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Pillole di saggezza

Non i giusti…

nonigiusti“Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mt 9,13b). E’ l’indefinibile momento di una divino-umana affermazione che annuncia un capovolgimento della storia. Il Figlio di Dio – fattosi carne – ha assunto su di sé la fragilità umana; condivide la vita dei poveri dalla mangiatoia alla croce; conosce la fame, la sete, l’indigenza. Ma ha anche assunto soprattutto la peccaminosità di ogni uomo e di ogni donna. E’ la ammissione di una realtà triste, esiziale: l’uomo – tutto gli uomini e tutte le donne nati o che nasceranno – è esistenzialmente in posizione opposta a quella segnata in origine da Dio: creato a sua immagine e somiglianza doveva accostarsi all’albero della vita. Optò per la scelta inversa: la via della disobbedienza e fu cacciato dall’Eden – pur con una promessa di redenzione – perché peccatore. Ma Dio, in Gesù suo Figlio incarnato, è misericordia, è perdono, è redenzione, è salvezza. Con parole efficaci può perdonare l’adultera; con parole e gesti concomitanti può ridare la vista all’uomo cieco sin dalla nascita, anche perché in quella cecità nessuno, davvero nessuno, ne ha la responsabilità. In gesto simbolico può lavare i piedi ai discepoli, tra i quali il traditore. Appeso, in forza di una condanna ingiusta, a due legni a forma di croce può pregare: “Padre, perdona loro…”. Risorto, può porre la triplice domanda – come riparazione a una triplice sconfessione – a Pietro: “mi ami tu” e aggiungervi “più di costoro?”.

Secondo Papa Francesco il Giubileo è un anno santo “per sentire forte in noi la gioia di essere stati ritrovati da Gesù che, come buon Pastore, è venuto a cercarci perché ci eravamo smarriti… per essere trasformati dalla sua misericordia, per diventare noi pure testimoni di misericordia”. Di fatto “questo non è il tempo per la distrazione, ma al contrario per rimanere vigili e risvegliare in noi la capacità di guardare all’essenziale”: amare e servire il mondo senza essere del mondo; vivere incarnati nelle periferie per svolgervi un compito di rilancio verso più alte mete; essere persone capaci “di percepire domande a dare risposte a ogni compagno di cammino” (F. Scalia).

In sintesi – scrive ancora F. Scalia – “costruire un piccolo modello di Chiesa evangelica che renda evangelica tutta la Chiesa e, appunto, ‘segno e strumento di salvezza’, annunciatrice e costruttrice del Regno. Sovvertitrice quindi degli schemi di questo mondo, in vista di una società ‘altra’ dove la gioia del vivere sia canto per ogni uomo sulla terra”.

sr Biancarosa Magliano, fsp
biancarosam@tiscali.it

Esser grato non costa nulla ed è gradito a Dio come agli uomini

E‘ un distillato di sapienza estone. “Che cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto?” (1Cor 4,7b). Sono le incalzanti domande di Paolo. Domande motivate. La chiesa di Corinto in quel momento era divisa in fazioni e lacerata da gravi conflitti; una chiesa locale percorsa da forti divisioni interne, per cui erano possibili l’ansia per la propria promozione, l’arrivismo, la voglia di primato, l’esagerata esuberanza nella presentazione di sé. Paolo con sagacia porta ognuno a prendere coscienza della propria realtà, umana innanzitutto e poi, anche, quella battesimale e missionaria.
La vita naturale, semplicemente l’esistere, non è frutto di un impegno personale… la scienza acquisita, la salute riacquistata, le relazioni, le stesse amicizie, è tutto uno stupendo contorno di persone, di tempi, di metodi nei quali sono intervenuti altri. Innanzitutto un Totalmente Altro che ha alitato il suo soffio di vita sulla polvere del terreno (cfr. Gn 2,7). “Sono un miracolo di Dio” diceva il beato don Giacomo Alberione. “Senza di te, onnipotente, nulla: né azione, né intenzione, né pensiero, né respiro, nessuna di tutte le cose, conseguirà assolutamente il proprio fine” pregava san Massimo confessore.
La gratitudine è la capacità di essere e dimostrarsi veri, umili, semplici. E’ una elevata forma di pensiero sulla propria realtà e sulla realtà altrui. E’ la connotazione delle anime grandi. Ed è ammissione dei propri limiti. E’ segno di intelletto vivace che conosce e ammette i valori di altri, e quanto da loro si riceve; è non dare tutto per scontato, come dovuto. “La maggior parte degli esseri umani – scriveva Aldous Huxley – hanno una capacità quasi infinita di prendere le cose per scontate”, mentre Alice Walker ha lasciato scritto: “ ‘Grazie’ è la migliore preghiera che chiunque possa dire. Grazie esprime gratitudine estrema, umiltà, comprensione”. L’ingratitudine è segno di debolezza, di fragilità, di incapacità nel comprendere. E’ grettezza, ottusità mentale; è il rifiuto a ricambiare l’amore, il bene ricevuto.
Gesù stesso, secondo Luca, lamenta che, dei dieci lebbrosi guariti, uno solo si presenti a ringraziarlo. E, per farne notare la differenza, lo specifica nella sua identità: “straniero”.
Papa Francesco lamenta: “Impariamo a dire ‘Grazie’, a Dio, agli altri. Lo insegniamo ai bambini, ma poi lo dimentichiamo!”.
Se succede, è perché non ricordiamo che la gratitudine è amore. E che “per ogni ‘grazie’ non detto cade a terra un petalo di rosa” (Betti Genova).
sr Biancarosa Magliano, fsp
biancarosam@tiscali.it

Senza nome

senzaCon questo appellativo Phil Bosmans, sacerdote belga, autore di numerosi libri, tradotti in molte lingue, che vive e lavora in Francia, simpatizzante da sempre dei preti operai, ha voluto definire un ‘Movimento’ non confessionale da lui fondato. Concretamente una organizzazione non profit. Nel presentarla ha inteso dare risalto alla parola ‘senza’; un semplice avverbio, parola non elitaria, inventata non da accademici eruditi, ma valorizzata nel linguaggio semplice, quotidiano, di tutti… Un modo insolito di definire un ‘Movimento’ e con un obiettivo non facilmente riscontrabile in altre Associazioni: “aiutare le persone disperate”.

Persone senza appoggio; senza protezioni, senza sicurezze, senza amicizie, che vivono sul limitare dell’esistenza. Probabilmente le persone cui è più difficile offrire aiuto e ‘protezione’, soprattutto consolazione. Atrofizzate o frustrate da delusioni, forse da fallimenti, da sconfitte, saranno le persone cui pensare con particolare attenzione in questo appressarsi del Giubileo straordinario della Misericordia, definita da papa Francesco ‘rugiada del mattino’. “Misericordia è la via che unisce Dio e l’uomo perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato” (MV 2).
Un movimento, quindi, che non punta a ideali altisonanti, ma propone con altre formule quanto ancora papa Francesco scrive al n. 16 della Bolla MV: “portare una parola o un gesto di consolazione ai poveri, annunciare la liberazione a quanti son prigionieri delle nuove schiavitù…, restituire la vista a chi non riesce più a vedere perché curvo su se stesso, restituire dignità a quanti ne sono stati privati…”. In sintesi sostenersi mutuamente con forza, coraggio, accortezza all’interno della fatica, della lotta quotidiana. E’ un “farsi carico” che diventa perdono, vicinanza, presenza, compagnia, fiducia nell’altro per quanto diverso, – anche confronto, ma vero – se necessario. La presunzione di infallibilità diventerebbe l’apertura di una strada verso il fallimento, perché voler bene davvero, con totale disinteresse e distacco, fa incrociare l’amore dell’uomo con l’amore di Dio, l’amore all’uomo con l’amore a Dio. E’ vivere con semplicità e giustificata solidarietà verso tutti, senza esclusioni o anomale differenziazioni, senza emarginazioni, decisamente liberi dalla ‘cultura dello scarto’. E’ volere che gli altri siano quello che sono chiamati ad essere. L’amore per il prossimo – ha scritto Benedetto XVI – è “una strada per incontrare anche Dio e il chiudere gli occhi di fronte al prossimo rende ciechi anche davanti a Dio” (DCE 16).

Dio si stanca dei grandi regni, mai dei piccoli fiori

“Dio si stanca dei grandi regni, mai dei piccoli fiori” (Tagore).

Sarà una affermazione inaccettabile, o stoica? Al poeta – un poeta sagace come Rabindranath Tagore al quale è giusto anche attribuire il merito e la gloria di essere drammaturgo, scrittore e filosofo – possiamo permetterlo…
La storia è testimone dei molti grandiosi eventi di ‘grandi’ popoli a tutte le latitudini e in tutto lo scorrere dei secoli e dei millenni. E’ testimone anche dei piccolissimi singoli eventi di ogni persona, di quel ‘piccolo fiore’ che è ognuno degli esseri viventi di natura razionale…
Le motivazioni dei saliscendi dei diversi ‘grandi regni’, dai Faraoni in terra d’Egitto, agli Inca, artefici di una delle maggiori civiltà precolombiane, alle attuali ‘potenze’ del Nord e del Sud del mondo, all’Est e all’Ovest, il loro formarsi, il loro ingigantirsi, il lento scomparire di alcune, debbono essere motivo e oggetto di anni di proficuo studio sull’evolvere umano-sociale…
“La storia è vera testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di vita, messaggera dell’antichità”. Lo ha lasciato scritto Marco Tullio Cicerone. Diventerebbe un prendere visione del passato e del presente, e avvertimento per il futuro. “Il passato ha sufficiente luce per il presente” (F. Scalia).
Ogni ‘creatura umana’, appartenente a grandi o piccoli Paesi, a grandi o piccole comunità – anziana o vibrante giovinezza, affaticata o vigorosa, delusa o appagata – è un ‘piccolo fiore’ nelle mani di un Giardiniere attento, che sa come e quando innaffiare, come e quando ripulirlo dalle foglie rinsecchite. Sa proteggerlo dalle gelate invernali, coprirlo con la sua ombra nelle torride giornate estive. Sa quando e come potarlo, perché possa ri-fiorire più vivo e più bello.
Ogni ‘fiore’ ha la sua propria ben definita storia e, volente o nolente, vi ritorna. Sa in quale momento e in quale modo, ora proteggendo ora potando, con quale gesto adeguato il ‘famoso’ Giardiniere è intervenuto nella propria vita perché si potesse continuare o ri-tornare ad essere il fiore cresciuto – sì – nella fragilità di un ‘vaso di creta’ (cfr 2Cor 4,7), ma pur sempre da Lui amato. E allora pochi o molti – nelle singole tonalità di colori e di forme – i ‘piccoli fiori’ potranno formare quel ‘paesaggio di pura bellezza’ che potrebbe essere ogni comunità, ogni famiglia, ogni gruppo di lavoro. Non è necessario essere alla ribalta, in primo piano, ai primi posti… “Il fiore si nasconde nell’erba, ma il vento ne disperde il profumo”. Lo afferma ancora il grande poeta Tagore.
Biancarosa Magliano, fsp

I regali ci piacciono

regali1“Si posseggono solo i regali, non le prede”. Lo ha scritto Jean Bastaire nel suo libro Eros redento. Chi non ha mai provato quel dolce turbamento che assale quando sul tavolo, sul comodino, forse sul cuscino, o ‘nascosto’ in un cassetto trova, inatteso, un piccolo pacco dall’aspetto delizioso e con il proprio nome? Un pacchetto deposto lì da una mano amica, un cuore gentile.
Ognuno riceve e gradisce, si emoziona, solo per quei regali di cui ha una certa consapevolezza di esserseli meritati e guadagnati con la propria generosità, il proprio impegno, la propria vicinanza, pur, a volte, in una certa fluidità dei servizi offerti.
I regali hanno dimensioni e valori diversi, anche economicamente. Non perché piccoli, o insignificanti,  hanno minor pregio. Includono, o meglio, sono essi stessi un messaggio: dicono al ricevente che il donatore ha saputo, ha capito, ha sperimentato chi sei tu; e non importa con quale tipo di carta lo si avvolga; lo avvolge la luce calda e benefica di un cuore riconoscente.
La vita, con le sue gioie e le sue angosce, le sconfitte e le vittorie, è essa stessa tutta un regalo. Faticosa, deludente a volte, ma, vista nella luce di Dio, di solo Dio, è sempre degna di essere accolta, ‘posseduta’ e donata, ‘sprecata’ – direbbe sr Viviana Ballarin op – in quel servizio al prossimo che la rende più preziosa ancora.
Il regalo richiede, inoltre, uno stile, anche nel riceverlo. James Henry Leigh Hunt ha lasciato scritto: “Ricevere un regalo simpaticamente e nello spirito giusto, anche quando non hai nulla da dare in cambio, significa darne uno in cambio”.
La ‘preda’, anche se raggiunta, non ha senso. I ‘regali’ ci piacciono e li teniamo.
Biancarosa Magliano, fsp