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Pillole di saggezza

Vivere umanamente è andare crescendo. Maria Zambrano (1904-1991)

fiore4Eravamo un germoglio di vita in un grembo di donna sufficientemente giovane, speranzosa certo, a momenti anche ansiosa… Ora ci troviamo adulti, o anziani con una storia personale, della quale noi – io, tu – siamo davvero gli unici testimoni.

Maria Zambrano, filosofa e saggista spagnola, spinge la nostra riflessione oltre l’età, oltre la crescita fisiologica. La sola riflessione e la sola sollecitudine per la realtà fisiologica, pur necessarie e dovute, non darebbero senso alla nostra vita, alla nostra identità, al nostro ‘destino’ in parte temporaneo e poi eterno.

Siamo una meravigliosa orditura tra anima e corpo, tra spirito e materia, che poi si realizza in capacità intellettiva, potenza volitiva, spinta affettiva. Per questo mentre poniamo tutta la nostra attenzione perché quel grumo cresciuto sia sano, si conservi sano e mantenga tutte le funzioni in stato possibilmente perfetto, così la nostra premura – o meglio – il nostro diletto deve essere quello di andare crescendo anche in quelle potenzialità non visibili e non tangibili che sono la mente, la volontà, l’affettività o cuore. Pertanto, è doveroso assurgere a una profondità di cultura capace di rispondere agli interrogativi vitali del proprio tempo; rendere ferma la propria capacità decisionale così da superare i possibili andirivieni della fragilità umana. Infine rendere solida la spinta affettiva verso i più prossimi del prossimo, ma con sguardi ad ampio raggio. L’amore non ammette recinzioni.

Questo ‘lavorio’ richiede una attenzione non sparpagliata, a saltelli, dispersiva; richiede una metodologia possibilmente perfetta che tenga presente sempre tutto il nostro ‘essere umano’, puntando a una maturità degna di quel mistero che esso stesso è. E’ saggezza, allora, non lasciarsi vivere dalla vita, ma diventare in pienezza protagonisti della propria esistenza nel tempo. Oggi e domani. Stasera e domattina. E dopo domani ancora…

Scriveva Augustin Renaudet: “Sua (dell’uomo) norma essenziale è lo sforzo compiuto dall’individuo per sviluppare in se stesso, grazie a una stretta e metodica disciplina, tutte le capacità umane e per non trascurare nulla di ciò che fa grande l’uomo e lo magnifica”. Gli fa eco Goethe il quale consiglia di “tendere con uno sforzo ininterrotto verso la più alta forma dell’esistenza”.

E si diventa capaci di relazioni umane semplicemente vere, tutte e soltanto improntate a quel rispetto che prima o poi sfocia nell’amore e nella pienezza di un simpatico generoso, sereno, pacifico – e a volte nascosto – mai altero, dono di sé. Il mondo globalizzato e postmoderno di oggi, quasi tecnomediato dai social network, necessita con urgenza di soggetti umani, capaci di relazioni umane autentiche, gentili, calde, veraci, rispettose, cariche di cultura e di passione umana.

Stendhal a Eugène Delacroix suggeriva: “Non trascurate nulla di quanto può rendervi grande”. Diventare grande allora è vivere “in crescendo”, è elevare alla ennesima potenza tutte le proprie capacità, le proprie risorse; è raggiugere le altezze, la densità di vita, proposta dal Creatore alla creatura.

                                                                                  sr Biancarosa Magliano, fsp

                                                                                  biancarosam@tiscali.it

istantQuesto è un tempo femminile.

La giustizia di Dio infatti è stata indebolita, ma la forza

che è in essa stilla e si pone come

guerriera contro l’ingiustizia, finché non sia sconfitta.

è una affermazione di santa Ildegarda di Bingen (1098-1179), donna dalle molteplici competenze e professioni. Scrittrice, drammaturga, poeta, musicista, filosofa, cosmologa, guaritrice, consigliera politica, profeta. In ognuno di questi ambiti ha dato ‘buona prova di sé’. E pertanto possiamo accettare le sue affermazioni.

Il suo (il medioevo) è il tempo in cui la donna è considerata un essere inferiore. Concetto elaborato e ammesso dalla stessa Chiesa.

Dalla nascita parte penalizzata. Il suo venire al mondo è visto come un infortunio. Cresciuta, le attività di sua competenza son due soltanto: attenzione alla casa e la procreazione. Concretamente per il comune pensare un essere soggetto alla fragilità, alla debolezza; per lei non conviene perdere tempo nel darle una formazione culturale adeguata. Cosicché per Ildegarda femminilità e debolezza sono sinonimi.

Dio – che è giustizia ed è amore – ha un progetto diverso. Secondo il testo sacro, l’uomo dalla cui costola era stata tratta la donna, nel momento in cui Dio gliela presenta dice: “Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tratta”. Uomo e donna sullo stesso livello. L’uno accanto all’altra; mai l’uno sopra e l’altra sotto. Mai sudditanza dell’una nei confronti dell’altro. Uomo e donna, nelle loro oggettive, vere, differenze, sono esseri univoci. Dio lì creò sulla stessa lunghezza d’onda, sulla stessa lunghezza d’amore: diversi, ma ambedue a immagine e somiglianza di Lui, Dio, Uno e Trino Signore.

La storia rende sempre giustizia. Il camminare della storia fa esplodere quella stilla che rende omaggio alla giustizia di Dio, nel suo concepire la donna. Rende ragione alla verità, alla obiettività.

Gli ultimi secoli, soprattutto gli ultimi decenni sono gli anni della ricerca, del ripensamento perché sono gli anni della verità. Non si tratta di una semplice emancipazione, di affermazioni a fior di pelle. E’ un cammino di ricerca scrupolosa, di confronto maturo, fatto passo dopo passo, ma passo energico, volitivo, deciso, forse in alcuni momenti caparbio, perché la ricerca e la comprensione della verità non ammettono debolezze o ambivalenze.

È una acquisizione di chiarezze su identità e compiti. Grazie a studi metodici, a donne e uomini dal pensiero forte, dallo sguardo lungimirante, dalla capacità di fare sintesi tra passato e presente, da quell’astuzia che non teme né la sagacità, né l’onestà o la fatica dello studio. E la donna è attualmente vista nella sua identità; a lei vengono affidati uffici di alto impegno alla stesso livello dell’uomo.

Anche la Chiesa, come esperita e saggia Maestra di verità, sta affrontando da decenni la problematica con saggezza, ponderazione, confronto. Non teme il parere altrui, il contradditorio, il dibattito. Con senso concreto propone iniziative che ne favoriscano la valorizzazione nelle sue specificità caratteriali e identitarie.

Il Beato Paolo VI alla conclusione del Concilio Vaticano II mandò un messaggio anche alle donne…

Di san Giovanni Paolo II ricordiamo l’enciclica Mulieris dignitatem e la Lettera alle donne con saluto iniziale: A voi donne del mondo intero. Documenti di alto magistero, sui quali molto è stato scritto e detto.

Papa Francesco non fa mistero sul suo apprezzamento della donna. Molto è scritto, da credenti e non, sulla donna. Il tutto costituisce quel fare giustizia che rivendicava con acume poetico la nostra santa Ildegarda di Bingen nel primo millennio dell’era cristiana.

                                                      suor Biancarosa Magliano, fsp

biancarosam@tiscali.it

Lo scopo della vita è di vivere in accordo con la natura. (Zenone di Cizio)NATURA

Vogliamo essere veri. L’affermazione espressa da questo antico filosofo greco, di origine fenicia, nativo di Cipro, ci piace parecchio. E’ un asserto che impegna la vita, la vita intera, giorno dopo giorno Ed è conforme alle linee portanti di Laudato si’, la Lettera enciclica sulla cura della casa comune di Papa Francesco, scritta millenni dopo. Zenone, infatti, è vissuto a cavallo tra il quarto e il terzo secolo avanti Cristo…

Quando la mente umana, la ricerca umana è sincera e libera può raggiungere e impossessarsi di ogni verità naturale e capire quale è veramente la finalità dell’esistenza non solo dei vari popoli, ma delle specifiche identità di tutti i pur diversi esseri presenti sul globo e il globo stesso. Possiamo, anzi dobbiamo, “vivere in accordo con la natura”. Possiamo o, meglio, dobbiamo conoscerne e osservarne le leggi; di più, abbiamo tutte le attitudini, la ‘vocazione’ per rispettare e godere di ogni cosa, di ogni essere secondo la sua propria identità, la sua unica, a volte affascinante bellezza. Papa Francesco afferma: “Dio ha scritto un libro stupendo”… “le cui lettere – aggiunge san Giovanni Paolo II – sono la moltitudine di creature presenti nell’universo”. Sono lì per la gioia, il godimento, lo stupore nostro. Sono lì a nostro servizio. Ma richiedono, anzi esigono rispetto, ognuna nella sua natura: l’acqua come acqua e non sprecarla, il pane come pane e non ‘buttarlo’, l’atmosfera come atmosfera e non inquinarla, l‘uccello come uccello… E la persona umana nelle varie esigenze e possibilità nel susseguirsi delle età… Il bimbo come bimbo, l’anziano come anziano…

”L’essere umano – è scritto con chiarezza in Laudato si’ – è parte del mondo con il compito di coltivare le proprie capacità per proteggerlo e svilupparne le potenzialità. Se riconosciamo il valore e la fragilità della natura, e allo stesso tempo le capacità che il Creatore ci ha dato, questo ci permette oggi di porre fine al mito moderno del progresso materiale illimitato. Un mondo fragile, con un essere umano al quale Dio ne affida la cura, interpella la nostra intelligenza per riconoscere come dovremmo orientare, coltivare e limitare il nostro potere”.

Un versetto del salmo 45 ci fa pregare così: “Signore, piega verso di me l’orecchio…”. L’uomo, che si ritrova come smarrito nella propria piccolezza, nel proprio limite, invoca il suo Creatore, il Datore di ogni bene, l’Essere da cui ha ricevuto l’esistenza. Questo ‘piegarsi di Dio’, invocato dall’uomo, esprime con chiarezza le due diverse identità, le due diverse ‘nature’: l’Una infinita, perfetta; l’altra fragile, insicura. L’una invoca, l’altra è chiamata a rispondere e lo fa pur a volte con modalità a noi incomprensibili… C’è rispondenza dell’una con l’altra. C’è rispetto, devozione, attesa nell’uomo. Ascolto, e intervento a volte non come atteso o sperato dall’uomo, ma Dio non tradisce mai.

Verso la fine della sua Enciclica papa Francesco ha scritto: “Dio, che ci chiama alla dedizione generosa e a dare tutto, ci offre le forze e la luce di cui abbiamo bisogno per andare avanti. Nel cuore di questo mondo rimane sempre presente il Signore della vita che ci ama tanto. Egli non ci abbandona, non ci lascia soli, perché si è unito definitivamente con la nostra terra, e il suo amore ci conduce sempre a trovare nuove strade. A Lui sia lode!” (LS 245).

E’ il nostro messaggio….

                                                      sr Biancarosa Magliano, fsp

                                                      biancarosam@tiscali.it

natura2La natura è l’abbigliamento temporale di Dio che lo rivela al saggio e lo nasconde allo sciocco. Thomas Carlyle

Per abbigliamento – com’è a tutti noto – s’intende l’insieme degli oggetti che compongono il vestiario. Ciò con cui ci si veste, ci si copre. Esso è diverso secondo le necessità, i tempi, le stagioni, le consuetudini; non ultimo, il clima.

Nel corso della storia l’abbigliamento è cambiato molto. Le opere d’arte ne sono la conferma. Tant’è vero che gli intenditori d’arte normalmente si fermano molto sull’abbigliamento dei personaggi riprodotti. A volte anche su un solo dettaglio. Fautori principali della diversità sono stati e continuano ad esserlo il progresso della civiltà, le variazioni di mentalità dei singoli popoli, la disponibilità economica. Ancor oggi in zone glaciali vivono popolazioni allo stato primitivo, selvaggio, completamente o quasi nude e altre che abitano in zone torride si presentano e vivono tranquillamente coperte anche in stagioni decisamente calde.

Gli studiosi sono d’accordo nell’ammettere le tre cause che hanno spinto l’uomo a vestirsi: innanzitutto il bisogno di porsi al riparo da molteplici cause di possibile disagio o addirittura da conseguenze dannose soprattutto per la salute, un innato senso del pudore, il desiderio di ornarsi, di mostrarsi belli. Comunque l’abbigliamento, il vestirsi ha una finalità, la sua importanza. Coleridge affermava che furono tre le più antiche forme d’arte: l’architettura, la cucina e l’abbigliamento. Nella persona l’abbigliamento è un annuncio: parla dello stile e del gusto della persona che lo indossa. “I vestiti sono degli artifici semeiotici, cioè delle macchine di comunicazione” ha scritto un autore.

E sotto l’abbigliamento, nascosta normalmente nella sua maggior parte, esiste una realtà meravigliosa in se stessa: il corpo umano. Ecco ciò che è la natura, è l’abbigliamento, il vestito di Dio. Nella persona conta non tanto ciò che veste; conta ciò che è vestito. Conta la persona umana nella sua identità. E la natura veste l’unica vera bellezza, la più bella e ricca identità: Dio, dal quale tutto ha avuto origine; dalla cui sapienza tutto l’esistente ha ricevuto principio e consistenza.

Un monte innevato lontano, appena raggiunto con lo sguardo, annuncia il Creatore sommo e unico; un fiore su uno stelo snello e gentile, che spande attorno a sé un mite profumo, un cipresso, alto e sempre verde…. sussurrano un nome: Dio. Un passero che cinguetta, un leone che ruggisce, una pecora avvolta nella sua bianca lana parlano di un Creatore che li ha voluti così e dicono che esiste un Altro essere che ha dato loro la vita e la possibilità di riprodurne altri altrettanto uguali, se non più belli ancora.

Una giovane universitaria, Marina Muser, morta nel 1982 per una malattia non più curabile, nei momenti più lancinanti del suo dolore, soleva ripetere: “Il bello di questi attacchi è che non hanno un motivo. Vengono e basta… e io non posso far altro che ringraziare Dio”.

“Tutto ha in Dio il suo principio sorgivo” (Luigi Pozzoli). San Francesco – narra Tommaso da Celano – “camminava con rispetto perfino sulle pietre”.

Gesù ha detto: “guardate gli uccelli del cielo, non seminano, non mietono; né raccolgono nei granai… il Padre vostro celeste li nutre… Osservate come crescono i gigli del campo… Ora se Dio veste così l’erba del campo…” (cfr. Mt 6,26ss).

Dio è la sorgente prima e ultima di tutto quanto esiste. Tutto è impregnato della sua presenza… L’Essere origine, fonte di tutto è Lui. La Fonte di quell’opera meravigliosa che possiamo ammirare ogni giorno da mattina a sera e che può stupirci in una notte fonda, carica di stelle, e che papa Francesco ama chiamare ‘casa comune’ e a tutti compete salvare e difendere è Lui: Dio.

                                                                                     sr Biancarosa Magliano, fsp

                                                                                     biancarosam@tiscali.it

 

 


La vera felicità è la pace con se stessi. E per averla non bisogna tradire la propria natura.
 (Mario Monicelli)

Siamo tutti ricercatori; ricercatori di scienza, di verità, di amore, di benevolenza, e davvero e non per ultimo, siamo ansiosi ricercatori di felicità. E’ un bisogno profondo, inalienabile, immediato e continuo perché è il destino ultimo di ogni esistenza umana. A volte è una ricerca profondamente ansiosa. Altre è una ricerca più tranquilla, forse meditata. Ma vorremmo davvero esseri felici. E’ comunque doveroso credere che non possiamo pensare di essere pienamente felici soltanto quando avremo conseguito un preciso e determinato traguardo; quando avremo forse acquistato un bene non ancora posseduto, ma atteso, o quando avremo raggiunto una posizione sociale di prestigio; o, ancora, quando avremo superato difficoltà relazionali, esigendo giustizia con parenti, vicini di casa o colleghi di lavoro.

La felicità è un bene profondo che ha le sue radici nella giusta stima di sé, dei propri valori, delle proprie potenzialità intellettuali, affettive e decisionali, che vengono valorizzate nel momento e nel modo opportuno, nella concreta vita quotidiana, nei momenti di solitudine o di relazioni. L’immediatezza e l’istintività normalmente non sono consigliere plausibili. Come possono non esserlo alcuni opportunismi, tergiversazioni, doppi giochi, insulsa ricerca di stima, in cui non c’è chiarezza e neppure verità e nei quali abbia importanza soltanto un’esclusiva difesa di sé.

Felicità vera è saper ascoltare benevolenti; l’ascolto apre la mente, gli orizzonti, le conoscenze. In sintesi rende più ricchi di cultura. E la ‘cultura’ è un bene inestimabile. Felicità pertanto è saper essere veri con se stessi, ammettendo e accettando i propri limiti e i propri disinganni, e senza rinnegare le proprie capacità, le mete raggiunte, i successi avuti.

Felicità è accettare di vivere in umiltà sino alla spoliazione di sé quando ciò è richiesto dal dolore o dalla esaltazione del prossimo. Sono i momenti in cui è richiesto il nascondimento, la morte personale, perché l’altro viva e viva nel benessere, nella gioia, viva in pienezza la propria esistenza. Perché, come è scritto nel Testo Sacro, “non c’è ricchezza superiore alla salute del corpo e non c’è felicità più grande della gioia del cuore” (Sir 30,16).

Felicità è godere dell’oggi, senza rimpianti inutili per il passato, e senza sogni illusori per il futuro. “La felicità – ha scritto Phil Bosmans – si trova lì, vicina, molto vicina”. E ha aggiunto: “non c’è nessun ascensore che porti verso la felicità. Bisogna servirsi della scala”. Della scala della propria vita. Giorno dopo giorno. Ora dopo ora. Oggi e domani. Felicità nel tempo che è preludio di quella felicità senza fine e senza limiti che vivremo al cospetto di quel Dio Trinità che è, esso stesso per essenza, felicità infinita.

                                                                           sr Biancarosa Magliano, fsp

                                                                           biancarosam@tiscali.it

 

 

 

GRAZIE1La gratitudine è la forma più bella di felicità. Walter Dirks

Tutti gli incipit delle Lettere che il grande apostolo Paolo inviava sia a un singolo personaggio – Tito, Timoteo – come a un popolo – Efesini, Galati, Tessalonicesi – erano un tripudio di gioia, una esplosione di gratitudine.

Dopo il normale saluto introduttivo, nella Lettera ai Tessalonicesi scrive: “Rendo grazie al mio Dio ogni volta che mi ricordo di voi” e ne definisce i motivi: “Sempre, quando prego per tutti voi, lo faccio con gioia a motivo della vostra cooperazione per il Vangelo, dal primo giorno sino al presente”. Gratitudine e gioia; gratitudine e felicità sono inseparabili. Papa Francesco ricordando un suo professore, per il quale sentiva profonda riconoscenza diceva: “la gratitudine che provavo e che non avrei mai smesso di provare nei suoi confronti per avermi aperto il mondo delle culture tradizionali, della loro musicalità, per avermene rivelato i significati e i valori profondi, era un’attitudine che onorava me più che lui; lo pensavo allora e lo penso ancora oggi senza nulla volere togliere al mio Maestro. Si, mi sento di sostenerlo con chiarezza: la gratitudine onora e giova a chi la prova, molto più che a chi la riceve”.

Chi si sente in debito verso l’altro per quanto ha ricevuto può vivere un sentimento dalla difficile gestione. Sapersi in debito può provocare anche sentimenti di disagio, forse di irrequietezza. Ci si può sentire in difficoltà quasi sotto la pressione di un ricatto fintanto che non si è compiuto quello che si crede essere un obbligo: il rendimento di grazie.

Gratitudine è esattamente espressione di ricchezza e di bellezza d’animo, di tenerezza; di consapevolezza di sé che riceve una beneficio e del prossimo che lo elargisce; anzi, è espressione di un forte senso della giustizia. San Paolo ai Corinzi scriveva: “Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto e se l’hai ricevuto perché ti glori come se non l’avessi ricevuto?” (cfr. 1Cor 4,1-6).

E’ giusto e doveroso guardare con empatia chiunque ha sparso sui sentieri della nostra vita pietruzze od opere d’arte, fiori o spine. Tutto è dono…

San Paolo in una  esplosione di gaudio scriveva agli abitanti di Colossi: “Ringraziamo con gioia Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo” e lo motivava: “perché ci ha messo in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce…”.

La venerabile Tecla Merlo concludeva una delle conferenze alle sue suore in questi termini: “Ringraziamo sempre il Signore di tutte le grazie che ci ha fatte, di quelle che ci farà, e di quelle che ha già preparato per noi”. Con la protezione di lui, pieno il cuore di amore per lui, saremo sempre abitate da felicità perché il cuore sarà traboccante di gratitudine per Lui. Sarà felice.

sr Biancarosa Magliano, fsp

biancarosam@tiscali.it

 

L’amore più forte…

L’amore più forte è quello capace di dimostrare la propria fragilità.cuore1

Paulo Coelho

L’amore è verità. Innanzitutto verità di sé. Del proprio essere, dei propri limiti e delle proprie potenzialità. L’amore è obiettività. Obiettività nei giudizi, nell’espressione dei propri pareri, del proprio pensare. Perciò l’amore non è fantasia. Non è neppure semplicemente desiderio. L’amore è concretezza; l’amore o è dimostrabile o non è amore.

L’amore portato alle estreme conseguenze porta a considerare tutti fratelli, anche i nemici. Amare è trasformare la cultura della vendetta in cultura di pace, di armonia, di dialogo. È come far combaciare parti distanti. Amare è usare l’arma disarmante della fraternità e della tenerezza.

Amore è compassione e la compassione non è il sentimento dei deboli, è condivisione piena della vita, anche delle fragilità; non è onnipotenza; non è infallibilità. Il ritenersi onnipotente, onnisciente, infallibile pone a rischio di collasso chi si ritiene tale e chi gli vive accanto. Chi si ritiene tale non è capace di amore; attorno a sé suscita lontananza, freddezza, indifferenza.

Nel groviglio delle croci esistenziali, l’amore porta a condividere la sofferenza, a piangere insieme perché esso genera prossimità; amore è provare turbamento di fronte al dolore altrui. Gesù, di fronte alla morte di Lazzaro e alla sofferenza delle due sorelle, piange perché li ama. Gesù nell’orto del Getsemani, mentre sta dando inizio al momento più tormentato della sua vita, accorre agli apostoli; li trova addormentati. Con schiettezza e delusione pone una domanda: “Non avete potuto vegliare un’ora con me?”.

Gesù ammette la propria fragilità; si scopre inetto nell’affrontare da solo una sofferenza brutale, la stessa solitudine. Ha bisogno della presenza di qualcuno tra quelli che gli erano stati vicini in precedenza, che lo hanno amato e che egli stesso ha amato sino a renderli partecipi della propria missione; per questo va a cercare i tre prediletti che avevano condiviso con lui fatiche, delusioni, incomprensioni soprattutto da parte dei farisei, e un momento di gloria sul Tabor…

Necessita della loro preghiera, della loro presenza, della loro vicinanza; dà prova della propria umanità fragile. Non la nasconde. Di fronte a Pilato, quasi manomesso, umiliato, difende la propria identità regale. Nel suo viaggio al Calvario una donna gli si avvicina e gli asciuga il volto. Lui, cadente,  la premia e imprime il proprio volto in quel telo.

Accettare e ammettere, anche di fronte al prossimo con cui si condivide parte o  tutta la vita, le proprie debolezze senza false o insulse difese, è prova di quello che effettivamente si è; è prova di rispetto per l’altro, di delicata attenzione, quindi di amore.

                                                       sr Biancarosa Magliano

                                                       biancarosam@tiscali.it

Il tempo galoppa…

tempo1Il tempo galoppa, la vita sfugge tra le mani. Ma può sfuggire come sabbia oppure come semente. Thomas Merton

Un poeta, che non ha voluto mettere la sua firma sotto i versi che ha scritto, afferma che, come l’acqua e la sabbia scorrono tra le dita, così la vita che viviamo ‘nel tempo’ tra fatiche ed ozi, se ne va. Ed è verità. Ma il tempo cos’è? Hanno tentato di scriverne filosofi e scienziati. Quel grande Padre della Chiesa, che è sant’Agostino, ha ammesso di non saperne dare l’interpretazione. Egli diceva: “Io so che cosa è il tempo, ma quando me lo chiedono non so spiegarlo“. FLorenskij, teologo ortodosso russo, mette in relazione tempo e culto e parla delle feste liturgiche che si susseguono nel tempo e con le quali ci si relaziona.

Il punto di partenza della interpretazione del tempo è dato dal racconto della creazione in cui si parla del susseguirsi di operazioni ed eventi che avvengono giorno dopo giorno ad opera di Dio Creatore. Nella nostra esperienza quotidiana, o, forse meglio, nel linguaggio immaginoso parliamo di passato, presente e futuro; un passato che è stato per noi presente e che torna ad essere tale in forza della memoria, un futuro che diventerà presente, per poi passare anch’esso al passato. Il tempo vissuto non torna più se non nei ricordi. Il futuro è, per antonomasia, incerto. Leonardo da Vinci diceva: “L’acqua che tocchi de’ i fiumi è l’ultima di quella che andò e la prima di quella che viene. Così il tempo presente”.

Che fare allora per valorizzare al meglio questo dono, il tempo, che rimane comunque un’incognita o, in altre parole, la vita che il nostro Creatore ha posto a nostra disposizione perché essa – come ha ammesso quel monaco scrittore del secolo scorso che fu Thomas Merton – diventi ‘semente’? E che potrebbe invece sfuggirci come nube al vento o scivolare ‘come sabbia tra le mani’? Nessun altro potrà farlo al nostro posto. In questo ambito le veci non esistono; le sostituzioni non sono ammesse.

Dio, l’Eterno, nella pienezza dei tempi, ha mandato suo Figlio, eterno come Lui, a vivere nel tempo. Egli, secondo il Vangelo, passava per le vie di Palestina insegnando e beneficando tutti. E per tutti ha consumato la sua vita su una ignominiosa croce… Risorto ha rivissuto nel tempo quanto necessario per dare testimonianza della verità di quanto aveva predetto e insegnato ai suoi discepoli….

Il tempo, o la vita, sono lì a nostra disposizione: possiamo farne ciò che vogliamo. Tempo e vita sono lì perché raggiungiamo quella maturità umana e cristiana che è la finalità fondamentale della nostra esistenza; perché li facciamo diventare dono di comprensione per chi soffre e fatica; aiuto e collaborazione per chi è smarrito e insicuro e vive e soffre le proprie fragilità; sopportazione per chi si appoggia a noi per una comunicazione o una richiesta di aiuto. Papa Francesco esplicita ciò in Misericordia et misera: “Una parola che rincuora, un abbraccio che ti fa sentire compreso, una carezza che fa percepire l’amore, una preghiera che permette di essere più forte… sono tutte espressioni della vicinanza di Dio attraverso la consolazione offerta dai fratelli”.

Che sboccia attorno a noi? Il nostro tempo, giorno dopo giorno, è quella ‘semente’ che, affondata in umida terra, assorbe gli umori di essa e dopo un po’ di tempo produce un filo d’erba o un fiore che dilettano lo sguardo, o un frutto che dà sostento alla vita?

Anche se i giorni tristi passano più lentamente di quelli vissuti nella gioia, il tempo non torna indietro se non nei ricordi. Ma se viviamo solo di ricordi perdiamo le opportunità di cercare e godere la gioia del vivere.

sr Biancarosa Magliano, fsp

biancarosam@tiscali.it

Valori eterni

valori1Esseri deboli come noi siamo, e mobili come l’acqua, ci siamo fermati tra le illusioni; dobbiamo invece indirizzare il nostro animo verso valori eterni. Seneca

Una descrizione patente e precisa della fragilità umana è quella delineata con una figura molto emblematica e descrittiva dal filosofo drammaturgo latino, nato in Spagna nei primi anni dell’era cristiana. La persona umana è debole; peggio ancora, è volubile; per dirla con Seneca, è ‘mobile come l’acqua’. Pur nel ‘pezzo’ di mare più tranquillo, pur in una bacinella ferma, l’acqua è deliziosamente screziata, si muove. La persona umana, tutti e tutte noi siamo soggetti facilmente cambianti, volubili. I nostri atteggiamenti si avvicendano secondo le circostanze o le opportunità offerte dalla vita di tutti i giorni; si ridiventa ciò che prima o poche volte si era stati. “Non siamo più nell’era della volontà, ma della velleità” ha scritto con un pizzico di ragione Jean Baudrillard. L’evolvere irrequieto della società, prodotto anche dalla tecnica digitale in continuo veloce mutamento, essa stessa sempre più evoluta, essa stessa volatile, comunica incertezza, dubbi, oscillazioni emotive e di pensiero.

E si corre il molto probabile rischio di costruirsi e fermarsi su vanità, o peggio ancora su illusioni. Si diventa sognatori irrequieti, inconcludenti, trepidanti. E, semplicemente, si corre il rischio di perdere preziosi spezzoni di vita.

E, chiaro e tondo, non sarebbe giusto. La vita ci è stata donata per ben altro. L’anelito profondo è quello di vivere in pienezza, di valorizzare tutte le potenzialità proprie della persona, le sue capacità intellettive, volitive, dell’affettività. Ogni persona, infatti, ne sia cosciente o meno, cerca avidamente la piena realizzazione di sé. Di più. Nati in seno ad una famiglia dove il valore sommo è l’amore reciproco e inseriti in una società che ha le sue leggi di convivenza, ogni persona ha il diritto di sapersi e vedersi rispettata, promossa, amata in tutti i suoi valori… E in quel suo essere con ansia di infinito deve essa stessa addestrarsi a vivere quei valori che Seneca non conosceva così espressi, ma che non tramontano né con l’evolvere della storia, o della società, o delle vicende familiari. Sono i valori evangelici, sono i valori eterni, ben descritti in quel prezioso brano che fa parte del Vangelo di Matteo:

«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti, perché saranno consolati.

Beati i miti, perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.

Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,1-11).

Nessuna sapienza umana indicherà o proporrà mai valori di così alto e intenso spessore anche umano.

“Qualsiasi cosa tu voglia, è là fuori che aspetta che tu la chieda. Qualsiasi cosa tu voglia, ti vuole a sua volta. Ma devi agire per averla” lo ha scritto Jack Canfield.

I valori eterni cui tu aneli sono lì a portata di mano, alla tua portata. Fuori della tua porta. Falli entrare nella tua vita da subito.

sr Biancarosa Magliano, fsp

biancarosam@tiscali.it

Le periferie in cui ribollono le tensioni emergono energie

per il servizio della Chiesa universale (P. Arturo Sosa, sj)

periferie1Correva l’anno 2013 ed eravamo nel mese di marzo. Un papa ‘venuto dalla fine del mondo’ dava inizio al suo ministero petrino con lo slancio e la ponderazione di chi sa che la sua è una potestà che gli viene non da un altro uomo, o dal popolo, ma da Dio stesso, pur attraverso la mediazione umana. Era il 24 marzo, domenica delle Palme. Nel suo coinvolgere i giovani presenti in piazza san Pietro nella sequela di Gesù che, per amore dell’umanità, consegna se stesso ai crocifissori, lancia una consegna che diventerà poi il paradigma di molte altre sue riflessioni: “è buono uscire da se stessi, alle periferie del mondo e dell’esistenza per portare Gesù!”. Le periferie – tanto quelle sociali come quelle personali – sono luoghi di particolare povertà, di significative indigenze, di sintomatiche e problematiche insicurezze. E spesso sono fucina di tensioni. Tensioni per la disuguaglianza che si percepisce come ingiustizia; tensioni per sogni non realizzati perché la vita può aver portato su strade non ambite; tensioni per delusioni subite; per situazioni di povertà e di limiti non sopportabili. La cronaca di non molto tempo fa – vedi Bruxelles, Parigi, Nizza – ne è testimone.

Né è necessario che siano tensioni multiple, di un gruppo. Esistono tensioni singole in quanto sono proprie di una persona sola. Le cause sono tante e varie: delusioni, soprusi, sfruttamento; chi si sente usato percepisce di non essere considerato nella sua propria identità di persona; chi si vede posto in seconda linea può diventare schiavo di gelosie anche comprensibili pur non approvabili.

Paolo Mantegazza ha scritto che “la tensione della forza senza il suo esercizio logora gli organi, disperde gran quantità di lavoro utile, abitua all’inerzia”. Effettivamente, delle tensioni che farne? Le tensioni ‘evangelizzate’ possono trasformarsi in felici opportunità, o – come ha scritto il neo eletto superiore generale della Compagnia di Gesù esperto in periferie e in tensioni: “energie per un rilancio della fede nella Chiesa universale”.

“La fede – ha scritto papa Francesco nel suo messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale 2016 – è dono di Dio e non frutto di proselitismo; cresce però grazie alla fede e alla carità degli evangelizzatori che sono testimoni di Cristo. Nell’andare per le vie del mondo è richiesto ai discepoli di Gesù quell’amore che non misura, ma che piuttosto tende ad avere verso tutti la stessa misura del Signore; annunciamo il dono più bello e più grande che Lui ci ha fatto: la sua vita e il suo amore”.

La tensione cambiata in servizio, servizio della Parola. Le periferie sono estese nell’universo mondo ai vari livelli: familiare, sociale, lavorativo, politico, educativo. Così le tensioni. E allora se ogni tensione – o capacità reattiva – può essere motivo di novità positive, da tutte le periferie del mondo sorgano nuovi apostoli capaci di inserire nella Chiesa universale una nuova esperita capacità di annuncio della bella notizia: il Vangelo di Gesù. E che sorga un mondo nuovo, libero da tensioni, dove esista quella pace che prefigura la pace eterna.

                                                               sr Biancarosa Magliano,fsp

                                                               biancarosam@tiscali.it