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La gioia di servire

occhi2Piccole cose, occhi profondi…

Toccando ogni giorno la durezza del vivere ci si è forse rassegnati a credere nel cinismo della forza, a mettere da parte le più elementari esigenze del cuore umano? Amare nel modo del Vangelo è certo una via stretta; ma nelle nostalgie del cuore di tutti vive una Speranza che in silenzio si nutre del desiderio di un mondo ‘altro’. Il problema è farsi capaci di captare le speranze brevi del nostro tempo; quelle che hanno casa nel cuore di persone che, senza proclami e senza ricompense, fanno semplicemente ciò che devono fare; concrete, disarmate e sognatrici, custodiscono la vita di altri con la propria vita. Oggi dell’amore si parla con troppa frivolezza. Eppure di tutto si può fare a meno nella vita, ma non del significato stesso dell’esistenza che è proprio l’amore…

Sogno di una felicità che viene da quanto gli uomini ritengono impossibile? Il denaro comanda in un mondo di egoismi a doppio petto e non, ma non è il senso delle cose; la ricerca dei propri interessi troppo spesso è spacciata per ‘bene comune’; muri sempre più ‘alti’ fra gli uomini… Tanti si trovano così a camminare rassegnati nel buio, tanto che persino il giorno a volte appare solo preparazione al buio della notte… In questa terra barbara e magnifica, non è così ovvio che la vita abbia un senso. Dio non esiste per chi attende solo da se stesso la felicità e pensa di poter fare a meno di Lui, “il Totalmente Altro che viene affinché la storia diventi totalmente altra da quella che è” (K. Barth). Dio regala gioia soltanto a chi, nell’avventura della vita, produce amore. E agli uomini non interessa un divino che non faccia fiorire l’umano.

Se le idee astratte seccano la testa, la crisi vissuta sulla propria pelle non sposta la speranza in un altrove, la fa accadere nel presente. Esige però che ci si chieda se si vuole portare Lui – il solo indiscutibile come Assoluto – o se stessi come indiscutibili; se il proprio sorriso somiglia a quello di un’assistente di volo, o viene dal cuore… perché segno sicuro che la propria umanità è in crescita, è la gioia autentica.

La Speranza – suggerisce Sant’Agostino – ha due bellissimi figli: lo sdegno per la realtà delle cose e il coraggio per cambiarle. La luce è nella Parola. Nella Bibbia le strategie della Speranza chiamano a piccole cose, ma chiedono occhi ‘profondi’ per coglierne i segni. Un incontro, una telefonata, la parola di un amico quando si pensava di non farcela più; una carezza, un dono a qualcuno dal quale non ci si aspetta eco di comprensione… Lo sguardo senza cuore produce buio e, quando l’amore in sé tramonta, niente più conta. Sì, l’amore è tutto ciò che resta anche quando non rimane più nulla. In prospettiva di futuro, il ‘caso serio’ del nostro tempo è ridare concretamente significato alla vita fraterna.

         Luciagnese Cedrone ismc

         lucia.agnese@tiscali.it

potere1Reinventare le parole del potere…

 “C’è più verità in un grido di dolore che in interi trattati di filosofia”, riconosce Ermes Ronchi; e l’uomo vale quanto vale il suo cuore. Eppure c’è chi affoga, mentre i privilegiati ballano sul ponte più alto della nave, spesso fingendo di non vedere… Maggiore è la funzione che si svolge, maggiore è il potere, maggiore è il dovere di esercitarlo in spirito di servizio; ma la tentazione del potere minaccia quello spirito e, nel mondo attuale, il suo esercizio è uno dei principali luoghi del peccato degli uomini. Tutti ne sono responsabili, qualcuno più degli altri. Tutti ne subiscono gli effetti, qualcuno più degli altri. È inutile farsi illusioni: in ogni relazione umana c’è un aspetto legato alla dinamica del potere e ognuno è chiamato a riconoscerla in sé. Servono ‘secchio e straccio’: molto c’è da pulire e riordinare…

Si potrebbe essere tentati di servire solo le persone che stanno dalla propria parte, che ci somigliano; cercare gli onori che accompagnano le funzioni che si svolgono… Ma imporre all’altro se stessi non fa che assorbire l’altro nel proprio orizzonte e annullarlo! È tanto facile, quando si occupa una posizione di autorità  “schiacciare gli altri senza neppure accorgersene” (J. Vanier). Così come è facile lasciarsi sedurre dal ‘potente’ di turno e farsi profeti di se stessi, saltando sul carro del ‘vincitore’. Una cosa comunque è certa: se il mondo è frantumato e ferito dalla ricerca più o meno consapevole del potere, il compito urgente di ognuno è riuscire a vedere la realtà così com’è. E, con lo sguardo al fondo delle cose, reinventare in sé le parole del potere e del servizio.

Si potrà così riconoscere che spesso si guardano gli altri come incorreggibili e le loro azioni come ‘ormai’ inevitabili. Il problema vero è: ho  fiducia che Dio possa creare cuori nuovi? Può succedere di usare le parole come secchi d’acqua gelata rovesciati sull’altro; poi è il vuoto di parole fino al mutismo che gela i rapporti… Ma quando le cose sono difficili, non parlandone diventano ancora più difficili! A qualcuno capiterà di vivere rassegnato alla propria debolezza, ripetendosi che non c’è niente da fare perché io sono fatto così. Forse però sono sempre lo stesso proprio perché poca è la mia fede!

Certo è che il potere passa, come il male; e non si diventa liberi cedendo alle tentazioni. Ma nell’ora del dubbio ognuno ha bisogno di sapere che la sua persona non è superflua e inservibile per la comunità. Se è vero che “nel mondo nulla di grande è stato fatto e si farà senza passione” (Hegel), la fede in Cristo e nella Sua Parola è la passione più feconda: quando si fa storia quotidiana costruita nella continua scelta tra servirsi e servire; quando guida l’occhio sulle realtà e avvia alla ricerca – senza scadenza – di punti fermi che orienteranno il cammino per una nuova storia…

 Luciagnese Cedrone ismc

 lucia.agnese@tiscali.it

 

 

Nel rapporto con il cibo… …chiamati a una lotta essenziale

famiglia_pizzeria_1 “Gli animali si nutrono, l’uomo mangia, solo l’uomo sapiente sa mangiare”, avvertiva J.A.Brillat-Savarin, politico e gastronomo francese dell’Ottocento. Oggi i programmi TV che si occupano di cucina e di cibo continuano a proliferare, insieme a quelli sulle diete per dimagrire (…altra faccia della medaglia!). Grembiuli e tegami, mentre invadono il piccolo schermo, mostrano comunque la centralità del cibo… Sembrerebbe facile allora acquisire chiaramente quella consapevolezza del mangiare e bere, che si sperimenta a tavola quando si passa dalla logica del consumo alla logica della comunione. Imparare a mangiare significa imparare a farlo insieme agli altri. Per la Bibbia, come per la storia della cultura, la tavola condivisa è il luogo in cui si fondano e “si nutrono” rapporti autentici. Scambiarsi parole capaci di nutrire le relazioni dà senso alla vita sostentata dal cibo. Non è casuale che l’Eucaristia, fonte e culmine della vita della comunità cristiana, sia stata collocata da Gesù all’interno di una cena. Uno sa amare se e come è amato. Questo è certo. E, a patto che non ci si limiti a consumare cibo, la tavola è il luogo per eccellenza in cui le persone da sempre stringono amicizia, creano il tempo del perdono, imparano ad amarsi…

Ma davvero il cibo, nelle attuali relazioni con gli altri, è vissuto come strumento di condivisione e di incontro? Certo è che, a tavola, l’uomo rivela il rapporto che ha con se stesso; e – un po’ come accade a qualsiasi recipiente- di qualunque cosa è colmo, ciò che lo riempie finisce per traboccare e riversarsi su chi gli è accanto.

Se, per esempio, ci si sente considerati meno di zero o si è mossi dal bisogno di ‘contare’, sarà facile parlare ex cathedra, ridere di qualcuno più che con qualcuno; facile anche scegliere di immergersi in un silenzio che uccide e vivere la tavola condivisa come via per soddisfare il proprio piacere senza – se non contro – gli altri… Come discernere quello che, oltre il pane, è veramente necessario alla persona per ‘vivere’?…

Decidere di guardarsi intorno con gli occhiali giusti e lasciar cadere ciò a cui più si tiene consente di aprire le porte del proprio cuore a chi ci siede accanto. Cogliere poi i sentimenti di ognuno, e cercare di aiutarlo a portare il suo carico, dà il via ad una lotta quotidiana – invisibile ed essenziale – che azzittisce le proprie paure; e fa vivere da innamorati ogni istante e ogni incontro. Si ‘sente’ che nel proprio essere profondo è il Signore stesso a lottare; che l’unico merito della persona, nell’aprirsi alla fraternità autentica, è predisporre tutto in sé per lasciare a Lui la possibilità di agire in un cuore che ascolta e si orienta all’azione coerente. Anche a tavola. La fede viva segna sempre la vita, umanizza… E si traduce in una felicità che canta in fondo all’anima, anche quando si cammina faticosamente e si piange.

Luciagnese Cedrone

lucia.agnese@tiscali.it

Quell’idolatria da cui nessuno è libero

simbol2È il tarlo dell’orgoglio, presente in ogni uomo più di quanto in genere si pensa. Nessun difetto rende più impopolari, così come di nessun difetto si è meno consapevoli. E più lo si ha in sé, più dà fastidio negli altri. Ammettere di esserne affetti spesso è un vero tabù. Ma pensare di non essere orgogliosi significa solo che lo si è davvero, e molto. Riconoscere invece le qualità e i successi degli altri aiuta a capire i propri limiti. E se si esorcizza la paura del proprio povero nulla, allora si può riconoscere in sé l’orgoglio e lasciare che Qualcuno lo curi. Solo oltre la paura infatti il cuore dell’uomo può decidere la sua strada (cfr Pr 16, 9).

I segnali della presenza dell’orgoglio sono tanti. Non si riesce a realizzare un progetto?… con reazione infantile se ne attribuisce la “colpa” sempre e solo a qualcun altro. Qualche proprio gesto di fede ci fa sentire buoni se non migliori di qualcun altro?… si può esser certi che non è Dio ad agire in noi. E poi: atteggiamento altezzoso, ostentato senso di superiorità, ricerca per sé di posizioni privilegiate; frustrazione per la mancanza di seguito altrui, arroganza… Di regola, l’orgoglio nasce come meccanismo di difesa, ma alla lunga stanca e incrina i rapporti. In sintesi: muove la persona a rifiutarsi di fare i conti con debolezze e ombre; le impedisce di riconoscersi fragile creatura; la conduce a rinnegare la propria umanità fino al disprezzo di chiunque. Di tutto ciò però gli altri fanno solo le spese, perché l’orgoglio affonda la sua vera radice in un falso rapporto con Dio.

Oggi è decisamente grande il bisogno di ritrovare il timore che è rispetto per l’Altro e per l’altro, nella diversità di ognuno. Proprio da tale sano timore scaturisce l’umiltà che fa accettare di essere semplicemente se stessi…perché umile è colui che si ricorda di essere uomo (I. di Poitiers). Sul tema, papa Francesco rilancia una grande verità: senza umiliazione non esiste umiltà. Che venga da Dio, da noi stessi o dagli altri, sempre l’umiliazione consente di scoprire la propria radicale povertà e accedere all’umiltà autentica.

La prova vera che ci si trova alla presenza di Dio è che ci si dimentichi di se stessi. Il combattimento, che allora la persona compie in sé con le proprie ombre, si trasfigura e diviene sorgente. E la solitudine umana, l’impressione di inutilità, tutto ciò, insomma, che potrebbe devastare l’essere, apre invece alla persona una via d’uscita dall’angoscia e dalla rassegnazione. Chiamare per nome il proprio orgoglio spalanca tutte le porte a Dio, che potrà così irrompere nella vita della sua creatura e guarirla. Avvicinarsi a tale libertà, anche solo per un istante, è come bere un sorso d’acqua fresca nel deserto. Ed è anche l’inizio del quotidiano e silenzioso dono di ciò che si è a chi ci vive accanto.

Luciagnese Cedrone

lucia.agnese@tiscali.it

Quando l’esperienza del calendario incalza…

Composite of Calendar Pages and Clock

Credere è una scommessa tra lo zero e l’infinito, dice Pascal. E la Scrittura assicura: la più bella parola di Dio è la vita di ognuno (2 Cor. 3,3). Forse però, solo quando occhi, orecchie, mani, gambe, denti… – incalzati dall’esperienza del calendario – non funzionano più come prima, se ne comincia a prendere seriamente coscienza. Se poi sopraggiunge una malattia grave, per la fede è una grande prova e un momento difficile di purificazione. Ma aver compiuto un lungo cammino significa potersi voltare e osservarne l’intero percorso… A distanza si vede meglio l’insieme. Può scaturirne un rapporto amaro e risentito con il presente, valutato come progressiva decadenza rispetto “ai miei tempi”. Può anche capitare guardando indietro di vedere solo macerie nella propria esistenza. E, se capita, è forse la più grande disgrazia per la vita di un uomo… perché futuro e passato risultano avvolti da un disperato senso di vuoto; e alle sofferenze fisiche si aggiungono senso di inutilità, timore, vergogna di essere di peso agli altri, di farsi servire, aiutare… Ci si ritrova insomma come sentinelle avanzate su un terreno sconosciuto, in prima linea sul fronte dell’essere o del nulla… Per l’uomo pellegrino nel tempo e nella storia è l’invito a ri-partire per quell’unico vero viaggio che è dentro di sé e non finisce mai; se c’è una cosa evidente per il cristiano è che tutto quanto accade – di bene o di male – è un dono. In realtà sono beati coloro che riescono a leggere tutto il proprio vissuto come un dono di Dio, rifletteva C.M. Martini… Certezza che apre orizzonti del tutto nuovi, trasforma e plasma nell’intimo.

     Chi è carico di anni ha visto tante cose e ha fatto tante esperienze; ha confrontato la fede con le più diverse situazioni umane e ha capito che idee, mode, stili di vita e di potere variano. Ha sperimentato che anche le gioie finiscono e scoperto che proprio certi momenti di difficoltà e di dolore -vissuti nella fede – provocano un affidamento più puro a Dio, una conquista di doti umane più piene e una più intensa solidarietà umana. Ne viene un dono di autorevolezza che fa capaci di amare anche senza reciprocità e di aprirsi con coraggio maturo e pacato ai sempre nuovi problemi della società. Felice, quindi, chi ha lavorato su di sé per essere in grado di coltivare questi sentimenti… Diventa così libero dal proprio ego, che può chiamarsi e sentirsi “noi”; e questa è la sua ricchezza. E anche se il senso delle cose è e rimane pur sempre avvolto nel Mistero, la ‘voce’ di Dio consola perché Lui non è mai stanco delle sue creature. L’esperienza dello Spirito si offre sempre alla libertà dell’uomo. SeguirLo senza riserve né condizioni significa imparare lentamente a gustare un po’ la pienezza nel vuoto e l’alba nel tramonto (K. Rahner).. E i propri giorni si trasformano in un incantevole mattino di speranza…

Luciagnese Cedrone

lucia.agnese@tiscali.it

 

Cielo aperto del confronto

cielo-aperto1Il cielo aperto del confronto…

 Fragili sono tutti gli uomini e custodi di lacrime. Prigioniero di mille limiti, prima che colpevole, ognuno merita attenzione e dialogo e non uno sguardo giudicante. Nelle discussioni è fin troppo facile -e per mille motivi- scegliere di pensare pensieri già pensati da altri, sostituire il dogma allo scambio delle posizioni, giudicare e perfino disprezzare. In realtà nessuno nel confronto è solo ricettore e ognuno ha qualcosa da offrire, sempre. Perché la verità è sinfonica, è strada fatta insieme con e verso Uno che dà senso e meta ai passi incerti degli uomini. Dice: tu puoi…e fa felice il cuore.

Eppure un soggettivismo incurante della verità, insieme ad un altrettanto diffuso rigorismo che manca di misericordia, è presente oggi un po’ dappertutto; una logica di estremismi violenti in troppi luoghi della Terra cerca di manipolare e distorcere principi civili e religiosi… Come crescere nel coraggio di essere veri e alternativi a questo nostro mondo? Come riuscire a confrontarsi cercando davvero il bene comune? L’autenticità, l’efficacia delle parole umane non viene certo dal vuoto di una propaganda o di uno spot pubblicitario; nemmeno da ruoli, titoli, poteri… Viene dall’essere veri nell’amare di più, dal quotidiano ritorno al cuore che ascolta, dove si trova tanta forza quanta ne hanno fede e ideali.

Le controversie sono presenti nel quotidiano di ognuno… Beato l’uomo che seriamente si impegna a risolverle nel confronto autentico, senza farsi polemico o aggressivo, usando invece un linguaggio positivo e abbassando le proprie difese. Meno infatti si è reattivi alle provocazioni, in preda alla rabbia o alla frustrazione, più si sarà in grado di giudicare le situazioni oggettivamente e gestire gli eventuali problemi. Nel confronto più che rimproverare, serve evidenziare quello che si può fare e fare meglio, lasciando spazio al punto di vista e alle proposte dell’altro… Non si tratta di nascondere i problemi, ma di esporli cercando insieme la strada che è davanti. Le proprie ferite possono indicare la direzione giusta per sintonizzarsi con gli altri. Se poi, come ha fatto Gesù, si guarda a ognuno con occhi che accarezzano, allora davvero le parole nascono lievi e non di pietra (E. Ronchi). Ci sono, così, sguardi che vedono le ferite dell’altro e se ne lasciano ferire; che perdonano e liberano dal risentimento; intuiscono il domani nell’oggi faticoso e si posano sui ‘talenti’ di ognuno, sapendo che la luce conta più del buio e il bene vale più del male.

L’audacia profetica di non avere paura del confronto e il coraggio di lottare non necessariamente per vincere, operano uno scambio franco e libero; le parole aprono, abbracciano, aiutano a sollevare lo sguardo da se stessi. E ciò che esce dal cuore entra nel cuore dell’altro generando – oltre il velo delle sconfitte e quello che era apparso solo un inutile pianto- condivisione e comunione.

 Luciagnese Cedrone

lucia.agnese@tiscali.it

Il ‘quando’ è adesso…

mendicanti1… per un lavoro dal basso umile e quotidiano, con cui prendersi cura della terra e delle sue ferite; degli uomini e delle loro lacrime. …Perché “adesso” il mondo è fragile; fragile la civiltà e la convivenza fra gli uomini; fragile l’amore… Uomo e natura sembrano voler sprigionare oggi tutto il loro potenziale distruttivo; e la fiducia nell’esistenza di un porto dove dirigersi vacilla. La percezione dell’assenza di valori e dell’esperienza interiore della verità è generale e acuta. Ed è forte il bisogno di certezze, sulle quali far riposare l’ansia e lo smarrimento… Tutto questo significa che, in mancanza di un amore comune, ci si sta forse accontentando di una paura comune?

Certo è che la profonda condizione dell’uomo contemporaneo appare tutta racchiusa nel verbo mendicare…Ha bisogno degli altri, di certezze, di vita… Ha bisogno di Dio. E di cercarlo. Pellegrini ogni giorno e, in qualche modo, anche forestieri in ogni luogo, Dio ci dona però di amare e di dirlo con la vita e con la passione per il volto feriale dell’umano. L’asse di orientamento della storia è rimesso insomma nelle mani e nelle scelte di ognuno. Inutile illudersi di potersi scavare una piccola nicchia protetta dentro cui sotterrare, per paura, quell’unico talento affidato invece ad ognuno perché serva a tutti. Diceva bene Bonhoeffer: il vero compito – nei giorni che ad ognuno è dato di vivere – è intendersi con gli altri senza darsi botte in testa reciprocamente. E, come assicurava per esperienza il cardinal Martini, dalle difficoltà nasce sempre qualcosa di nuovo e di più profondo. Incontri la croce, l’attraversi e sai che neppure un capello del tuo capo andrà perduto. E, anche se l’apparenza dei fatti sembra contraddirlo, percepisci che il principio di Vita è efficacemente all’opera anche nella storia di oggi. Intravedi, insomma, il germe di bene sepolto anche nelle ‘macerie’…

Con una capacità inesauribile di meravigliarsi si coglie, allora, il dono insostituibile che esiste in ogni essere e in ogni avvenimento. E la sostanza di ciò che accade intorno orienta ad essere servi senza utile, a tempo pieno e con gioia. Comunica il coraggio di aprire strade là dove altri non ne vedono alcuna. E la forza inquietante e contagiosa della profezia è restituita, così, ai piccoli.

Nel concreto quotidiano rimane il problema di scambiarsi il dono che si è gli uni per gli altri, senza lasciarsi sfruttare e senza sentirsi non capiti. In sintesi si tratta di non rassegnarsi allo scandalo di professare tanto facilmente l’amore del prossimo, rimanendo invece divisi; di consentire e ancora consentire alle prove, parte ineliminabile dell’esistenza umana; di dissolvere ciò che in sé si rifiuta di entrare in comunione… E da tali umili fermenti di fiducia seminati nell’umanità, scaturisce l’insperato. La conferma che con Dio c’è sempre un dopo, e la notte è lasciata alle spalle.

Luciagnese Cedrone

lucia.agnese@tiscali.it

 

Traversata del deserto umano

isCome il popolo d’Israele a Elim, ci troviamo oggi in pieno deserto, da ecologia profonda. Un deserto umano con nulla che accarezzi il cuore, mentre verità vive sono raggiungibili solo con l’incontro. Se non si compie la traversata, tale deserto non può che sfinire. Ma come accettarsi reciprocamente nell’incontro senza confondersi con le maschere dietro le quali ognuno si nasconde? Come ricevere dall’altro la conferma della propria esistenza, accoglierlo nella sua totalità senza per questo incappare nelle illusioni del dovere e della grandezza nelle quali si è immersi?… La distanza tra gli esseri s’impara subito dalla vita. E ogni comunità si accorge che è difficile vivere insieme. Le situazioni storiche poi complicano le cose… E così ciascuno tende a rimanere nel proprio modo di vedere le cose, pur ascoltando -a volte con pazienza- il punto di vista dell’altro. Insomma, come Israele abbiamo bisogno anche noi di individuare “dodici sorgenti d’acqua e settanta palme“ (Es. 15,27), sotto le quali riposare, fare il punto della situazione e riprendere decisamente il cammino verso la terra promessa. Questo è l’inizio del combattimento

Per chi e per che cosa si agisce? Per piacere a qualcuno o per trovare la propria consistenza nell’essere in verità se stessi davanti agli altri e all’Altro? Accettare di rispondere a tale domanda aprirà il cammino per la traversata, nella consapevolezza che solo un agire gratuito e trasparente può dare autenticamente senso alla vita. L’ansia di emergere, invece, soprattutto per le persone insicure, è semplicemente un goffo desiderio di essere amati e stimati. Una carità intelligente, insomma, esige ‘antenne’ sempre vigili e alzate; sensibilità prima che idee e organizzazione… Detto altrimenti: la vera audacia non spara mai a zero in una sola direzione! Ma il coraggio ci vuole, perché la tentazione è evitare i confronti decisivi, riuscire a nascondersi dietro agli altri, non giocarsi in prima persona… E c’è la tentazione sottilissima di chi si ritiene virtuoso… Una malattia molto difficile da discernere, perché attacca da ogni parte la persona e facilmente si mescola a ogni sua azione muovendola a cercare applausi. Un po’ come fa il bambino che esige su di sé l’attenzione di tutti gli sguardi.

Ammettere i propri errori è il primo vero gesto liberatorio… Non reprimere poi le proprie emozioni e portarle all’esterno consente di viverle più intensamente; ne scaturisce la forza per chiedere scusa e ricominciare da capo. Ma è il confronto costante tra vita e Parola, tra esistenza di tutti i giorni e orizzonti di senso che affina la capacità di cogliere il meglio in ogni situazione concreta. Così lo Spirito irrompe nel cuore e fa nascere… fiori nel deserto. Papa Francesco chiarisce: “Tenere fisso lo sguardo sul Figlio di Dio ci fa capire quanta strada dobbiamo ancora fare; ma al tempo stesso ci infonde la gioia di sapere che stiamo camminando con Lui e non siamo mai soli”.

         Luciagnese Cedrone

         lucia.agnese@tiscali.it

 

Per una necessaria rivoluzione culturale…

gioia-servire1Viviamo in una condizione ormai irreversibilmente cosmopolita di interdipendenza e scambio a livello planetario; ma – ne è sicuro il sociologo Ulrich Beck – non abbiamo neppure iniziato a svilupparne la consapevolezza. Così gestiamo il presente con gli strumenti degli antenati… Ma presumere di poter tornare indietro sottraendosi al vivere insieme è solo una trappola. Si tratta di risolvere i conflitti in maniera diversa da come siamo abituati a fare; e attuare una rivoluzione culturale rispetto al modo in cui oggi si invecchia e si muore prima ancora di crescere (Z.Bauman). Sentirsi ignorati, non amati, non voluti, in Occidente è oggi la malattia più grave. In uno scenario di vita competitivo, nessuno sembra più voler essere un ‘compagno di strada’. Il cercare di apparire a tutti costi, per occupare la scena, muove a cacciare gli altri. L’urgenza di una vera rivoluzione culturale – che passi attraverso il dialogo, l’impegno umile e deciso a pensare, cercare, provare, trovare- è sintesi della Speranza che non delude. Chi annuncia tale Speranza – assicura Papa Francesco – ha orizzonti: vede lontano perché sa guardare al di là del male e dei problemi; al tempo stesso vede bene da vicino, perché è attento al prossimo e alle sue necessità. Chi non desidera per sé che i propri errori siano presi come cose di poco conto e che non gli si parli alle spalle? Chi non sente il bisogno di un sorriso che non sia finto, di una parola che nasca dal rispetto per la propria persona, di qualcuno insomma che ascolti con gli occhi, come fanno i bambini? Madre Teresa per esperienza afferma: “è la conoscenza reciproca che porta all’amore e l’amore al servizio disinteressato”.

“Che cosa cercate?”… è la nuda domanda del Vangelo che richiede con urgenza il ritorno al cuore, là dove non contano ruoli, titoli, poteri…; dove però “si ha tanta forza quanta ne hanno i propri ideali” (E. Ronchi). Se la si lascia entrare e lavorare nel cuore, allora apre sempre sentieri nuovi nel rapporto con se stessi e con le persone. Tutto ha inizio lì. Perché è vero, nella vita non si cammina per colpi di volontà, per ordini o divieti. Si avanza quando si è attratti da una bellezza almeno intravista. E le domande del cuore non mettono a tacere l’altro; rilanciano il dialogo e coinvolgono l’interlocutore; nello stesso tempo lo lasciano libero.

Parlarsi davvero, dice papa Francesco, non è un caffè istantaneo; passa attraverso l’educazione che non dà effetti immediati, ma esige pazienza, perseveranza e profondità. Le chiacchiere di parte dividono gli altri fra ‘chi è nell’errore’ e ‘chi è nel giusto’. Nel dialogo autentico invece s’impara solo ad arricchirsi della diversità dell’altro. Non ci sono insomma perdenti, ma solo vincitori. E il sociologo Bauman, al ‘percorso’ indicato da Francesco per promuovere una cultura del dialogo e ricostruire la tessitura della società, aggiunge una sola parola: ‘Così sia, amen!’.

Luciagnese Cedrone

lucia.agnese@tiscali.it

Il silenzio della ricerca che…

… spegne le luci finte

gioia1L’anima dell’Unione Europea – cresciuta attraverso sintesi sempre nuove di culture diverse e senza apparenti legami tra loro – è molto più vasta dei suoi confini. I tratti di quelle culture sono impressi sul suo volto e raccontano tutta la bellezza di vincere le proprie chiusure.

Oggi però, di fronte alle sfide epocali di un mondo sempre più globalizzato, l’U.E. si muove nella direzione opposta al necessario rafforzamento della sua unità nella diversità. La paura soprattutto sui fronti di migrazione e sicurezza ha contagiato un po’ tutti. E, cattiva consigliera, conduce a cercare sicurezza piuttosto che verità. Muri, recinzioni e simili mettono a repentaglio le conquiste comuni, senza essere in grado di risolvere alcun problema in modo duraturo. Come muoversi, nel concreto quotidiano, per “aggiornare” il volto dell’Europa con scelte capaci di integrare, dialogare e generare un nuovo umanesimo nella prospettiva del mondo globale? Come costruire fra noi comunità di persone nell’unità dell’amore di Dio, che ha un posto per tutti?

 …e serve la verità dell’uomo nella storia

È esperienza comune che nelle difficoltà dell’esistenza l’essenziale passa solo per il cuore e non ammette semplici spettatori di lotte altrui. Problema serio è non rassegnarsi allo scandalo di professare ‘amore’ per l’altro e intanto nei pensieri, sentimenti, chiacchiere, azioni… rimanere divisi. La qualità della vita insieme oggi è debole, proprio nella forza comunicativa… Inevitabile se tutto ciò che si vede dell’altro è la facciata. Se, per di più, lo si guarda di sfuggita, ben poche possibilità rimangono di capire cosa c’è dietro l’apparenza. Se poi si sceglie l’arte di vivere in mezzo a una folla di estranei, allora si azzera ogni possibilità di dialogo e di conoscenza; l’atteggiamento di distanza suscita un rispetto solo posticcio; e il confine fra lo spirito cordiale e l’ironia rimane indefinito e raggela il sorriso.

Eppure se il cuore è puro e in ricerca – avvertiva Carlo Maria Martini – gli occhi si aprono. Si riesce perciò a vedere in quale modo il fermento evangelico sta operando; a raccogliersi attorno alla sapienza delle persone, anche di quelle apparentemente più improbabili; e a ricordare al proprio cuore che la superbia si preoccupa di chi abbia ragione…; solo l’umiltà ricerca che cosa sia giusto. Dominare la lingua perciò va bene, se però si domina il cuore.

L’incontro con il volto vero delle persone disattiva un po’ per volta quei meccanismi che nella ‘vita insieme’ generano ipocrisie, falsano i rapporti, distruggono l’integrità delle persone… Se ciò che si fa per l’altro non viene dall’essere di fronte a Dio, in realtà si rischia di vivere come commedianti. Permettere invece al Padre di mettere su casa in noi, lasciando a Lui di pensare e amare attraverso il nostro cuore, conduce ogni giorno a cercare e a servire la verità di ognuno, cominciando da chi accanto a noi è “meno uguale”.

Luciagnese Cedrone ismc

lucia.agnese@tiscali.it