Due aggettivi, due verbi e una semplice vocale come congiunzione. Una brevissima sentenza o un prudente e caldo, fraterno, paterno, amicale consiglio? L’assioma – sintesi del pensiero del rinomato filosofo francese, J.J. Rousseau, un po’ errabondo, dalla personalità timida e scontrosa – potrebbe risultare una sintesi identitaria di quell’essere che si definisce uomo e che ambisce dal più profondo di sé di raggiungere una possibile agognata apoteosi: la felicità. In una vita, la nostra, carica di domande e di poche risposte, ci poniamo la domanda fondamentale, alla quale in molti hanno tentato di dare una risposta: cos’è la felicità? Quando può l’uomo di qualsiasi livello sociale, politico, religioso, familiare, dirsi sinceramente felice?
Il nostro filosofo pone una condizione: sii giusto. Concretamente: vivi la tua realtà di essere dipendente da un Dio uno e Trino che ti ha creato; ti ha ‘obbligato’ vivere con altri, perché Egli stesso ha ammesso che “non è bene che l’uomo sia solo”. Ti ha inserito in un giardino – ‘il cosmo’ – nel quale si trova immerso tutto quello che ti è necessario e, a volte, ti fa sussultare per la sua inattesa meravigliosa bellezza.
Allora…
- Felicità è la consapevolezza di essere frutto di un Amore gratuito che ha posto il suo alito di vita nel grembo di una donna ed è stato deposto a suo tempo su un lembo di “madre terra la quale ne sustenta et produce diversi frutti con coloriti fiori et herba”. Pertanto sa che il suo habitat è un ‘giardino da custodire e coltivare’. E’ la ‘casa comune’, è ‘la sorella che protesta per il male che, ingiustamente, le provochiamo’ (LS 2).
- Felicità è pienezza; felicità è senso di pace e di appagamento interiori; è sentirsi realizzati perché ogni potenzialità personale, intellettuale, affettiva, operativa è stata posta a servizio di quello per cui ci è stata donata. E’, pertanto, assenza di rimpianti o inutili nostalgie.
- Felicità è vivere con la piena coscienza di non essere un apolide, ma una persona dalle forti e ben definite capacità relazionali, ma, anche, pienamente cosciente delle proprie dipendenze. Pertanto sa di dover amare e servire senza esclusivismi o reticenze, senza contorni gratificanti. Sa che l’amore al prossimo si concretizza in opere: “Non chi mi dice: Signore, Signore, ma chi fa la volontà del Padre mio: questi è mio discepolo…”. Scriveva il Dalai Lama: “la felicità si ottiene coltivando altruismo, amore, compassione e grazie all’eliminazione di ogni rancore, egoismo e avidità”.
- Felicità non è assenza di desideri, di sogni, di ambizioni ed è – questo sì – non lasciarsi distruggere dai motivi di infelicità che sono a portata di mano nelle catastrofi quotidiane, nelle disavventure più o meno frequenti, nelle possibili delusioni-tradimenti ai vari livelli. Per questo urge “puntare in alto con impegno e perseveranza per ottenere qualche pur modesto risultato” (A Theillung).
- Felicità è saper essere giusti in un mondo o in un contesto ingiusto che umilia e affatica. E’ essere pienamente consapevoli del bene e dei beni che ci circondano, che sono lì alla portata di mano perché una mano amica o gentile li ha deposto lì pensando a noi…
Può essere utile e prudente allora ricaricare ogni giorno il volano della giustizia perché cresca o permanga intatto il volano della felicità. Scriveva sant’Agostino: “Noi possiamo dire che viene attirato a Cristo l’uomo che trova la sua ‘delizia’ nella verità, nella beatitudine, nella giustizia”.
Biancarosa Magliano, fsp