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Pillole di saggezza

Le periferie in cui ribollono le tensioni emergono energie per il servizio della Chiesa universale (P. Arturo Sosa, sj)

periferie1“E’ buono uscire da se stessi, alle periferie del mondo e dell’esistenza per portare Gesù!”. E’ il messaggio lanciato da papa Francesco ai giovani la domenica delle palme del 2013.

Le periferie sono luoghi di particolare povertà, di significative indigenze, di sintomatiche insicurezze. E spesso sono fucina di tensioni per la disuguaglianza che si percepisce come ingiustizia; per sogni non realizzati perché la vita può aver portato su strade non ambite; tensioni per delusioni subite; per situazioni di povertà e di limiti non sopportabili.

Né è necessario che siano tensioni multiple, di un gruppo. Esistono tensioni singole in quanto sono proprie di una persona sola. Le cause sono tante e varie: delusioni, soprusi, sfruttamento; chi si sente usato percepisce di non essere considerato nella sua propria identità di persona; chi si vede posto in seconda linea può diventare schiavo di gelosie anche comprensibili pur non approvabili.

Paolo Mantegazza ha scritto che “la tensione della forza senza il suo esercizio logora gli organi, disperde gran quantità di lavoro utile, abitua all’inerzia”. Effettivamente, delle tensioni che farne? Le tensioni ‘evangelizzate’ possono trasformarsi in felici opportunità, o – come ha scritto il superiore generale della Compagnia di Gesù esperto in periferie e in tensioni: “energie per un rilancio della fede nella Chiesa universale”.

“La fede – ha scritto papa Francesco nel suo messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale 2016 – è dono di Dio e non frutto di proselitismo; cresce però grazie alla fede e alla carità degli evangelizzatori che sono testimoni di Cristo. Nell’andare per le vie del mondo è richiesto ai discepoli di Gesù quell’amore che non misura, ma che piuttosto tende ad avere verso tutti la stessa misura del Signore; annunciamo il dono più bello e più grande che Lui ci ha fatto: la sua vita e il suo amore”.

La tensione cambiata in servizio, servizio della Parola. Le periferie sono estese nell’universo mondo ai vari livelli: familiare, sociale, lavorativo, politico, educativo. Così le tensioni. E allora se ogni tensione – o capacità reattiva – può essere motivo di novità positive, da tutte le periferie del mondo sorgano nuovi apostoli capaci di inserire nella Chiesa universale una nuova esperita capacità di annuncio della bella notizia: il Vangelo di Gesù. E che sorga un mondo nuovo, libero da tensioni, dove esista quella pace che prefigura la pace eterna.

Biancarosa Magliano, fsp

biancarosam@tiscali.it

 

Apprezzo che voi, bravi e intuitivi, vi buttiate in politica per cambiare la storia. Io ho un solo eventuale talento: so appena chinarmi su quello che conosco come mio fratello. Marcello Candia

candiaE di fratelli ne ebbe tanti. Soprattutto dopo che fece irruzione nella sua vita “una chiamata verso il dolore” Esordiente prima, diventa abilissimo e molto stimato imprenditore nella terra che gli ha dato i natali. Cinquantenne, viene a conoscenza di una realtà che lo strappa dai suoi possibili sogni di grandezza solo tecnica. Laggiù, nel sud del Brasile, in una cittadina situata nella regione della foce del Rio delle Amazzoni, esiste un lebbrosario. Marcello lascia tutto e va dove nessuno andava. Spinto da un amore addolorato, provocato dalla sofferenza più innocente e più immotivata, impone a se stesso un servizio disinteressato che porterà avanti con decenni di promozione umano sociale-spirituale con iniziative appropriate sino alla morte avvenuta bel 1983. Mentre è in corso il processo per la sua causa di canonizzazione, cogliamo alcuni suoi messaggi carichi di saggezza inequivocabile:

  • Il mio ‘segreto’ è alla portata di tutti e poi non è neanche un segreto… l’unica cosa che conta. Prima la preghiera; poi qualsiasi attività apostolica. Questa è la forza fondamentale per l’annunzio della verità e la testimonianza dell’amore.
  • Sarebbe disperante se non avessimo la fede. Tutti, io stesso, abbiamo delle crisi. Le difficoltà vengono superate solamente con l’idea che una vita così ha il suo valore perché il Signore ci ha detto di fare questo e perché lui lo ha fatto.
  • Ho deciso di fare la mia corsa sino alla fine, al servizio di tutti i miei fratelli malati e bisognosi.
  • Più avanzo negli anni e più mi rendo conto che quello che conta non è tanto la riuscita di quello che stiamo facendo, ma la maniera e l’impegno che mettiamo nell’attuarlo.
  • Sono diventato un mendicante per amore… Marcello Candia è un modesto strumento che la Provvidenza ha suscitato per venire incontro a una minima parte delle immense necessità di una popolazione.
  • Ogni singolo ha una responsabilità sociale collettiva, però anche questo non sposta di molto la questione, perché non solleva da quella che è la reale e unica e vera responsabilità, che è individuale.
  • La Chiesa non può risolvere i problemi della promozione umana, dello sviluppo economico e tecnico: non ne ha i mezzi, non ne ha la competenza, non è il suo impegno- Ma la Chiesa dà una testimonianza di carità, di fede, di speranza, di amicizia, di attenzione all’uomo: insomma, illumina lo sviluppo, lo dirige in senso veramente umano.
  • Avevo lavorato in senso organizzativo, avevo pregato e, perché si pregasse di più, ho anche costruito il Carmelo a Macapà, ma adesso il Signore mi ha dato la cosa più alta, mi ha dato la sofferenza.
  • E’ meraviglioso che i più grandi e competenti studiosi di lebbra siano giunti, solo da pochi anni, a quello che il Vangelo ha detto e Gesù ha fatto duemila anni fa. Cioè che il lebbroso è un malato come gli altri e va trattato come qualsiasi altro malato.
  • Soltanto il Vangelo può dare una risposta completa per i mali dell’anima e del corpo, portando a una accettazione della sofferenza e a una partecipazione del mistero del dolore del Cristo.

Ecco l’imprenditore ammirato, il missionario che sente in sé la sofferenza di una intera categoria di ammalati. Ecco l’uomo di Dio a servizio dell’umanità davvero più bisognosa dell’umana ininterrotta comprensione,

Biancarosa Magliano, fsp

fioreLa gratitudine è la forma più bella di felicità. Walter Dirks

Tutti gli incipit delle Lettere che il grande apostolo Paolo inviava sia a un singolo personaggio – Tito, Timoteo – come a un popolo – Efesini, Galati, Tessalonicesi – erano un tripudio di gioia, una esplosione di gratitudine.

Dopo il normale saluto introduttivo, nella Lettera ai Tessalonicesi scrive: “Rendo grazie al mio Dio ogni volta che mi ricordo di voi” e ne definisce i motivi: “Sempre, quando prego per tutti voi, lo faccio con gioia a motivo della vostra cooperazione per il Vangelo, dal primo giorno sino al presente”. Gratitudine e gioia; gratitudine e felicità sono inseparabili. Papa Francesco ricordando un suo professore, per il quale sentiva profonda riconoscenza diceva: “la gratitudine che provavo e che non avrei mai smesso di provare nei suoi confronti per avermi aperto il mondo delle culture tradizionali, della loro musicalità, per avermene rivelato i significati e i valori profondi, era un’attitudine che onorava me più che lui; lo pensavo allora e lo penso ancora oggi senza nulla volere togliere al mio Maestro. Si, mi sento di sostenerlo con chiarezza: la gratitudine onora e giova a chi la prova, molto più che a chi la riceve”.

Chi si sente in debito verso l’altro per quanto ha ricevuto può vivere un sentimento dalla difficile gestione. Sapersi in debito può provocare anche sentimenti di disagio, forse di irrequietezza. Ci si può sentire in difficoltà quasi sotto la pressione di un ricatto fintanto che non si è compiuto quello che si crede essere un obbligo: il rendimento di grazie.

Gratitudine è esattamente espressione di ricchezza e di bellezza d’animo, di tenerezza; di consapevolezza di sé che riceve un beneficio e del prossimo che lo elargisce; anzi, è espressione di un forte senso della giustizia. San Paolo ai Corinzi scriveva: “Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto e se l’hai ricevuto perché ti glori come se non l’avessi ricevuto?” (cfr. 1Cor 4,1-6).

E’ giusto e doveroso guardare con empatia chiunque ha sparso sui sentieri della nostra vita pietruzze od opere d’arte, fiori o spine. Tutto è dono…

San Paolo in una esplosione di gaudio scriveva agli abitanti di Colossi: “Ringraziamo con gioia Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo” e lo motivava: “perché ci ha messo in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce…”.

sr Biancarosa Magliano, fsp

Prendi e leggi, prendi e leggi…

LEGGI1E’ l’ordine che il grande sant’Agostino ascoltò un certo giorno della sua vita ormai adulta. Racconta: “Dalla casa vicina mi giunge una voce, come di fanciullo o fanciulla, non so, che diceva cantando e ripetendo più volte: Prendi e leggi, prendi e leggi”. Non sapendo egli dare a questa voce altra interpretazione se non che si trattasse di un comando divino, tornò sui suoi pasi e riprese in mano il libro che aveva lasciato presso il suo amico Alipio. Scrive ancora lui: “Lo afferrai, lo aprii e lessi tacito il primo versetto su cui mi caddero gli occhi. Diceva: ‘Non nelle crapule e nelle ebbrezze, non negli amplessi e nelle impudicizie, non nelle contese e nelle invidie, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo’. Non volli leggere oltre, né mi occorreva”.

Un versetto biblico, tratto dalla Lettera di Paolo ai Romani, interrompe l’itinerario di una persona che figurerà nell’elenco dei più rinomati scrittori di ogni letteratura. Gli impone un totale cambio di rotta. E’ il momento della svolta esistenziale prodotto da un versetto biblico. D’ora in poi la sua vita dovrà essere reimpostata. Non più futilità, non più soltanto piaceri, ma ricerca piena, impegno serio e totale, continuo, imperituro nella conformazione a Cristo Maestro e Signore. Doveva rivestirsi del Signore Gesù, acquisire la sua mentalità, adeguarvi le decisioni, sublimarle in una donazione senza riserve.

Così è costellata la storia cristiana, la storia di coloro che seppero trarre dalla Parola di Dio, scritta sotto l’assistenza dello Spirito Santo, incentivi per una diversa impostazione del proprio progetto vitale. Agostino doveva abbandonare le frivolezze della vita e concentrarsi unicamente nella ricerca dell’amore di Dio. Prima di lui, Antonio aveva ascoltato: “Va’, vendi tutte le cose che hai, dàlle ai poveri e avrai un tesoro nei cieli, e vieni, seguimi”. Vendette, diede ai poveri, si ritirò nel deserto e ora è conosciuto come l’ideatore e l’iniziatore di una vita tutta donata a Dio, come è la vita consacrata ed è venerato come il grande sant’Antonio abate.

In tempi più recenti il beato Giacomo Alberione impostò la propria vita e il proprio intenso, eroico, geniale impegno apostolico sul messaggio che gli Angeli a Betlemme, or sono 2000, annunciarono ai pastori tutti intenti nella custodia del loro gregge: “Gloria a Dio e pace agli uomini che egli ama”.

Papa Francesco nel suo messaggio per questa Quaresima scriveva: “La Parola di Dio è una forza viva, capace di suscitare la conversione nel cuore degli uomini e di orientare nuovamente la persona a Dio. Chiudere il cuore al dono di Dio che parla ha come conseguenza chiudere il cuore al dono dei fratelli”.

                                                                 sr Biancarosa Magliano, fsp

 biancarosam@tiscali.it

“Sprecavo nelle preoccupazioni un prezioso secondo di quella gioia distillata”.

(Richard Bach)

attimoE’ una osservazione sagace che l’autore fa su di sé in un momento di particolare intensità in un suo viaggio in aereo quando stava per planare. S’accorge di aver allontanato lo sguardo dall’essenziale di quel momento: godersi l’ebbrezza di una discesa dall’atmosfera alla terra, dal volo al posare i piedi su terra ferma. Lo sguardo sull’essenziale si era dileguato in preoccupazioni inutili, evasive. Era passato alle accidentalità del momento.

Forse non aveva ancora capito che le stesse preoccupazioni diventano piccole quando si è stati capaci di voltare lo sguardo dall’altra parte. Prenderne le distanze… Quando si è assunta razionalmente la capacità di dare alle persone, agli accadimenti della vita, presente e passata, le giuste proporzioni… quando ci si lascia raggiungere dal proprio io più vero, allora esiste la possibilità di degustare i vari distillati di ogni giornata. Già perché anche il passato può intorpidire i pensieri.

“Se accogliamo pensieri degradati questi ci fanno come loro; se accogliamo pensieri di Vangelo, di bontà, di bellezza questi ci faranno uomini e donne della bellezza”. Scriveva un autore. Anziché lasciarsi risucchiare dalle preoccupazioni, allora, urge guardarle con distacco, dall’alto di Dio, dall’alto e nella luce concreta della verità di ogni evenienza, lieta o tormentata, come quel pilota che doveva o poteva gustarsi la bellezza di un atterraggio, a dir poco, poetico.

La società, oggi, le stesse convulse tragiche vicende che di ora in ora le diverse vie di comunicazione offrono; il desiderio o la passione per le opere apostoliche, le tensioni all’interno delle comunità, chiedono non un coinvolgimento che succhia e consuma, seduce e ipnotizza. Dio non succhia né consuma. Egli è quel dolce, acuto, infinito distillato che ci deve assorbire. Anche nei momenti in cui si è tentati di fuggire. “Ringrazia la fonte quando bevi“ recita un proverbio cinese. Ogni essere umano necessita gesti semplici, anche per volare in alto, che rivelino però le bellezze sparse nel mondo, in te, in ogni sorella, in ogni cosa, in ogni evenienza, in ogni goccia di rugiada… Dio è la spinta ascensionale verso una più luminosa vita. E’ la fonte che ristora. Dona pace; depone la pace in cuore. Sempre. Se si è allenati ad accoglierlo. E’ questione di discernimento, di stile, di visione della vita.

 

Biancarosa Magliano, fsp

                                                                                     biancarosam@tiscali.it

PACE1Dall’albero del silenzio pende il suo frutto: la pace. Arthur Schopenauer

“Uomo che ami parlare molto, ascolta e diventerai simile al saggio. L’inizio della saggezza è il silenzio”. Lo ha lasciato scritto Pitagora, circa 2500 anni or sono. In questa sentenza il famoso matematico, taumaturgo, astronomo, scienziato, politico e fondatore a Crotone di una delle più importanti scuole di pensiero dell’umanità, fa la sintesi del suo ‘pensiero’, della sua fede. Di quello in cui crede e che – da buon maestro qual era – intende trasmettere ad altri.

Parola, silenzio, ascolto, saggezza: quattro parole intersecanti, l’una soggetta all’altra. La parola – che è anello di congiunzione tra persona e persona, causa e fonte della relazionalità, senza un uditore, non serve; sfuma nel vento; se non è accompagnata dall’ascolto, evapora. Ma l’ascolto, perché sia possibile e diventi vero, autentico, profondo, ha una sua simpatica specifica esigenza: necessita il silenzio. Il rumore, il chiasso esterni non permettono alla parola di raggiungere il primo obiettivo per cui è stata pronunziata; non giunge a destinazione. Non viene accolta. Quindi non può produrre quella reazione positiva o negativa per cui è stata pronunciata; le è impedita la risposta adeguata.

Ma vi è un altro rumore più acuto, un altro chiasso più assordante ed è il tumulto interiore, l’angoscia, l’irrequietezza dell’anima, la tensione dello spirito, la preoccupazione inutile, forse malsana. Quella ‘non pace’, quel ‘non silenzio’, che tormenta e assilla gli inquieti, gli insoddisfatti, i distratti, gli assillati da mille inutili preoccupazioni, i cercatori del nulla.

Quel simpatico e inimitabile attore che fu Charlie Chaplin diceva: “Il silenzio è un dono universale che pochi sanno apprezzare. Forse perché non può essere comprato. I ricchi comprano rumore. L’animo umano si diletta nel silenzio della natura, che si rivela solo a chi lo cerca”. A Chaplin risponde con altrettanta saggezza il compositore, pianista, organista, violinista W. A. Mozart: “Parlare bene ed eloquentemente è una gran bella arte, ma è parimenti grande quella di conoscere il momento giusto in cui smettere”

“Dio è amico del silenzio – ha scritto santa M. Teresa di Calcutta. – Guarda come la natura – gli alberi, i fiori, l’erba – crescono in silenzio; guarda le stelle, la luna e il sole, come si muovono in silenzio. …. Abbiamo bisogno di silenzio per essere in grado di toccare le anime”. Abbiamo bisogno di silenzio maturo, frutto di meditazione, di un certo, sapiente, cercato e voluto rinnegamento di sé, per acquisire e possedere quella pace e saggezza umana che rendono fecondi di luce, di grazia ogni nostra parola e ogni nostro gesto verso chiunque fa capolino o si appoggia sulla nostra strada. Saranno parole e gesti profumati di gentilezza, forse di saporosa femminilità per chi è donna, sempre carichi di giusta ed efficace simpatia…

                                                                                                                                                                                                                           sr Biancarosa Magliano, fsp                                                                                                                                                                                                                                       biancarosam@tiscali.it

La vita ci chiede sempre di ‘passare all’altra riva’, di continuare il viaggio, di continuare a rischiare.

Gaetano Piccolo

ALTRA RIVA1Lo aveva ordinato Gesù ai suoi apostoli, là nelle acque del mare di Galilea, dopo aver congedato la folla: “Passiamo all’altra riva”. Era sopraggiunta la sera e il mare si trovava in una situazione certamente non simpatica. L’evangelista Matteo racconta che c’era “tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca tanto che ormai era piena” (cfr Mt 4, 35-41).

La vita, la nostra vita, il nostro esistere, effettivamente, a volte ci trova stanchi, affaticati, rabbuiati, se non sgomenti. “Venuta la sera – precisa l’evangelista – in tempesta di vento…”. Improvvise, o attese, subodorate, ma non volute, alcune situazioni ci pongono interrogativi forti, esistenziali. A volte può anche sembrarci di non farcela più. Vorremmo altro, fuori dai soliti schemi, dai normali progetti. Dalle ripetute e non sempre felici esperienze. E sorgono alcuni interrogativi non fluidi, non liquidi, non superficiali: ne vale la pena? a che serve? E vorremmo davvero altro…. Abbandonare la barca…. Cercare evasioni, od opzioni diverse. Gesù no, uomo tra uomini, oppresso dalla comune debilità umana – la stanchezza – si addormenta.

Poi, per gli apostoli è una nuova opportunità: con Gesù continueranno un apprendistato che servirà per il loro futuro.

Ammettere i propri limiti, le proprie stanchezze. Vedere, esaminare, confrontare il tutto alla luce della propria realtà, degli avvenimenti in corso e di principi sani e poi scegliere: passare all’altra riva: quella delle chiarezze, della verità, perché il “viaggio” deve continuare, anche sulla stessa barca. Gesù, passato con gli apostoli all’altra riva, continua la sua missione: ascolta il capo della sinagoga che invoca la guarigione per la figlia, guarisce la donna affetta da perdita di sangue… Le difficoltà non possono e non debbono inceppare la vita… Il rischio può trasformarsi in una gioiosa nuova missione umana e cristiana.

Maria Curie, chimica e fisica polacca, scriveva: “La vita non è facile per nessuno di noi. E allora? Noi dobbiamo perseverare e soprattutto avere confidenza in noi stessi. Dobbiamo credere che siamo dotati per qualcosa e che questa cosa deve essere raggiunta”.

                                               sr Biancarosa Magliano, fsp

                                               biancarosam@tiscali.it

Il mondo è nelle mani di coloro che hanno il coraggio di sognare

e di correre il rischio di vivere i propri sogni. Paulo Coelho

SOGNO1Se vivere è bello, altrettanto affascinante è sognare. Dare spazio alla fantasia che può puntare lontano, o in alto. Per essa non vi sono limiti né di spazio né di tempo.

Tutti i ‘grandi’ hanno sognato. I grandi in politica, i grandi nelle scienze varie: fisica, astrologia, matematica, architettura… Sognano quelli che ‘mettono su casa’. I nostri genitori hanno sognato una famiglia di un certo tipo secondo la mentalità del tempo, le loro possibilità e hanno corso la loro avventura in modo concreto, e saggio. Poi forse le cose son andate un po’ diversamente; comunque hanno sognato. Tutti coloro che intraprendono un determinato corso di studi o di apprendistato sognano. Scriveva Ayrton Senna: “Se una persona non ha più sogni, non ha più alcuna ragione di vivere. Sognare è necessario, anche se nel sogno va intravista la realtà. Per me è uno dei principi della vita”.

Sappiamo quanta importanza abbia avuto il sogno in grandi Paesi dell’Oriente, in Cina, in India, nella civiltà babilonese. Nella Bibbia si narra che Dio parlava in sogno a Giacobbe; sono particolarmente ricordati i sogni di Giuseppe avveratisi nel tempo, e che lo hanno guidato nel prendere in mano la propria avventurosa storia, guidata dalla mano sapiente e lungimirante del Padre celeste.

Negli ultimi decenni autori moderni a vario raggio si muovono nell’ambito dei sogni anche come studiosi dediti alla psicoanalisi. I fondatori delle nostre istituzioni – ben immessi e conoscitori esperti del loro tempo e con un certo intuito per l’avvenire – hanno guardato lontano, hanno saputo impostare una vita e le opere nei giusti limiti dell’intreccio tra sogno e possibilità, tra idealità e necessità storiche e sociali. Angelo Casati, parroco, ha scritto:”Gesù ha seminato nel mio cuore un sogno. Così sogno. Non di essere il prete dei documenti o degli infiniti programmi e proclami ecclesiastici, ma il prete delle piccole storie. Storie sacre. Dal giorno in cui, lui, il Signore le ha conosciute sacre”.

Anche Gesù ha avuto i suoi sogni e li ha espressi: “Siate perfetti come il Padre”. Secondo Anselm Grun Gesù è salito sul monte delle beatitudini “per renderci liberi”. Ha sognato la nostra libertà…

Ma il sogno non è sufficiente. Il sogno non è l’assoluto. Potrebbe tramutarsi in cocente delusione, in amarezza o scoramento. Il sogno ha senso se il detentore del sogno sa vivere con la sapienza e la prudenza che devono accompagnare ogni buon sognatore. Pertanto sogna, se vuoi, ma metticela tutta in quel che dipende da te perché quel sogno diventi realtà. E non si trasformi in illusione.

sr Biancarosa Magliano, fsp

biancarosam@tiscali.it

 

L’ateo deve essere tale nella verità e dunque cercare ancora,

il credente deve esserlo in profondità e dunque aprirsi ancora. Fabrice Hadladj

ateo1Le due affermazioni del nostro autore, scrittore cattolico, filosofo ‘capace di far discutere’, sono intriganti e vere ad un tempo. “L’ateismo e il secolarismo disumano sono le piaghe del nostro secolo” lo ha affermato Papa Benedetto XVI, già ‘prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, l’organo della Santa Sede che si occupa di vigilare sulla correttezza della dottrina cattolica’. L’ateo, il vero ateo, non è mai sicuro di sé, non può esserlo, perché la mente umana è in posizione di continua ricerca, di ricerca della verità sull’identità di tutto l’esistente, le sue prerogative, le sue possibilità; le origini, l’evoluzione, il termine ultimo… Le domande sono molteplici e a vario titolo… Esigono risposte precise, limpide, possibilmente esaurienti. L’ipotesi include in se stessa il dubbio. Le possibili e variegate ipotesi non permettono una vita ‘in pace’.

Diversa è la situazione del credente. Egli è in possesso di una fede che si appoggia su verità ineludibili, forse non sempre evidenti nella loro integralità, ma sulle quali si può – o si deve? – ragionare, dibattere, scendere “in profondità”. A nessuno è permesso vivere in superficie, vagabondando tra una teoria e l’altra; tra una supposizione e l’altra, tra una ipotesi e l’altra. La nostra capacità intellettiva esige chiarezze. I mezzi per tale viaggio nella esplorazione sono molteplici e a portata di mano: letture, studi, meditazioni, confronti, analisi, indagini. Ed esige tanta costanza; nessun cedimento di fronte alla fatica. La strada sicura per giungere alla ‘verità tutta intera’ è senz’altro Gesù, il Maestro che ha “parole di vita eterna”. Una antica preghiera slava dice così: “Signore mio, che sei la strada sicura della verità e della vita: guida il tuo servo, cammina insieme a me… Concedimi la pace e la forza e il senso della giustizia per praticare la tua parola. Fa’ che un giorno ritorni carico della tua bontà”. E della tua verità, di te che ti sei definito Via, Verità e Vita. (B.M)

camminare_insieme1“Chi cammina solo può partire oggi, ma chi viaggia in compagnia deve attendere finché l’altro non è pronto”. David Henry Thoreau

Parola di un filosofo, scrittore, poeta statunitense del XIX secolo. Ma è innanzitutto la grande legge biblica, l’ineliminabile norma evangelica. E, per questo, prima di tutto una perfetta e insopprimibile legge umana. Una norma che non permette forzature. Che non può essere snobbata.

Non siamo stati creati per vivere in ‘pura’, assoluta solitudine. Gli anacoreti – che hanno fatto questa scelta in piena libertà decisionale – vivono in comunione con l’umanità, con le sue sofferenze e le sue gioie, le sue passioni e i suoi tormenti e di essa si sentono rappresentanti davanti al Dio di tutti.

Creati tutti per vivere ‘in compagnia’, la vita nella sua globalità ha precise esigenze. Innanzitutto ammettere l’esistenza dell’altro, che è diverso certamente, e proprio per questa diversità deve essere rispettato, apprezzato; di più, se possibile o necessario, deve essere stimato e valorizzato nelle sue specifiche qualità vitali, caratteriali, intellettuali; in sintesi: ne deve essere valorizzata la professionalità. Banalizzare o ironizzare le capacità altrui sarebbe imperdonabile.

Gesù non ha mai umiliato nessuno; è stato comprensivo e amabile con l’adultera presa nello stesso momento in cui gli apostoli gliela presentano come inadempiente. Non ha umiliato l’altro inadempiente, Zaccheo. Egli, piccolo di statura, si era arrampicato su un albero per vederlo bene dall’alto. E Gesù con previa attenzione, quasi con devoto rispetto lo invita: “scendi; devo pranzare a casa tua…”. Altrimenti detto: parte del mio cammino nella vita lo devo percorrere con te.

Gesù manderà gli apostoli ad annunciare la salvezza soltanto ‘dopo’ che lo hanno seguito, ascoltato; dopo aver ricevuto la luce e la forza dello Spirito, atteso in preghiera nel cenacolo.

Gesù non improvvisa mai. E non idealizza né mette fuori corso nessuno. Attende. Ogni buon maestro attende che l’alunno abbia imparato; sia cresciuto. Soltanto dopo gli affiderà il compito specifico. Così chi deve mettersi in viaggio con altri deve attendere che questi altri siano pronti.

sr Biancarosa Magliano, fsp

biancarosam@tiscali.it