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La gioia di servire

SPERANQuel ‘tuttavia’ che ridà speranza

Mentre si avverte un po’ dappertutto l’angoscia per la corsa al denaro, alla ricchezza, al potere… questa povera famiglia degli uomini continua a seminare speranze che non tengono; e delusioni, preoccupazioni, dolori così vivi da togliere il respiro…

Come guardare in faccia il male senza lasciarsene annientare dentro e senza divenire meno capaci di bene e di bello? Soprattutto, come abituarsi a misurare quello che c’è di ‘nostro’ nel male che domina intorno?… Di sicuro la verità costa terribilmente e nessuno la mette al mondo senza fatica. È facile invece trovarsi a identificarla con le proprie conquiste intellettuali e spirituali. Ma voler regolare i guai di quaggiù senza impegnare a fondo la coscienza contro il proprio egoismo, è solo illusione. Di certo non ci sono onestà, giustizia, bene possibile, senza la capacità di guardare le cose in tutta verità; e sempre… anche quando si rischia di rimanere schiacciati dal peso delle sue esigenze. Altrettanto certo è che radicarsi intimamente in Dio porta frutti di rara umanità anche nelle situazioni più disumane.

A distinguere il bene dal male non è soltanto l’azione. È il proprio animo, il modo di ‘sentire’ la realtà intorno. Nelle ore del mistero che si chiama dolore, solitudine, morte, quello che ‘tiene’ e aiuta è sentirsi di Qualcuno; è la presenza certa di un Padre che ci accompagna e rende tutti -proprio tutti- figli e fratelli. Con Lui si è a casa ovunque su questa terra. E si può portare tutto in se stessi, sopportare le ingiustizie e le prepotenze del vivere, senza mai approvarle, anche a costo di finire come di solito finiscono i profeti. Perché l’amore si lascia bruciare gli occhi piuttosto che chiuderli su ciò che disturba. La fraternità – parola che accende e consuma chi la porta- si rivela nei segni della benevolenza e della fiducia. Ma comincia a essere vera solo quando non se ne lascia nessuno fuori. Eppure basta guardarsi un po’ intorno per scoprire che qualcuno ne è escluso. Perché, se anche si vive e si mangia insieme, quando non si è impegnati a comprendere una persona e ad amarla così come è, in realtà la si lascia fuori.

È il ‘nemico’ – quello che fa paura e fa soffrire – l’unico che permette di comprendere se si è o meno disponibili a portare il peso di quell’altro che è irriducibilmente ‘altro’; a dargli ospitalità in sé sapendolo soffrire e accettare; consapevoli che tuttavia c’è sempre una possibilità per imparare qualcosa di bello sulla vita, anche quando può essere molto duro. Il ‘tuttavia’ ridà speranza alla propria esistenza e la suscita anche negli altri. E conferma che anche nelle situazioni più buie e contraddittorie della storia, lo Spirito è all’opera… E pone segnali di bene che chiedono di essere riconosciuti, sui quali fondare la speranza.

 

Luciagnese Cedrone

lucia.agnese@tiscali.it

vibrant1Piccoli segreti di vita libera

Quando la fede non vola per aria, diventa segno che è possibile per gli uomini vivere insieme. Non è al di sopra delle forze umane farsi luce l’un l’altro nel cammino… E se non si resta curvi sulle proprie storie, sconfitte, successi… dalla vita emerge e si diffonde intorno ciò che di più bello c’è nelle cose e nelle persone. E senza far rumore.

Vero è che nella vita insieme è facile aspettarsi troppo dalle persone; quasi obbligarle a crearsi una corazza per nascondere le proprie debolezze, e impedire così di riconoscersi e accettarsi come si è… Altrettanto vero è che ognuno ha il diritto di avere nel cuore tenebre e angoli induriti, dove forse si nascondono gelosie, ferite, insicurezze… Realtà tutte che appartengono alla natura umana ferita. Perciò da accettare. Ma non si può certo vivere, restando vulnerabili, con persone che non rispettano questa vulnerabilità. Riuscire comunque a viverla senza drammi permette di avanzare, poco a poco, verso la liberazione interiore. Può succedere anche di ritrovarsi a vivere tutta la vita con blocchi e barriere nel cuore… Non per questo si è meno figli di Dio, che agisce per il bene della comunità anche attraverso le nevrosi delle sue creature.

Il segreto di una vita libera è scoprire e adorare quel pezzo di Dio che è in ogni persona. Dio Padre ci chiama a vivere insieme così come siamo. E se una comunità è autentica nella sua ricerca dell’essenziale, i suoi membri tendono ad unirsi, guarendo e crescendo nella loro affettività profonda. L’angoscia, che nei momenti di prova invade il cuore, semplicemente segnala quanto piccola e povera sia ancora la fede. Chiama a purificare il proprio modo di percepire e valutare le cose, evitando di chiudersi in affarucci e comodi personali e trovando il proprio posto nella comunità.

Più della perfezione e dell’abnegazione, dunque, vero fondamento della vita insieme sono l’umiltà e la fiducia. Accettare le proprie debolezze e quelle degli altri è essenzialmente una preoccupazione di verità il criterio per poter crescere a partire da ciò che si è e non da quello che si vorrebbe essere, o che altri vorrebbero che si fosse. Allora si può costruire davvero qualcosa insieme, perché dalla realtà di ciò che si è sprizza la potenza della vita. E si traduce in gesti che dicono: sono felice di stare con te! È la gioia di lasciare che l’altro ci passi avanti; di prendere su di sé piccoli fardelli per scaricarne il vicino; di non cercare, nelle discussioni, di aver sempre ragione… In sintesi: è riconoscere e seminare, nel concreto quotidiano, i doni ricevuti.

Viverli con libertà interiore – non per sé e la propria gloria, ma solo per il bene degli altri e nella fedeltà alle mille delicatezze del quotidiano – trasmette intorno il sapore di Dio.

Luciagnese Cedrone

lucia.agnese@tiscali.it

Umano come solitudine

solitudine1Capita, ancora oggi, di raccogliere l’espressione: solo Dio sa quante ne ho passate! Quando, dominati dalla sensazione che delle proprie sventure non importa niente a nessuno, si sente Dio come l’occhio a cui nulla sfugge del proprio lamento, è ossigeno per l’anima.

E la certezza che almeno Uno sa tutto di ogni sua creatura dà senso anche alla vita più grigia e insensata. Ma la capacità di solitudine è e rimane per tutti una delle grandi sfide dell’età contemporanea. Imparare a gestirla nel modo giusto è condizione fondamentale e irrinunciabile del processo di umanizzazione.

Occorre però aver voglia di lavorare assiduamente su di sé, sapendo che nel faticoso e necessario scavo della propria vita interiore nessuno può sostituire nessuno…

Il problema vero è come si riesce a interpretarla e viverla. Sempre infatti la solitudine mette a contatto con le proprie profondità… e, se non si trova in se stessi una buona compagnia, è facile volerla fuggire.

Che cosa sono qui a cercare? Che cosa vive in me, nel mio spazio vitale? Quale logica mi orienta? Per ‘chi’ sto camminando?… Domande tutte che tracciano sentieri e invitano oltre; chiedono di affrontare il volto oscuro del mistero della vita; di entrare nel segreto del proprio cuore, là dove non contano ruoli, titoli, poteri e la forza è semplicemente pari ai propri ideali. Non c’è altra via per accedere a una vita finalmente emancipata dall’idolatria di se stessi, dall’istinto di autoconservazione… Certo la solitudine vuota di comunione rende vulnerabili e fragili; apre l’animo a fughe e tentazioni, a compensazioni, iperattivismo, egocentrismo… Dio diventa irreale, lontano. E si finisce per ritenersi criterio del giusto e dell’ingiusto, fino a diventare incapaci di leggere realmente e giudicare ciò che accade in sé e intorno a sé.

Bonhoeffer concretamente indicava: Chi non sa rimanere solo, tema la comunità. Chi non sa vivere nella comunità, si guardi dal restare solo. In realtà il mondo interiore di ogni uomo e quello esteriore hanno bisogno di incontrarsi, perché si nutrono a vicenda; se si trascura uno a causa dell’altro, o si considera uno più importante dell’altro, ci si impoverisce.

Una cosa è sicura: ogni scheggia di odio rende questo nostro mondo sempre più inospitale e invivibile. Necessario e urgente è aiutare a crescere la riserva d’amore che vive su questa terra. Grazie ad uno sguardo coltivato nella solitudine e nel silenzio – perciò carico di verità su di sé- si può riuscire a sentirsi ed essere solidali, in comunione con qualcuno.

Esporre, inoltre, la propria vita ai rischi del Vangelo libera da tutto ciò che è secondario, apparato, apparenza… La propria intimità si fa più spaziosa, si mette in relazione con ciò che abita la vita degli altri; si rigenera la passione per la vita. E in essa la bellezza di ogni incontro autentico.

Luciagnese Cedrone

lucia.agnese@tiscali.it

 

 

scarpe1Consumare le … scarpe sui segni di Dio

 In ogni deserto umano è possibile generare futuro. Anche là dove tutto sembra fermarsi e morire, dove il rischio supremo è una vita addormentata, incapace di cogliere profezie e lacrime. Può apparire sconcertante, ma anche nel cammino del credente il problema vero è la fede, quella che mette in condizione di ricevere una nuova vista per capire e vivere la vita. Non perciò un semplice chiudere gli occhi; né un rapporto abitudinario e scontato con Cristo; nemmeno una semplice ‘introduzione’ prima di passare ai problemi concreti e magari perdersi in essi! In effetti si diventa cristiani adulti non ‘per’ fare qualcosa, ma ‘a causa’ del fascino di Cristo e del Vangelo. In altre parole: per aver trovato in Lui tutto quello che da sempre si era cercato.

Stare nel mondo senza essere del mondo – come è chiesto al cristiano – è certamente una condizione faticosa di “equilibrio instabile”, che persiste e attraversa ogni fase della vita. E se l’amore unico, definitivo, un po’ folle per Gesù rimane solo sullo sfondo della propria esistenza concreta, ai margini dei rapporti e degli impegni della persona; se è facile vivere quel luogo di verità e di conversione che è il tempo della preghiera riempiendolo di parole per scappare a fare mille cose…, allora davvero inizia la decadenza del senso di Dio. E subentra nella persona quella durezza di cuore che, secondo la Scrittura, impedisce al credente di leggere l’oggi di Dio.

Ma non esiste tempo apparentemente perduto che l’Amore divino non possa fecondare! Perché Egli tiene per mano l’essere di ogni sua creatura e, senza mai forzare la sua libertà, la pone accanto al suo cuore. E quando essa s’impegna a cercarLo, sempre la cambia dentro. Ma alle creature occorre il coraggio di farsi pellegrini della Verità che è Cristo in un quotidiano e rinnovato esodo da sé. E muoversi con tutta la passione di un’intelligenza che pone domande, con la forza di un cuore che accetta di compromettersi realmente per gli altri, a partire da quanti si ha la grazia di incontrare ogni giorno sul proprio cammino. Chiunque ci viene incontro in realtà è messaggero di un pezzetto di verità da riconoscere in sé e ascoltare.

Nel nostro oggi individualista tale esodo richiede di rafforzare la consapevolezza che in un’autentica vita comune l’opera prima e al di sopra di tutte, è proprio amarsi reciprocamente gli uni gli altri (1Gv 4,12). E se, trovandosi a camminare nel buio, si affida a Dio la propria notte in un buon bagno di umiltà, allora non c’è da temere… Credere in fondo è decidere di osare l’affidamento al TU sempre misterioso di Dio anche quando Egli conduce lungo sentieri aridi perché si creda in modo più saldo nell’amore disinteressato.

 Luciagnese Cedrone

lucia.agnese@tiscali.it

clip1Sensibili al dramma dei poveri con mentalità da ricchi?

 Si può ricercare spiritualmente ciò che è senza prezzo in una economia sottoposta alla legge dei costi? Fare posto alla gratuità di un gesto in una civiltà di mercanti? Papa Benedetto XVI distingueva tra due tipi di povertà: una da combattere ed una da abbracciare. Ma davvero si possono conciliare? Sicuramente nessuno si scalda mai il cuore o si mette in viaggio in nome del pareggio di bilancio, debito, rispetto dei parametri… È anche vero che la ricchezza materiale spesso è un ostacolo al conseguimento della povertà spirituale (cfr.Mt 10,23).

La povertà scelta, invece, predispone ad uscire da se stessi e dilata il cuore. Chiaramente non si è poveri in un modo determinato, e non lo si è una volta per tutte. “Ci vuole una disposizione dell’animo che renda liberi nei confronti di tutto, anche della povertà”, rifletteva il cardinale Roger Etchegaray. In questo senso, forse è più difficile rimanere poveri che diventare poveri… Chi non conosce il morso di tale povertà sulla propria carne, non può, comunque, affinare il suo sguardo per riconoscere, nelle mutate situazioni di oggi, i ‘nuovi’ poveri. Nella società dei consumi la beatitudine della povertà appare oggetto di derisione. Eppure, se le miserie che vediamo intorno a noi sono grandi, nell’abisso delle situazioni più tragiche siamo anche testimoni di segni di fiducia operati dall’uomo. Purtroppo si parla poco di questa Europa, che 60 anni fa – quando è nata l’Unione – come oggi, ha sentieri nel cuore (cfr Sl 84,6) e cammina nella verità. Esiste e si realizza ogni giorno: sulla strada, nelle piazze, nei luoghi dove vive la gente. Per riconoscerla e darle voce occorre riportare la politica alle questioni vere che sanno della vita di tutti i giorni. E se la politica latita, tanti cittadini non si lasciano bloccare dalla paura, non si arrendono alla costruzione di muri; non si arroccano in difesa, ma si rimboccano le maniche… E quando gli adulti – messi così a nudo in tutta la propria umanità – camminano avanti a capo della carovana, i giovani li superano nel costruire un mondo nuovo.

….. Quello che Dio nel suo piano chiede ad ognuno nelle situazioni concrete è un mistero che va sondato. Per questo occorre una fede autentica e una preghiera quotidiana che diventi il vero combattimento dell’esistenza. Si sperimenta allora che la vita non è tempo che passa, ma tempo di incontro. E, tenendo conto delle piccole cose, si procede verso quell’orizzonte che non finisce mai. Il futuro dell’umanità, ricorda Papa Francesco, non è solo nelle mani dei politici, dei grandi leader, delle grandi aziende… Sì, la loro responsabilità è enorme. Ma il futuro è soprattutto nelle mani delle persone che riconoscono l’altro come un “tu” e se stessi come parte di un “noi”. Il che davvero è divino.

Luciagnese Cedrone

lucia.agnese@tiscali.it

fioreE tuttavia…

La questione ‘corruzione’ oggi è certamente qualcosa di più complesso e articolato di quanto appaia dal clamore mediatico su tangenti, mazzette, legami con la criminalità organizzata… Siamo di fronte al sintomo di un degrado ampio, che imprigiona le società e la cultura. Un male che lacera, scava, corrode, fa de-generare legami sociali e democrazia.

Il fatto è che, presi dalla seduzione delle cose e dal fascino di possedere sempre di più, si finisce per investire sul prodotto sbagliato: il denaro. E si dimentica l’amore. Quale forza profetica potrà guarire un cuore corrotto dall’adesione eccessiva a un ‘tesoro’ che lo ha conquistato? L’amore non è più eterno, si dice comunemente. E mentre si collezionano contatti e connessioni, le persone e i sentimenti si comprano, si corrompono, si sostituiscono come tutto ciò che può dare emozioni…. Quasi senza accorgersene si passa per le scorciatoie dell’opportunismo, qualunque costo questo comporti per la collettività; anche a prezzo della dignità propria e altrui. È come se i ‘buoni’ risultati conseguiti ubriacassero di un borioso ottimismo. Alle critiche si reagisce sminuendo chi le fa e attaccando con l’insulto chi la pensa diversamente. “Così fan tutti”, si conclude frettolosamente, quasi a giustificarsi. Significa allora che il mondo di sogno che è nel cuore di tutti e il grigio-quotidiano-mondo-reale sono inconciliabili? Come rendere il nostro Paese una comunità dove l’interesse economico coincida finalmente con l’interesse sociale, la dignità e la libertà di tutti? Certo senza la capacità di guardare le cose in tutta verità non si fa un passo. E senza mettere in pratica ciò che si è capito non si capisce il resto.

E tuttavia… anche se ardua, la via del risanamento è possibile a patto che si legga la situazione in modo nuovo, fuori da quei moralismi che producono solo un’inutile indignazione. Niente sconforto e pessimismo per quello che ci circonda e che è anche dentro di noi. Ma una lettura lucida, che porti allo scoperto tutte le personali manovre di evasione, questo sì. Certo confrontarsi con la propria verità è sempre doloroso e non piace ai più! Si preferirebbe restare in un mondo fittizio, dove si possono ignorare gli aspetti negativi della propria personalità e delle proprie scelte, chiudere gli occhi e fingere che non esistano. Magari autoconvincersi di essere bravissimi, sopravvalutarsi, o anche sottovalutarsi. Il fatto è che il cammino può cominciare unicamente nella propria cella interiore…

Cambiando la percezione di sé e degli avvenimenti, cambia radicalmente l’essenza di ciò che si vive. E le luci che illuminano la piccola isola della propria vita quotidiana si accendono. Quando poi anche solo un sottile filo di speranza nell’amore indistruttibile di Dio si fa largo nel cuore, la via concreta alla Verità si fa luminosa e sicura. E si conosce la forza e la gioia di andare.

Luciagnese Cedrone

lucia.agnese@tiscali.it

piediStrada facendo…

In un oggi dominato dalla fretta e dalla rapidità, camminare è diventato un atto rivoluzionario, quasi eversivo. Eppure è un legame antico quello che unisce i piedi alle attività della mente. Rousseau si sentiva vivo e libero quando vagabondava a piedi, in solitudine. Non riesco a meditare se non camminando, diceva. Appena mi fermo, non penso più, la testa se ne va in sincronia coi miei piedi. Oggi la scienza assicura che camminare rende più intelligenti, migliora la capacità di elaborare informazioni, guida a prendere decisioni corrette… Ma anche nel quotidiano della nostra esperienza ognuno può rilevare che un flusso di pensieri e ricordi si dipana proprio durante le passeggiate; le preoccupazioni si ridimensionano; le gocce di pensieri tristi e ossessivi si diluiscono nell’aria… Staccandosi dalla ruotine quotidiana, la persona si muove alla ricerca del centro di gravità proprio della sua vita. Una scelta ben lontana dall’evasione e dalla fuga! Forse, con David Le Breton, possiamo dire che è un camminare per nessun motivo; deciso semplicemente per il piacere di gustare il tempo che passa e rispondere al richiamo della strada, là dove si diventa tutti itineranti. Certo è che camminando la coscienza si muove, scopre dettagli nuovi del mondo e di sé, e guarda tutto come fosse la prima volta… Davvero si perde il meglio della vita se viene a mancare il contatto con la strada. Eppure in quale misura, oggi, è possibile riconoscersi tutti compagni di strada invece che antagonisti dai quali guardarsi?

È fantastico scoprirsi parte del territorio invece di scivolarvi soltanto sopra. Uscire dal ritmo incalzante della vita normale, rallentare l’azione, fare ciò che il corpo può permettersi e non di più… procura un benessere che si rivela antidepressivo naturale. Strada facendo, soprattutto se si cammina in contatto diretto con la natura, si può scoprire il gratuito, il bello, il vero… Il risultato è una calma e un’energia che arrivano dal profondo. In fondo, in tutta l’inquietudine che ci domina, c’è il desiderio di qualcos’altro, di andare più lontano, verso un modo diverso di vivere con gli altri, verso un mondo che sia di fraternità. E passeggiare strappa alla schiavitù di se stessi e delle cose; impone sobrietà ed essenzialità; avvia alla ricerca di quell’essenziale e di quell’Assoluto, senza il quale si muore dentro.

Lo studio di un gruppo di ricercatori inglesi assicura che passeggiare in compagnia fa molto bene: rafforza i legami tra le persone, cresce la voglia e la forza di un piccola comunità. E si creano anche solide amicizie.

Questa è la nostra vita, ricorda Papa Francesco: credere e mettersi in cammino, come ha fatto Abramo, che, con la fiducia nel Signore, ha camminato anche nei momenti difficili. E anche tu troverai un gancio in mezzo al Cielo … E sentirai la strada far battere il tuo cuore, vedrai!

Luciagnese Cedrone

lucia.agnese@tiscali.it

Fessure di luce dal declino dell’umano

che nel nostro oggi appare sempre più inarrestabileluce1

Forse davvero non c’è più la misura del vero e del falso. Si dice: ‘funziona‘, o: ‘non funziona“. Anche della bellissima parola ‘condivisione‘ sembra essersi perso il senso iniziale: dimmi cosa pensi; uno scambio, quindi! Un mondo più umano è impossibile senza pagarne il conto in moneta di vita a partire dall’uso delle parole; senza una crescente e onesta consapevolezza nei confronti di sé, che diventa sapienza nei confronti delle situazioni e della storia… Per il ragionamento, si sa, ci vogliono tempo e coraggio. Così è facile cedere al fascino delle ‘grandi’ parole, che non scavano nel cuore l’esigenza di tessere vita vera. Quando la parola non l’hai pronunciata – assicura la tradizione ebraica – sei tu a comandarla; una volta che l’hai pronunciata è lei che comanda te. E il dolore causato dagli abusi verbali, anche se all’apparenza invisibile, è capace di lasciare segni profondi sulla persona. Come allora imparare il valore delle parole? Come abitarle per poter vivere in modo più consapevole la chiamata alla fraternità universale? A volte occorre una vera lotta contro la tendenza a sopravvalutarsi nel senso di gonfiarsi. Ognuno vuole essere di più, e questo è bello. Non però quando la paura di sbagliare e di ciò che diranno gli altri trasforma ogni piccolo errore in fonte di ansietà fino ad attribuire limiti e torti solo agli altri, alle circostanze…; non quando un’inconscia autocensura, insieme a una certa ipocrisia paciosa, impedisce di dire e fare la verità; non quando si arriva a rimproverare con durezza gli altri fino a condannarli nella presunzione di essere gli unici ‘giusti’… La vanagloria (=gloria vana) è davvero una tentazione sottilissima, molto difficile da discernere; attacca da ogni parte e si mescola a tutti i gesti virtuosi…

 La domanda è: vale davvero la pena di agire per piacere agli uomini senza troppo preoccuparsi di cercare la propria consistenza nell’essere in verità se stessi davanti a Dio e agli uomini? Nessuno è meritevole di un amore qualunque, perché Dio abbraccia ogni suo figlio. Soltanto liberi dalle arroganti vette del protagonismo, come suggeriva F. Sheen, s’impara a fare buon uso dei tre soli gesti propri della fraternità: linguaggio, vista e tatto. E si conosce il prezzo per dire parole libere. È la dura realtà che scava nel cuore le esigenze della Vita vera, che illumina ogni vita in difficoltà. È affascinante il percorso, che fa della propria umanità un onesto campo di battaglia sempre pronto ad accogliere ogni altro senza riserve. Anche le ferite, allora, si rivelano fessure di Luce e lievito buono nella pasta del mondo. Perché la fraternità -parola che sa di Vangelo e infinita pazienza di ricominciare con Dio – è, in ogni tempo, l’unica via al riscatto dal declino dell’umano.

Luciagnese Cedrone

lucia.agnese@tiscali.it

sabato santo1Il Grande Sabato…

… parla alla nostra coscienza

  “Sabato santo: giorno della sepoltura di Dio; non è questo in maniera impressionante il nostro giorno?”, si domandava diversi anni fa Joseph Ratzinger. Il nostro secolo non comincia forse ad essere un grande Sabato santo, giorno dell’assenza di Dio? E noi non siamo forse un po’ come quei discepoli, che, con un vuoto agghiacciante nel cuore, si avviano a tornare a casa senza accorgersi che Colui il quale era creduto morto è in mezzo a loro? Anche noi abbiamo ucciso Dio attraverso l’ambiguità della nostra vita, chiariva Ratzinger; lo abbiamo rinchiuso nel guscio di pensieri abitudinari; esiliato in una forma di pietà senza contenuto, perduto nel giro delle frasi devozionali

 Ma per ogni situazione passa un sentiero che porta a Lui e sempre si può ripartire proprio da lì dove ci si era fermati. Anche nelle prove che sembrano senza uscita; anche in ciò che ci era parso un inutile piangere; o nel sentimento di stare camminando a volte verso nessun luogo, senza vedere né strada, né meta… Proprio là Qualcuno sommessamente continua a bussare alle porte dei nostri cuori e, se gli si apre, lentamente ci rende capaci di “vedere”. Una Voce chiama, una mano ci prende per mano e ci conduce… Così, come un seme nel buio attende il richiamo della primavera, Dio genera il Suo futuro dentro ogni notte.

 Ricchi o poveri, famosi o sconosciuti, certo la paura di essere lasciati soli e abbandonati è di tutti, anche se rimane nascosta sotto la superficie dell’autocontrollo. La sua radice più profonda sta nella possibilità di non essere amati affatto, di non appartenere a nulla che duri, inghiottiti dall’oscuro nulla… Sentiamo però che la nostra vita ci appartiene e che la morte non ha nessun posto nel nostro desiderio di vita.

Karl Rahner chiama la morte “assurda contraddizione originaria dell’esistenza”. E se il morire richiama, con forza rinnovata, la paura di non essere amati, ridotti in vana cenere, nello stesso tempo il mistero più oscuro della fede è il segno più chiaro di una Speranza che non ha confini. Gesù ha sperimentato con noi l’intera assurdità della morte. Dio doveva morire per gli uomini perché potesse realmente vivere in essi e divenire compagno della nostra solitudine ultima…

Il Sabato Santo è nuovo invito ad una quotidiana lettura sapienziale della propria esperienza di vita nella storia; invito a dimostrare che l’amore sempre è più forte dell’odio e della morte; a scendere con Gesù nel buio di coloro che gridano dal profondo e portarvi la Sua luce. E beati coloro che riescono a leggere il proprio vissuto come un dono di Dio, non lasciandosi andare a giudizi negativi sui tempi vissuti, o sul tempo presente in confronto con quelli passati! Ideale è arrivare a contemplare molto semplicemente il Signore che ci guarda con amore. A noi non resterà che seguirLo docilmente.

Luciagnese Cedrone

lucia.agnese@tiscali.it

 

dialogo1Parliamoci. È vera rivoluzione culturale (Bauman)

Il compito vero – nei giorni che ad ognuno è dato di vivere – è intendersi con gli altri “senza darsi botte in testa reciprocamente”: Bonhoeffer ne era convinto. Oggi solitudine e isolamento incombono e si rischia di invecchiare e morire prima ancora di crescere. La situazione non ammette semplici spettatori di lotte altrui. È davvero urgente ricostruire la tessitura della società attraverso una rivoluzionaria cultura del dialogo. Superare la soglia dello specchio e imparare ad arricchirsi della diversità dell’altro è possibile; scoraggiarsi è la più grande tentazione. Non ci sono ricette o facili scappatoie. Si tratta di mettere in dialogo tutte le forze vive, non di vincere sugli altri. Rispetto a quanto siamo abituati a fare, vera rivoluzione è solo un impegno umile, deciso a pensare, cercare, provare e trovare la propria strada per un confronto reale. Nella trasparenza della fraternità è possibile e anche facile riconoscere semplicemente i propri passi falsi. Purtroppo però è altrettanto facile prenderli a pretesto per discernere quelli degli altri. Così succede che il confine fra lo spirito cordiale e l’ironia è indefinito e raggela il sorriso.

Eppure i rapporti difficili si possono curare. Parola d’ordine evangelica è: “Apriti!” (Mc 7,31-37), lascia che attraverso le tue orecchie entrino in te le voci e i suoni del mondo, le armonie e le dissonanze, le parole e i silenzi… Chiediti che cosa provi e perché. Cerca di capire quello che provano gli altri e perché… E il nodo che ti porti dentro, pian piano, comincia a sciogliersi. Diventa più chiaro dare un nome alle proprie e altrui emozioni e realistico imparare a gestirle in un ‘parlarsi,, che sia via alla fraternità. Vita in realtà è comunicare con la sofferenza e la gioia delle persone; accogliere ciò che chi ‘mi’ vive accanto pensa, sente, desidera…

     Se nel rapporto interpersonale si vuole sempre e solo luce, chiarezza, certezza assoluta, forse si vuole dominare più che comunicare. Perché il dialogo autentico non è un caffè istantaneo e non dà effetti immediati. Ma se si parte dalla vita e dalle esigenze dell’altro, qualche strada nuova si apre. Anche nelle situazioni più buie e contraddittorie della storia – ci ha insegnato il cardinal Martini – lo Spirito è all’opera e pone segnali di bene, che chiedono di essere riconosciuti per fondarvi la speranza che non delude. Mettere la maiuscola all’Altro, significa prendere sul serio le persone, la loro alterità umana, uscire insomma dalle prigioni del narcisismo… Allora nascono i più bei progetti: fragili, reali, sempre aperti al cambiamento…

Non praticheremo mai a sufficienza questo orizzonte profetico nel quale si accolgono le differenze come parte di un cammino comune. Mettersi in condizione di parità con l’altro e non di distanza rende, comunque, possibile offrire – con verità e umiltà – parole che aprono, abbracciano, facilitano, aiutano a sollevare lo sguardo da se stessi.

Luciagnese Cedrone

lucia.agnese@tiscali.it