Tratta: nel mondo oltre 40 milioni di schiavi invisibili
Alla vigilia della Giornata Mondiale contro la Tratta, Pime, Mani Tese e Caritas Ambrosiana organizzano un convegno dal respiro ampio per fare il punto sul fenomeno.
Ogni anno oltre 40 milioni di persone – tra cui un numero crescente di donne e minori – sono vittime di pesanti forme di sfruttamento, specialmente prostituzione coatta e lavoro forzato. In vista della Giornata mondiale contro la Tratta, che si celebra l’8 febbraio, il Centro Pime di Milano, Mani tese e Caritas ambrosiana, in collaborazione con Ucsi Lombardia, organizzano un convegno sul tema “Tratta e gravi violazioni dei diritti umani: i nuovi schiavi del XXI secolo”.
Un’opportunità dicono gli organizzatori per riflettere sulle storture di un sistema economico che “approfondisce le diseguaglianze e contribuisce a creare le condizioni perché milioni di persone nel mondo finiscano nelle reti di gruppi criminali che le trafficano e le riducono in condizioni di vera e propria schiavitù”.
Si entrerà nel merito delle diverse forme di sfruttamento, da quello lavorativo che riguarda in Italia circa 150mila persone, in gran parte giovani migranti, a quello per la prostituzione coatta, che coinvolge sempre nella Penisola, dalle 50 alle 70mila donne sino a quello dei minori sfruttati in diversi modi, non sempre riconoscibili.
I numeri sono ancora disarmanti – fa sapere Chiara K. Cattaneo, program manager della Campagna ‘I Exist’ di Mani tese – convinta che bisogna agire soprattutto sui sistemi economici perché le persone siano libere di dire di no. “E’ difficile – aggiunge – tracciare un profilo di queste vittime che spaziano in età, sesso e provenienza geografica. La cosa che le accomuna però è una grandissima vulnerabilità, nel senso che sono persone costrette a spostarsi e non potendolo fare attraverso i canali legali, sono costretti a ricorrere a mezzi illegali e quindi cadono nella rete dei trafficanti. Quindi questa loro vulnerabilità li espone a rischi e pericoli di venire poi sfruttate all’interno dei Paesi in cui arrivano sia in Europa, nei Paesi più sviluppati, sia all’interno del proprio Paese”.
Pime, Caritas e Mani Tese lodano l’impegno di Papa Francesco contro quella che lui stesso ha definito come “una piaga vergognosa e atroce”, un “crimine contro l’umanità” e recentemente ha convocato in Vaticano i leader religiosi esortandoli ad unire gli sforzi per salvare le vittime.
Migrazione senza tratta. Sì alla libertà! No alla tratta!”.
“La schiavitù moderna – in forma di tratta delle persone, lavoro forzato, prostituzione, traffico di organi – è un crimine di “lesa umanità”. (Dichiarazione congiunta dei leader religiosi contro la schiavitù moderna, 2 dicembre 2014).
Nel mondo sono decine di milioni le persone che soffrono a causa della tratta, la maggioranza sono donne. Purtroppo negli ultimi anni si è osservato un aumentato preoccupante della percentuale di minori tra le vittime.
È un fenomeno camaleontico, per cui è difficile stabilire con esattezza le sue dimensioni. La tratta di persone si sovrappone e si confonde con la migrazione clandestina, con lo sfruttamento lavorativo di stranieri impiegati in condizioni simili alla schiavitù, con le donne sfruttate sessualmente e con i matrimoni di convenienza.
La tratta di persone è tra i maggiori mercati illeciti, che genera economie clandestine di 150 miliardi di dollari l’anno (fonte: OIL, 2015). La vita umana è considerata come un oggetto, da commerciare e sfruttare a fine di lucro, nei lavori forzati o umilianti in diversi settori dell’economia, nello sfruttamento sessuale o nella servitù domestica. Molti sono forzati al matrimonio, a far parte di organizzazioni criminali; alcuni sono mutilati per l’espianto di organi, obbligati ad accattonare.
Le persone possono essere trafficate dentro i confini di una nazione o internazionalmente, quando si superano le frontiere.
Vittime della tratta si trovano in tutti i paesi, che possono essere di origine, di transito o di destinazione delle stesse.
Tratta e migrazioni
Il tema della Giornata Mondiale di Preghiera e Riflessione contro la tratta 2018, mette a fuoco il dramma della tratta di persone tra le popolazioni itineranti: i migranti, i rifugiati e gli sfollati. Siamo invitati ad accendere una luce, per questi nostri fratelli e sorelle.
Tratta di persone e contrabbando (o traffico) di migranti sono due realtà diverse che sempre di più si intrecciano tra loro. La violenza e lo sfruttamento sofferto dai migranti che si mettono in viaggio senza avere un visto di entrata in un altro paese, sono spesso identificabili come tratta di persone. La vulnerabilità causata dal loro status li rende preda facile dello sfruttamento sessuale e lavorativo. Spesso migranti e rifugiati sono costretti a lavorare per molte ore al giorno, guadagnando pochissimi soldi, obbligati a queste condizioni per pagare il debito contratto. L’importo del debito aumenta a discrezione dei trafficanti e sono in molti a soffrire minacce e ritorsioni se non possono pagare. Molti migranti, durante il tragitto scompaiono, vittime del traffico di organi.
Nel mondo globalizzato i flussi migratori sono aumentati; a questo si contrappongono politiche migratorie sempre più restrittive da parte di molti paesi. Questa situazione favorisce la vulnerabilità delle popolazioni migranti, che sono diventate, in tutto il mondo, un gruppo ad alto rischio per la tratta di persone, sia durante il trasporto, nei paesi di transito, sia una volta arrivati a destinazione.
L’edizione 2018 della Giornata Mondiale di Preghiera e Riflessione contro la tratta ci permette di accompagnare con la preghiera e il nostro impegno i lavori delle Nazioni Unite per il Global Migration Compact, uno strumento internazionale con il quale i Capi di Stato e dei Governi di tutti i paesi membri delle Nazioni Unite mettono al centro della loro agenda politica il tema di migranti e rifugiati, riconoscendo il bisogno di un approccio comune e coordinato della questione migratoria. La tratta di persone è uno dei temi centrali di questo dibattito.
Accendiamo nei nostri cuori e con le nostre vite, una luce di accoglienza, di speranza e di incontro. Accendiamo insieme una luce per la libertà, contro ogni forma di schiavitù.
Per l’ottavo anno consecutivo, il numero più elevato di assassini si registra in America, dove sono stati uccisi 11 operatori pastorali (8 sacerdoti, 1 religioso, 2 laici); segue l’Africa, con 10 operatori pastorali (4 sacerdoti, 1 religiosa, 5 laici); in Asia sono stati uccisi 2 operatori pastorali (1 sacerdote, 1 laico). Dal 2000 al 2016 sono stati uccisi nel mondo 424 operatori pastorali, di cui 5 vescovi.
Nel 2017 sono stati uccisi 23 missionari: 13 sacerdoti, 1 religioso, 1 religiosa, 8 laici. Il dato emerge dal rapporto annuale elaborato da Fides, agenzia del dicastero vaticano per le missioni.
L’elenco annuale di Fides non riguarda solo i missionari ad gentes in senso stretto, ma cerca di registrare tutti gli operatori pastorali morti in modo violento, non espressamente “in odio alla fede”. Molti sono stati uccisi durante tentativi di rapina o di furto, compiuti anche con ferocia, in contesti di povertà economica e culturale, di degrado morale e ambientale, dove violenza e sopraffazione sono assurte a regola di comportamento.
Gli uccisi sono solo la punta dell’iceberg, in quanto è sicuramente lungo l’elenco degli operatori pastorali, o dei semplici cattolici, aggrediti, malmenati, derubati, minacciati, come quello delle strutture cattoliche a servizio dell’intera popolazione, assalite, vandalizzate o saccheggiate. All’elenco va perciò aggiunta la lunga lista dei tanti, dei quali forse non si avrà mai notizia o di cui non si conoscerà neppure il nome, che in ogni angolo del pianeta soffrono e pagano con la vita la loro fede in Gesù Cristo.
«Vengo da voi come pellegrino della gioia del Vangelo, per condividere con tutti la pace del Signore e confermarvi nella stessa speranza. Pace e speranza condivise tra tutti». Saluta così, Papa Francesco, tutti i «fratelli e sorelle di Cile e Perù» in un videomessaggio inviato, come consuetudine, a pochi giorni dalla partenza per il suo viaggio apostolico in programma dal 15 al 22 gennaio c.a.
«Desidero incontrarvi voi, guardarvi negli occhi, vedere i vostri volti e potere, tutti insieme, sperimentare la vicinanza di Dio, la Sua tenerezza e misericordia che ci abbraccia e consola», annuncia Francesco. E dice di conoscere «la storia» dei due Paesi sudamericani, «tessuta con impegno, dedizione». «Desidero insieme a voi – aggiunge – rendere grazie a Dio per la fede e l’amore per Dio e per i fratelli più bisognosi, specialmente per l’amore che voi avete verso coloro che sono scartati dalla società».
«La cultura dello scarto ci ha invaso sempre di più», osserva il Pontefice. Per questo, assicurando di voler condividere con la popolazione cilena e quella peruviana «gioie, tristezze, difficoltà e speranze», incoraggia: «Non siete soli, il Papa è con voi, la Chiesa intera vi accoglie, la Chiesa vi guarda».
Insieme, prosegue Bergoglio nel filmato, possiamo «sperimentare la pace che viene da Dio, tanto necessaria; solo Lui ce la può dare. È il regalo che Cristo ci fa, a tutti, il fondamento della nostra convivenza e della società; la pace si basa sulla giustizia e ci permette di incontrare istanze di comunione e di armonia». La pace «bisogna chiederla costantemente al Signore e il Signore la dona». È «la pace del Risorto» che «porta la gioia e ci incoraggia ad essere missionari, ravvivando il dono della fede che ci porta all’incontro, alla comunione condivisa di una stessa fede celebrata e donata».
Questo incontro con Cristo «ci conferma nella speranza», ribadisce il Vescovo di Roma: «Non vogliamo rimanere ancorati alle cose di questo mondo, il nostro sguardo va molto oltre, i nostri occhi sono riposti nella Sua misericordia che cura le nostre miserie. Solo Lui ci dà la spinta per alzarci e andare avanti» sottolinea, affermando che «toccare con mano questa vicinanza di Dio ci rende comunità viva che è capace di commuoversi per coloro che sono accanto a noi e compiere passi fermi di amicizia e di fraternità. Siamo fratelli che escono per incontrare gli altri per confermarci in una stessa fede e speranza».
A conclusione del videomessaggio, il Papa mette «nelle mani della Vergine Santa, Madre d’America», il suo viaggio apostolico e tutte le intenzioni che ognuno porta nel proprio cuore, «perché Lei, come buona Madre, possa accoglierle e insegnarci il cammino verso Suo Figlio».
“Accogliere, proteggere, promuovere e integrare i migranti e i rifugiati”
è il tema del messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale del Migrante e Rifugiato che sarà celebrata il 14 gennaio 2018. Un messaggio ricco di proposte concrete, perché tutte le Chiese si impegnino a promuovere queste buone prassi.
Tante buone pratiche per affrontare in maniera chiara e pragmatica il fenomeno delle migrazioni. Perché, se si vuole, le soluzioni si trovano. Dai visti umanitari o per motivi di studio ai programmi di sponsorship, dai canali umanitari ai ricongiungimenti familiari, dalla regolarizzazione di chi vive da tempo in un Paese di accoglienza senza documenti fino alla cittadinanza secondo lo ius soli. Sono le tante proposte e indicazioni contenute nel Messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale del migrante e rifugiato che sarà celebrata in tutte le chiese. Una serie di azioni e proposte che nascono dalle buone pratiche della Chiesa cattolica in diversi contesti. Buone pratiche come ampliare canali legali e sicuri per tutti i migranti attraverso i visti umanitari, i programmi di sponsorship, i canali umanitari, i visti di studio per giovani rifugiati che vivono nei campi.
Soprattutto c’è un appello molto chiaro perché la Chiesa si impegni a proporre queste buone pratiche in tutto il mondo, con un coinvolgimento diretto da parte delle Conferenze episcopali e dei movimenti cattolici nel sensibilizzare le comunità ai due Global compacts (patti globali) che verranno firmati nel secondo semestre 2018 dalla comunità internazionale: uno sui migranti internazionali e l’altro sui rifugiati. In questo processo la Chiesa cattolica è chiamata ad essere più attivamente presente. Questi principi fanno riferimento alla dottrina sociale della Chiesa, ma si trasformano in buone pratiche e indicano soluzioni a problematiche presenti.
È un messaggio che spiega nel dettaglio tutti quei canali che possono essere aperti o ampliati (per chi lo sta già facendo). Ad esempio il canale della riunificazione familiare, un diritto che la Chiesa ha sempre promosso, sarebbe una via interessante attraverso la quale molte persone potrebbero arrivare in modo sicuro e legale nel nostro Paese.
Il Papa accenna all’importanza di proteggere i migranti fin dalla partenza sia durante il transito, offrendo loro tutte le informazioni necessarie per decidere se partire o no, dove e come andare. Poi nel Paese di arrivo attraverso le missioni diplomatiche e quelle forme di protezione e assistenza fornite dalla società e dai governi locali, provvedendo a dare informazioni perché possano permanere in situazione regolare o regolarizzare la loro posizione.
A livello di promozione si chiede il riconoscimento delle capacità e delle competenze dei migranti con la convalida di titoli di studio e professionali, perché queste persone possano offrire il meglio e possano approfondire la loro istruzione, sia secondaria, terziaria o all’università. Che possano veder riconosciute le loro professionalità in modo che possa essere un contributo e una opportunità di sviluppo per i Paesi che li ricevono.
Riconoscere, inoltre, ai migranti e ai rifugiati che permangono per lungo tempo un facile canale di nazionalizzazione. Per chi è nei Paesi da 20 o 30 anni in permanenza irregolare si può cercare una facile soluzione, con formule di regolarizzazione straordinaria che in qualche Paese sono state già previste.
La Chiesa italiana ha esplicitato molto chiaramente la posizione: ogni bambino che nasce deve avere una nazionalità, sia quella dei genitori (qualora lo prevedano e utilizzino i canali adeguati allo scopo) oppure riconosciuta dallo Stato. Come Chiesa cattolica continuiamo ad insistere sul fatto che la cittadinanza non è un diritto necessariamente regalato. I diritti ius sanguinis e ius soli possono coesistere, come già avviene in molti Paesi. Dipende semplicemente dalla volontà di mettersi in gioco.
Una considerazione personale: in questi casi è sempre opportuno insistere non tanto sul diritto ma sul fatto che appartenere ad una nazione è una scelta personale e responsabile. Da questa scelta derivano una serie di doveri e responsabilità di partecipazione, di crescita, di sviluppo del Paese in cui si ha deciso di vivere.
Non è soltanto un passaporto ma è prendersi un impegno con un luogo, con un territorio. Non è dire: “Puoi o non puoi”, ma: “Se vuoi, tieni presente che c’è una certa responsabilità da assumere”.
Sono temi che riguardano le singole Conferenze episcopali. A livello globale la paura dell’invasione è data dalla non conoscenza e ignoranza rispetto a quelli che bussano alle porte. Dipende sempre dalle percezioni, che dal mio punto di vista personale debbono sempre essere considerate in modo molto serio, perché la percezione determina la scelta. Bisogna lavorare moltissimo sull’educazione, sulla cultura dell’incontro, fornendo dati reali.
L’andare verso l’altro non è necessariamente naturale: nel bambino è molto più presente ma nell’adulto c’è spesso una remora perché nell’incontro con l’altro teme di perdere qualcosa. L’esperienza della storia – io sono uno storico – ci insegna invece che le civiltà sono nate proprio dall’incontro tra diversi popoli: nel momento in cui si sono aperti, non quando si sono chiusi.
Il volontariato per la XXIV edizione del Premio Volontariato Internazionale FOCSIV 2017
si tinge di colore rosa, assegnando il Premio Volontario Internazionale, quello per il Giovane Volontario Europeo e il Volontario del Sud a tre donne, legate tutte quante a due Continenti, l’Europa e l’Africa.
A pochi giorni dal 5 dicembre, Giornata Mondiale del Volontariato, FOCSIV – Volontari nel mondo consegna, nell’Aula Magna della John Cabot University a Roma, a Anna Dedola, project manager COPE Iringa – Tanzania, il Premio Volontario Internazionale, a Khadija Tirha, volontaria in Servizio Civile per LVIA Italia in Piemonte, il Premio Giovane Volontario Europeo ed a Alganesc Fessaha, Presidente di Gandhi Charity candidata dal Centro Missionario di Trento, il Premio Volontario del Sud.
Tre donne, con radici culturali diverse alle spalle, che pongono al centro del proprio impegno quotidiano la persona, come portatore di necessità, cultura, speranza, diritti e la costruzione di ponti per il dialogo tra i popoli e per un futuro di pace. Tre interventi in Tanzania, in Italia ed in alcuni paesi africani per la dignità, per i diritti umani, per lo sviluppo umano come sistema di crescita per le comunità ed i Paesi.
La cura e il diritto, fin dall’infanzia, a ricevere affetto ed un futuro sostenibile è il fulcro dell’impegno di Anna Dedola ad Iringa, in una delle regioni più povere e colpite dalla piaga dell’HIV di tutta la Tanzania, per i bambini orfani del Centro Sisi Ni Kesho dove sono accolti, nei primi anni della loro vita, e per i quali si garantisce una vita il più possibile sana e la possibilità di ricongiungersi con le famiglie di origine o di andare in adozione. L’integrazione e l’inclusione come mezzi per costruire ponti tra le persone, questa la certezza che sostiene Khadija Tirha, cittadina attiva impegnata in Italia a realizzare una società coesa capace del rispetto reciproco e di una pacifica convivenza sociale tra culture e confessioni diverse. La dignità degli uomini, il loro diritto a una vita degna, la liberazione di uomini e donne, colpevoli solo di aver voluto cercare un futuro in altri luoghi lontani da quelli di origine, è la scelta di vita compiuta da Alganesc Fessaha da anni impegnata nel sostenere i profughi ed i rifugiati salvandoli da un destino che li condurrebbe alla morte e nel far conoscere il dramma vissuto da queste migliaia di persone in fuga.
A questi riconoscimenti si affiancano, come nelle scorse edizioni, le Menzioni speciali consegnate nelle mani del Sindaco di Catania, Enzo Bianco, come riconoscimento per il grande valore della solidarietà dimostrata dalla cittadinanza catanese verso i tanti migranti arrivati nel loro porto dal mare. A John Mpaliza, camminatore di pace, impegnato nel ricordare il dramma vissuto dalla povera popolazione della sua ricca terra di origine: la Repubblica Democratica del Congo ed al Venerabile Alessandro Nottegar, fondatore della Comunità Regina Pacis a Verona, ritirata dalla figlia Chiara.
Al XXIV Premio Volontariato Internazionale FOCSIV 2017 è stata conferita la Medaglia del Presidente della Repubblica, è sotto l’alto Patrocinio del Parlamento Europeo ed ha ricevuto il Patrocinio del Ministero degli Affari Esteri e Cooperazione Internazionale, del Ministero del Lavoro e della Politiche Sociali, dell’Agenzia Nazionale per i Giovani e della Responsabilità Sociale RAI.
“La vittoria di tre donne al Premio del Volontariato Internazionale sottolinea, ai miei occhi e a tanti di noi che da anni sono impegnati nel volontariato in Italia ed all’estero, come questo, nella maggioranza dei casi, sia un impegno, quando vissuto soprattutto in prima persona, al femminile. Tre età della vita, terre di origine lontane tra loro, culture diverse, ma un unico comun denominatore come scelta personale di un’intera esistenza: il garantire e tutelare il diritto alla dignità di esseri umani per tutti. – ha dichiarato Gianfranco Cattai, presidente FOCSIV – È questo il valore profondo del volontariato che si adopera per l’altro, che si impegna nella crescita dei paesi di origine, che crede nei diritti umani, applicandoli ogni giorno in ciò che realizza. Sono i volontari le risorse preziose per la crescita culturale e sociale dei propri paesi, ma, soprattutto, sono portatori di un patrimonio di esperienze, valori e competenze capaci di generare un processo propositivo di inclusione ed integrazione nelle proprie comunità per il bene comune.”
Dopo i saluti della John Cabot University riportati da Andrea Lanzone, professore di Storia e Assistant Dean for Student Academic Affairs Project Coordinator, la successiva introduzione di Gianfranco Cattai, presidente FOCSIV, e la lettura del messaggio del Cardinal Gualtiero Bassetti, presidente Conferenza Episcopale Italiana, intervengono Edoardo Patriarca, presidente del Centro Nazionale per il Volontariato, don Antonio Rizzolo, Direttore di Famiglia Cristiana, Adriano Coni, Responsabile Relazioni Istituzionali RAI Responsabilità Sociale, Alessandro Giussani, responsabile Centro Corporate Roma UBI Banca, Sonia Mondin, presidente MASCI Movimento Adulti Scout. Moderatore della mattinata Marco Tarquinio, Direttore Avvenire.
Partner del Premio del Volontariato Internazionale 2017 sono: Fondazione Missio, Forum Nazionale Terzo Settore, CEI 8×1000 e Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) – Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo e John Cabot University.
Media partner: Avvenire, Famiglia Cristiana, TV2000, Radio Vaticana, Redattore Sociale e Rete Sicomoro.
Considerate rifiuti di nessun valore, pronte per essere gettate nella spazzatura, quelle linguette ricavate da lattine e tenute insieme da un filo sottile erano diventate delle graziose borsette che offrivano una possibilità di vita nuova alle ragazze che le avevano realizzate. Ma quelle linguette, insignificanti e gettate via, assomigliavano in qualche modo proprio a quelle ragazze.
Un tempo giovani e belle, erano state rapite, violentate, usate, ridotte a schiave. O costrette a commettere atti terribili. E ora considerate come spazzatura. Sopravvissute per miracolo – e spesso incinte o madri giovanissime – venivano rifiutate anche dalle loro stesse famiglie. Vittime innocenti trattate come scarti di una storia crudele.
Siamo nel Nord Uganda, terra insanguinata per lunghi anni da un conflitto che ha provocato oltre trentamila morti, due milioni di profughi e sfollati e circa centomila minori rapiti e reclutati a forza. Un conflitto fatto soprattutto sulla pelle dei bambini. Era tra i più piccoli, infatti, che il terribile Lord’s Resistance Army (“Esercito di resistenza del Signore”, Lra), la sanguinaria milizia di Joseph Kony, reclutava i propri effettivi, drogati e indottrinati, costretti a commettere i peggiori crimini o, nel caso delle bambine, ridotte a schiave: sessuali e non solo.
Ma è sempre in questa terra martirizzata e violentata che sono maturati anche segni e iniziative straordinari di resistenza, riscatto e speranza. Uno dei più significativi è rappresentato da suor Rosemary Nyirumbe, religiosa delle Suore del Sacro Cuore di Gesù, che ha strappato oltre duemila ragazze ai miliziani del Lra, restituendo loro libertà e dignità.
Un lavoro lungo e difficile, che le è valso nel 2007 il riconoscimento di “eroe dell’anno” da parte della Cnn. E, nel 2014, il settimanale Usa Time l’ha inserita tra le “100 persone più influenti al mondo”. Istruzione e lavoro sono al centro dell’opera di questa straordinaria donna che, a quindici anni, decide di diventare religiosa per dedicarsi ai poveri. Il noto medico missionario Giuseppe Ambrosoli la vuole come prima assistente ostetrica in sala parto nell’ospedale di Kalongo. In seguito suor Rosemary si laurea e prende un master in Etica dello sviluppo.
Nel 2001, decide di dedicarsi specialmente alle ragazze vittime del Lra e prende la guida della St. Monica Girls Tailoring School di Gulu. «Fuori dalla nostra scuola – racconta – ci sono ancora molte ragazze afflitte da un grande dolore. Noi saremo sempre qui per loro, per aiutarle a rialzarsi e a ricostruire la loro dignità con amore, affetto e accettazione. Abbiamo così tante donne e così tanti bambini di cui prenderci cura. Non c’è tempo da perdere».
Suor Rosemary si mette al lavoro e non smette più. Ascolta i racconti agghiaccianti di moltissime ragazze rapite quando erano ancora delle bambine, usate come oggetti sessuali dai miliziani, brutalizzate per farle diventare a loro volta capaci delle peggiori efferatezze. La maggior parte, però, non racconta. Vuole solo dimenticare. Ma tutta quella violenza è qualcosa che rimane dentro.
C’è voluto più di un anno a Sharon per trovare il coraggio di parlare. E di chiedere perdono. «Perché avresti bisogno del mio perdono?», la ha chiesto suor Rosemary. «Perché mi hanno fatto uccidere mia sorella». Quello di Sharon non è un caso eccezionale, anzi. È proprio attraverso l’uccisione di genitori, fratelli, parenti, sangue del proprio sangue, che i ribelli del Lra “iniziavano” i più piccoli alla guerra, cercando di strappare dal loro cuore ogni pietà, senso etico, umanità.
I testimoni di quella guerra, ormai da molti dimenticata, raccontano di atrocità e nefandezze. Ma il dopoguerra – come ricorda il giornalista Toni Capuozzo nell’introduzione al libro Cucire la speranza (Emi, 2017) – è talvolta «peggiore della guerra stessa. Con i sospetti e i rancori che si trascinano specie nelle guerre civili, dove vittime e carnefici vivono fianco a fianco, è una sfida più sottile». Per questo il lavoro che suor Rosemary continua a fare tenacemente con le sue scuole di cucito e cucina ha un significato che va oltre la vita delle singole ragazze a cui sta restituendo il futuro. È un messaggio di tenacia e di speranza che spesso appartiene soprattutto ai grandi sognatori. «Non smetterò mai di sognare!» ripete suor Rosemary.
Ma nello stesso tempo non smette mai di darsi da fare perché i suoi sogni diventino realtà. «Mi comporterò come se potessi», è l’altro slogan di questa religiosa che non si è mai lasciata frenare dal senso di inadeguatezza di fronte all’enorme compito di cui si è fatta carico. In questa sua avventura ha incontrato e coinvolto molti amici. È stata supportata da missionari e missionarie italiani, ma soprattutto da gruppi e associazioni americani come Pros for Africa, fondata dall’avvocato americano Reggie Whitten che è anche coautore del libro.
Grazie al supporto di molti sostenitori, suor Rosemary ha fondato la Sister United e la Sewing Hope Foundation per l’esportazione di borse e oggetti prodotti alla St. Monica School, che oggi vengono venduti in tutto il mondo come pezzi unici di artigianato di pregio. Rifiuti trasformati – in tutti i sensi – in qualcosa di bello e prezioso.
Nei giorni 10-12 novembre c.a., presso la sede USMI di Via Zanardelli, si è svolto il convegno nazionale per superiore maggiori e consigli. Un incontro partecipato con entusiasmo da più di duecento madri e sorelle provenienti da tutta Italia. Bello il clima sereno e familiare che si percepisce. È la gioia di incontrarci!
Madre Regina Cesarato, presidente USMI nazionale, introduce il convegno passando poi la parola alla biblista Rosalba Manes che svolge il tema: “La fede forma nel quotidiano”.
Con competenza e passione la relatrice commenta i versetti della lettera ai Romani 12,1-2: “Vi esorto ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio” spiegando che il culto spirituale è la consegna della propria vita a Dio. Questo culto si celebra nel quotidiano con il “non conformarci alla mentalità di questo mondo”, ma lasciandoci trasformare dallo Spirito di Dio che ci plasma e cesella con la sua Parola.
La logica di Dio parla di gratuità, di servizio e gioia: la nostra disponibilità a lasciarci “lavorare” dal Signore è fondamentale. Occorre infatti diventare flessibili nelle mani di Dio come la creta nelle mani del vasaio per diventare capaci di discernere ciò che è vile da ciò che vale.
Con il battesimo diventiamo figli di Dio, ma il dinamismo della vita figliale ce lo insegna Gesù ed è lavoro di tutta la vita, è cammino impegnativo, è alleanza con lo Spirito Santo che ci plasma nel quotidiano. La fede è l’habitat del cristiano. Cogliamo il valore e il senso della nostra esistenza a partire dalla nostra vita nascosta con Cristo in Dio che comincia con la risurrezione battesimale. Avere fede è andare a rifugiarsi in un luogo sicuro. Da qui alcuni interrogativi che ci fanno riflettere: all’interno delle nostre comunità respiriamo l’ossigeno della fede? Ci nutriamo della Parola di Dio? La nostra fede ci spinge a generare intorno a noi la passione per il bene, per la bellezza, per Dio e per il prossimo? Ci permette di generare Cristo nella nostra vita?
La relatrice commenta poi il brano evangelico delle nozze di Cana facendo notare come Maria è la serva del Signore, la discepola fedele che crede prima di vedere: “Non hanno più vino”. Non c’è più alleanza. L’alleanza di Israele con il suo Signore è stata infranta. Gesù può restituire questa alleanza tra il popolo e Dio: è lo Sposo atteso! Maria ci insegna l’arte di partecipare allo sguardo di Dio!
Tra le domande che vengono poste al termine della relazione, una riguarda in particolare “la tenerezza” alla quale la biblista risponde ampliandone il significato: la tenerezza nella Bibbia è gratuità, è misericordia, è spazio che ospita la vita, è accoglienza, è compassione. In sintesi possiamo dire che la tenerezza è la maturità del battezzato.
La giornata di sabato inizia con la relazione di fratel Luciano Manicardi, Priore della comunità monastica di Bose. Il titolo ci porta nella concretezza della vita: “Quotidianità e vangelo”.
È ovvio: nulla esiste fuori del quotidiano, ma ne siamo consapevoli? È il quotidiano il luogo nel quale avviene la nostra formazione continua, è l’ambito dell’esercizio della fede. Purtroppo abitudine e superficialità non ci rendono coscienti di questa realtà. È nel quotidiano che possiamo rispondere alla chiamata alla santità, è il quotidiano luogo del culto esistenziale, l’eucaristia nella vita. Il Signore ci raggiunge esattamente negli eventi di ogni giorno.
Il relatore pone poi una seconda domanda: qual è il nostro rapporto con il tempo? Siamo dentro il tempo, ma viviamo “una crisi del tempo” per l’accelerazione dei ritmi di vita e per l’idolatria del fare. Occorre ricuperare la capacità di contemplare e vivere il tempo come luogo in cui Dio ci parla. Per questo è necessario imparare a “indugiare” per ritrovare un rapporto armonico con il tempo.
Ed ecco un altro interrogativo che ci interpella: siamo ancora capaci di solitudine? La tecnologia rischia di portarci via la capacità di stare da soli. Da qui l’invito a imparare da Gesù che ci insegna la pazienza del contadino che sa attendere. Il lavoro interiore è capacità di fermarsi, di pensare, riflettere, contemplare.
Parlare è un “atto etico”. Ogni parola che dico costruisce o distrugge la comunità. Gesù ci mette in guardia dalle “parole vane”. Interessante è vedere come Gesù parlava, è uomo di parola, parla da una interiorità abitata e cosciente, per questo è autorevole: “Nessuno ha mai parlato come quest’uomo”.
Fratel Luciano passa poi in rassegna i sensi e i sentimenti. Come guardare, come ascoltare, come mangiare, come esprimere la collera? E riportando Sant’Agostino invita a chiedersi: perché vado in collera? Che cosa mi dà tanto fastidio? Perché reagisco in questo modo? Se sappiamo fare dei nostri sentimenti il sintomo che dice qualcosa di noi stessi, allora abbiamo una preziosa opportunità di consapevolezza e di conversione.
Nel quotidiano è necessario prestare attenzione anche agli “oggetti”. Saper essere grati di tutto quello che abbiamo perché tutto riceviamo, di tutto stiamo usufruendo. Vediamo il vangelo: la lampada che viene posta sul candelabro fa luce a tutta la casa. Gesù trae un insegnamento sulla luce interiore che si trasmette attraverso la luminosità degli occhi. Nella nostra giornata abbiamo a che fare con piatti e stoviglie. Gesù osserva il quotidiano e ne ricava un insegnamento spirituale: “ripulisci prima l’interno della tua anima!”. E così per tutte le cose che abitano il nostro quotidiano. Se sappiamo vedere con gli occhi contemplativi tutto ci parla: l’aurora, il tramonto, il sole, la pioggia, il vento, le piante, gli animali, i fatti di cronaca, la natura. Tutto! Se guardiamo nel vangelo scopriamo che proprio l’umanità di Gesù narra Dio nel quotidiano.
Fratel Luciano termina poi con una sfida: ma noi siamo ancora capaci di stupirci? Il quotidiano ottunde oppure lascia trasparire lo stupore?
Il dialogo con il relatore mette infine in evidenza l’importanza della comunicazione nelle relazioni fraterne. Impariamo a parlare ed ascoltare come Gesù ha fatto. E impariamo la dimensione della gratitudine: saper ringraziare ogni giorno. Ecco l’atteggiamento eucaristico nel quotidiano!
Nel pomeriggio di sabato il lavoro di gruppo si rivela molto utile per attualizzare quanto ascoltato nelle relazioni individuando alcune priorità nel servizio di governo, come anche che cosa favorisce e che cosa blocca la possibilità di mettere in pratica le priorità individuate. L’assemblea al termine della giornata diventa così un bel momento di condivisione.
La domenica inizia con la solenne celebrazione eucaristica presieduta da Padre Mario Aldegani, superiore generale dei Giuseppini del Murialdo e la relazione sul tema: “La formazione della comunità di governo”.
Padre Mario fa notare come viviamo una “situazione di transito”, dentro inevitabili processi di cambiamento anche sul fronte della missione e della pastorale per cui diventa necessario rispondere a domande mai poste prima.
I cambiamenti in atto incidono inevitabilmente e mettono in discussione il sistema di autorità e di governo. Il cambiamento richiesto, probabilmente, è passare dal pensarci come “grande edificio” al pensarci come “una tenda” che richiede la capacità di abitare il cambiamento continuo e l’incertezza. Sembra proprio essere questo lo spazio ideale per promuovere una cultura dell’autorità e del governo che consideri le persone adulte e le valorizzi, facendo emergere tutte le loro potenzialità. I superiori possono e debbono certo metterci la loro parte, ma la possibilità di rivitalizzare le nostre comunità provinciali e locali è nelle mani dei singoli confratelli e consorelle, adulti, e, in quanto tali, leader del quotidiano.
Padre Mario si sofferma poi sul tema della fraternità ponendo una domanda provocatoria: come partecipo io, da superiore, alla vita della fraternità? Come costruisco la vita fraterna? E punta l’attenzione sulla necessità di coltivare la propria spiritualità, la coerenza della testimonianza, il primato della comunione e l’attenzione alle relazioni interpersonali.
Alcuni consigli pratici. “Prendersi cura” di noi e degli altri significa tenere vivo il fuoco del carisma, il fuoco della missione, la visione e il sogno dei nostri Fondatori e non cadere nella tentazione della sopravvivenza di cui ci ha parlato Papa Francesco nell’omelia del 2 febbraio scorso. Omelia che occorre tenere sempre ben presente per tutti i preziosi spunti di riflessione.
Il relatore elenca poi le attenzioni necessarie: avere cura della formazione e della relazione fra coloro che formano il gruppo di governo; avere cura di sé, per poter prendersi cura degli altri, cioè “volersi bene”, e questo è possibile accettando la propria fragilità, anche riconoscendola e accettando che sia riconosciuta. Non rifiutarla, non negarla, non vergognarsene. E benedirla. Accogliere il nostro limite è la strada che ci apre all’incontro con gli altri nel segno della benevolenza e della misericordia.
Continuando l’elenco il Padre ricorda di: avere cura della propria salute; avere cura dell’organizzazione del proprio tempo; distinguere il ritmo feriale da quello festivo anche nella preghiera, più calma, più contemplazione; coltivare qualche hobby sano; verificare se il tempo libero lo passiamo sempre soli o se cerchiamo e amiamo la compagnia di qualche fratello o sorella; limitare al puro necessario l’uso dei mezzi di comunicazione, che sono più o meno sempre una relazione virtuale e non reale con gli altri. Una volta vi era la dipendenza dalla televisione, oggi dai computer o dai cellulare. Sono malattie e patologie che sono già presenti e diffuse anche dentro le comunità religiose!
Riassumendo possiamo dire che il servizio di responsabilità deve essere inteso soprattutto come un’attenzione alle persone e alla loro crescita verso l’adultità attraverso l’animazione, l’aiuto fraterno, la proposta, il dialogo e l’ascolto. In questo stile va anzitutto vissuta la relazione fra il superiore e i membri del suo consiglio, come un’attitudine alla cura e alla custodia reciproca.
Altamente importante e motivante, infine, è concedere fiducia. La fiducia che nasce dal riconoscimento della diversità e dalla consapevolezza che essa può generare relazione, sapere e comunione. La fiducia dà credito e ascolta, accetta e dona speranza.
Con il ringraziamento al Signore e ad ogni partecipante, termina questo convegno che possiamo definire denso di contenuti, di condivisione e di fraternità.
Madre Orsola Bertolotto
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