Via Giuseppe Zanardelli, 32

00186 Roma - Italia

+39 06 6840051

Fax +39 06 56561470 segreteria@usminazionale.it

Nella Chiesa con Maria

madonnaMadre della speranza

Maria ha attraversato più di una notte nel suo cammino di madre. Fin dal primo apparire nella storia dei vangeli, la sua figura si staglia come se fosse il personaggio di un dramma. Non era semplice rispondere con un “sì” all’invito dell’angelo: eppure lei, donna ancora nel fiore della giovinezza, risponde con coraggio, nonostante nulla sapesse del destino che l’attendeva. Maria in quell’istante ci appare come una delle tante madri del nostro mondo, coraggiose fino all’estremo quando si tratta di accogliere nel proprio grembo la storia di un nuovo uomo che nasce.

Quel “sì” è il primo passo di una lunga lista di obbedienze – lunga lista di obbedienze! – che accompagneranno il suo itinerario di madre. Così Maria appare nei vangeli come una donna silenziosa, che spesso non comprende tutto quello che le accade intorno, ma che medita ogni parola e ogni avvenimento nel suo cuore.

In questa disposizione c’è un ritaglio bellissimo della psicologia di Maria: non è una donna che si deprime davanti alle incertezze della vita, specialmente quando nulla sembra andare per il verso giusto. Non è nemmeno una donna che protesta con violenza, che inveisce contro il destino della vita che ci rivela spesso un volto ostile. È invece una donna che ascolta: non dimenticatevi che c’è sempre un grande rapporto tra la speranza e l’ascolto, e Maria è una donna che ascolta. Maria accoglie l’esistenza così come essa si consegna a noi, con i suoi giorni felici, ma anche con le sue tragedie che mai vorremmo avere incrociato. Fino alla notte suprema di Maria, quando il suo Figlio è inchiodato al legno della croce.

Fino a quel giorno, Maria era quasi sparita dalla trama dei vangeli: gli scrittori sacri lasciano intendere questo lento eclissarsi della sua presenza, il suo rimanere muta davanti al mistero di un Figlio che obbedisce al Padre. Però Maria riappare proprio nel momento cruciale: quando buona parte degli amici si sono dileguati a motivo della paura. Le madri non tradiscono, e in quell’istante, ai piedi della croce, nessuno di noi può dire quale sia stata la passione più crudele: se quella di un uomo innocente che muore sul patibolo della croce, o l’agonia di una madre che accompagna gli ultimi istanti della vita di suo figlio. I vangeli sono laconici, ed estremamente discreti. Registrano con un semplice verbo la presenza della Madre: lei “stava” (Gv 19,25), Lei stava. Nulla dicono della sua reazione: se piangesse, se non piangesse … nulla; nemmeno una pennellata per descrivere il suo dolore: su questi dettagli si sarebbe poi avventata l’immaginazione di poeti e di pittori regalandoci immagini che sono entrate nella storia dell’arte e della letteratura. Ma i vangeli soltanto dicono: lei “stava”. Stava lì, nel più brutto momento, nel momento più crudele, e soffriva con il figlio. “Stava”.

Maria “stava”, semplicemente era lì. Eccola nuovamente, la giovane donna di Nazareth, ormai ingrigita nei capelli per il passare degli anni, ancora alle prese con un Dio che deve essere solo abbracciato, e con una vita che è giunta alla soglia del buio più fitto. Maria “stava” nel buio più fitto, ma “stava”. Non se ne è andata. Maria è lì, fedelmente presente, ogni volta che c’è da tenere una candela accesa in un luogo di foschia e di nebbie. Nemmeno lei conosce il destino di risurrezione che suo Figlio stava in quell’istante aprendo per tutti noi uomini: è lì per fedeltà al piano di Dio di cui si è proclamata serva nel primo giorno della sua vocazione, ma anche a causa del suo istinto di madre che semplicemente soffre, ogni volta che c’è un figlio che attraversa una passione. Le sofferenze delle madri: tutti noi abbiamo conosciuto donne forti, che hanno affrontato tante sofferenze dei figli!

La ritroveremo nel primo giorno della Chiesa, lei, madre di speranza, in mezzo a quella comunità di discepoli così fragili: uno aveva rinnegato, molti erano fuggiti, tutti avevano avuto paura (cfr At 1,14). Ma lei semplicemente stava lì, nel più normale dei modi, come se fosse una cosa del tutto naturale: nella prima Chiesa avvolta dalla luce della Risurrezione, ma anche dai tremori dei primi passi che doveva compiere nel mondo.

Per questo tutti noi la amiamo come Madre. Non siamo orfani: abbiamo una Madre in cielo, che è la Santa Madre di Dio. Perché ci insegna la virtù dell’attesa, anche quando tutto appare privo di senso: lei sempre fiduciosa nel mistero di Dio, anche quando Lui sembra eclissarsi per colpa del male del mondo. Nei momenti di difficoltà, Maria, la Madre che Gesù ha regalato a tutti noi, possa sempre sostenere i nostri passi, possa sempre dire al nostro cuore: “Alzati! Guarda avanti, guarda l’orizzonte”, perché Lei è Madre di speranza.

Papa Francesco

Udienza generale, 10 maggio 2017

 

 

 

 

 

CON MARIA, MADRE E SERVA DELL’EVANGELIZZAZIONE

 visita4…Vorrei meditare con voi questo mistero che mostra come Maria affronta il cammino della sua vita, con grande realismo, umanità, concretezza. Tre parole sintetizzano gli atteggiamenti di Maria: ascolto, decisone, azione. Parole che indicano una strada anche per noi di fronte a ciò che ci chiede il Signore nella vita.

Ascolto. Da dove nasce il gesto di Maria di andare dalla parente Elisabetta? Da una parola dell’angelo di Dio: “Elisabetta tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio…” (Lc 1,36). Maria sa ascoltare Dio. Attenzione: non è un semplice “udire”, un udire superficiale, ma è l’“ascolto” fatto di attenzione, di accoglienza, di disponibilità verso Dio. Non è il modo distratto con cui a volte noi ci mettiamo di fronte al Signore o agli altri: udiamo le parole, ma non ascoltiamo veramente. Maria è attenta a Dio, ascolta Dio. Ma Maria ascolta anche i fatti, legge cioè gli eventi della sua vita, è attenta alla realtà concreta e non si ferma alla superficie, ma va nel profondo, per coglierne il significato.

Decisione. Maria non vive “di fretta”, con affanno, ma, come sottolinea san Luca, “meditava tutte queste cose nel suo cuore” (cfr Lc 2,19.51). E anche nel momento decisivo dell’annunciazione dell’angelo, Ella chiede: “Come avverrà questo?” (Lc 1,34). Ma non si ferma neppure al momento della riflessione; fa un passo avanti: decide. Non vive di fretta, ma solo quando è necessario “va in fretta”. Maria non si lascia trascinare dagli eventi, non evita la fatica della decisione. E questo avviene sia nella scelta fondamentale che cambierà la sua vita: “Eccomi, sono la serva del Signore…” (cfr Lc 1,38), sia nelle scelte più quotidiane, ma ricche anch’esse di significato.

Nella vita è difficile prendere decisioni, spesso tendiamo a rimandarle, a lasciare che altri decidano al nostro posto, spesso preferiamo lasciarci trascinare dagli eventi, seguire la moda del momento; a volte sappiamo quello che dobbiamo fare, ma non ne abbiamo il coraggio o ci pare troppo difficile perché vuol dire andare controcorrente. Maria nell’annunciazione, nella visitazione, alle nozze di Cana va controcorrente; si pone in ascolto di Dio, riflette e cerca di comprendere la realtà, e decide di affidarsi totalmente a Dio, decide di visitare, pur essendo incinta, l’anziana parente, decide di affidarsi al Figlio con insistenza per salvare la gioia delle nozze.

Azione. Maria si mise in viaggio e “andò in fretta…” (cfr Lc 1,39). Nonostante le difficoltà, le critiche che avrà ricevuto per la sua decisione di partire, Maria non si ferma davanti a niente. E qui parte “in fretta”. Nella preghiera, davanti a Dio che parla, nel riflettere e meditare sui fatti della sua vita, Maria non ha fretta, non si lascia prendere dal momento, non si lascia trascinare dagli eventi. Ma quando ha chiaro che cosa Dio le chiede, ciò che deve fare, non indugia, non ritarda, ma va “in fretta”.

 

Dal discorso di papa Francesco a conclusione del mese mariano, 31 maggio 2013

mariaconcristo1A Cristo con Maria

Imparare Cristo da Maria

Cristo è il Maestro per eccellenza, il rivelatore e la rivelazione. Non si tratta solo di imparare le cose che Egli ha insegnato, ma di ‘imparare Lui‘. Ma quale maestra, in questo, più esperta di Maria? Se sul versante divino è lo Spirito il Maestro interiore che ci porta alla piena verità di Cristo (cfr Gv 14, 26; 15, 26; 16, 13), tra gli esseri umani, nessuno meglio di Lei conosce Cristo, nessuno come la Madre può introdurci a una conoscenza profonda del suo mistero.

Il primo dei ‘segni’ compiuto da Gesù – la trasformazione dell’acqua in vino alle nozze di Cana- ci mostra Maria appunto nella veste di maestra, mentre esorta i servi a eseguire le disposizioni di Cristo (cfr Gv 2, 5). E possiamo immaginare che tale funzione Ella abbia svolto per i discepoli dopo l’Ascensione di Gesù, quando rimase con loro ad attendere lo Spirito Santo e li confortò nella prima missione. Il passare con Maria attraverso le scene del Rosario è come mettersi alla ‘scuola’ di Maria per leggere Cristo, per penetrarne i segreti, per capirne il messaggio.

Una scuola, quella di Maria, tanto più efficace, se si pensa che Ella la svolge ottenendoci in abbondanza i doni dello Spirito Santo e insieme proponendoci l’esempio di quella « peregrinazione della fede », nella quale è maestra incomparabile. Di fronte a ogni mistero del Figlio, Ella ci invita, come nella sua Annunciazione, a porre con umiltà gli interrogativi che aprono alla luce, per concludere sempre con l’obbedienza della fede: « Sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto » (Lc 1, 38).

Conformarsi a Cristo con Maria

La spiritualità cristiana ha come suo carattere qualificante l’impegno del discepolo di conformarsi sempre più pienamente al suo Maestro (cfr Rm 8, 29; Fil 3, 10. 21). L’effusione dello Spirito nel Battesimo inserisce il credente come tralcio nella vite che è Cristo (cfr Gv 15, 5), lo costituisce membro del suo mistico Corpo (cfr 1Cor 12, 12; Rm 12,5). A questa unità iniziale, tuttavia, deve corrispondere un cammino di assimilazione crescente a Lui, che orienti sempre più il comportamento del discepolo secondo la ‘logica’ di Cristo: « Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù » (Fil 2, 5). Occorre, secondo le parole dell’Apostolo, « rivestirsi di Cristo » (cfr Rm 13, 14; Gal 3, 27).

Nel percorso spirituale del Rosario, basato sulla contemplazione incessante – in compagnia di Maria – del volto di Cristo, questo ideale esigente di conformazione a Lui viene perseguito attraverso la via di una frequentazione che potremmo dire ‘amicale’. Essa ci immette in modo naturale nella vita di Cristo e ci fa come ‘respirare’ i suoi sentimenti. Dice in proposito il beato Bartolo Longo: « Come due amici, praticando frequentemente insieme, sogliono conformarsi anche nei costumi, così noi, conversando familiarmente con Gesù e la Vergine, nel meditare i Misteri del Rosario, e formando insieme una medesima vita con la Comunione, possiamo divenire, per quanto ne sia capace la nostra bassezza, simili ad essi, ed apprendere da questi sommi esemplari il vivere umile, povero, nascosto, paziente e perfetto ».

Per questo processo di conformazione a Cristo, nel Rosario, noi ci affidiamo in particolare all’azione materna della Vergine Santa. Colei che di Cristo è la genitrice, mentre è essa stessa appartenente alla Chiesa quale « membro eccelso e del tutto eccezionale », è al tempo stesso la ‘Madre della Chiesa’. Come tale continuamente ‘genera’ figli al Corpo mistico del Figlio. Lo fa mediante l’intercessione, implorando per essi l’effusione inesauribile dello Spirito. Ella è l’icona perfetta della maternità della Chiesa.

Il Rosario ci trasporta misticamente accanto a Maria impegnata a seguire la crescita umana di Cristo nella casa di Nazareth. Ciò le consente di educarci e di plasmarci con la medesima sollecitudine, fino a che Cristo non « sia formato » in noi pienamente (cfr Gal 4, 19). Questa azione di Maria, totalmente fondata su quella di Cristo e ad essa radicalmente subordinata,« non impedisce minimamente l’unione immediata dei credenti con Cristo, ma la facilita ». È il luminoso principio espresso dal Concilio Vaticano II, che ho sperimentato tanto fortemente nella mia vita, facendone la base del mio motto episcopale: Totus tuus.(21) Un motto, com’è noto, ispirato alla dottrina di San Luigi Maria Grignion de Montfort, che così spiegava il ruolo di Maria nel processo di conformazione a Cristo di ciascuno di noi: « Tutta la nostra perfezione consiste nell’essere conformi, uniti e consacrati a Gesù Cristo. Perciò la più perfetta di tutte le devozioni è incontestabilmente quella che ci conforma, unisce e consacra più perfettamente a Gesù Cristo. Ora, essendo Maria la creatura più conforme a Gesù Cristo, ne segue che, tra tutte le devozioni, quella che consacra e conforma di più un’anima a Nostro Signore è la devozione a Maria, sua santa Madre, e che più un’anima sarà consacrata a lei, più sarà consacrata a Gesù Cristo ».

Come nel Rosario la via di Cristo e quella di Maria appaiono così profondamente congiunte. Maria non vive che in Cristo e in funzione di Cristo!

Giovanni Paolo II

Lettera apostolica, Rosarium Virginis Mariae, 2002

 

Maria modello di contemplazione

MADONNA_SILENZIO1La contemplazione di Cristo ha in Maria il suo modello insuperabile. Il volto del Figlio le appartiene a titolo speciale. È nel suo grembo che si è plasmato, prendendo da Lei anche un’umana somiglianza che evoca un’intimità spirituale certo ancora più grande. Alla contemplazione del volto di Cristo nessuno si è dedicato con altrettanta assiduità di Maria. Gli occhi del suo cuore si concentrano in qualche modo su di Lui già nell’Annunciazione, quando lo concepisce per opera dello Spirito Santo; nei mesi successivi comincia a sentirne la presenza e a presagirne i lineamenti. Quando finalmente lo dà alla luce a Betlemme, anche i suoi occhi di carne si portano teneramente sul volto del Figlio, mentre lo avvolge in fasce e lo depone nella mangiatoia (cfr Lc 2, 7).

Da allora il suo sguardo, sempre ricco di adorante stupore, non si staccherà più da Lui. Sarà talora uno sguardo interrogativo, come nell’episodio dello smarrimento nel tempio: « Figlio, perché ci hai fatto così? » (Lc 2, 48); sarà in ogni caso uno sguardo penetrante, capace di leggere nell’intimo di Gesù, fino a percepirne i sentimenti nascosti e a indovinarne le scelte, come a Cana (cfr Gv 2, 5); altre volte sarà uno sguardo addolorato, soprattutto sotto la croce, dove sarà ancora, in certo senso, lo sguardo della ‘partoriente’, giacché Maria non si limiterà a condividere la passione e la morte dell’Unigenito, ma accoglierà il nuovo figlio a Lei consegnato nel discepolo prediletto (cfr Gv 19, 26-27); nel mattino di Pasqua sarà uno sguardo radioso per la gioia della risurrezione e, infine, uno sguardo ardente per l’effusione dello Spirito nel giorno di Pentecoste (cfr At 1, 14).

I ricordi di Maria

Maria vive con gli occhi su Cristo e fa tesoro di ogni sua parola: « Serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore » (Lc 2, 19; cfr 2, 51). I ricordi di Gesù, impressi nel suo animo, l’hanno accompagnata in ogni circostanza, portandola a ripercorrere col pensiero i vari momenti della sua vita accanto al Figlio. Sono stati quei ricordi a costituire, in certo senso, il ‘rosario’ che Ella stessa ha costantemente recitato nei giorni della sua vita terrena.

Ed anche ora, tra i canti di gioia della Gerusalemme celeste, i motivi del suo grazie e della sua lode permangono immutati. Sono essi ad ispirare la sua materna premura verso la Chiesa pellegrinante, nella quale Ella continua a sviluppare la trama del suo ‘racconto’ di evangelizzatrice. Maria ripropone continuamente ai credenti i ‘misteri’ del suo Figlio, col desiderio che siano contemplati, affinché possano sprigionare tutta la loro forza salvifica. Quando recita il Rosario, la comunità cristiana si sintonizza col ricordo e con lo sguardo di Maria.

Ricordare Cristo con Maria

Il contemplare di Maria è innanzitutto un ricordare. Occorre tuttavia intendere questa parola nel senso biblico della memoria (zakar), che attualizza le opere compiute da Dio nella storia della salvezza. La Bibbia è narrazione di eventi salvifici, che hanno il loro culmine in Cristo stesso. Questi eventi non sono soltanto un ‘ieri’; sono anche l”oggi’ della salvezza. Questa attualizzazione si realizza in particolare nella Liturgia: ciò che Dio ha compiuto secoli or sono non riguarda soltanto i testimoni diretti degli eventi, ma raggiunge con il suo dono di grazia l’uomo di ogni tempo. Ciò vale, in certo modo, anche di ogni altro devoto approccio a quegli eventi: « farne memoria », in atteggiamento di fede e di amore, significa aprirsi alla grazia che Cristo ci ha ottenuto con i suoi misteri di vita, morte e risurrezione.

Per questo, mentre va ribadito con il Concilio Vaticano II che la Liturgia, quale esercizio dell’ufficio sacerdotale di Cristo e culto pubblico, è « il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua forza », occorre anche ricordare che la vita spirituale « non si esaurisce nella partecipazione alla sola sacra Liturgia. Il cristiano chiamato alla preghiera in comune, nondimeno deve anche entrare nella sua camera per pregare il Padre nel segreto (cfr Mt 6, 6); anzi, deve pregare incessantemente come insegna l’Apostolo (cfr 1Ts 5, 17) ».Il Rosario si pone, con una sua specificità, in questo variegato scenario della preghiera ‘incessante’, e se la Liturgia, azione di Cristo e della Chiesa, è azione salvifica per eccellenza, il Rosario, quale meditazione su Cristo con Maria, è contemplazione salutare. L’immergersi infatti, di mistero in mistero, nella vita del Redentore, fa sì che quanto Egli ha operato e la Liturgia attualizza venga profondamente assimilato e plasmi l’esistenza.

Giovanni Paolo II

Lettera apostolica, Rosarium Virginis Mariae, 2002

icona_annunciazione1Col suo «fiat», Maria diviene l’autentico soggetto di quell’unione con Dio, che si è realizzata nel mistero dell’incarnazione del Verbo consostanziale al Padre. Tutta l’azione di Dio nella storia degli uomini rispetta sempre la libera volontà dell’«io» umano. Lo stesso avviene nell’annunciazione a Nazareth. Questo evento possiede un chiaro carattere interpersonale: è un dialogo. Non lo comprendiamo pienamente se non inquadriamo tutta la conversazione tra l’Angelo e Maria nel saluto: «piena di grazia. L’intero dialogo dell’annunciazione rivela l’essenziale dimensione dell’evento: la dimensione soprannaturale (kecaritoméne).

Ma la grazia non mette mai da parte la natura né la annulla, anzi la perfeziona e nobilita. Pertanto, quella «pienezza di grazia», concessa alla Vergine di Nazareth, in vista del suo divenire «Theotókos», significa allo stesso tempo la pienezza della perfezione di ciò «che è caratteristico della donna», di «ciò che è femminile». Ci troviamo qui, in un certo senso, al punto culminante, all’archetipo della personale dignità della donna.

Quando Maria risponde alle parole del celeste messaggero col suo «fiat», la «piena di grazia» sente il bisogno di esprimere il suo personale rapporto riguardo al dono che le è stato rivelato, dicendo: «Eccomi, sono la serva del Signore» (Lc 1, 38). Questa frase non può essere privata né sminuita del suo senso profondo, estraendola artificialmente da tutto il contesto dell’evento e da tutto il contenuto della verità rivelata su Dio e sull’uomo. Nell’espressione «serva del Signore» si fa sentire tutta la consapevolezza di Maria di essere creatura in rapporto a Dio. Tuttavia, la parola «serva», verso la fine del dialogo dell’annunciazione, si inscrive nell’intera prospettiva della storia della Madre e del Figlio. Difatti, questo Figlio, che è vero e consostanziale «Figlio dell’Altissimo», dirà molte volte di sé, specialmente nel momento culminante della sua missione: «Il Figlio dell’uomo (…) non è venuto per essere servito, ma per servire» (Mc 10, 45).

 

Giovanni Paolo II

Dalla lettera apostolica Mulieris dignitatem, 1988

icona_annunciazione1Col suo «fiat», Maria diviene l’autentico soggetto di quell’unione con Dio, che si è realizzata nel mistero dell’incarnazione del Verbo consostanziale al Padre. Tutta l’azione di Dio nella storia degli uomini rispetta sempre la libera volontà dell’«io» umano. Lo stesso avviene nell’annunciazione a Nazareth. Questo evento possiede un chiaro carattere interpersonale: è un dialogo. Non lo comprendiamo pienamente se non inquadriamo tutta la conversazione tra l’Angelo e Maria nel saluto: «piena di grazia. L’intero dialogo dell’annunciazione rivela l’essenziale dimensione dell’evento: la dimensione soprannaturale (kecaritoméne).

Ma la grazia non mette mai da parte la natura né la annulla, anzi la perfeziona e nobilita. Pertanto, quella «pienezza di grazia», concessa alla Vergine di Nazareth, in vista del suo divenire «Theotókos», significa allo stesso tempo la pienezza della perfezione di ciò «che è caratteristico della donna», di «ciò che è femminile». Ci troviamo qui, in un certo senso, al punto culminante, all’archetipo della personale dignità della donna.

Quando Maria risponde alle parole del celeste messaggero col suo «fiat», la «piena di grazia» sente il bisogno di esprimere il suo personale rapporto riguardo al dono che le è stato rivelato, dicendo: «Eccomi, sono la serva del Signore» (Lc 1, 38). Questa frase non può essere privata né sminuita del suo senso profondo, estraendola artificialmente da tutto il contesto dell’evento e da tutto il contenuto della verità rivelata su Dio e sull’uomo. Nell’espressione «serva del Signore» si fa sentire tutta la consapevolezza di Maria di essere creatura in rapporto a Dio. Tuttavia, la parola «serva», verso la fine del dialogo dell’annunciazione, si inscrive nell’intera prospettiva della storia della Madre e del Figlio. Difatti, questo Figlio, che è vero e consostanziale «Figlio dell’Altissimo», dirà molte volte di sé, specialmente nel momento culminante della sua missione: «Il Figlio dell’uomo (…) non è venuto per essere servito, ma per servire» (Mc 10, 45).

 

Giovanni Paolo II

Dalla lettera apostolica Mulieris dignitatem, 1988

Maria nell’economia della salvezza

La madre del Messia nell’Antico Testamento

I libri del Vecchio e Nuovo Testamento e la veneranda tradizione mostrano in modo sempre più chiaro la funzione della madre del Salvatore nella economia della salvezza e la propongono per così dire alla nostra contemplazione. I libri del Vecchio Testamento descrivono la storia della salvezza, nella quale lentamente viene preparandosi la venuta di Cristo nel mondo. Questi documenti primitivi, come sono letti nella Chiesa e sono capiti alla luce dell’ulteriore e piena rivelazione, passo passo mettono sempre più chiaramente in luce la figura di una donna: la madre del Redentore. Sotto questa luce essa viene già profeticamente adombrata nella promessa, fatta ai progenitori caduti in peccato, circa la vittoria sul serpente (cfr. Gen 3,15). Parimenti, è lei, la Vergine, che concepirà e partorirà un Figlio, il cui nome sarà Emanuele (cfr. Is 7, 14; Mt 1,22-23). Essa primeggia tra quegli umili e quei poveri del Signore che con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza. E infine con lei, la figlia di Sion per eccellenza, dopo la lunga attesa della promessa, si compiono i tempi e si instaura la nuova « economia », quando il Figlio di Dio assunse da lei la natura umana per liberare l’uomo dal peccato coi misteri della sua carne.

Maria nell’annunciazione

Il Padre delle misericordie ha voluto che l’accettazione da parte della predestinata madre precedesse l’incarnazione, perché così, come una donna aveva contribuito a dare la morte, una donna contribuisse a dare la vita. Ciò vale in modo straordinario della madre di Gesù, la quale ha dato al mondo la vita stessa che tutto rinnova e da Dio è stata arricchita di doni consoni a tanto ufficio. Nessuna meraviglia quindi se presso i santi Padri invalse l’uso di chiamare la madre di Dio la tutta santa e immune da ogni macchia di peccato, quasi plasmata dallo Spirito Santo e resa nuova creatura.  Adornata fin dal primo istante della sua concezione dagli splendori di una santità del tutto singolare, la Vergine di Nazaret è salutata dall’angelo dell’annunciazione, che parla per ordine di Dio, quale « piena di grazia » (cfr. Lc 1,28) e al celeste messaggero essa risponde « Ecco l’ancella del Signore: si faccia in me secondo la tua parola » (Lc 1,38). Così Maria, figlia di Adamo, acconsentendo alla parola divina, diventò madre di Gesù, e abbracciando con tutto l’animo, senza che alcun peccato la trattenesse, la volontà divina di salvezza, consacrò totalmente se stessa quale ancella del Signore alla persona e all’opera del Figlio suo, servendo al mistero della redenzione in dipendenza da lui e con lui, con la grazia di Dio onnipotente. Giustamente quindi i santi Padri ritengono che Maria non fu strumento meramente passivo nelle mani di Dio, ma che cooperò alla salvezza dell’uomo con libera fede e obbedienza. Infatti, come dice Sant’Ireneo, essa «con la sua obbedienza divenne causa di salvezza per sé e per tutto il genere umano » . Per cui non pochi antichi Padri nella loro predicazione volentieri affermano con Ireneo che «il nodo della disobbedienza di Eva ha avuto la sua soluzione coll’obbedienza di Maria; ciò che la vergine Eva legò con la sua incredulità, la vergine Maria sciolse con la sua fede» e, fatto il paragone con Eva, chiamano Maria «madre dei viventi e affermano spesso: « la morte per mezzo di Eva, la vita per mezzo di Maria ».

Maria e l’infanzia di Gesù

Questa unione della madre col figlio nell’opera della redenzione si manifesta dal momento della concezione verginale di Cristo fino alla morte di lui; e prima di tutto quando Maria, partendo in fretta per visitare Elisabetta, è da questa proclamata beata per la sua fede nella salvezza promessa, mentre il precursore esultava nel seno della madre (cfr. Lc 1,41-45); nella natività, poi, quando la madre di Dio mostrò lieta ai pastori e ai magi il Figlio suo primogenito, il quale non diminuì la sua verginale integrità, ma la consacrò. Quando poi lo presentò al Signore nel tempio con l’offerta del dono proprio dei poveri, udì Simeone profetizzare che il Figlio sarebbe divenuto segno di contraddizione e che una spada avrebbe trafitto l’anima della madre, perché fossero svelati i pensieri di molti cuori (cfr. Lc 2,34-35). Infine, dopo avere perduto il fanciullo Gesù e averlo cercato con angoscia, i suoi genitori lo trovarono nel tempio occupato nelle cose del Padre suo, e non compresero le sue parole. E la madre sua conservava tutte queste cose in cuor suo e le meditava (cfr. Lc 2,41-51).

nozze-di-cana1Maria e la vita pubblica di Gesù

Nella vita pubblica di Gesù la madre sua appare distintamente fin da principio, quando alle nozze in Cana di Galilea, mossa a compassione, indusse con la sua intercessione Gesù Messia a dar inizio ai miracoli (cfr. Gv 2 1-11). Durante la predicazione di lui raccolse le parole con le quali egli, mettendo il Regno al di sopra delle considerazioni e dei vincoli della carne e del sangue, proclamò beati quelli che ascoltano e custodiscono la parola di Dio (cfr Mc 3,35; Lc 11,27-28), come ella stessa fedelmente faceva (cfr. Lc 2,19 e 51). Così anche la beata Vergine avanzò nella peregrinazione della fede e serbò fedelmente la sua unione col Figlio sino alla croce, dove, non senza un disegno divino, se ne stette (cfr. Gv 19,25), soffrendo profondamente col suo Unigenito e associandosi con animo materno al suo sacrifico, amorosamente consenziente all’immolazione della vittima da lei generata; e finalmente dallo stesso Gesù morente in croce fu data quale madre al discepolo con queste parole: Donna, ecco tuo figlio (cfr. Gv 19,26-27).

Maria dopo l’ascensione

Essendo piaciuto a Dio di non manifestare apertamente il mistero della salvezza umana prima di effondere lo Spirito promesso da Cristo, vediamo gli apostoli prima del giorno della Pentecoste « perseveranti d’un sol cuore nella preghiera con le donne e Maria madre di Gesù e i suoi fratelli» (At 1,14); e vediamo anche Maria implorare con le sue preghiere il dono dello Spirito che all’annunciazione, l’aveva presa sotto la sua ombra. Infine la Vergine immacolata, preservata immune da ogni macchia di colpa originale finito il corso della sua vita terrena, fu assunta alla celeste gloria in anima e corpo e dal Signore esaltata quale regina dell’universo per essere così più pienamente conforme al figlio suo, Signore dei signori (cfr. Ap 19,16) e vincitore del peccato e della morte .

Dalla Costituzione dogmatica, Lumen gentium, nn. 56-59

 

Vivere Maria per donare Cristo

maria1È essenziale della maternità il fatto di riferirsi alla persona. Essa determina sempre un’unica ed irripetibile relazione fra due persone: della madre col figlio e del figlio con la madre. Anche quando una stessa donna è madre di molti figli, il suo personale rapporto con ciascuno di essi caratterizza la maternità nella sua stessa essenza. Ciascun figlio, infatti, è generato in modo unico ed irripetibile, e ciò vale sia per la madre che per il figlio. Ciascun figlio viene circondato nel medesimo modo da quell’amore materno, sul quale si basa la sua formazione e maturazione nell’umanità. Si può dire che la maternità «nell’ordine della grazia» mantenga l’analogia con ciò che «nell’ordine della natura» caratterizza l’unione della madre col figlio. In questa luce diventa più comprensibile perché nel testamento di Cristo sul Golgota la nuova maternità di sua madre sia stata espressa al singolare, in riferimento ad un uomo: «Ecco il tuo figlio».Si può dire, inoltre, che in queste stesse parole venga pienamente indicato il motivo della dimensione mariana della vita dei discepoli di Cristo: non solo di Giovanni, che in quell’ora stava sotto la Croce insieme alla madre del suo Maestro, ma di ogni discepolo di Cristo, di ogni cristiano. Il redentore affida sua madre al discepolo e, nello stesso tempo, gliela dà come madre. La maternità di Maria che diventa eredità dell’uomo è un dono: un dono che Cristo stesso fa personalmente ad ogni uomo. Il Redentore affida Maria a Giovanni in quanto affida Giovanni a Maria. Ai piedi della croce ha inizio quello speciale affidamento dell’uomo alla Madre di Cristo, che nella storia della Chiesa fu poi praticato ed espresso in diversi modi. Quando lo stesso apostolo ed evangelista, dopo aver riportato le parole rivolte da Gesù sulla Croce alla madre ed a lui stesso, aggiunge: «E da quel momento il discepolo la prese con sé» (Gv 19,27), questa affermazione certamente vuol dire che al discepolo fu attribuito un ruolo di figlio e che egli si assunse la cura della Madre dell’amato Maestro. E poiché Maria fu data come madre personalmente a lui, l’affermazione indica, sia pure indirettamente, quanto esprime l’intimo rapporto di un figlio con la madre. E tutto questo si può racchiudere nella parola «affidamento». L’affidamento è la risposta all’amore di una persona e, in particolare, all’amore della madre. La dimensione mariana della vita di un discepolo di Cristo si esprime in modo speciale proprio mediante tale affidamento filiale nei riguardi della Madre di Dio, iniziato col testamento del Redentore sul Golgota. Affidandosi filialmente a Maria, il cristiano, come l’apostolo Giovanni, accoglie «fra le sue cose proprie la Madre di Cristo e la introduce in tutto lo spazio della propria vita interiore, cioè nel suo «io» umano e cristiano: «La prese con sé». Così egli cerca di entrare nel raggio d’azione di quella «materna carità», con la quale la Madre del Redentore «si prende cura dei fratelli del Figlio suo» «alla cui rigenerazione e formazione ella coopera» secondo la misura del dono, propria di ciascuno per la potenza dello Spirito di Cristo. Così anche si esplica quella maternità secondo lo spirito, che è diventata la funzione di Maria sotto la Croce e nel cenacolo.

Dalla Lettera Enciclica,

Giovanni Paolo II, Redemptoris Mater (1987), 45

 

Lo Spirito, Maria e la Chiesa

mariLa Chiesa «diventa madre… accogliendo con fedeltà la parola di Dio». Come Maria che ha creduto per prima, accogliendo la parola di Dio a lei rivelata nell’annunciazione, e rimanendo ad essa fedele in tutte le sue prove fino alla Croce, così la Chiesa diventa madre quando, accogliendo con fedeltà la parola di Dio, «con la predicazione e il battesimo genera a una vita nuova e immortale i figli, concepiti ad opera dello Spirito Santo e nati da Dio». Questa caratteristica «materna» della Chiesa è stata espressa in modo particolarmente vivido dall’Apostolo delle genti, quando scriveva: «Figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore, finché non sia formato Cristo in voi!» (Gal 4,19). In queste parole di san Paolo è contenuta una traccia interessante della consapevolezza materna della Chiesa primitiva, legata al suo servizio apostolico tra gli uomini. Tale consapevolezza permetteva e permette costantemente alla Chiesa di vedere il mistero della sua vita e della sua missione sull’esempio della stessa Genitrice del Figlio, che è il «primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29). Si può dire che la Chiesa apprenda da Maria anche la propria maternità: essa riconosce la dimensione materna della sua vocazione, legata essenzialmente alla sua natura sacramentale, «contemplando l’arcana santità di lei, imitandone la carità e adempiendo fedelmente la volontà del Padre». Se la Chiesa è segno e strumento dell’intima unione con Dio, lo è a motivo della sua maternità: perché, vivificata dallo Spirito, «genera» figli e figlie dell’umana famiglia a una vita nuova in Cristo. Perché, come Maria è al servizio del mistero dell’incarnazione, così la Chiesa rimane al servizio del mistero dell’adozione a figli mediante la grazia. Al tempo stesso, sull’esempio di Maria, la Chiesa rimane la vergine fedele al proprio sposo: «Essa pure è vergine, che custodisce integra e pura la fede data allo sposo». La Chiesa è, infatti, la sposa di Cristo, come risulta dalle Lettere paoline (Ef 5,21); (2Cor 11,2) e dall’appellativo giovanneo: «la sposa dell’Agnello» (Ap 21,9). Se la Chiesa come sposa «custodisce la fede data a Cristo», questa fedeltà, benché nell’insegnamento dell’apostolo sia divenuta immagine del matrimonio (Ef 5,23), possiede anche il valore di tipo della totale donazione a Dio nel celibato «per il Regno dei cieli», ossia della verginità consacrata a Dio (Mt 19,11); (2Cor 11,2). Proprio tale verginità, sull’esempio della Vergine di Nazareth, è fonte di una speciale fecondità spirituale: è fonte della maternità nello Spirito Santo. Ma la Chiesa custodisce anche la fede ricevuta da Cristo: sull’esempio di Maria, che serbava e meditava in cuor suo (Lc 2,19) tutto ciò che riguardava il suo Figlio divino, essa è impegnata a custodire la Parola di Dio, ad indagarne le ricchezze con discernimento e prudenza, per dame in ogni epoca fedele testimonianza a tutti gli uomini.

Stante questo rapporto di esemplarità, la Chiesa si incontra con Maria e cerca di diventare simile a lei: «Ad imitazione della madre del suo Signore, con la virtù dello Spirito Santo, conserva verginalmente integra la fede, solida la speranza, sincera la carità». Maria è, dunque, presente nel mistero della Chiesa come modello. Ma il mistero della Chiesa consiste anche nel generare gli uomini ad una vita nuova ed immortale: è la sua maternità nello Spirito Santo. È qui Maria non solo è modello e figura della Chiesa, ma è molto di più. Infatti, «con amore di madre ella coopera alla rigenerazione e formazione» dei figli e figlie della madre Chiesa. La maternità della Chiesa si attua non solo secondo il modello e la figura della Madre di Dio, ma anche con la sua «cooperazione». La Chiesa attinge copiosamente da questa cooperazione, cioè dalla mediazione materna, che è caratteristica di Maria, in quanto già in terra ella cooperò alla rigenerazione e formazione dei figli e delle figlie della Chiesa come Madre di quel Figlio che Dio ha posto quale primogenito tra molti fratelli». Vi cooperò – come insegna il Concilio Vaticano II – con amore di madre. Si scorge qui il reale valore delle parole dette da Gesù a sua madre nell’ora della Croce: «Donna, ecco il tuo figlio» e al discepolo: «Ecco la tua madre» (Gv 19,26). Sono parole che determinano il posto di Maria nella vita dei discepoli di Cristo ed esprimono – come ho già detto – la sua nuova maternità quale Madre del Redentore: la maternità spirituale, nata dall’intimo del mistero pasquale del Redentore del mondo. E una maternità nell’ordine della grazia, perché implora il dono dello Spirito Santo che suscita i nuovi figli di Dio, redenti mediante il sacrificio di Cristo: quello Spirito che insieme alla Chiesa anche Maria ha ricevuto nel giorno di pentecoste. Questa sua maternità è particolarmente avvertita e vissuta dal popolo cristiano nel sacro Convito – celebrazione liturgica del mistero della redenzione -, nel quale si fa presente Cristo, il suo vero corpo nato da Maria Vergine. Ben a ragione la pietà del popolo cristiano ha sempre ravvisato un profondo legame tra la devozione alla Vergine santa e il culto dell’Eucaristia: è, questo, un fatto rilevabile nella liturgia sia occidentale che orientale, nella tradizione delle Famiglie religiose, nella spiritualità dei movimenti contemporanei anche giovanili, nella pastorale dei santuari mariani. Maria guida i fedeli all’Eucaristia.

Dalla Lettera Enciclica,

Giovanni Paolo II, Redemptoris Mater (1987), 43-44

 

 

Mater Verbi Dei e Mater fidei

I Padri sinodali hanno dichiarato che scopo fondamentale della XII Assemblea è stato di «rinnovare la fede della Chiesa nella Parola di Dio»; per questo è necessario guardare là dove la reciprocità tra Parola di Dio e fede si è compiuta perfettamente, ossia a Maria Vergine, «che con il suo sì alla Parola d’Alleanza e alla sua missione, compie perfettamente la vocazione divina dell’umanità». La realtà umana, creata per mezzo del Verbo, trova la sua figura compiuta proprio nella fede obbediente di Maria. Ella dall’Annunciazione alla Pentecoste si presenta a noi come donna totalmente disponibile alla volontà di Dio. È l’Immacolata Concezione, colei che è «colmata di grazia» da Dio (cfr Lc 1,28), docile in modo incondizionato alla Parola divina (cfr Lc 1,38). La sua fede obbediente plasma la sua esistenza in ogni istante di fronte all’iniziativa di Dio. Vergine in ascolto, ella vive in piena sintonia con la divina Parola; serba nel suo cuore gli eventi del suo Figlio, componendoli come in un unico mosaico (cfr Lc 2,19.51). È necessario nel nostro tempo che i fedeli vengano introdotti a scoprire meglio il legame tra Maria di Nazareth e l’ascolto credente della divina Parola. Esorto anche gli studiosi ad approfondire maggiormente il rapporto tra mariologia e teologia della Parola. Da ciò potrà venire grande beneficio sia per la vita spirituale che per gli studi teologici e biblici. Infatti, quanto l’intelligenza della fede ha tematizzato in relazione a Maria si colloca nel centro più intimo della verità cristiana. In realtà, l’incarnazione del Verbo non può essere pensata a prescindere dalla libertà di questa giovane donna che con il suo assenso coopera in modo decisivo all’ingresso dell’Eterno nel tempo. Ella è la figura della Chiesa in ascolto della Parola di Dio che in lei si fa carne. Maria è anche simbolo dell’apertura per Dio e per gli altri; ascolto attivo, che interiorizza, assimila, in cui la Parola diviene forma della vita.

In questa circostanza desidero richiamare l’attenzione sulla familiarità di Maria con la Parola di Dio. Ciò risplende con particolare efficacia nel Magnificat. Qui, in un certo senso, si vede come Ella si identifichi con la Parola, entri in essa; in questo meraviglioso cantico di fede la Vergine esalta il Signore con la sua stessa Parola: «Il Magnificat – un ritratto, per così dire, della sua anima – è interamente tessuto di fili della sacra Scrittura, di fili tratti dalla Parola di Dio. Così si rivela che lei nella Parola di Dio è veramente a casa sua, ne esce e vi rientra con naturalezza. Ella parla e pensa con la Parola di Dio; la Parola di Dio diventa parola sua, e la sua parola nasce dalla Parola di Dio. Così si rivela, inoltre, che i suoi pensieri sono in sintonia con i pensieri di Dio, che il suo volere è un volere insieme con Dio. Essendo intimamente penetrata dalla Parola di Dio, ella può diventare madre della Parola incarnata».

Inoltre, il riferimento alla Madre di Dio ci mostra come l’agire di Dio nel mondo coinvolga sempre la nostra libertà perché nella fede la Parola divina ci trasforma. Anche la nostra azione apostolica e pastorale non potrà mai essere efficace se non impariamo da Maria a lasciarci plasmare dall’opera di Dio in noi: «L’attenzione devota e amorosa alla figura di Maria come modello e archetipo della fede della Chiesa, è di importanza capitale per operare anche oggi un concreto cambiamento di paradigma nel rapporto della Chiesa con la Parola, tanto nell’atteggiamento di ascolto orante quanto nella generosità dell’impegno per la missione e l’annuncio.

Contemplando nella Madre di Dio un’esistenza totalmente modellata dalla Parola, ci scopriamo anche noi chiamati ad entrare nel mistero della fede, mediante la quale Cristo viene a dimorare nella nostra vita. Ogni cristiano che crede, ci ricorda sant’Ambrogio, in un certo senso, concepisce e genera il Verbo di Dio in se stesso: se c’è una sola Madre di Cristo secondo la carne, secondo la fede, invece, Cristo è il frutto di tutti. Dunque, quanto è accaduto a Maria può riaccadere in ciascuno di noi ogni giorno nell’ascolto della Parola e nella celebrazione dei Sacramenti.

Dall’Esortazione post-sinodale,

Benedetto XVI, Verbum domini (2010), 27