parte dei suoi discepoli. Ma questi ultimi non hanno ancora una fede forte. La realtà della resurrezione è troppo inaudita perché essi vi possano credere subito, infatti Matteo dice che dubitavano. E’ lo stesso verbo utilizzato in Mt 14,31, quando Gesù cammina sulle acque del lago e rimprovera Pietro che stava per sprofondare nelle acque di aver dubitato. Si tratta dunque di quel dubbio che ti fa vacillare e non ti rende forte nella fede. Gesù si presenta come il Figlio dell’uomo di cui si parla in Dn 7,14: è il giudice escatologico, assiso fin da ora alla destra del Padre (26,64). Matteo ha sempre sullo sfondo la parusia, il ritorno glorioso del Messia alla fine del mondo. Ma non si tratta di un evento imminente. E’ necessaria una preparazione ad accogliere tale momento, in tempi più lunghi. Perché la fine differisce? Perché prima è necessario evangelizzare tutte le genti.

Il campo missionario della Chiesa è ormai il mondo intero. I discepoli vengono inviati a tutte le nazioni per insegnare loro tutte le cose dette da Gesù e per battezzarle, cioè renderle parte della sua Chiesa, ammetterle alla comunione con Lui. Il vangelo che prima era riservato solo a Israele (Mt 10,6) ora deve essere annunciato a tutte le nazioni.

La formula trinitaria per il battesimo sembra essere stata aggiunta in un secondo momento dalla comunità cristiana. Forse prima c’era “battezzandoli nel nome del Signore”. Ma anche la formula trinitaria è molto antica, la si trova anche nella Didaché. I discepoli devono insegnare ciò che Gesù ha comandato. Quindi non si tratta solo del lieto annunzio, ma anche della Legge (Torah) e anche dell’insegnamento rabbinico (cf. Mt 23,3 che riporta lo stesso verbo tereo, osservare). C’è un messaggio da accogliere e fare proprio anche attraverso un comportamento adeguato. Il vangelo termina poi con questa grande promessa: “Io sono con voi”. Non è un “verrò presto”, ma un “sono già con voi”. Questo mondo avrà una fine, una consumazione, che coinciderà con la parusia (Mt 24,3). I giorni che viviamo nell’attesa sono già ricolmi di una presenza. Il linguaggio usato qui da Matteo è quello dell’alleanza, del “Dio con noi” che inaugura il Vangelo sin dall’annunciazione (Mt 1,23). Ancora Matteo fa riferimento qui alla Presenza di Dio, che si realizzava nel Tempio. Ora che il Tempio è stato distrutto, la Presenza si situa dove due o tre sono riuniti nel nome di Gesù (Mt18,20). Questa è l’esperienza del Risorto che Matteo ci trasmette. E’ una presenza discreta e silenziosa che ci accompagna per tutti i giorni della nostra vita. Gesù risorto e assiso alla destra del Padre è la Presenza di Dio nella storia del mondo.

– Mi è mai capitato di “dubitare” dell’esistenza di Gesù Cristo, della verità della sua risurrezione?

– Cosa significa nella mia vita “fare discepole tutte le nazioni” e “insegnare loro quanto Gesù ha comandato”?

– Mi capita mai di sentire la presenza di Gesù Cristo nella mia esistenza quotidiana? Attraverso quali realtà l’ho sentita?

Monastero Matris Domini – Bergamo

Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva…

vangelo_21Dal Vangelo Gv 14, 15-21

Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi.

Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.

Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».

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Un vangelo di poche righe che ha potere di farci intravedere, oltre il velo, qualcosa del Mistero trinitario. Il Padre, il Figlio, lo Spirito sembrano fare a gara nell’amarsi, nel conoscersi, nell’entrare l’uno nell’altro, perché l’altro abbia un più di vita. Ma, cosa ancora più strabiliante, il discepolo riceve la promessa di poter partecipare di quella vita! Ricevendo lo Spirito Santo infatti, potrà entrare nella dinamica di amore per cui «Io sono nel Padre mio e voi in me e Io in voi».

E la nostra logica si perde… Un circolo di amore e di appartenenza reciproca in cui c’è posto anche per noi. Il passaggio alla novità della vita piena è che «ormai ogni distanza, ogni faccia a faccia sono soppressi: nella relazione personale dell’amore la dualità diventa unione. Si sostituisce così lo schema dell’interiorità, dell’inabilitazione, allo schema dell’esteriorità» (Léon Dufour).

Lungi dall’essere un nostro sforzo, la possibilità di dimorare nell’amore della Trinità è frutto della preghiera del Figlio rivolta al Padre. Gesù promette di pregare per noi, perché il Padre ci doni in abbondanza lo Spirito e noi lo possiamo accogliere. Ancora una volta il Signore ci sta dicendo che non è questione di bravura o di meritocrazia, ma di accoglienza, apertura, adesione al dono promesso dal Figlio.

Tutto questo è vero perché dono, ed è vero, dice Gesù, a una condizione: “se osserverete i miei comandamenti”. Il brano però chiosa con un’altra definizione: “chi osserva i comandamenti mi ama”. Amore e osservanza dei comandamenti sembrano essere sinonimi, perché, è ancora Giovanni a dircelo, il comandamento, quello suo (cf Gv 15,12), è l’amore. Qui sta riassunta tutta la vita cristiana: è la risposta all’amore di Cristo che mi ama e ha dato se stesso per me (Gal 2,20).

Il cristianesimo è essenzialmente amore. Dato e ricevuto.

Allora, anche per noi, è possibile passare da morte a vita; è possibile essere nella vita piena e vedere realizzata la promessa di Cristo «Io vivo e voi vivrete», perché, finalmente, amati, amiamo i fratelli (cf 1Gv 3,14). E la vita della Trinità si riflette nella concretezza della vita di ogni discepolo che ama, dona, serve. In una parola: che vive da figlio e da fratello. Tutto il vangelo finisce qui! Anzi, non finisce mai, perché l’amore non avrà mai fine (1Cor 13,8).

sr Paola Rizzi, SASS

suorpaola@adoratrici.it

 

Non sia turbato il vostro cuore…

tommyDal Vangelo di Giovanni 14, 1-12

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via».

Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».

Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.

In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».

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Siamo nei discorsi dell’ultima cena e probabilmente i versetti che oggi la liturgia ci propone sono di origine diversa, riuniti dall’evangelista (cf Léon-Dufour). Non dunque un testo composito, ma uno sguardo nel cuore di Cristo nel momento in cui sta per «passare da questo mondo al Padre». In questo cuore oggi ci viene rivelato un inno all’unità. Il Figlio e il Padre: l’uno nell’altro, l’uno presso l’altro, l’uno come l’altro, l’uno l’altro, senza alcuna confusione. Infatti, «l’amore fa essere l’uno nell’altro, ognuno dimora dell’altro» (Fausti). E quando si ama si può sperimentare l’essere uno. E secondo Meister Eckhart “la nostra beatitudine consiste nell’uno”. Non si tratta di un’unità formale o, meno ancora, morale; si tratta di quell’unità che sta nel ricevere e donare continuamente la vita dall’altro e all’altro. È l’unità che nasce nel cuore che si è arreso all’amore. È “l’unità al plurale”, perché in te dimora un altro, parla un altro, agisce un altro. Allora noi, capaci di un altro, ne compiamo le opere. Miracolo dello Spirito che ci è donato!

In un tempo in cui milioni di persone sono obbligate a fuggire dalla loro casa, profughi verso il nulla, senza posto sicuro in cui costruire un minimo di futuro; in un tempo in cui metter su casa è un rischio troppo spesso così elevato da tarpare le ali ai più alti desideri; in un tempo in cui anche chi la casa ce l’ha a volte la vive più come deposito bagagli che non come forziere di affetti… proprio in questo tempo Gesù promette, per tutti, senza esclusioni e senza caparre sul mutuo, che la casa vera ce la prepara lui! Non è un far finta che i problemi non esistano, ma è la forza che viene dall’alto, il leggere il presente a partire dal futuro, perché sia vera in noi la sua parola: «Non sia turbato il vostro cuore!». Possiamo non aver paura perché con Dio siamo di casa, possiamo sentirci a casa. In quella profonda unità tra Padre e Figlio, unità che si fa vita, via e verità, anche noi possiamo dimorare, per gustarne la bellezza, per respirarne la tenerezza, per impararne il segreto, per ascoltarne le parole che ridanno respiro al cuore, forse solo, forse diviso, forse ferito. «Chi ha visto me ha visto il Padre», chi crede nel Signore è entrato nella forza dell’unità, lì dove la solitudine è scomparsa e la comunione è la vita, quella vera, che si fa via per tutti coloro che sono alla ricerca di una certezza.

sr Paola Rizzi, SASS

suorpaola@adoratrici.it

Cristo è porta perché è verità…

Vangelo Gv 10, 1-10

PASTOREIn quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».  Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo.  Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

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Un vangelo ricco, affascinante, ma che lascia un serio dubbio. Un’evidenza: «un estraneo non lo seguiranno». O Gesù questa volta si è proprio sbagliato, o … non ci sono più le pecore di una volta! È infatti davanti agli occhi di tutti che spesso le voci degli estranei sono molto più accattivanti della voce del pastore. E molti, in passato, nel presente e probabilmente anche in futuro, quelle finte voci le seguono con passione! Voci… Ma qual è quella voce così chiara, di fronte alla cui identità non ci sono dubbi? Dubbi… la cui risposta sta al di là della porta.

Proprio la porta è la prima immagine che Gesù ci offre. Quante porte varchiamo ogni giorno! Entriamo e usciamo, apriamo e ci chiudiamo, le passiamo senza pensarci, come gesti usuali e scontati. Eppure non esiste alcun modo di entrare in una casa se non attraverso la porta. E non esiste alcun modo di uscire verso la libertà, nuove esperienze, nuovi incontri se non attraverso la porta. Allora il definirsi di Gesù come la porta ha veramente un valore grande! È lui la possibilità di ritrovarsi, appoggiato a terra il bagaglio con cui abbiamo vagato lungo i giorni dal nostro cammino, con noi stessi, con un ambiente che sa di casa, con relazioni familiari e amichevoli che ci fanno gustare la bellezza quotidiana della vita. Ed è ancora lui la possibilità di uscire dai nostri schemi, dalle nostre paure, dalle nostre ottuse certezze, dal nostro “dejà vu”, verso una nuova libertà, quella dei figli che possono sperimentare una fraternità grande come il mondo.

Cristo è porta perché è verità, capace di aprire nuovi spazi nel cuore e nella mente di ognuno. Ma sant’Agostino dice che «Cristo è una porta bassa: occorre che chi passa per questa porta si faccia umile, se vuole entrare senza rompersi la testa. Chi invece non si umilia, ma al contrario si insuperbisce, vuole entrare per il muro di cinta, non per la porta: la superbia lo farà cadere». Altrove Gesù parlerà di porta stretta. La promessa è grande: la vita, e vita in abbondanza; ma le esigenze di questo pascolo di vita senza fine sono alte. E non sarà improbabile che tante pecore si arrendano prima di passare la porta. Resiste solo chi si lascia conquistare dalla forza e dalla soavità di quella voce, riconoscibile tra un milione, perché è quella stessa voce che ci ha chiamato dalla morte alla vita, che ci ha fatto sperimentare la vita in abbondanza.

E rimane un’ultima provocazione: in fondo, che cos’è la porta, se non un vuoto, una ferita nel muro, una mancanza? Sembra rispondere Paolo: «Quando sono debole, è allora che sono forte» (2Cor 12,10). Quando sono mancante, è allora che ho tutto. Quando non sento l’autosufficienza di chi non ha bisogno di entrare e uscire da me, solo allora posso attingere alla vita e alla vita in abbondanza. Quando mi affido a lui, solo allora posso seguire il Maestro. E realizzare la vocazione che lui ha sulla mia vita.

sr Paola Rizzi, SASS

suorpaola@adoratrici.it