Via Giuseppe Zanardelli, 32

00186 Roma - Italia

+39 06 6840051

Fax +39 06 56561470 segreteria@usminazionale.it

La gioia di servire

Che fare?

IS_che fareCamminando attraverso i giorni luminosi e oscuri di questo nostro tempo …

… e sapendo che non si può indagare il nuovo con strumenti vecchi, come coprire la distanza tra noi e l’uomo contemporaneo, ferito come noi, dolente come noi, provato come noi?

In concreto che fare? Certamente occorre partire da una sana e realistica conoscenza del contesto in cui si opera, guidati dalla certezza che nessun ambiente, mai, può essere totalmente privo di “valori e principi”. Nello stesso tempo è necessario permettere ai propri comportamenti e sentimenti di interrogarci. E, osservando con sincerità e comprensione le risposte che diamo, lasciarci dire chi siamo veramente.

Quasi tutta l’umanità – scriveva Umberto Eco – sembra essere presa dalla stessa sindrome del telefonino e non ha più rapporti faccia a faccia, non guarda il paesaggio, non riflette sulla vita e sulla morte. Comune, invece, nelle nostre vite sempre più frenetiche, è diventato il lamentarsi: praticamente un automatismo. Forse è vero che si parla ossessivamente, consumando la propria vita in un dialogo tra non… vedenti. Certo è che fino a ieri una comunità di valori permetteva al singolo di sentirsi parte di ‘qualcosa’ che ne interpretava i bisogni. Ed era una sicurezza per la persona. Oggi invece un individualismo sfrenato ha contagiato un po’ tutti.

Per essere capita e forse superata, questa nostra società liquida richiede di svegliarsi dal torpore; di impegnarsi ogni giorno per ri-acquisire la giusta consapevolezza sulla funzione della società: l’elemento capace di unire le coscienze e mettere insieme il buonsenso. Il mistero della gioia pasquale lo esige. Camminare per un po’ nelle scarpe di un altro aiuta molto (anche se non è semplice!) a muoversi in tale direzione. Aiuta a farsi liberi dal sospetto reciproco, dallo spirito di dominio, dal desiderio di imporre la ‘propria’ verità piuttosto che cercarla assieme… Soprattutto aiuta a svegliare in sé quell’intelligenza emotiva che permette di sintonizzarsi sul prossimo per agire insieme e creare spazi più umani. E crescere, quindi, nella disponibilità quotidiana a sentire le domande che la vita pone attraverso fatti e persone che hanno a che fare con la propria coscienza…

L’anziano della ‘stanza’ accanto, per esempio, al quale il vortice della vita passa solo accanto, mentre nessuno più si ferma per chiedergli come va… come si sente? E l’altro, che è quasi sempre malato, che cosa prova a portare il dolore di notte con sé nel letto e a svegliarsi in sua compagnia al mattino? E cosa vuol dire essere vecchio, quando ci si sta preparando al grande riposo della morte?…

Cristo ha salvato l’uomo e la sua storia non respingendola, né criticandola dall’esterno; l’ha salvata assumendola fino in fondo, vivendola pienamente, condividendola… E per un’autentica fedeltà all’uomo di oggi, chiama ognuno, con Lui, a scoprire quanto calore si genera anche là dove il gelo sembra prevalere.

Luciagnese Cedrone ismc

lucia.agnese@tiscali.it

 

Osare oggi la logica del Regno

IS_gioia regno1L’ossatura – nemmeno troppo nascosta – dei rapporti interumani in questo nostro mondo?… Felice Scalia la vede tutta nella ricerca di riconoscimento e nella sete di spazi propri; nell’assillo per la realizzazione di sé e nella rivendicazione di una visibilità e rilevanza sulla ‘massa’. In verità si può dire che la paura di perdersi e di ‘essere nessuno’ domina e comanda i gesti quotidiani, corretti o disonesti che siano. Spesso il motivo vero che spinge a ‘sopravvestirsi’ per non vergognarsi di sé e rendersi ‘presentabili’, è il prendere coscienza della propria povertà e il non sentirsi in grado di sopportarla. Ne scaturisce un mondo che tutt’al più si accontenta del rispetto esterno delle regole, ma non si preoccupa troppo del senso di responsabilità che muove a calcolare le conseguenze delle proprie azioni. E il bisogno di Verità – che dà vita al dipanarsi della storia insieme alla gioia di trovarla – rimane lì senza portare frutto. In tutto questo la passione per la vita in quanto tale boccheggia. Si rafforza invece la cultura che non ama la vita, ma la sfrutta e la usa fino a quando serve e poi la scarta. E mentre l’umanità e la compassione si dileguano anche dal cuore dei credenti, a parlare rimane il silenzio di Dio (Gv Paolo II)…

Comunità di cristiani e consacrati sapranno rendere percepibile sul proprio volto, nello stile di vita lo sguardo di tenerezza con cui Dio segue il cammino, anche contorto, dei suoi figli?

… e conoscere la felicità ‘dell’essere per’

Gesù di Nazareth ci ha mostrato come si sta nella vita credendo negli esseri umani e guardandoli come splendore di bellezza, a volte nascosta ma mai distrutta. Non ha certo affidato alla ricerca di sé la credibilità del suo messaggio. Tarlo dell’amore è la difficoltà a riconoscersi unici, amati, liberi… ma pur sempre solo strumenti; accettare cioè di non essere protagonisti, perché Dio solo lo è. E se guida è Dio, ci vuole un’attenzione particolare a Lui (…e senza guardare con la coda dell’occhio chi agisce diversamente!). Alla scuola della Sua misericordia – Giustizia che non giudica ma sempre cura e guarisce – la sequela si misura dalla gioia d’incontrare ogni persona; bella o brutta, disonesta o corretta, amica o nemica… è del tutto secondario. L’esistenza ‘illuminata’ dal Suo sguardo è più bella e più umana e fa lievito nei piccoli e grandi gesti del quotidiano condiviso. Dalla mancanza di tale sguardo nell’ordinario della vita, fra gli umani nascono le divisioni, le scomuniche, i roghi, le nazioni canaglia, i muri che si innalzano… fino al diritto di possedere in esclusiva armi atomiche!

La sfida per il cristiano è chiedersi se l’intimità coltivata con il Signore è capace di riempire di gioia la propria vita per dilatarla a tutti.

               Luciagnese Cedrone ismc

               lucia.agnese@tiscali.it

Misericordia in cammino

MisericordiaUna fragilità fatta di separazioni, divorzi, assenze, mancanza di tempo, di dialogo… affligge gli individui nel nostro oggi. E’ sintomatico che ci si ritrovi di continuo alla ricerca di una comunità, o a costruirne surrogati, spesso intorno al nulla.

Il sociologo Bauman le chiama “comunità – attaccapanni”, cui appendere per un po’, insieme ad altri individui impegnati nella stessa ricerca, l’abito del proprio disagio privato. Ne derivano gruppi permeati di paura e sospetto. Il fatto è che amicizia e solidarietà –materiale il più prezioso per la costruzione di una comunità umana- sono divenute oggi troppo fragili e precarie, forse anche troppo inconsistenti per servire a quello scopo. Così, in un pianeta divorato dai virus dell’odio, dell’avidità, della violenza, ogni ingiustizia causa vendetta e, come in un circolo vizioso, dalla vendetta viene nuova ingiustizia… Persino le comunità di consacrati – senza la misericordia, cuore del messaggio evangelico – rischiano di trasformarsi in deserto… Una semplice conferma che il comandamento di amare il proprio nemico è “assurdo perché impossibile” come pensava Freud?

La buona notizia è che “Dio è amore”. Si è rivelato ‘misericordia’ per noi ed ha chiuso quel circolo vizioso, permettendo un nuovo inizio e una nuova via comune verso il futuro. “Se Dio misericordioso esiste, questo cambia tutta la mia vita”, confessa Kasper. Quel principio fondamentale della Bibbia, che suona: “Siate misericordiosi sul modello di Dio” (Lc 6, 36), è per la vita dell’uomo. Dopo il disastro della seconda guerra mondiale la saggezza di grandi politici (italiani, francesi e tedeschi) aprì la via perché egoismi nazionali e risentimenti irrazionali finissero e popoli nemici potessero divenire popoli amici. E fu la pace e il futuro dell’Europa… Saremo oggi capaci di un nuovo creativo fondersi di orizzonti e, vivendo di misericordia e di perdono, farci veri operatori di pace?

“C’è la bellezza e ci sono gli uomini sprofondati nella sventura – permettimi, o Signore, di conservarmi fedele alla prima e ai secondi…”, pregava Camus, uomo e autore che incarna “un ateismo tutt’altro che agnostico e impermeabile alle grandi questioni della fede” (Ravasi).

Anche oggi si tratta di arrivare alle persone che tendono incuriositi le orecchie e cercano con il cuore inquieto. E Papa Francesco ce ne consegna il compito per il Giubileo: rimettersi in viaggio verso la vita degli altri, senza escluderne nessuno e senza rimanere ad aspettarli; andare a cercarli per far sentire ognuno prima di tutto amato; e fare strada con lui. Cercatori con coloro che cercano, per rendere visibile il Cristo misericordioso nell’attuale crescente deserto interiore.

 Luciagnese Cedrone ismc
lucia.agnese@tiscali.it

La grande bellezza… della vecchiaia

“Questo mondo nel quale viviamo ha bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione”, affermava profeticamente Paolo VI. Nel tempo in cui la vita si è allungata e inarrestabile è l’incremento del numero degli ultraottantenni nei Paesi industrializzati, non ci si è allargati però alla vita e alla sua bellezza, avverte Papa Francesco. Sotto la sua lente sono le lacune di una società che, programmata sull’efficienza e sul mito del corpo perfetto, proietta la vecchiaia oltre… la morte; anche perché, da un pezzo, questa società ha nascosto a se stessa la morte. Le sue lamentele più frequenti degli e sugli anziani si incentrano su ‘inutilità’ e perdita di indipendenza. Il compito che si assegna loro sembra essere uno solo: che non diventino un peso per nessuno, o almeno: lo diventino il più tardi possibile. Separarli dagli altri cittadini? è terribilmente ambiguo! Riempire artificiosamente il loro tempo di cose da fare… serve davvero? L’elusione del problema, in ogni caso, provoca un ripiegamento narcisistico sul proprio corpo e tanta angoscia nei confronti di quel tempo sospeso che è la vecchiaia, molto più che per la morte.
Come riuscire a dire insieme a Benedetto XVI: “È bello essere anziani!”? Urge un approccio diverso al ‘problema’… La dignità dei vecchi si coglie nello sguardo, nella tenerezza, nella speranza di chi ci accompagna nell’ultimo tratto del cammino. Passo preliminare per la maturazione di tale sguardo è accettare i limiti insiti nella dinamica della propria vecchiaia continuando a sapersi amati da Dio. Attraverso la prova del tempo e il lutto dei propri investimenti narcisistici, si scopre che ogni anziano è sempre più di ciò che si vede, si sente, si pensa di lui, perché come tutti è parte del rapporto fra vita e morte, fra desiderio di vita e limitatezza. Non prenderne atto significa solo mutilare se stessi.
Rivo­luzionario a questo punto è incominciare a prendere gli anziani sul se­rio; offrire quell’ascolto che per­mette loro di esprimersi e di farsi cono­scere; aspettare che ognuno renda percettibile ciò che è realmente. E, quando egli si è manifestato, aspettare ancora… Riuscire così a distinguere l’essenziale dal secondario, ciò che dura da ciò che passa. E finalmente poter partecipare a chiunque s’incontri lungo il proprio cammino la sapienza del cuore che ne scaturisce. Cosa che evidentemente non si improvvisa.
In una vita spesso dimentica degli interrogativi fondamentali sul destino dell’uomo, la ‘terza età’ è la bellezza di un tempo di meditazione e di chiarezza interiore. Soprattutto quando si soffre profondamente, essa è il grande momento della verità, quello in cui “il contingente lascia trasparire l’assoluto” (Romano Guardini). Perché bellezza è la grazia che lavora invisibilmente nel cuore di tutti gli uomini di buona volontà, che – come ricorda la Gaudium et Spes vengono a contatto col mistero pasquale nel modo che Dio solo conosce.
Luciagnese Cedrone ismc

Per dirlo – o per dirtelo – con tutta sincerità…

…è un’espressione che spesso precede certe confessioni private o pubbliche che finiscono per lasciare un sapore amaro. Molti si vantano di esprimere il proprio pensiero in maniera diretta, totalmente priva di qualsiasi riserva. Una società apparentemente e brutalmente sincera? Indubbiamente la rabbia, il disincanto e un fastidio quasi insanabile verso ogni cosa pubblica sembrano prendere il sopravvento in un Continente in profondissima crisi.
Il populismo dilaga e la sincerità a briglia sciolta fa tendenza in un giornalismo aggressivo.
Nel privato tutto ciò che ieri era coperto dall’inibizione, facilmente diventa oggetto di esibizione; il pudore per l’intimità cede al narcisismo; le barriere del rispetto e del galateo cadono… Una sincerità selvaggia sconfina nell’arte di confondere la bugia con la verità.
Si tratta di un fatto culturale che espone, nel corso dell’esistenza, alla tentazione umana della ‘doppia vita’, dalla quale nessuno è esente.
Forse si parla troppo, si crede di fare le cose… parlando. È certo però che nella vita le parole non sono solo parole: sono ‘cose’ che fanno storia anche a distanza di anni.
È nel loro uso che la rettitudine è rara, anche fra cristiani impegnati e religiosi. Realtà che, in parte, affonda le sue radici in un’educazione formalistica, fatta di sorrisi e di un’ospitalità che non è l’evangelica ‘ospitalità del cuore’! Certe gentilezze e frasi fatte -riflette il gesuita F. De Gasperis – non significano nulla e forse dicono il contrario di quello che si sente e si pensa. Di fatto la tendenza a dire tutto a tutti e in tutte le circostanze coesiste con la notoria tendenza contemporanea a escludere la confessione frequente dalla propria vita. Ci si può chiedere cosa si celi dietro simile situazione…
L’eccesso di sincerità – apparente sincerità, sincerità appena verbale, desiderio di “mostrarsi” sinceri e aggressivamente critici…- in non pochi casi nasconde la propriavulnerabilità.
Una sorta di autodifesa, messa in atto per evitare ‘attacchi’ esterni. Può anche mal celare l’intenzione di offendere di proposito qualcuno, o dimostrare che la propria opinione conta più di tutto… Così però ci si autoinganna, si costruiscono castelli d’illusioni e ci si va ad abitare.
Gli uomini, diceva Tristan Bernard, sono sempre sinceri, ma cambiano spesso sincerità. E, se mentire ad altri è grave, sul piano personale mentire a se stessi è come utilizzare una bussola guasta per orientarsi nel cammino. Ne va di mezzo la felicità personale dalla quale in buona parte dipende l’autenticità dei propri rapporti.
Serve allora il gusto evangelico di quell’essere limpidi che mette insieme parola, cuore e fatti concreti. E serve quel sale della vita che è coltivare dubbi, mettersi in discussione e correggersi in modo trasparente da ogni falsa sincerità.
Luciagnese Cedrone ismc

Il segreto è oltre di noi

Nelle ‘società che non hanno compassione’ il male ha acquisito oggi dimensioni enormi. Di morte parlano milioni di vittime e di sfollati provenienti da Nazioni in guerra che ‘ci invadono’; polizie di frontiera, muraglie di cemento e di filo spinato in tanti Paesi d’Europa; violenza che cresce per le strade e dentro le case, disperazione di chi non trova lavoro… E su tutto indifferenza, impotenza, rassegnazione… Che fare? Benedire i sopravvissuti e dimenticare presto i ‘sommersi’? Illudersi che la forza e le armi possano qualcosa contro il male? Castigare e poi ognuno per la sua strada, coltivando gli stessi rancori di prima, come se per il Padre ci fossero figli ‘riusciti’ e ‘sbagli di produzione’?… Saremmo molto lontani dalla Galilea e molto vicini alle torrette delle nuove Auschwitz.
“Siate pronti a capire la normalità del male”, suggerisce il premio Nobel Svetlana Alexievich: il suo orrore può nascondersi e mimetizzarsi nel quotidiano di ognuno!
La fraternità, giustamente intesa, è parola molto rischiosa. Suo “passaggio fondamentale è essere disarmati di fronte agli altri, senza armi, forti solo dell’amore, della povertà e della gioia del Vangelo” (W. Kasper). La fede assicura che ognuno è un pezzetto dell’Amore di Dio fatto carne. E l’esperienza racconta che la fiducia fra le persone nasce solo dalla persuasione di essere molto amati. È compito grosso vivere come cosa normale la gioia di amare senza aver ricevuto una qualche risposta gratificante; o con nel cuore la sensazione di essere stati ingannati, sfruttati come stupidi. Ma la vita e la luce vanno cercate comunque, sempre… Quale persona mi blocca? Chi vedo come una minaccia per la mia crescita e mi provoca malessere? Se qualcuno è duro con me, magari alle mie spalle, una ragione almeno c’è: non so perché, ma risveglio qualcosa in lui. Sono pronto a incontrare chi mi sembra un nemico? Riesco a non concedere solidarietà ai mugugni e a spostare il discorso su fatti e dati oggettivi che riguardano il contenuto del lamento? Interrogativi da trasformare in ‘compiti’ per non abbandonare la trincea della speranza! E riuscirvi quando si incontra qualcuno che usa ironia, polemica, sarcasmo…; volutamente ferisce e crede di essere spiritoso; perfettino, si lamenta di tutto e di tutti, ma non fa assolutamente niente per cambiare le cose; si sente sempre vittima, dispone di continui alibi per sé ed è bravissimo nell’individuare capri espiatori ad ogni male. Sempre gli…altri?
È la vecchia storia degli uomini di tutti i tempi: rifiutare la diversità. Il giudizio è qualcosa di molto potente nell’essere umano, un modo per spingere gli altri verso il basso e portare se stessi più in alto. Può accadere proprio a tutti di assumere questo atteggiamento inconsapevolmente. Intorno lo vedono, lo sentono, lo percepiscono e … reagiranno!
Il segreto della vita però rimane oltre di noi: nel Cielo sempre aperto sopra le nostre storie; e nella benedizione del ‘giusto’, che pone la mano su ‘qualcosa’ e dice: “nonostante tutto tu appartieni a Dio” (Bonhoeffer).
Luciagnese Cedrone

Orizzonte rinascita

 Preziosa è la scuola della vita, a condizione però che a quella scuola si imparino le lezioni necessarie e opportune che vengono offerte a tutti. Quando per esempio nei propri giorni cominciano ad esserci più ieri che domani, è facile che anche fra i cristiani e i consacrati ci sia chi pensa sia meglio aggiungere anni alla vita che vita agli anni. Questo significa ritrovarsi a vivere di conseguenza e a sperimentare solo disillusione, stanchezza, inerzia… Da cui automaticamente scaturiscono i ben noti e tristi atteggiamenti di autocommiserazione insieme ai tentativi di giustificarsi – magari con inconsapevoli principi di ‘comodo’ – per commuovere gli altri. Il che certo non rende liberi. Schiacciati così dalle difficoltà che non si è stati in grado di superare, in breve si perde la capacità di essere segni profetici per il mondo intorno.

Ancora: sono tante le persone – soprattutto forse fra i consacrati – che curano con passione e competenza gli obiettivi del proprio lavoro e vi spendono senza riserve energie e tempo. Ma non riescono ad armonizzare il tutto con gli obiettivi e le necessità della ‘propria’ persona. E finiscono per sentirsi come inghiottite dall’ingranaggio di una macchina, da cui non sanno come uscire.
   Occhio ai rapporti umani! La sfida da realizzare – nella vita consacrata e nel mondo di oggi – è creare le condizioni perché ognuno, nel proprio passaggio fra un’età e l’altra della vita, che mai avviene in modo indolore, possa promuovere il cambiamento di se stesso e rinascere come creatura autentica. Ma è davvero possibile aiutarsi ad imparare lezioni dalla vita? È certo che le condizioni più sicure per un aiuto reciproco ed efficace girano intorno a due verbi: ascoltare e comprendere; fare insomma esperienza di relazioni fiduciose. E poi conservare quella fiducia che impedisce di giudicare e rende capaci invece di apprezzare ciò che di buono c’è dentro la vita degli altri.
       Purtroppo la comunicazione quotidiana anziché unire, molto spesso separa e costruisce steccati. L’esperienza racconta per esempio che insincerità e parodia dei sentimenti nel ‘comunicare’ scalzano i fondamenti della fiducia. Molto utile invece è disporsi a guardare gli altri con il massimo di simpatia sincera. “La vera bontà – afferma M. Blondel – specie a una certa età non è tanto essere buoni nei confronti degli altri quanto nel pensare che gli altri siano buoni con noi”. E ripartire ogni giorno da ciò che in sé è più vicino a Dio fino a quando la propria storia – non sempre gloriosa – diventa un frammento della storia della salvezza. In un mondo come il nostro, organizzato in funzione del successo e del denaro, non sarà questa l’autentica profezia?
Luciagnese Cedrone ismc

Alfabeto di ferite quotidiane

Vedeva bene Paolo VI, quando confidava: “Molti oggi parlano dei giovani; non molti, ci pare, parlano ai giovani. Forse non sanno, forse non si fidano…”. In realtà troppi ragazzi (e anche tanti giovani religiosi!) sono oggi con il cuore muto, costretti ad affrontare da soli il vuoto interiore. Conoscono buio, paure, smarrimento. Qualcuno cerca nella fuga l’uscita di sicurezza. A volte ricorrono all’indifferenza, allo stordimento, al bullismo… Indubbiamente sono alla ricerca sincera di autenticità, capaci di impegnarsi e pronti a lottare quando si tratta di qualcosa che vale. È facile però -e lo è per tutti!- giocare con l’amore e impigrire la propria coscienza. Certo è che “non si vive senza scegliere; e non si sceglie senza impegnarsi in qualche modo” (Mazzolari). Ma per riuscirvi ognuno ha bisogno di chi lo aiuti a ‘vedere’ ciò che egli è e ciò che è capace di fare. Le domande implicite che ci si porta nel cuore, infatti, sono tante; e grande è il bisogno che emergano dal profondo rivelando la parte più vera di sé. Per consolidare il cuore e la volontà, una sola sembra essere la via: riscoprire la verità -oggi decisamente in disuso fra gli adulti- di saper ascoltare gli altri. Anche la cosiddetta ‘età adulta’ è in evoluzione. È evidente a tutti che non si è adulti, ma lo si diventa.
“Chi sono io? Oggi sono uno, domani un altro. Sono tutt’e due insieme?”, rifletteva Bonhoeffer, che ha mostrato il suo essere adulto nell’amare gli altri con l’amore stesso di Dio fino al martirio, consumato fra l’altro nell’incomprensione della sua chiesa. Ma esserlo, per chi vive dentro il vortice di trasformazione accelerata dell’attuale cultura di transizione, è un compito decisamente difficile. Disorientamento e confusione crescono… E all’improvviso, ci si ritrova ‘vecchi’. Ma se fino a quando non si è vecchi si è giovani, allora chi oggi è adulto?
Nella società del mondo ricco, di padri ce ne sono sempre meno (pur avendone tutti un disperato bisogno!). E di madri apprensive, aggressive, competitive, sempre e solo in difesa e adorazione del figlio, specie se unico; di madri che non sanno per i loro piccoli a che ora ‘si va a letto’ e cosa non si mangia; quello che si guarda e non si guarda in tv… ce ne sono sempre di più. Il fatto è che il cuore detta i doveri, mentre l’intelligenza fornisce i pretesti per eluderli. Ma ognuno è qual è il suo cuore quotidianamente ferito.
Intanto i giovani si sentono più imitati e corteggiati che compresi e aiutati a crescere; più guardati con nostalgia che sospinti all’ingresso a pieno titolo nei compiti della vita adulta. Non resta allora che rassegnarsi al buio? Nel difficile equilibrio di un tempo di transizione epocale come il nostro, è grande il bisogno della forza esplosiva della speranza; come anche, in una rinnovata docilità allo Spirito farsi inventori di strade che portino gli uni verso gli altri e, insieme, verso Dio. La fuga drastica da egoismi di ogni genere, infatti, solleva dalla palude verso la piena maturità. E l’impegnarsi concretamente a costruire ambienti di vita in profonda sinergia dà vita ad un grande sogno ad occhi aperti: la sinergia di comunione è possibile! Seduti ai bordi della notte, per tutti brilleranno le stelle. E anche tu, vita consacrata, sulla via dello Spirito, non avere paura!
Luciagnese Cedrone ismc

Cuori pensanti nel pianto del mondo… … e un nuovo progetto di umanità!

“Mi angustiano le persone che non pensano, che sono in balia degli eventi…” confidava C. M. Martini, che nella sua vita certo non ebbe timore di percorrere le vie del dubbio, della ricerca e dell’inquietudine. Ne scoprì, anzi, la bellezza e, nel tempo, continua ad esserne testimone e profeta. Essere ‘cuore pensante’ come lo è stato lui è un dono non comune. Ma quando la violenza si rovescia nella storia come un fiume in piena, è decisamente di pochi anche solo rimanere ‘pensanti’. La paura in realtà ostacola il pensare e può persino impedire la ricerca di punti fermi che orientino il cammino umano nella storia. Di fatto: o si cambia o si muore. E l’unico rimedio, il solo discernimento nelle situazioni concrete è l’amore. Non altri.

Da tanti oggi -a proposito di musulmani, kamikaze, terroristi, migranti…- si sente ripetere: “Non sono dei nostri! Tornino a casa loro”. Ma gli uomini sono tutti dei nostri e noi siamo di tutti. Sulla linea del gesuita Martini, Papa Francesco opera una grande rottura rispetto alla cultura oggi dominante. Lo fa con un progetto le cui opzioni di base sono l’incontro personale con Cristo e con le persone. Chiama ognuno ad impegnarsi per un mondo fondato sulla possibilità di dialogo/incontro tra i popoli e la rinuncia all’uso della violenza come strumento per la risoluzione dei conflitti. Contemporaneamente opera per una Chiesa caratterizzata dalla rivoluzione della tenerezza, dalla misericordia e dalla vicinanza agli esseri umani. Non più una chiesa-fortezza quindi assediata da nemici contro i quali è necessario difendersi; ma una ‘casa aperta’, impegnata ad accogliere tutti con misericordia e amore incondizionato; e indipendentemente dalle connotazioni morali di ognuno. Si rivolge a quanti sentono il dolore e la paura sulla propria pelle e chiama seriamente tutti a ricordare chi siamo e in chi speriamo.

La necessaria lettura sapienziale della storia – soprattutto in un tempo drammatico come quello attuale- alla radice è un compito affidato all’uomo e alla sua responsabilità. L’essere umano non apprende niente dalla storia, ma impara tutto dalla sofferenza”: Hegel ne era convinto. Ma se la sofferenza offre severe lezioni, è solo l’amore che produce gioia e trasformazione. Il vero peccato in realtà è il non-amore: il suo vuoto amaro ferma la crescita e la maturazione dell’uomo. Il cuore può morire per assenza d’incontri. Ma l’uomo, fosse anche il più losco e duro di cuore, se qualcuno fosse capace di parlargli e di toccarlo, sarebbe buono. È il progetto di Gesù Cristo, l’uomo senza frontiere, che si riassume in una sola parola: comunione con tutto ciò che vive. Solo per le anime deboli la colpa è sempre tutta altrove.

Luciagnese Cedrone ismc

Cercatori di senso insieme a tutti…

È incredibile quanta parte della propria vita sia vissuta senza riflettere sul suo significato. Occupati sì in mille cose da fare e sempre di corsa per poterle fare; ma quasi rassegnati a ‘morire’ lentamente lamentandosi delle tante cose che non vanno!
Nel vissuto quotidiano di ognuno, oggi c’è davvero qualcosa di spezzato se la persona non sa più chi è. Ma si può pensare di dare una direzione alla propria vita, decidere come impiegarla, se non se ne coglie prima il senso profondo? In brevi attimi di lucidità ogni persona si trova a chiedersi se veramente vale la pena di vivere senza essersi trovati. Lei cerca il senso della vita – disse il cardinal Martini in un’intervista a Scalfari – Lo cerco anch’ io. La fede mi dà questo senso, ma non elimina il dubbio. Il dubbio tormenta spesso la mia fede. È un dono, la fede, ma è anche una conquista che si può perdere ogni giorno e ogni giorno si può riconquistare. E se tale era l’esperienza del cardinal Martini, quella di tutti i consacrati sarà oggi tanto diversa?
In un mondo in cui l’ansia del successo, il desiderio di accumulare e la ricerca di piaceri a buon mercato si sono travestiti da ‘senso della vita’, il compito vero dei consacrati forse è semplicemente fermarsi e misurarsi – e farlo di nuovo ogni giorno – con la faticosa e liberante passione del ‘costruirsi’ e ‘costruire’ per il Regno. Lasciare spazio a Dio nella propria vita permette di trovarne per tutti e per se stessi. Con la Sua forza in sé non si ha bisogno di altro. Ed è gioia vera.
… sentinelle di una nuova umanità
“L’uomo occidentale non accetta il dolore come parte di questa vita: per questo non riesce mai a cavarne fuori delle forze positive” (H. Hillesum)… In realtà solo l’accettazione del dolore in tutta la sua gamma, compreso quello di essere ciò che si è, apre alla luce del discernimento autentico, necessario per guarire e ritrovare in sé l’unità. E dà forza per incamminarsi decisamente lungo una via lastricata di benevolenza e fiducia, segni caratteristici di chi cerca la Verità senza mai identificarla con le proprie conquiste intellettuali e spirituali.
Coloro che si richiamano alla misteriosa bellezza del Volto che li ha attratti ad un cammino di sequela, scoprono facilmente che nel cuore di ogni ferita c’è la presenza di Dio. E la ferita di insoddisfazione, di sete e di lacrime diventa una straordinaria condizione umana e la sua straordinaria speranza. Alcuni passaggi critici della vita hanno così il potere di condurre verso mete nascoste alla propria piccola immaginazione, ma non alla sapienza di Dio che tutto riconduce sotto il suo progetto di amore. Rimane la domanda esistenziale: in quale misura nella ‘mia’ vita sono presenti fede, fiducia e benevolenza?
Luciagnese Cedrone, ismc