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Primo piano

Più collaborazione con le religiose…

“I giovani come un luogo teologico dal quale partire per leggere i segni dei tempi e approfondire la teologia della vita religiosa”. Ne parla padre Arturo Sosa Abascal, proposito generale della Compagnia di Gesù, nel suo programma per la presidenza dell’Unione superiori generali. E aggiunge: “Vogliamo, di fatto, riconoscere gli abusi in modo tale che ci conducano alla conversione personale e istituzionale, sia come Compagnia di Gesù sia come Chiesa, e che ci aiutino ad assumere un sempre maggiore impegno nella lotta per la giustizia e la trasformazione della società in cui si verificano così tanti abusi”

“Continuare a costruire una sempre maggiore collaborazione tra le congregazioni religiose, sia maschili che femminili, approfondendo il contributo della vita consacrata a favore del popolo di Dio”. Padre Arturo Sosa Abascal, proposito generale della Compagnia di Gesù, è da pochi giorni il presidente dell’Unione superiori generali (Usg), succedendo nell’incarico di rappresentare oltre 220 Istituti religiosi maschili e 200mila membri a fra Mauro Jöhri, già ministro generale dell’Ordine dei Frati minori cappuccini.

Come ha accolto la fiducia che i superiori hanno riposto in lei?
La vita religiosa è espressione dell’azione dello Spirito Santo nella Chiesa. Ogni congregazione o famiglia religiosa nasce da un’ispirazione dello Spirito e diventa un dono al popolo di Dio a servizio del mondo e della sua liberazione. Quanto più siamo fedeli a questa ispirazione dello Spirito e più collaboriamo tra di noi, religiosi e religiose, tanto migliore sarà il sevizio che potremo offrire alla missione del corpo della Chiesa al servizio di tutti gli esseri umani con lo stesso stile di Gesù, ossia, privilegiando i più poveri e i giovani.

Su quali temi si concentrerà, in particolare, nel suo mandato?
Il tema dell’Assemblea dell’Usg è stato “Ripartendo insieme…” come parte del processo iniziato con il Sinodo 2018 sui giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Per l’Usg implica

vedere i giovani come un luogo teologico dal quale partire per leggere i segni dei tempi e approfondire la teologia della vita religiosa.

Segni dei tempi importanti come la società laica vista come nuova opportunità di evangelizzazione; le conseguenze per la nostra vita e la nostra missione della trasformazione antropologica derivante dal nuovo ambiente digitale in cui viviamo; le migrazioni come fenomeno globale, complesso e di massa; l’emergere di una società globale interculturale… Abbiamo davanti a noi un programma che sfida la nostra immaginazione e riaccende il nostro desiderio di servire.

La vita consacrata sta attraversando, almeno in Occidente, una fase difficile.
Vale la pena ricordare le sfide che già il Concilio Vaticano II ci aveva posto dinanzi e che il recente Sinodo ha ripreso: un ritorno alle fonti carismatiche (re-carismatizzazione) della vita religiosa in tutta la sua varietà attuale; la conversione personale dei consacrati e delle consacrate che porti a una vita di testimonianza della fiducia in Dio e a una vita comunitaria che sia segno di riconciliazione tra gli uomini, la natura creata e Dio; la vicinanza ai poveri e una vita di povertà come segni di fiducia in Dio e piena disponibilità alla missione; il discernimento della missione di ciascun istituto nel presente, con orientamento al futuro; l’aggiornamento delle strutture organizzative e la pianificazione apostolica delle risorse a disposizione.

Ha intenzione di intensificare anche il rapporto con le religiose?

In termini pratici, vogliamo incrementare significativamente la collaborazione con la vita consacrata femminile, non solo perché rappresenta più di due terzi della vita consacrata, ma anche per la varietà dei suoi carismi e il suo enorme contributo a favore della missione della Chiesa e, soprattutto, per il suo importante contributo nella riconfigurazione del ruolo della donna nella vita della Chiesa. Desideriamo inoltre proporre un’educazione e una pedagogia per il nuovo essere umano del mondo digitale.

La nuova epoca storica dell’umanità pone alla tradizione educativa e pedagogica la bella sfida di proporre la stessa tradizione in una forma che umanizzi anche i tempi nuovi e avvicini le nuove generazioni alla fede in Gesù Cristo.

In un messaggio a tutta la Compagnia di Gesù sul tema degli abusi, lei ha chiesto di “andare al di là della stessa tolleranza zero”. Quali politiche preventive e repressive avete adottato?

Vogliamo, di fatto, riconoscere gli abusi in modo tale che ci conducano alla conversione personale e istituzionale, sia come Compagnia di Gesù sia come Chiesa, e che ci aiutino ad assumere un sempre maggiore impegno nella lotta per la giustizia e la trasformazione della società in cui si verificano così tanti abusi.

Attraverso la presa di coscienza degli abusi e del loro insabbiamento si apre una porta alla conversione personale e istituzionale in tutte le dimensioni della vita della Chiesa e dei suoi membri.

La Chiesa, attraverso un processo di conversione, può impegnarsi nella trasformazione della società e contribuire a generare le condizioni di una vita sana per i minori e le persone vulnerabili. Ci troviamo davanti a un’enorme sfida e a un complesso cambiamento culturale.

Come superiori generali, che contributo porterete in questo ambito all’incontro di febbraio che il Papa ha indetto in Vaticano sul tema della protezione dei minori nella Chiesa?

Porteremo la nostra esperienza dolorosa per i casi che abbiamo avuto, ciò che abbiamo imparato alla scuola dell’ascolto attento delle vittime, negli sforzi per rendere giustizia e riparare, ove possibile, al tanto dolore e ai danni causati. Come persone consacrate abbiamo inoltre sperimentato la misericordia di Dio che ci ha non solo perdonati e liberati dal peccato, ma anche chiamati a contribuire alla missione di riconciliare tutte le cose in Cristo. La missione di riconciliazione implica trascendere la giustizia umana e i nostri sforzi di riparazione per accettare la misericordia come il modo migliore di affrontare le ferite causate e aprirci al perdono, dato e ricevuto. La preghiera del “Padre Nostro” che ci lasciò il Signore Gesù assume, alla luce di questa situazione, una nuova attualità e si converte in fonte di ispirazione per ciò che siamo chiamati a fare come Chiesa.

Fonte: agensir.it

 

Vi ringrazio e desidero esprimere il mio sincero apprezzamento…

 Rev.da Madre Yvonne Reungoat

Presidente USMI

Rev.do Padre Luigi Gaetani

Presidente CISM

 

Ho ricevuto la vostra lettera del 7 novembre corrente, con la quale avete voluto farmi giungere la voce delle persone consacrate che operano in Italia. Vi ringrazio tanto della vostra cortese premura e delle interessanti informazioni che mi avete trasmesso circa le prospettive di più stretta collaborazione tra le due Conferenze di Superiore e Superiori Maggiori. Vi esorto a proseguire su questa strada, che certamente porterà frutti di bene.

Ho appreso poi con piacere delle numerose iniziative dei religiosi e delle religiose italiani, che hanno messo generosamente a disposizione dei migranti energie e strutture. Desidero esprimere il mio sincero apprezzamento per questa concreta sensibilità, ed auspico che essa, da una parte favorisca l’integrazione di queste persone con un doveroso rispetto delle leggi del Paese che accoglie, dall’altra parte susciti nella società un rinnovato impegno per una autentica cultura dell’accoglienza e della solidarietà, ispirata al Vangelo.

La presenza di tanti fratelli e sorelle che vivono la tragedia dell’immigrazione è un’opportunità di crescita umana, di incontro e di dialogo tra le culture, in vista della promozione della pace e della fraternità tra i popoli. Pertanto, sono vicino con l’affetto e con l’incoraggiamento ai diversi Istituti religiosi che in Italia si aprono saggiamente al complesso fenomeno migratorio con adeguati interventi di sostegno, testimoniando quei valori umani e cristiani che stanno alla base della civiltà europea. Proseguite con tenacia questo impegno solidale, affinché i migranti possano incontrare in voi dei fratelli e delle sorelle, che condividano con essi il pane e la speranza nel comune cammino.

Assicuro la mia preghiera per tutti gli Istituti che in Italia testimoniano la bellezza e la gioia della consacrazione religiosa e, mentre chiedo di perseverare nella preghiera per me, di cuore invio la Benedizione Apostolica.

Francesco

 

Dal Vaticano, 27 novembre 2018

Leggi Lettera_1 – originale https://www.usminazionale.cloud/old/wp-content/uploads/2018/12/Lettera_1.jpg

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Dalla multiculturalità all’interculturalità

Circa duecento tra Superiore generali, provinciali e consigliere appartenenti a 95 congregazioni diverse hanno partecipato al convegno dal 23 al 25 novembre c.a. sul tema: “Dalla multiculturalità all’interculturalità”. Tematica questa, presentata nell’Assemblea nazionale USMI dello scorso mese di aprile ed ora riproposta per un’ ulteriore condivisione e approfondimento.

Nella vita consacrata oggi siamo chiamate a confrontarci con interculturalità e a testimoniare che in LUI l’unità nella diversità è possibile. Non è così facile però: occorre un continuo processo di conversione per accogliere le differenze culturali come un dono reciproco per il bene comune.

Ci hanno aiutate nell’approfondimento del tema la dottoressa Antonella Anghinoni, biblista e la professoressa Giuliana Martirani, docente di geografia politica ed economica. Inoltre suor Ana Paola Da Rocha Ferrerira delle suore Scalabriniane) e suor Elisa Kidané, delle suore comboniane nella “tavola rotonda” hanno comunicato la loro esperienza nel campo della formazione e dell’evangelizzazione.

Il Convegno si è aperto con il saluto e l’introduzione della Presidente dell’USMI Nazionale, madre Yvonne Reungoat, nella quale ha messo in evidenza l’importanza del tema poiché oggi, nel rapido mutamento sociale, le nostre congregazioni sono attente all’internazionalità; da qui la necessità di ascoltare l’appello dello Spirito per camminare e progredire nell’unità e nella comunione.

Alla biblista Antonella Anghinoni era stato affidato, all’inizio del Convegno, il tema: “La storia di Rut, donna altra. Non solo l’altro da me, ma l’altro di me”.

Partendo dal testo biblico, con competenza e vivacità, la relatrice ha spiegato i termini della lingua ebraica rendendo espliciti il significato dei nomi che indicano già in se stessi la missione. Rut la “straniera”, la moabita, accoglie la suocera accogliendo il suo popolo e il suo Dio. L’incontro con Booz, provvidenziale e fecondo dà il “figlio a Noemi” e rende concreta la discendenza davidica. Come Rut occorre “farsi prossimo”, imparare ad ascoltare, farsi “compagne di viaggio”, “riconoscere il dono di Dio nell’altra persona”, saper dare il nome alle situazioni, mettere insieme i doni di Dio di ciascuna persona e valorizzarli, coltivare una “mentalità di cambiamento”, mantenere la propria identità e conoscere l’altro, essere capaci di “scelte in perdita che portano un di più di vita”, mantenere l’interesse della comunità al di sopra del proprio personale interesse.

La professoressa Giuliana Martirani, alla quale è stato chiesto di sviluppare il tema dell’intercultura come laboratorio di ospitalità solidale, attraverso le alcune slides di diverse cartine geografiche, ci ha illustrato, inizialmente, la situazione del sud del mondo e il movimento migratorio attuale. Con il metodo del vedere – giudicare – agire ha indicato la necessità di una coraggiosa rivoluzione culturale per integrare la storia e la cultura, per vivere le differenze come armonia di un disegno divino che ci invita a partecipare alla creazione nella gioia di saperci artefici con il Creatore di un mondo nuovo. Una buona dose di “vino nuovo dell’umiltà” ci permetterà di stare nel mondo come “persone nuove”, di essere “contempl-attive”, di ricablare la mente attraverso la meditazione e la contemplazione e di passare dall’indifferenza per l’altro alla mistica della compassione.

Infine la relatrice ha illustrato il significato del ministero dell’”ostiariato”, il “ministero del benvenuto e delle porte aperte”, il ministero dell’accoglienza che è proprio della vita consacrata perché è il ministero della misericordia.

Nel pomeriggio la suddivisione in gruppi ha permesso lo scambio circolare di esperienze.

Nella tavola rotonda conclusiva del Convegno, suor Ana Paola Da Rocha Ferreira, ha condiviso con l’assemblea “esperienze di interculturalità nella vita fraterna”. Alcuni flash della sua comunicazione: “È necessario riconoscere la diversità e la bellezza delle culture diverse dalla propria, senza mortificare la creatività, ma cercando l’armonia. Per questo occorre una conversione personale, cioè la capacità di integrare la propria cultura per godere di un dono più grande che è la ricchezza della differenza. Questo richiede un esercizio di umiltà che necessita di un costante confronto e discernimento.

Suor Elisa Kidané, ha comunicato all’assemblea “esperienze di interculturalità nell’annuncio del vangelo” e ha ribadito l’importanza fondamentale della formazione e dell’accoglienza della diversità. Ha aggiunto inoltre: “L’interculturalità ci interpella; l’altra cultura mi interroga e mi fa crescere, mi apre, mi toglie dalla chiusura su me stessa e su quello che ho sempre conosciuto”. “Togliti i sandali – dice Dio a Mosé – perché quella che calpesti è terra santa”. Questo è l’atteggiamento che ci viene chiesto quando ci relazioniamo con l’altro: accoglienza e rispetto, perché ogni persona è sacra, ogni popolo è sacro. Continuando poi la sua relazione suor Elisa, ha fatto notare l’importanza del linguaggio nella comunicazione del vangelo, un linguaggio all’insegna dell’amore richiamando l’invito di Gesù: “Amatevi gli uni gli altri, da questo conosceranno che siete miei discepoli”. Sentirsi “figlie di ogni popolo” è un “valore aggiunto”, un dono del Signore.

Le domande in assemblea hanno permesso infine di ritornare su alcuni concetti particolarmente importanti.

Madre Yvonne Reungoat, a conclusione del Convegno ha ringraziato il Signore per la ricchezza dei contenuti, la competenza delle relatrici, il clima sereno e ha sottolineato ancora una volta l’importanza di continuare il cammino della comunione nella diversità delle culture e nella ricchezza del carisma di ciascuna Congregazione.

FLEBILI FIAMMELLE DI SPERANZA E DI UMANITA’

Martiri di Tibhirine. Sono testimoni della speranza e artigiani della pace

 La beatificazione dei 19 martiri d’Algeria che si terrà l’8 dicembre ad Orano nel santuario di Notre-Dame di Santa Cruz, “è un evento unico nella storia della Chiesa”. È, infatti, la prima volta che dei martiri cristiani vengono proclamati beati in un Paese musulmano. “È un fatto inedito, sia per la Chiesa sia per l’Algeria. Dice qualcosa della memoria che si conserva ancora oggi viva di questi beati”, osserva padre Thomas Georgeon, monaco trappista e postulatore della causa di beatificazione

“Artigiani della pace”, “flebili fiammelle di speranza e di umanità in un oceano di sangue”, uomini e donne di dialogo in un Paese in cui il 99% della popolazione è di fede musulmana. Profondamente amati dal popolo algerino. È ancora oggi forte la memoria in Algeria dei diciannove martiri cristiani uccisi tra il 1994 e il 1996 in un decennio tragico che insanguinò il Paese massacrando giornalisti, attivisti per i diritti umani, intellettuali e imam. A delineare il loro profilo è padre Thomas Georgeon, monaco trappista e postulatore della causa di beatificazione.

“Uno dei significati della loro beatificazione è che siamo tutti chiamati a vivere l’alterità, cioè ad accogliere la differenza dell’altro, anche se non condivide la mia fede. Troppo spesso l’altro ci fa paura e si preferisce vivere tra quelli che ci assomigliano. Ma penso che nel mondo di oggi la differenza ci sia donata per arricchirci, perché ci fa crescere nella nostra identità. Non ce la fa perdere ma ci permette di andare a fondo alle nostre radici, sia umane sia religiose.

Erano religiosi che svolgevano il loro compito nella società algerina, facendo parte della Chiesa algerina che è una Chiesa particolare di sole 3mila persone immersa in un Paese al 99% musulmano. C’era da parte di tutti loro una dedizione al popolo algerino. Molti erano un punto di riferimento per il quartiere o il borgo in cui vivevano. Erano presenti durante gli anni tragici in Algeria per tenere viva una flebile fiammella di speranza e di umanità. E poi anche per testimoniare fino alla fine la loro amicizia anzitutto con Gesù e quindi con la gente che viveva loro accanto. Tra i martiri ci sono anche 6 religiose, sicuramente meno conosciute dei monaci di Tibhirine. Sorelle che si dedicavano chi all’eduzione delle ragazze con un centro di ricamo in una zona povera di Algeri. Chi nel campo delle cure ai bambini disabili e chi ai bisogni delle famiglie. Erano persone molto semplici che hanno vissuto nella quotidianità un rapporto con l’altro, l’altro musulmano, per tessere un dialogo che non è dialogo teologico ma dialogo della vita e così facendo, ci dimostrano che un vivere insieme è una meta possibile.

Sicuramente erano artigiani di pace, persone che hanno avuto il coraggio e anche il desiderio di rimanere accanto al popolo algerino proprio quando attraversava una tragedia. Per esempio, ad Orano dove Claverie è stato vescovo per 15 anni, è ancora molto forte la traccia che ha lasciato in città, perché era un uomo che entrava in dialogo non solo con i cristiani, ma con tutti, con il mondo della cultura, dell’educazione, con i politici ed ha tessuto legami di amicizia fortissimi. E poi i monaci di Tibhirine, anche loro, erano una presenza silenziosa nelle montagne dell’Atlante algerino e sono ricordati in Algeria. Oggi il loro monastero è diventato meta di pellegrinaggio per centinaia di persone e il 95% dei pellegrini è musulmano. La loro testimonianza è una provocazione. Viviamo in un clima di individualismo sfrenato che ci porta a metterci sempre davanti e a cercare il riconoscimento di noi stessi nel rapporto con l’altro. Mentre loro ci provocano nella gratuità perché hanno dato interamente la loro vita agli altri, come un dono, anche con il perdono.

Il testamento di Christian de Chergé è una pagina oggi molto sentita, uno dei testi più importanti della spiritualità del XX secolo. E in questo testo egli da il perdono a chi lo avrebbe ucciso. Questi martiri hanno scelto di condividere fino alla morte la sorte del popolo algerino. E nella scelta di rimanere c’era anche la volontà di vivere il perdono a chi li avrebbe un giorno uccisi. Sono spesso chiamati testimoni della speranza, perché in mezzo a un oceano di sangue che ha travolto l’Algeria, loro erano questa piccola fiamma di speranza, la speranza di un futuro migliore.

Chiara Biagioni

AgenSir, 19.XI.2018

GIORNATA MONDIALE DEI POVERI 2018

La Giornata mondiale dei poveri, giunta quest’anno alla sua seconda edizione, è stata istituita da Papa Francesco al termine del Giubileo della misericordia, nella lettera apostolica “Misericordia et misera”.

“Alla luce del Giubileo delle persone socialmente escluse, mentre in tutte le cattedrali e nei santuari del mondo si chiudevano le Porte della Misericordia, ho intuito che, come ulteriore segno concreto di questo Anno Santo straordinario, si debba celebrare in tutta la Chiesa, nella ricorrenza della XXXIII Domenica del Tempo Ordinario, la Giornata mondiale dei poveri”, scrive Francesco a conclusione della lettera apostolica. È stato lui stesso, così, a rivelare la genesi dell’iniziativa, pensata in uno dei momenti più inediti ed eloquenti del Giubileo, in una piazza San Pietro popolata da migliaia di senza tetto, poveri ed emarginati per la giornata dell’Anno della Misericordia a loro dedicata, il 13 novembre 2016.

“Un serio esame di coscienza” per capire chi sono davvero i poveri e se siamo davvero capaci di ascoltarli. A chiederlo è il Papa, nel messaggio per questa seconda giornata, in programma il 18 novembre sul tema: “Questo povero grida e il Signore lo ascolta”.

Tre imperativi – “gridare, rispondere, liberare” – per contrastare una cultura che tende a ignorare i poveri, i rifiutati e gli emarginati, presa com’è dalla trappola del narcisismo e del protagonismo. E che dimentica che la povertà non è cercata, ma è frutto di mali – antichi quanto l’uomo, ma pur sempre peccati – dalle “conseguenze sociali e drammatiche”. Come la “fobia” verso i poveri, considerati gente che porta con sé insicurezza e instabilità, quindi da respingere e tenere lontani. “Voci stonate”, le definisce Francesco, che mette in guardia anche dalla tentazione della delega o dell’assistenzialismo e stigmatizza politiche “indegne di questo nome”, che opprimono i poveri o li intimoriscono con la violenza.

“Il Signore – scrive Francesco – ascolta i poveri che gridano a lui ed è buono con quelli che cercano rifugio in lui con il cuore spezzato dalla tristezza, dalla solitudine e dall’esclusione. Ascolta quanti vengono calpestati nella loro dignità e, nonostante questo, hanno la forza di innalzare lo sguardo verso l’alto per ricevere luce e conforto. Ascolta coloro che vengono perseguitati in nome di una falsa giustizia, oppressi da politiche indegne di questo nome e intimoriti dalla violenza; eppure sanno di avere in Dio il loro Salvatore”. “Nessuno può sentirsi escluso dall’amore del Padre, specialmente in un mondo che eleva spesso la ricchezza a primo obiettivo e rende chiusi in sé stessi”, è il monito del Papa, che esorta a prestare la nostra attenzione “a quanti sono poveri, rifiutati ed emarginati”.

“È il silenzio dell’ascolto ciò di cui abbiamo bisogno per riconoscere la loro voce”. Se parliamo troppo noi, non riusciremo ad ascoltare loro. Tante iniziative “pur meritevoli e necessarie”, denuncia, sono rivolte “più a compiacere noi stessi che a recepire davvero il grido del povero”. “Non è un atto di delega ciò di cui i poveri hanno bisogno, ma il coinvolgimento personale di quanti ascoltano il loro grido”.

La Giornata mondiale dei poveri, spiega il Papa, “intende essere una piccola risposta che dalla Chiesa intera, sparsa per tutto il mondo, si rivolge ai poveri di ogni tipo e di ogni terra perché non pensino che il loro grido sia caduto nel vuoto. Probabilmente, è come una goccia d’acqua nel deserto della povertà; e tuttavia può essere un segno di condivisione per quanti sono nel bisogno, per sentire la presenza attiva di un fratello e di una sorella”.

“Quanti poveri sono oggi al bordo della strada e cercano un senso alla loro condizione! Quanti si interrogano sul perché sono arrivati in fondo a questo abisso e su come ne possono uscire!”. Come Bartimeo con Gesù, attendono che qualcuno si avvicini loro e li aiuti a rialzarsi. Al contrario, ricevono rimproveri e inviti a tacere o a subire: dall’avidità e dall’ingiustizia”, ammonisce Francesco: “Quanti percorsi anche oggi conducono a forme di precarietà! La mancanza di mezzi basilari di sussistenza, la marginalità quando non si è più nel pieno delle proprie forze lavorative, le diverse forme di schiavitù sociale, malgrado i progressi compiuti dall’umanità…”.

Invito i confratelli vescovi, i sacerdoti e in particolare i diaconi, a cui sono state imposte le mani per il servizio ai poveri (cfr At 6,1-7), insieme alle persone consacrate e ai tanti laici e laiche che nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti rendono tangibile la risposta della Chiesa al grido dei poveri, a vivere questa Giornata Mondiale come un momento privilegiato di nuova evangelizzazione. I poveri ci evangelizzano, aiutandoci a scoprire ogni giorno la bellezza del Vangelo. Non lasciamo cadere nel vuoto questa opportunità di grazia. Sentiamoci tutti, in questo giorno, debitori nei loro confronti, perché tendendo reciprocamente le mani l’uno verso l’altro, si realizzi l’incontro salvifico che sostiene la fede, rende fattiva la carità e abilita la speranza a proseguire sicura nel cammino verso il Signore che viene.

 

Un punto di arrivo e di partenza…

Un evento storico, sabato 27 ottobre 2018 nella sede storica dell’USMI Nazionale. Ormai in questo stabile ha posto la sua sede la CISM (Conferenza Italiana dei Superiori Maggior). Un passo importante, altamente significativo, un punto di arrivo e di partenza nella prospettiva di una comunione più grande», l’ha definito madre Yvonne Reungoat, presidente dell’USMI, inaugurando l’anno socio-pastorale nei locali appena rinnovati.

Il processo di collaborazione avviato, ha rilevato, «sfida la nostra capacità di comunione e la rilevanza stessa della vita consacrata». Il «fare casa insieme», ha sintetizzato madre Reungoat, rappresenta «un atto di speranza nel nostro futuro». La scelta, ha aggiunto padre Luigi Gaetani, presidente della CISM, è stata quella di «andare oltre lo status quo, di coltivare una fedeltà dinamica ai nostri stessi organismi, adattandone le forme alle nuove situazioni e ai diversi bisogni». Consapevoli che «il futuro si costruisce mettendo insieme le risorse di pensiero, cuore ed opere, riconoscendosi nella verità di una comunione e preservandoci da quella che papa Francesco chiama la malattia dell’autoreferenzialità. La comunione, infatti, è un percorso progressivo che diventa capacità di pensare e osare insieme».

L’evento è stato partecipato da parte del personale laico, che all’USMI collabora nei diversi servizi, di religiosi e religiose di varie Congregazioni, di sorelle che hanno dato e continuano a dare un prezioso contributo alla vita e alla missione dell’USMI Nazionale nella Chiesa e nella società.

La celebrazione ha espresso il GRAZIE al Signore che non fa mancare la sua grazia, le sue benedizioni a chi “confida in Lui” e alle tante religiose e religiose che ancora oggi con impegno e con passione testimoniano di essere donne e uomini dell’oltre.

Un momento di convivialità ha concluso l’incontro.

Saluto della madre Presidente          saluto USMI CISM 2018

Articolo   Avvenire_20181028_A21_7

Ci sembra opportuno non tacere…

I religiosi e le religiose d’Italia

tra cultura dell’accoglienza e fedeltà a Papa Francesco

 

Abbiamo atteso a lungo prima di far sentire la voce delle Religiose (USMI) e dei Religiosi (CISM) che vivono in Italia, che fanno parte di questo Paese e di questa Chiesa, perché ci sembra opportuno non tacere su questioni che ci vedono in prima linea: l’impegno alla cultura dell’accoglienza e alla fedeltà a Papa Francesco.

        L’impegno alla cultura dell’accoglienza. Non possiamo tacere e non possiamo essere equivoci sulla questione dell’accoglienza: “Aspetto da voi gesti concreti di accoglienza dei rifugiati, di vicinanza ai poveri, di creatività…” (Papa Francesco, Lettera apostolica per l’Anno dedicato alla vita consacrata).

        Le iniziative censite dalle due Conferenze dei Religiosi (CISM) e delle Religiose (USMI) in Italia sono più di centoventi, a dimostrazione che l’invito evangelico del Papa è stato preso sul serio da parte di tante comunità che, senza tentennamenti, hanno messo a disposizione personale e strutture. Lo abbiamo fatto con franchezza evangelica, perché è proprio dei religiosi e delle religiose vedere e non girarsi dall’altra parte, in quanto l’accoglienza appartiene all’intima natura di ogni creatura, è vocazione e missione di ogni uomo, di ogni cittadino e di ogni religioso, sebbene possa realizzarsi con modalità e sensibilità carismatiche differenti.

        Siamo consapevoli, infatti, che mentre i mezzi di comunicazione hanno creato un villaggio globale, l’uomo contemporaneo non è cresciuto nella sua capacità di relazione e di accoglienza. Sono crollati i muri ideologici ma se ne sono alzati altri ben più invalicabili, edificati con la collaborazione di una informazione interessata a dare una percezione del reale più che una reale percezione della realtà. Viviamo un corto circuito tra la decantata realtà globale, in verità molto virtuale, e le spinte identitarie dove la presenza reale del diverso, dello straniero nelle nostre strade, tra le nostre case fa problema; incapaci di cogliere nel flusso migratorio una valenza positiva, una ricchezza che apra ad un confronto tra culture diverse, ad una crescita in umanità.

        Certo, l’accoglienza non è compiacimento paternalista o interesse partitico ed economico, ma proprio per queste ragioni di basso profilo, che tanto credito hanno nell’opinione pubblica, si impone un dibattito più alto nei contenuti e nelle prospettive, mettendo a tema la promozione e l’integrazione attiva e responsabile nei confronti di quella parte di umanità che fa fatica a vedere il giorno che verrà. Occorre ripartire dalla costruzione di una piattaforma di umanesimo dialogico, dove l’apprendimento della lingua, l’inserimento legale nel mondo del lavoro, l’accesso allo studio, la conoscenza e rispetto delle leggi dello Stato, la semplificazione della normativa per il permesso di soggiorno, rappresentino il punto più alto e significativo della tessitura sociale, del bene delle persone. L’assenza di regole, infatti, non solo non genera accoglienza ma pone le premesse per la cultura della paura e della manipolazione della percezione del reale, indicatori molto cari ai populismi di destra e di sinistra, a tutti coloro che teorizzano una società chiusa.

        La fedeltà al Papa è l’altro tema caldo che sta strappando la tenuta della comunione all’interno della Chiesa e che necessita di una paziente e teologale ricucitura. Noi religiosi e religiose presenti nella Chiesa italiana riaffermiamo la nostra comunione al Santo Padre Francesco, non solo come segno della memoria grata dei nostri Istituti, ma anche come comunione attuale al magistero pontificio: “ricordare per farsi carico qui e adesso”.

        Ci dissociamo, pertanto, da ogni forma di strappo alla comunione ecclesiale e, in particolare, agli attacchi rivolti contro il magistero e la persona di Papa Francesco. A tutti i religiosi e le religiose ricordiamo che l’amore e la venerazione, l’obbedienza a volte anche sofferta, ma sempre sincera, dei nostri Santi Fondatori e Fondatrici rappresentano la forma più vera per continuare a dire oggi la nostra lealtà e disponibilità a camminare insieme al Successore di Pietro, perché solo a Lui il Signore Gesù affidò il compito di confermare nella fede i fratelli (Lc 22,32).

        Le ragioni del dissenso, da parte di alcuni uomini di Chiesa e del mondo, non hanno solo motivi morali, ma affondano le radici su due questioni teologiche. La prima: le sfide del pensare la fede nel mondo moderno sono cambiate completamente rispetto al mondo pre-moderno. Oggi la questione della religiosità e della secolarità impone alla fede di formulare una risposta a nuove domande: che cosa rende attraente essere religiosi, spirituali? Che cosa invece rende attraente essere a-religiosi, senza bisogno di una religione? La seconda sfida, quella più profonda, ricorda che solo quando l’opzione dell’uomo moderno è per la religione e la spiritualità, si rende possibile la vera scelta: credere in Dio. Solo allora sarà possibile dialogare con l’uomo e la donna secolari-moderni e sarà possibile un ecumenismo spirituale.

        I religiosi e le religiose, con la loro esperienza inquieta e mistica di Dio, possono accompagnare Papa Francesco ad aprire cammini di comunione spirituale, possono testimoniare profeticamente che in mezzo ad una immensa tenebra c’è un rivolo di luce, che tutta l’esperienza di Dio è come un lampo in una notte (S. Giovanni della Croce), operando quella relativizzazione delle differenze confessionali che non è solo segno di un cattolicesimo adulto, ma anche frutto di un sapiente discernimento e di una sinodalità che danno forma evangelica alla vita cristiana, come modalità attraverso cui la Chiesa non è soltanto oggetto di indagine, ma anche soggetto che sa riflettere su sé stessa e su tutta la realtà, dove la chiamata di Papa Francesco a “uscire verso le periferie esistenziali” può trovare il suo orizzonte interpretativo.

        

Madre Yvonne Reungoat, FMA                             P. Luigi Gaetani, OCD

Presidente Nazionale dell’USMI                           Presidente Nazionale della    

                                                                                      CISM                                                    

Chaire Gynai, benvenuta donna!…

Si chiamano “Chaire Gynai”, frase in greco che sta per “Benvenuta donna”, le due case per le rifugiate con bambini e per le migranti in situazioni di vulnerabilità nate a Roma su iniziativa della Congregazione delle suore Missionarie Scalabriniane. Il progetto è stato reso possibile anche grazie alla collaborazione della Sezione “Migranti e Rifugiati” del Dicastero vaticano per il Servizio dello Sviluppo umano integrale, dalla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, dalla Uisg (Unione Internazionale Superiore Generali) e dalla Conferenza episcopale italiana. 

 Le Scalabriniane hanno coinvolto anche le Suore missionarie del Sacro Cuore di Gesù che hanno messo a disposizione gli spazi. «Oggi anche altre Congregazioni religiose femminili contribuiscono alla buona riuscita del progetto», riferisce una nota. 

Nelle due case – tra le prime in Italia – che sorgono in via della Pineta Sacchetti e in via Michele Mercati, sono accolte donne che hanno già ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiate in Italia o che potrebbero regolarizzare la loro condizione migratoria. Nelle due case si potrà stare per un periodo che va dai sei mesi a un anno al massimo, fino a che non abbiano raggiunto una completa autonomia e integrazione. Al momento sono ospitate 17 donne e 7 minori, provenienti da Siria, Uganda, Senegal, Congo, Camerun, Etiopia, India e Burundi. 

Una nigeriana, una congolese e una somala sono state le prime entrate nella casa. Si tratta di persone che hanno avuto nelle loro comunità una serie di percorsi professionali che potrebbero essere utili in un processo di integrazione. Tra loro c’è anche una avvocatessa esperta di diritti umani.
“Valorizziamo il principio della dignità umana, il diritto alla libertà e all’uguaglianza, la valorizzazione delle persone e la loro tutela – spiega suor Eleia Scariot, scalabriniana, coordinatrice del progetto -.

L’intenzione è quella di sostenere le donne nel loro percorso di integrazione e valorizzazione professionale. La base è il riscatto della speranza: queste donne ricevono aiuto e accompagnamento umano e professionale, vivendo esperienze di convivenza, di divertimento e di spiritualità che siano rivitalizzanti per riscattare la stima di loro stesse, spesso ferita durante il loro viaggio migratorio. Allo stesso tempo queste donne e i loro figli potranno contribuire alla costruzione di una società diversa, qui nel territorio romano, dove sono inserite”.

«Per noi – spiega suor Neusa de Fatima Mariano, superiora generale delle Scalabriniane – lavorare con i migranti è una grande grazia che conferma la nostra missione. Ringraziamo Papa Francesco per il suo appello e la sua chiamata rivolte a tutto il mondo, invitandoci ad assumere quanto a lui sta cuore, cioè le donne migranti e rifugiate con bambini». 

Sogno una vita consacrata autentica…

Sogno una vita consacrata autentica… Sogno una vita consacrata che sia capace di ascoltare… sogno una vita nel servizio e in semplicità…

Mentre si sta svolgendo il Sinodo dei giovani, abbiamo rivolto due domande a due giovani religiose, sr. Gabriela Gutierrez Lopez delle Maestre Pie dell’Addolorata e sr Veronica Bernasconi delle Figlie di San Paolo. Ecco le loro risposte.

  1. Come i giovani che si stanno confrontando con la chiesa possono, secondo te, arricchire l’esperienza della vita consacrata? E cosa pensi che i giovani oggi, secondo la tua esperienza, possano accogliere dalla vita consacrata come elemento concreto e utile per la loro vita?

Sr. Gabriela

Quando si è giovani si ha il coraggio di affrontare le difficoltà, la grinta per proporre, smontare, costruire, si hanno sogni e illusioni, che maturati possono convertirsi in realtà concrete se sono ben indirizzati, questo secondo me può arricchire la vita consacrata, che molte volte si è “accomodata” nelle sue strutture fise, mi riferisco soprattutto a strutture mentali, culturali, istituzionali. Una scossa di energia senza dubbio farebbe molto bene alle nostre comunità, un risveglio che ci faccia muovere e uscire delle nostre comunità chiuse a volte in se stesse.

Viviamo in un contesto sociologico dove le relazioni interpersonali vengono a meno ogni giorno, molti giovani di oggi hanno soltanto la esperienza di una relazione “virtuale” sono vicini a quelli che stano lontano ma sono lontani da quelli che stano vicino a loro. E questo secondo me è un elemento chiave nel mondo di oggi, la capacità di vivere insieme, di stabilire rapporti che diventano a volte più forti di quelli di sangue. Di condividere non soltanto ciò che si ha ma soprattutto ciò che si è.

 

Sr. Veronica

Mi ha colpito come nelle testimonianze dei giovani di questi giorni, per il sinodo, emerga una voglia di confronto. Spesso si parla di giovani che hanno, ovviamente per responsabilità della generazione che li ha preceduti, imparato a vivere senza Dio e disinteressati alla Chiesa. Invece sta emergendo una voglia di confronto non litigioso, di desiderio di capire e di entrare in qualcosa di sconosciuto forse ma che interroga. Sono loro che possono oggi darci un modo nuovo costruttivo di fare autocritica, di apertura allo sconosciuto, di desiderio di fare domande. A nostra volta noi siamo in grado di offrire a loro spazi, modi e tempi di entrare in contatto con loro stessi (cosa di cui hanno bisogno), di incontrare quel “Qualcosa o Qualcuno di più” che può riempire di senso le esistenze difficili di oggi, possiamo dare la testimonianza che nel mondo di possibilità illimitate e in continuo cambiamento si può rimanere centrati, per con tutte le fatiche e debolezze, e lottare con gioia per qualcosa che ne vale la pena.

  1. In questo sinodo e nella sua preparazione si è parlato molto di speranza, di sogni, tema caro a papa Francesco. Cosa sogni a partire da questo sinodo per la vita consacrata in generale e per te in particolare?

 

Sr. Gabriela

Sogno una vita consacrata autentica, senza paura di uscire dalle sue sicurezze, una vita consacrata che sa accogliere l’altro così com’è senza pretendere di cambiarlo ma di capirlo e crescere insieme.

Sogno una vita consacrata che sia capace di ascoltare, i suoi membri, chi è vicino. A volte siamo piccole isole vivendo insieme, la mia speranza è che insieme costruiamo i ponti della fratellanza, della fiducia, della maturità umana rispecchiata nel perdono, empatia, ascolto, promozione delle persone, dove vivere insieme ci faccia dire “che bello è stare qui”.

 

Sr. Veronica Bernasconi

Sogno per la vita consacrata la possibilità di vivere in tema vocazionale con minore ansia, consapevoli che il nostro compito è quello di far incontrare le persone con il Signore e sogno una vita religiosa che sempre più riscopra la sua dimensione battesimale e sia in grado di condividere di più e serenamente il proprio cammino con coloro che vivono altre scelte di vita. Sogno una vita consacrata in cui si riscopra in modo sempre più proprio e consapevole il ruolo delle donne. Per me sogno una vita nel servizio e in semplicità e non assillata dal peso di strutture che non sono in grado di riempire di senso la vita degli uomini e donne di oggi, una vita ricca di incontri e guidata dalla Parola.

 

Speranza, discernimento, vocazione: le parole chiave del Sinodo dei Vescovi

Ormai ci siamo…è iniziata la XV Assemblea Generale Ordinaria sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale” che si pone al termine di un lungo cammino di preparazione che ha avuto inizio con l’annuncio della convocazione da parte di Papa Francesco, attraverso un Comunicato stampa del 6 ottobre 2016, nel quale precisava lo scopo di tale Assemblea: “accompagnare i giovani nel loro cammino esistenziale verso la maturità affinché, attraverso un processo di discernimento, possano scoprire il loro progetto di vita e realizzarlo con gioia, aprendosi all’incontro con Dio e con gli uomini e partecipando attivamente all’edificazione della Chiesa e della società”.

È questo il terzo Sinodo convocato da Papa Francesco. Il primo è stato la III Assemblea Generale Straordinaria, il secondo la XIV Assemblea Generale Ordinaria – entrambi sulla famiglia. Questo  dedicato ai giovani, si pone nella linea delle precedenti assemblee, il cui filo conduttore è il rinnovamento della Chiesa e della società a partire proprio dalle fondamenta: la famiglia e i giovani che garantiscono le generazioni future.

Il tema dei giovani è certamente oggi una “sfida”, come del resto lo fu quello della famiglia. E la Chiesa non ha paura di affrontare le sfide, che sono sempre difficili e insidiose. Non le teme perché è sicura che la forza spirituale e umana le viene dallo Spirito Santo, che ispira e sostiene i suoi Pastori e il suo gregge, con a capo colui che ha ministero di confermare i fratelli.

Tre parole hanno accompagnano e accompagneranno il percorso e faranno da filo rosso. Speranza è la prima, la speranza che manca. «L’ascolto che abbiamo messo in campo durante questi ultimi anni in vista del Sinodo – ha fatto notare il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario del Sinodo – ci ha restituito una mancanza di speranza piuttosto generalizzata: anziché coltivare una speranza affidabile e vivere a partire da essa, molti giovani tentano continuamente la sorte: le scommesse in ogni campo aumentano esponenzialmente, il gioco d’azzardo si amplia tra i giovani, nelle nostre città si moltiplicano le sale da gioco in cui si smette di sperare, affidando la propria vita ad un improbabile colpo di fortuna. Effettivamente, quando si perde la speranza si tenta la fortuna». Dunque il Sinodo è l’occasione per «ritrovare la speranza della vita buona, il sogno del rinnovamento pastorale, il desiderio della comunione e la passione per l’educazione».
La seconda parola chiave è la «vocazione». Don Rossano Sala, uno dei segretari speciali di questo Sinodo, ha sottolineato: «Una delle grandi debolezze della nostra pastorale oggi risiede nel pensare la “vocazione” secondo una visione ristretta, che riguarderebbe solo le vocazioni al ministero e alla vita consacrata. La perdita della cultura vocazionale ci ha fatto precipitare in una società “senza legami” e “senza qualità”. Secondo la visione cristiana dell’uomo, la questione riguardante l’identità e l’unità della persona può avere solamente una risposta vocazionale. Se manca la dinamica vocazionale non ci può che essere una personalità frammentata, caotica, confusa e informe. Invece è da riconoscere che la vocazione è la parola di Dio per me, unica, singolare, insostituibile, che offre consistenza, solidità, senso e missione, all’esistenza di ciascuno». Infatti, è «evidente che solo all’interno di una rinnovata e condivisa “cultura vocazionale” che valorizza ogni tipo di chiamata trova senso l’impegno specifico per la cura delle vocazioni “di speciale consacrazione”».
La terza parola: discernimento. Il gesuita Giacomo Costa, l’altro segretario speciale del Sinodo sui giovani, afferma che «riemerge con forza la necessità che il Sinodo si trasformi in una occasione di crescita della Chiesa nella capacità di discernere, in modo da rendere davvero generativo, anche oggi, quel patrimonio spirituale che la storia della Chiesa ci consegna perché ancora una volta possiamo “lavorarlo” in modo che porti frutto.

Partecipano a questa Assemblea sinodale 7 religiose, una come collaboratrice del segretario speciale e le altre come uditrici:

· suor María Luisa BERZOSA GONZÁLEZ, Scuola cattolica ed educazione popolare, Direttrice di “Fe y alegría” (Spagna).

 

· suor Nathalie BECQUART, Ex-Direttrice del Servizio nazionale per l’Evangelizzazione dei giovani e per le vocazioni della Conferenza Episcopale Francese (Francia).

· suor Chaoying (Suor Teresina) CHENG, Studentessa di Teologia, Collegio Missionario “Mater Ecclesiae” di Castel Gandolfo, Suora della Madre del Signore di Daming-Hebei (Cina).

· suor Sally Marie HODGDON, Superiora Generale delle Suore di San Giuseppe di Chambéry, Vice Presidente del Comitato Esecutivo della UISG (Stati Uniti d’America).

· suor Mina KWON, Congregazione delle Suore di San Paolo di Chartres – Direttrice e counselor presso la Catholic University di Daegu, responsabile delle Juniores della Provincia religiosa di Daegu (Corea).

· suor Lucy Muthoni NDERI, delle Figlie di Maria Ausiliatrice, Operatrice pastorale per giovani in difficoltà sociale e bambini di strada, educatrice in casa famiglia (Kenya).

· suor Alessandra SMERILLI, delle Figlie di Maria Ausiliatrice, Docente di Economia presso la Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium; Membro del Comitato scientifico e organizzatore delle settimane sociali dei cattolici – CEI (Italia).

Questa importante Assemblea sia un’ occasione privilegiata per accompagnare i giovani a riscoprire la bellezza della vita a partire dalla felice relazione con il Dio dell’alleanza e dell’amore, la Chiesa a riacquistare, attraverso un percorso di autentico discernimento nello Spirito, un rinnovato dinamismo giovanile e tutti gli uomini e le donne ad accogliere la bellezza di essere destinatari privilegiati della buona notizia del Vangelo.

  

COLLABORATORI DEL SEGRETARIO SPECIALE 

· Rev.da Suora María Luisa BERZOSA GONZÁLEZ, F.I., Scuola cattolica ed educazione popolare, Direttrice di “Fe y alegría” (Spagna).

 

UDITRICI

· Rev.da Suora Nathalie BECQUART, Ex-Direttrice del Servizio nazionale per l’Evangelizzazione dei giovani e per le vocazioni della Conferenza Episcopale Francese (Francia).

· Rev.da Suora Chaoying (Suor Teresina) CHENG, Studentessa di Teologia, Collegio Missionario “Mater Ecclesiae” di Castel Gandolfo, Suora della Madre del Signore di Daming-Hebei (Cina).

· Rev.da Suora Sally Marie HODGDON, Superiora Generale delle Suore di San Giuseppe di Chambéry, Vice Presidente del Comitato Esecutivo della UISG (Stati Uniti d’America).

· Rev.da Suora Mina KWON, Congregazione delle Suore di San Paolo di Chartres – Direttrice e counselor presso la Catholic University di Daegu, responsabile delle Juniores della Provincia religiosa di Daegu (Corea).

· Rev.da Suora Lucy Muthoni NDERI, F.M.A., Operatrice pastorale per giovani in difficoltà sociale e bambini di strada, educatrice in casa famiglia (Kenya).

· Rev.da Suora Alessandra SMERILLI, Docente di Economia presso la Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium; Membro del Comitato scientifico e organizzatore delle settimane sociali dei cattolici – CEI (Italia).