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Primo piano

Violenza insensata…atto di “barbarie”

bangladesk1La strage compiuta da un commando dello Stato islamico nel cuore della capitale del Bangladesh “ha un obiettivo preciso, ovvero il governo in carica, e uno scopo evidente: destabilizzare il Paese per renderlo una roccaforte del terrorismo simile ad alcune aree del Pakistan”. Lo dice ad AsiaNews una fonte locale, anonima per motivi di sicurezza, commentando l’assalto all’Holey Artisan Bakery. Il locale, nel distretto di Gulshan, era famoso fra gli stranieri che lavorano delle ambasciate presso il Bangladesh.

Nell’attacco, rivendicato dallo Stato Islamico, sono morti almeno 20 ostaggi stranieri: per la maggior parte si tratta di italiani e giapponesi, anche se non si hanno ancora notizie sulla loro identità. A questi vanno sommati almeno sei terroristi, uccisi dalle forze armate intervenute per liberare il locale, e due poliziotti. Il totale, purtroppo ancora parziale, è dunque di 28 vittime e decine di feriti.

Il parroco della chiesa cattolica di Tejgoan, p. Kamal Corraya, dice ad AsiaNews: “Non sappiamo quanti stranieri siano morti, ma siamo veramente dispiaciuti per l’accaduto. Condanniamo con forza l’attentato”. Lawrence Gana, anche lui cattolico, lavora nella ristorazione: “Ho cinque compratori italiani, al momento scomparsi. Erano nel ristorante la scorsa notte, ma non ho loro notizie e non posso confermarne la morte”.

La fonte di AsiaNews spiega che l’assalto, compiuto da otto o nove persone al grido di “Allah è grande”, è molto simbolico: “Hanno voluto colpire dove fa più male, ovvero nel mondo degli investimenti stranieri in Bangladesh. Sperano di allontanare tutti gli stranieri del Paese perché a loro non importa nulla del benessere della popolazione. Inoltre hanno voluto dimostrare di poter attaccare il cuore diplomatico della capitale, un’area che doveva essere molto controllata”.

Lo scopo “è creare caos e paura, in modo da poter fare del Bangladesh una roccaforte del terrorismo. Ma per ottenere questo risultato devono prima far cadere l’esecutivo e poi spargere ovunque caos e paura. Certo, l’alternativa non sembra molto positiva: la militarizzazione del Paese e la sospensione dei diritti civili e democratici fino alla fine della crisi”.

Il Papa ha espresso profondo dolore per la strage compiuta. In un messaggio a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, parla di “violenza insensata perpetrata contro vittime innocenti”, un atto di “barbarie” contro Dio e l’umanità. Quindi, affida i morti alla misericordia di Dio e assicura le proprie preghiere alle famiglie delle vittime e ai feriti.

Il premier Matteo Renzi ha dichiarato, inoltre, che è il momento di dare “un messaggio di dolore” ma anche di grande determinazione: “L’Italia non arretra davanti alla follia di chi vuole disintegrare la vita quotidiana. Siamo contriti ma non piegati, la priorità è stringersi insieme alle famiglie addolorate, penso per esempio a Valeria Solesin, penso alle famiglie di chi è morto nell’attacco al Bardo a Tunisi. Ci sono ottomila chilometri tra Tunisi e Dacca, ma la scia di sangue è la stessa. Noi abbiamo il dovere di rispondere con ancora più decisione in difesa dei nostri valori. I nostri valori sono più forti delle loro follie“. (SDR)

Cari armeni, le vostre sofferenze ci appartengono…

FOTO_ARMENIA1Un popolo dalla “fede rocciosa” e con una storia di “sofferenza immane”. Sono le parole di elogio al popolo armeno di papa Francesco in occasione dell’Incontro Ecumenico svoltosi nel pomeriggio del 25 giugno c.a. nella piazza della Repubblica di Yerevan.

Francesco ha ringraziato i fedeli armeni per la loro “fedeltà al Vangelo, spesso eroica, che è un dono inestimabile per tutti i cristiani” nella speranza che il cammino ecumenico possa un giorno trovare tutti i cristiani “uniti presso l’altare del sacrificio di Cristo, nella pienezza della comunione eucaristica”.

Cattolici e non cattolici, ha sottolineato il Santo Padre, sono uniti dal martirio di tanti loro fratelli, “che hanno sigillato col sangue la comune fede in Cristo”: essi “sono le nostre stelle in cielo, che risplendono su di noi e indicano il cammino che ci resta da percorrere in terra, verso la comunione piena”. Tra i padri della chiesa armena, il Papa ha ricordato il “santo Catholicos Nerses Shnorhali”, uomo dotato di “un amore straordinario nei confronti del suo popolo e delle sue tradizioni” e, al tempo stesso, proteso verso la “ricerca dell’unità” con le altre chiese.

“L’unità non è infatti un vantaggio strategico da ricercare per mutuo interesse, ma quello che Gesù ci chiede e che sta a noi adempiere con la buona volontà e con tutte le forze, per realizzare la nostra missione: donare al mondo, con coerenza, il Vangelo”, ha aggiunto il Papa.

San Nerses è stato quindi indicato dal vescovo di Roma come un esempio di sequela di Cristo e noi, come lui, “siamo chiamati ad avere il coraggio di lasciare i convincimenti rigidi e gli interessi propri, in nome dell’amore che si abbassa e si dona, in nome dell’amore umile”, di una “dolcezza d’amore” in grado di ammorbidire “la durezza dei cuori dei cristiani, anch’essi non di rado ripiegati su sé stessi e sui propri tornaconti”.

Non è mancato un ricordo da parte di papa Francesco all’attuale drammatico scenario internazionale ed in particolare alle “tragiche conseguenze delle guerre”, specie “in Medio Oriente, dove tanti nostri fratelli e sorelle soffrono violenza e persecuzione, a causa dell’odio e di conflitti sempre fomentati dalla piaga della proliferazione e del commercio di armi, dalla tentazione di ricorrere alla forza e dalla mancanza di rispetto per la persona umana, specialmente per i deboli, per i poveri e per coloro che chiedono solo una vita dignitosa”.

Le sofferenze patite dal popolo armeno per il “Grande Male” del genocidio, ha ribadito Francesco, “ci appartengono” e “ricordarle non è solo opportuno, è doveroso: siano un monito in ogni tempo, perché il mondo non ricada mai più nella spirale di simili orrori!”.

Il sacrificio salvifico di Cristo in Croce, “di cui gli Armeni sono araldi e testimoni”, può tuttavia “diventare un seme di pace per il futuro”. Se “attraversata dall’amore”, la memoria diventa infatti “capace di incamminarsi per sentieri nuovi e sorprendenti, dove le trame di odio si volgono in progetti di riconciliazione”, dove viene sconfitta la “forza ingannatrice della vendetta” e non ci si stanca mai di “creare le condizioni per la pace: un lavoro dignitoso per tutti, la cura dei più bisognosi e la lotta senza tregua alla corruzione, che va estirpata”.

Ai giovani armeni, il Pontefice ha chiesto di fare tesoro della “grande saggezza” dei loro anziani, diventando non dei “notai dello status quo” ma dei “costruttori di pace” e dei “promotori attivi di una cultura dell’incontro e della riconciliazione”, in particolare “tra il popolo armeno e quello turco”, con l’auspicio che “la pace sorga anche nel Nagorno Karabakh”.

In conclusione, il Santo Padre ha menzionato “un altro grande testimone e artefice della pace di Cristo, san Gregorio di Narek”, che lui stesso ha proclamato dottore della Chiesa. Gregorio fu artefice della “costituzione spirituale del popolo armeno”, manifestando una “solidarietà universale con l’umanità”, che si pone come “un grande messaggio cristiano di pace, un grido accorato che implora misericordia per tutti”. (Nena Anid).

Il santo e grande Sinodo

creta1L’ultima Sinassi (riunione) dei Primati delle chiese ortodosse, tenutasi a marzo del 2014 nella sede del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli a Fanar (Istanbul), ha deciso “di comune accordo” di convocare nel 2016 a Costantinopoli, “salvo imprevisti”, il Sinodo Panortodosso (Creta, 19-26 giugno 2016). I dodici primati delle chiese patriarcali e autocefale che hanno firmato il Messaggio conclusivo della Sinassi erano consapevoli della portata storica di quel momento. Si tratta, infatti, della prima volta in epoca moderna – dopo l’VII concilio ecumenico del 787 – in cui il mondo ortodosso si raduna solennemente per “testimoniare la sua unità, come anche la sua responsabilità e il suo amore verso il mondo contemporaneo”.

Ebbene, la convocazione del “Santo e Grande Sinodo della Chiesa Ortodossa”- questa è la dicitura ufficiale del Concilio Panortodosso – iniziato nella solennità della Pentecoste BARTOLOMEO1secondo il calendario giuliano seguito dalla Chiesa Ortodossa, con la celebrazione della Divina Liturgia – rappresenta un punto culminante nella storia dell’Ortodossia, giacché ha terminato un lungo e impegnativo itinerario, che ha interessato ben quattro generazioni di ecclesiastici e teologi ortodossi, durante il quale è cresciuta la consapevolezza di una rinnovata testimonianza di unità e di missione evangelica dinanzi a e per il mondo.

Sono presenti i vescovi da parte di tutte le chiese autocefale canoniche che compongono attualmente la Chiesa Ortodossa e precisamente: Patriarcato di Costantinopoli, Patriarcato di Alessandria, Patriarcato di Antiochia, Patriarcato di Gerusalemme, Patriarcato di Mosca, Patriarcato di Serbia, Patriarcato di Romania, Chiesa di Cipro, Chiesa di Grecia, Chiesa di Polonia, Chiesa di Albania, Chiesa delle terre Ceche e di Slovacchia; il Patriarcato di Mosca, ha chiesto un rinvio, dichiarando che non parteciperà a causa di alcuni punti del documento controversi, che contraddicono il regolamento. Nonostante le difficoltà è stato deciso di svolgere ugualmente il Sinodo panortodosso, secondo quanto affermato da un comunicato ‘tecnico’ del Patriarcato di Costantinopoli: “In preparazione del Santo e Grande Concilio il Patriarca ecumenico Bartolomeo aveva convocato la Sinassi dei Primati delle Chiese ortodosse autocefale al centro del Patriarcato ecumenico, a Chambésy (Ginevra) dal 21 al 28 gennaio 2016. Come pure è prevista una piccola Sinassi dei Primati il 17 giugno”.

Ed alla vigilia dell’apertura il patriarca di Mosca e della Russia, Cirillo, ha scritto un messaggio in cui ha affermato la volontà di proseguire il cammino, lasciando aperto uno spiraglio di dialogo: “Credo che con la buona volontà l’incontro di Creta possa costituire un passo importante verso la risoluzione dei disaccordi esistenti. La Chiesa ortodossa russa può portare il suo contributo alla preparazione del Grande Santo Sinodo, che unirà tutte le Chiese ortodosse autocefale locali e sarà il riflesso dell’unità della santa Chiesa ortodossa di Cristo”.

Il Sinodo affronterà sia i rapporti tra le 14 Chiese patriarcali o autocefale (cioè quelle che possono liberamente eleggere il proprio Primate) sia le loro relazioni con la altre Chiese cristiane, oltre che le grandi sfide poste al Vangelo dalla società odierna. I padri sinodali dovranno approvare sei documenti riguardanti il digiuno, gli impedimenti al matrimonio, l’autonomia di una Chiesa (la situazione in cui si autogoverna, ma elegge il proprio primate sotto gli auspici di una Chiesa autocefala), la diaspora, l’ecumenismo e la missione della Chiesa nel mondo contemporaneo. Sono state invece rinviate a un prossimo Sinodo le questioni del calendario comune, dei dittici (l’ordine di precedenza delle Chiese) e delle procedure di proclamazione dell’autocefalia”.

Un evento importante, dunque, per mostrare stima, rispetto, simpatia verso i nostri fratelli ortodossi e invocare lo Spirito Santo perché li assista con i suoi doni. (A.S.)

Dalla collaborazione alla corresponsabilità

Vivace e sereno l’avvio del Consiglio Nazionale (Roma,10-12 giugno c.a.), che ha registrato la presenza di tutte le Regioni, ha svelato “volti nuovi”, grazie al succedersi dei ruoli nei Consigli di Presidenza di numerose regioni italiane.

IMG1Ai saluti cordialissimi, rivolti alle convenute, Madre Pierina, unisce una motivazione: “Nella condivisione lo Spirito Santo lavora, opera e suggerisce vie e luci che ci guidano nel discernimento di ciò che la V. C. è chiamata ad essere nella Chiesa di oggi. Anche se non produciamo molto è bello e costruttivo incontrarsi….”!

Individua, dalla relazione della Presidente, alcune piste di lettura richiamando e applicando alla realtà odierna, un verbo significativo, da lei sottolineato “vogliamo”…

Tema della riflessione di Madre Regina Cesarato, presidente: “La sinodalità: dalla collaborazione alla corresponsabilità”. Il testo biblico di riferimento, tratto dagli Atti degli Apostoli (5,32 e 15,28). “ Lo Spirito Santo e noi … “ e “Lo Spirito Santo insieme a noi.” Il noi è la particella pronominale valorizzata e commentata.

La scelta del tema “sinodalità” ricavato dall’insegnamento di P. Francesco al Convegno di Firenze risulta di chiara attualità ed urgenza per la Chiesa di oggi, per le comunità religiose, per ogni cristiano chiamato ad evangelizzare con la vita e con le parole.

La sinodalità – sostiene la relatrice – deve diventare uno stile di vita e di relazione, dinamismo e ispirazione, progettualità e sinergia sia di forze che di fede. Un modo nuovo di camminare insieme nella storia, come Chiesa, come USMI. L’arte del passaggio, da uno stile all’altro, per progettare in modo nuovo, anche il modo di vivere la comunione, di relazionarsi.

L’arte del passaggio, necessaria per il cambio epocale in atto, ci sottopone all’arte del discernimento, per poter operare scelte oculate, nonostante l’evidenza dei fatti e della storia, a gestire positivamente i cambiamenti, con attenzione ai problemi emergenti, in linea con il sogno di Dio sulla storia e sulla Vita Consacrata. “Il mondo esige il potenziamento delle sinergie, per sostenere la Chiesa del III millennio”. (cfr. P. Francesco).

L’USMI è chiamato ad aprire occhi e cuore sulla Storia, a rinnovarsi per non vivere ai margini di essa, a creare occasioni di sinodalità, la cui dinamica è fonte di comunione. L’icona biblica che ci può ispirare è quella della prima Chiesa di Gerusalemme, descritta negli Atti.

Gli atti del nostro Consiglio 2016, sapranno essere ispiratori alle nuove generazioni, se sapremo accogliere le istanze che lo Spirito suggerisce a chi si apre alla Sua azione e ispirazione. La “svolta storica” la possiamo e dobbiamo sostenere e orientare anche noi. Questo è il nostro mandato, questo il nostro impegno .

La giornata di sabato, 11 giugno c.a. che si preannuncia molto intensa ci vede raccolte, come primo atto, intorno all’altare per la celebrazione eucaristica. IMG3E’ l’ascolto della Parola di Dio che la liturgia del giorno ci propone nella memoria di San Barnaba, a dare il LA al lavoro che ci attende: “Gratuitamente avete ricevuto e gratuitamente date. … non prendete né borse, né bisacce, né sandali… “ [Mt. 10, 7 seg.]

Missionarietà, apostolato e annuncio sono alla base della motivazione di vita dei consacrati/e. Questi ideali ci spronano a vivere con passione anche il nostro servizio all’USMI, cioè alla Vita Consacrata nella Chiesa di oggi.

La fase di “ascolto delle Regioni”, ha impegnato quasi tutta la mattinata.

Oggetto: la sintesi di una scheda di lavoro, precedentemente inviata al Consiglio Nazionale, intesa a rispondere a due domande specifiche circa lo stato attuale dell’USMI regionale e il confronto con la nuova riconfigurazione in Ambiti a livello nazionale.

Le presidenti o referenti di ogni singola regione tratteggiano il quadro della loro realtà locale. Situazioni molto variegate ma anche molto affini in alcuni tratti in rapporto alle difficoltà di reperire persone e tessere relazioni, alla ricerca di collaborazione con la Chiesa locale, la CISM, ecc.. alle difficoltà logistiche e non solo.

Vivace e ricca risulta essere stata in generale la programmazione di eventi, anche a livello ecclesiale, grazie all’anno dedicato alla Vita consacrata e al Giubileo della Misericordia, ancora in atto e ancora fonte di ispirazione per iniziative comuni forti e significative. Nonostante le difficoltà di età, di distanze e impegni, l’attività narrata e vissuta, risulta essere vivace e creativa, superiore alle aspettative come partecipazione e adesione agli eventi proposti.

“L’arte del passaggio” motivo dominante che accompagna la riflessione USMI, richiamata in più occasioni come prospettiva operativa nella programmazione, viene descritta come apertura al “nuovo” e ai “segni dei tempi”. Segni che vanno letti, capiti e affrontati, non sottovalutati, che richiedono alla Vita Consacrate e alla Chiesa sinergie maggiori e profezia.

La fisionomia dei 4 ambiti in fase di strutturazione: Comunicazione, Pastorale, Formazione, Governance, vengono illustrati dalle referenti. Alla base due obiettivi comuni: relazioni ad intra e ad extra.

Ogni ambito è attivo grazie ad una équipe formata da 4 o 5 persone, tra cui un membro del Consiglio nazionale. Le referenti, presentano a grandi linee il progetto, il metodo e le finalità individuate.

Ambito della comunicazione: sr. Dina descrive l’impegnativo lavoro per la messa on line del nuovo sito, il progetto di creare sinergie per una comunicazione on line tra centro e periferia e per questo chiede alle madri presidenti di segnalare, entro il mese di luglio c.a., una referente per ogni regione con la quale del sorelle dell’ambito possono interagire. La programmazione di questo ambito come quella degli altri sarà disponibile entro fine luglio in formato cartaceo e on line.

L’ambito della Pastorale è illustrato da sr. Azia. Si tratta di ambito nuovo, équipe nuova, ma di esperienze collaudate. La referente richiama l’importanza delle comunicazioni, relazioni e contatti con le delegate dei precedenti uffici.

Accenna ad alcune linee pastorali privilegiate: Mobilità etnica/Migrazione; Pastorale vocazionale/parrocchiale.

L’ Ambito della Formazione, affidato ad una équipe di 4 persone, illustrato da sr. Pierina, ha come obiettivo il coinvolgimento di diverse categorie di destinatari: postulanti, novizie, juniores, Maestre di formazione, ecc… Elenca alcuni punti di forza, e individua le fatiche che l’équipe dovrà affrontare… e si pone una domanda: Quale tipo di formazione abbiamo oggi da proporre?

Proprio il tema della Formazione sarà l’oggetto di riflessione, da parte dell’ambito della “Governance per il prossimo anno 2017.

Non sono mancati i lavori di gruppo…

Infatti, suddivise in tre gruppi, a composizione spontanea, si affronta la riflessione su due piste proposte dalla Presidenza. Una valutazione sull’ultima Assemblea generale e un suggerimento sul tema – Formazione – scelto per l’Assemblea nazionale 2017.

Le valutazioni, di chi ha partecipato all’Assemblea 2016, risultano positive per la maggior parte delle presenti, apprezzati i temi e gli interventi.

In modo corale è emerso un giudizio di alto apprezzamento per i lavori di gruppo, che però non hanno trovato una adeguata espressione e ricchezza circa il contenuto, nella esposizione della sintesi finale. Si chiede di dare maggior spazio a questa fase di raccolta, e prevedere uno scambio e chiarimento dei temi con gli stessi relatori.

Emergono suggerimenti e richieste, per l’USMI Nazionale:IMG4

  • attenzione alle fasce generazionali e culturali nella formazione permanente, adattando i contenuti alle diverse fasce d’età. Applicare il metodo non solo frontale ma anche sinodale.
  • Accoglienza delle proposte della Chiesa per evitare di creare doppioni.
  • Essere aiutate a comprendere la formazione per una vita nuova in Cristo.
  • Proiettarsi verso il futuro con proposte di tipo intercongregazionale.
  • Puntare su Seminari di una giornata dislocati in regioni diverse.
  • Continuare la formazione delle delegate Diocesane
  • Rivisitare i voti a livello di formazione.
  • Voto di povertà: coscientizzare la persone circa il voto e le risorse dell’Istituto.
  • Si chiedono suggerimenti sulla pastorale vocazionale.
  • Riflettere insieme sui carismi della V.R. “segni” che trascendono le opere.
  • Affrontare i temi emergenti, e di attualità quali il Gender…
  • Esaminare il tipo di rapporto con AGIDAE, CNEC, consulenze varie nella gestione delle opere.
  • Sollecitare una maggiore collaborazione con la CISM.

 Nella mattinata della giornata conclusiva come premessa vengono offerte alcune chiarificazioni da parte della moderatrice. Sia per l’assemblea nazionale 2017, sia per la definizione della nuova struttura dell’USMI, sono state espresse dai gruppi di lavoro, intuizioni e proposte significative.

Gli ambiti: Comunicazione, Pastorale e Formazione, assorbono tutta l’attività precedente che impegnava, nei vari Uffici che rispecchiavano in modo speculare la struttura degli Uffici CEI, circa 20 sorelle, .

Madre Pierina legge e commenta poi la sintesi dei lavori di gruppo prodotto nella giornata di sabato. Si deduce che le regioni hanno un percorso diversificato: ben venga la flessibilità!

Madre Regina Cesarato, suggerisce di studiare nelle Regioni un modo di applicazione della struttura in ambiti, senza vincoli di forma e ruoli. Le conquiste raggiunte e le esperienze possono essere messe in comune e diventare motivo di crescita. Consiglia di fare una mappatura delle esigenze del territorio regionale per studiarne i percorsi, le istanze pastorali, e poi confrontarsi.

La Presidente, chiude i lavori del Consiglio Nazionale 2016, richiamando l’art. 20 dello Statuto, le cui linee programmatiche indicate possono esserci di guida. Si tratta di migliorare la sinergia di idee e azioni tra le regioni e il centro. Giudica positivo il lavoro dei due giorni e ringrazia caldamente le collaboratrici.

Dal vangelo odierno della donna peccatrice in casa di Simone, coglie una chiave di lettura (cfr. patricarca Atenagora) : “ Perché lei ha molto amato! “ – “ Perché Lui ha molto amato!” Il primato dell’amore è il cuore del Vangelo.

Ancora una perla, nascosta nelle parole di Gesù nel Vangelo citato, fanno da “sintesi”, una sintesi dai tratti femminili. Tre parole citate tre volte: BACIO, LACRIME, PROFUMO!

Ringraziamo Dio che ci dà la grazia di vivere oggi, anche con poche sicurezze e oscurità: questo ci educa alla fede!

sr Adriana A.

 

 

 

Cantiere aperto …

In una civiltà del ‘sempre di più’ – come è la nostra – spot monotono è un invito a morire affogando nell’egoismo dei PPconsumi. Bergoglio denuncia con chiarezza l’avidità disastrosa prodotta dalla ‘mercato-latria’, che non può più essere considerata innocua. Tutta l’economia – egli afferma – è da ripensare. Il benessere ci sta disumanizzando. Il consumismo ci ha indotti ad abituarci al superfluo e allo spreco quotidiano di cibo. Il divertimento è diventato un’alienazione e una droga. La “cultura dello scarto” tende a diventare mentalità comune e oggi contagia un po’ tutti. In Italia sono proprio gli sprechi a livello domestico i più rilevanti: 42% del totale! Le relazioni tra accumulazione di ricchezza e distruzione di risorse sono accertate e i gemiti di sorella terra si uniscono a quelli degli abbandonati del mondo.

 Come passare ad una civiltà del ‘può bastare, forse è già troppo’ (A. Langer)? Molti sforzi per cercare soluzioni concrete sono frustrati dal rifiuto dei potenti; ma sulla stessa linea si muovono anche gli atteggiamenti dei credenti in Cristo. Saranno sufficienti i primi infarti e collassi – da Cernobyl alle alghe dell’Adriatico, dal clima impazzito agli spargimenti di petrolio sui mari…- per convincerci a cambiare realmente strada? La comunità cristiana verso quali scelte di fondo si orienterà rispetto al neoliberismo e al trionfo dei consumi?

… sulla via stretta di una sobrietà felice

 Vero messaggio rivoluzionario, e presupposto di giustizia globale, è l’etica del limite nello stile di vita, il solo che dice chi si è realmente. Orientarsi però concretamente secondo tale etica richiede una spinta positiva, simile a quella che fa cercare un senso diverso e più alto per la propria vita. In sintesi: guardare il mondo con lo sguardo dei poveri e dalla parte dei poveri. Non si tratta tanto di dare di più, quanto piuttosto di prendere di meno. In concreto, produrre -e comprare – diversamente: meno prodotti superflui/usa e getta e più prodotti fondamentali duraturi; meno consumi privati e più pubblici… Insomma: più recupero e qualità della vita. Parola d’ordine è sobrietà. Ma con essa non si concilia qualsiasi povertà o rinuncia. Quella, per esempio, che la riduce a una lista di precetti e a un ricettario, la ingessa.

Strade nuove e sicure spuntano sempre dalla freschezza del Vangelo. Solo la sobrietà che si preoccupa anche di… ‘Lazzaro’ è “felice”. Dove poi una vita realmente umana è presente, i suoi fatti la sottraggono all’egoismo, l’aprono alla cura degli altri e sbloccano le profondità nascoste della realtà…

In tutta Europa, ci sono, ad oggi, oltre cento iniziative per ridurre l’accumulo di scarto alimentare. L’Italia è in prima linea con una legge che punta sugli incentivi per chi dona. Punire chi spreca serve a poco. Meno ancora serve la rassegnazione comoda, il cercare di non vedere la rotta… La ricerca continua. Il cantiere per una nuova vita di comune fraternità è appena aperto.

         Luciagnese Cedrone

         lucia.agnese@tiscali.it

 

Una guerra sporca

PPHPL’arcivescovo armeno cattolico di Aleppo, città martoriata dalla guerra, Boutros Marayati, è intervenuto giovedì 12 c.m. alla Veglia di preghiera organizzata dalla parrocchia Ognissanti in Roma, dando una testimonianza davvero toccante e significativa. La guerra dura da cinque anni e “la mia città è divisa in due parti, da una parte l’Isis, gli estremisti islamici, l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti, dall’altra parte dove siamo noi, il governo, Russia e Iran. Noi siamo l’origine del cristianesimo, ha proseguito, San Paolo si è convertito a Damasco, le prime comunità di cristiani si sono sviluppate ad Antiochia, vicino ad Aleppo e oggi sono vittime di persecuzione. Come non ricordare il rapimento di padre Dall’Oglio e quello di un parroco della mia diocesi; la sua mamma ogni giorno – ha aggiunto – va al balcone sperando di vederlo tornare. La guerra sta mettendo in difficoltà tutti, soprattutto i bambini e gli anziani. E proprio i bambini sono quelli che soffrono di più; ci sono bambini nati con la guerra, loro non sanno cosa sia una vita normale, non sanno cosa sia avere sempre l’acqua, l’energia elettrica. Non sanno cosa sia un sonno tranquillo, sono sempre vissuti sotto le bombe.

Dei quattro milioni di cittadini, tre sono andati via. La vita è quasi impossibile: non ci sono medicine, il cibo scarseggia. Hanno colpito scuole e ospedali. Lo stesso è accaduto alle chiese. La mia cattedrale è stata bombardata, noi non vogliamo andare via, ma per chi resta la vita è dura, ma si è creata una rete di solidarietà”. L’arcivescovo, poi, racconta la storia di un ragazzo musulmano: “Lui ogni giorno va da una donna anziana cattolica e le porta acqua, latte, medicine e cibo. Altri cristiani nello stesso palazzo non lo fanno, ma lui si”.

Ma perché questa guerra? Ha chiesto una ragazza all’arcivescovo; i motivi economici alla base sono tanti, ha risposto – tutti proseguono i propri interessi e oggi uno dei maggiori interessi del mondo è il petrolio. Non voglio entrare in questioni politiche ed economiche, ma in ogni guerra c’è una ragione materiale ed economica: sono il petrolio e il gas, senza contare che tutto ciò è possibile grazie al commercio di armi Più ci sono guerre, più si vendono armi e ci sono Paesi che diventano ricchi. Se non si vuole l’immigrazione, bisogna fermare la guerra, ha detto con forza Marayati. I capi di Stato occidentali invece, hanno espresso cordoglio per le vittime francesi, ma sono rimasti incuranti del resto del mondo. Sono morti dei giornalisti in Francia e tutti capi di Stato hanno sfilato insieme. In Yemen sono state uccise quattro suore di Madre Teresa ma non si mosso nessuno”.

Parole veritiere e sofferte, che fanno riflettere, che pongono il cammino della pace come l’obiettivo primario del cristiano e di chiunque condivide i valori della solidarietà, della misericordia e del perdono. (Simona Piana)

Viene l’ora, l’ora è venuta

PP_9L’Osservatore Romano, diretto da Giovanni Maria Vian, rilancia il supplemento «Donne, Chiesa, Mondo» in formato magazine. Il mensile, che esce ogni 2 del mese, in allegato al quotidiano e all’edizione settimanale in italiano, e in spagnolo con il settimanale Vida Nueva, ha compiuto quattro anni si rinnova completamente con una nuova veste grafica di 40 pagine tutte a colori. Si rinvigorisce il magazine femminile Donne, Chiesa, Mondo per l’Osservatore Romano di cui la redazione è tutta femminile, interreligiosa e internazionale: oltre a Lucetta Scaraffia, vi sono Giulia Galeotti, Catherine Aubin, Anna Foa, Rita Mboshu Kongo e Silvina Pérez, Sylvie Barnay, Enzo Bianchi, Daria Bignardi, Sara Butler, Oddone Camerana, Liliana Cavani, Cristiana Dobner, Isabella Ducrot, Paul-André Durocher, Maurizio Gronchi, Barbara Hallensleben, Melania Mazzucco, Luisa Muraro, Elisabetta Rasy, GianPaolo Salvini, PierAngelo Sequeri, Mariapia Veladiano e Maria Voce. Innanzitutto un augurio di buon lavoro a queste prestigiose firme da Noidonne e un grazie a Lucetta Scaraffia che da anni si dedica a questa materia coinvolgendo donne di diverse appartenenze politiche e religiose, producendo con loro materiale di alto profilo, non solo utile per la Chiesa ma per tutte/i noi.

Si tratta di un tentativo unico, nella storia recente del Vaticano, di portare le donne verso quella piena valorizzazione che già Paolo VI chiudendo il Concilio Vaticano II in un messaggio rivolto proprio alle donne, disse: “Viene l’ora, l’ora è venuta, in cui la vocazione della donna si completa in pienezza, l’ora in cui la donna acquista nella società un’influenza, un irradiamento, un potere finora mai raggiunto”.

Nel nuovo mensile, ai consueti approfondimenti sulle principali questioni legate al ruolo delle donne nella Chiesa, si aggiungono due rubriche, curate dalle sorelle del monastero di Bose: una sull’arte declinata con la sensibilità e l’espressività femminile e una sulla Bibbia. Il rinnovamento, dunque, non è soltanto di forma, ma anche di sostanza, per rispondere al bisogno sempre più sentito di tante donne, non solo cattoliche, di condividere, riflettere e far ascoltare la propria voce. “Donne che portano alla luce, alla conoscenza del mondo, ciò che altre donne hanno da dire o che nel passato hanno detto e scritto, che fanno o hanno fatto”, ha scritto ancora Scaraffia nell’editoriale del nuovo numero in uscita. «Il mensile non solo fa conoscere e valorizza la presenza femminile nella Chiesa, ma apre la via a una nuova e positiva abitudine: quella di ascoltare le donne, di guardare al molto che hanno da dire e alle numerose iniziative che sanno realizzare, per mettere in atto quella sinergia del maschile e del femminile che tante volte è stata invocata nei documenti ufficiali ma non sempre messa in pratica», ha detto Parolin che, rispondendo ad alcune domande dei giornalisti ha aggiunto: «Di per sè una donna potrebbe ricoprire l’ufficio di segretario di stato che non è legato ai sacramenti e al sacerdozio ma comunque torno a dire, guardiamo già il cammino che si è fatto e poi il Signore dirà dove si può arrivare ma ci sono già posizioni definitive, come sull’accesso al sacerdozio, la Chiesa ha già preso una posizione definitiva». Lucetta Scaraffia come ha dichiarato è preoccupata nell’osservare in alcune donne nella Chiesa, anche religiose, la tentazione di isolarsi, di rinchiudersi nei propri spazi di autonomia, rinunciando a lottare. Come dire: se la Chiesa non mi vuole o non mi valorizza vado per la mia strada, mi rinchiudo nel mio mondo. Ma questo non va bene.- ha affermato la Scaraffia, – dobbiamo crescere insieme. E questo è l’obiettivo di “Donne, Chiesa, Mondo” che in questi anni è molto cresciuto ed è sempre più apprezzato anche fuori della Chiesa».

Dunque l’ora è venuta, la donna ha acquisito nella società un’influenza, un potere finora mai raggiunto, grazie a tante donne che hanno lavorato per questo.

 

Fonte: Adriana Moltedo,

esperta di Comunicazione e Media

in Noi DONNE, 5 maggio 2016

Un sogno per l’Europa

PAPA“Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stata la sua ultima utopia”. Di fronte ai rappresentanti delle principali istituzioni europee papa Francesco riceve in Vaticano il premio internazionale Carlo Magno di Aquisgrana per il suo “straordinario impegno a favore della pace, della comprensione e della misericordia in una società europea di valori” e non indugia nel suo discorso a sottolineare con forza il suo pensiero sull’Europa alla quale chiede di lavorare per porre basi nuove, che rispondano a logiche di integrazione e di dialogo, con modelli economici più inclusivi ed equi e per la quale esprime il suo sogno: “Con la mente e con il cuore, con speranza e senza vane nostalgie (…) sogno un nuovo umanesimo europeo. Sogno un’Europa giovane, capace di essere ancora madre: una madre che abbia vita, perché rispetta la vita e offre speranze di vita. Sogno un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo. Sogno un’Europa che ascolta e valorizza le persone malate e anziane, perché non siano ridotte a improduttivi oggetti di scarto. Sogno un’Europa, in cui essere migrante non sia delitto bensì un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano. Sogno un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia grande, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro sufficientemente stabile. Sogno un’Europa delle famiglie, con politiche veramente effettive, incentrate sui volti più che sui numeri, sulle nascite dei figli più che sull’aumento dei beni. Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stata la sua ultima utopia”.

Francesco ricorda le origini del sogno europeo, la creatività e l’ingegno dei Padri fondatori (Schuman, De Gasperi …) che gettarono le fondamenta di un progetto comune. Oggi “quell’atmosfera di novità, quell’ardente desiderio di costruire l’unità paiono sempre più spenti: noi figli di quel sogno siamo tentati di cedere ai nostri egoismi, guardando al proprio utile e pensando di costruire recinti particolari”. Il papa si chiede apertamente: “Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Cosa ti è successo, terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati?”. Eppure, afferma, gli ideali di un tempo non sono superati perché “ispirano, oggi più che mai, a costruire ponti e abbattere muri”, “sembrano esprimere un accorato invito a non accontentarsi di ritocchi cosmetici o di compromessi tortuosi per correggere qualche trattato, ma a porre coraggiosamente basi nuove, fortemente radicate, accettando con determinazione la sfida di aggiornare l’idea di Europa”. E parla di un nuovo umanesimo basato su tre capacità: la capacità di integrare, la capacità di dialogare e la capacità di generare.

Francesco ricorda che nel corso della sua storia l’Europa ha imparato a “integrare le culture più diverse e senza apparente legame tra loro”, tanto che “l’identità europea è, ed è sempre stata, un’identità dinamica e multiculturale”. “Il volto dell’Europa non si distingue nel contrapporsi ad altri, ma nel portare impressi i tratti di varie culture e la bellezza di vincere le chiusure”. Oggi “il tempo ci sta insegnando che non basta il solo inserimento geografico delle persone, ma la sfida è una forte integrazione culturale”. Il papa sollecita “una solidarietà che non può mai essere confusa con l’elemosina, ma come generazione di opportunità perché tutti gli abitanti delle nostre città possano sviluppare la loro vita con dignità”. Da qui l’invito a “riconoscere l’altro come un interlocutore valido”, guardando “lo straniero, il migrante, l’appartenente a un’altra cultura come un soggetto da ascoltare, considerato e apprezzato”. Ed evidenzia l’importanza di insegnare alle giovani generazioni “un modo di risolvere i conflitti diverso da quello a cui li stiamo abituando” con “coalizioni non più solamente militari o economiche ma culturali, educative, filosofiche, religiose” (Diesse).

 

Un incontro fecondo

PP_3Comunicazione e misericordia: un incontro fecondo

 Il tema scelto quest’anno dal Santo Padre per la 50° Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali è: Comunicazione e misericordia: un incontro fecondo.

La comunicazione è in primo luogo un segno d’amore, quindi di misericordia. Poiché la Chiesa è chiamata a vivere “la misericordia quale tratto distintivo di tutto il suo essere e il suo agire”, ogni parola o gesto “dovrebbe poter esprimere la compassione, la tenerezza e il perdono di Dio per tutti”. Così si apre il messaggio di papa Francesco per questa giornata “L’amore, per sua natura, è comunicazione, conduce ad aprirsi e a non isolarsi. E se il nostro cuore e i nostri gesti sono animati dalla carità, dall’amore divino, la nostra comunicazione sarà portatrice della forza di Dio”. Tutti, nessuno escluso, sono “chiamati a comunicare da figli di Dio con tutti”, trasmettendo quella “misericordia” in grado di “toccare i cuori delle persone e sostenerle nel cammino verso la pienezza della vita”.

Scegliendo “con cura parole e gesti”, gli uomini possono “superare le incomprensioni, guarire la memoria ferita e costruire pace e armonia”. Le parole, quindi, possono “gettare ponti tra le persone, le famiglie, i gruppi sociali, i popoli”, tanto nell’ambiente “fisico”, quanto in quello “digitale”. A tale scopo, il Papa esorta a “parole e azioni” che aiutino ad “uscire dai circoli viziosi delle condanne e delle vendette, che continuano ad intrappolare gli individui e le nazioni, e che conducono ad esprimersi con messaggi di odio”.

Il cristiano deve quindi esprimersi con parole che facciano “crescere la comunione” e, anche quando deve “condannare con fermezza il male”, è tenuto a cercare di “non spezzare mai la relazione e la comunicazione”. I “risentimenti” e le “vecchie ferite” che rischiano “intrappolare le persone e impedire loro di comunicare e di riconciliarsi”, sono riscontrabili anche nei “rapporti tra i popoli” ma, in tutti questi casi “la misericordia è capace di attivare un nuovo modo di parlare e di dialogare”.

Per questo, papa Francesco cita Shakespeare, che, ne Il mercante di Venezia, scrive: «La misericordia non è un obbligo. Scende dal cielo come il refrigerio della pioggia sulla terra. È una doppia benedizione: benedice chi la dà e chi la riceve».

Il linguaggio della misericordia, dovrebbe permeare anche la “politica” e la “diplomazia”, facendo così appello “a quanti hanno responsabilità istituzionali, politiche e nel formare l’opinione pubblica, affinché siano sempre vigilanti sul modo di esprimersi nei riguardi di chi pensa o agisce diversamente, e anche di chi può avere sbagliato”. La misericordia quindi “offre calore a quanti hanno conosciuto solo la freddezza del giudizio”, con uno stile comunicativo, in grado di superare “la logica che separa nettamente i peccatori dai giusti”.

Se è vero che è “nostro compito ammonire chi sbaglia”, al fine di “liberare le vittime” del male e “sollevare chi è caduto”, mai si può “giudicare le persone, perché solo Dio può leggere in profondità nel loro cuore”.

La verità che ci farà liberi (cfr. Gv 8,32), va affermata “con amore” ed accompagnata da parole di “mitezza e misericordia” che tocchino “i cuori di noi peccatori”. Al contrario, “parole e gesti duri o moralistici corrono il rischio di alienare ulteriormente coloro che vorremmo condurre alla conversione e alla libertà, rafforzando il loro senso di diniego e di difesa”.

Elemento fondamentale nella dinamica della comunicazione è la “mai facile” dimensione dell’ascolto, ovvero la capacità di “condividere domande e dubbi, di percorrere un cammino fianco a fianco, di affrancarsi da qualsiasi presunzione di onnipotenza e mettere umilmente le proprie capacità e i propri doni al servizio del bene comune”. Nell’ascolto, spiega il Papa, “si consuma una sorta di martirio, un sacrificio di sé stessi” che, comunque, comporta “una grazia immensa”, quindi è “un dono che bisogna invocare per poi esercitarsi a praticarlo”.

“Anche e-mail, sms, reti sociali, chat possono essere forme di comunicazione pienamente umane. Non è la tecnologia che determina se la comunicazione è autentica o meno, ma il cuore dell’uomo e la sua capacità di usare bene i mezzi a sua disposizione. Le reti sociali sono capaci di favorire le relazioni e di promuovere il bene della società ma possono anche condurre ad un’ulteriore polarizzazione e divisione tra le persone e i gruppi. L’ambiente digitale è una piazza, un luogo di incontro, dove si può accarezzare o ferire, avere una discussione proficua o un linciaggio morale. Prego, afferma papa Francesco, che l’Anno Giubilare vissuto nella misericordia «ci renda più aperti al dialogo per meglio conoscerci e comprenderci; elimini ogni forma di chiusura e di disprezzo ed espella ogni forma di violenza e di discriminazione» (Misericordiae Vultus, 23). Anche in rete si costruisce una vera cittadinanza. L’accesso alle reti digitali comporta una responsabilità per l’altro, che non vediamo ma è reale, ha la sua dignità che va rispettata. La rete può essere ben utilizzata per far crescere una società sana e aperta alla condivisione.

La comunicazione, i suoi luoghi e i suoi strumenti hanno comportato un ampliamento di orizzonti per tante persone. Questo è un dono di Dio, ed è anche una grande responsabilità. Mi piace definire questo potere della comunicazione come “prossimità”.

L’incontro tra la comunicazione e la misericordia è fecondo nella misura in cui genera una prossimità che si prende cura, conforta, guarisce, accompagna e fa festa.

Il messaggio si conclude ricordando che in un mondo diviso, frammentato, polarizzato, comunicare con misericordia significa contribuire alla buona, libera e solidale prossimità tra i figli di Dio e fratelli in umanità” (Diesse)

 

Trasformate i deserti in foreste

PP_ci tengoDopo aver confessato in piazza San Pietro 16 giovani e dopo la grande Messa con i partecipanti del Giubileo dei Ragazzi, Papa Francesco si è recato, rispondendo così all’invito che gli organizzatori gli avevano rivolto visto il suo forte impegno per la difesa del creato alla manifestazione “Villaggio della Terra” promossa da EarthDayItalia, Movimento dei Focolari, Connect4Climate e Roma Capitale per la Giornata internazionale della Terra, che si è svolta nel pomeriggio del 24 aprile c.a. alla Mariapoli di Roma al Galoppatoio di Villa Borghese.

Accolto da Maria Voce, presidente dei Focolari, e da mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione, il Papa con grande attenzione ha seguito le testimonianze di alcune persone che hanno raccontato il loro impegno in opere di misericordia che gli hanno offerto lo spunto per una comunicazione tutta a braccio. “Lascio i fogli che ho scritto, li consegno e dirò quello che mi viene in mente” ha annunciato infatti. E quello che gli è venuto in mente è stata una doppia immagine: il deserto e la foresta.

“Ho pensato: questa gente prende il deserto per trasformarlo in foresta. Vanno al deserto e non c’è speranza e lo fanno diventare foresta”, ha detto il Papa. “La foresta è piena di alberi, di verde, ma troppo disordinata. Un po’ così è la vita. Passare dal deserto alla foresta è un bel lavoro che voi fate. Voi trasformate deserti in foreste”.

Oggi sono tanti i deserti presenti nelle città, anche in quelle più affollate: “Tanti deserti nelle vite di persone che non hanno futuro perché sempre ci sono i pregiudizi, le paure”, ha osservato il Pontefice. “E questa gente deve vivere e morire nel deserto nella città”. Allora è “un miracolo” il vostro lavoro di voler “cambiare i deserti in foreste”.

“Andate avanti così!” ha incoraggiato infatti il Santo Padre. Anche senza un “piano di lavoro” ben definito; tanto la vita è così: “È come il portiere nel calcio” che “deve prendere il pallone dove lo buttano”. Questo per dire che “non bisogna avere paura nella vita, avere paura nei conflitti”. Anche perché “chi non rischia mai conosce la realtà. È necessario avvicinarsi, ma è un rischio e una opportunità”. “Mai girarsi per non vedere i conflitti – ha raccomandato il Pontefice – bisogna prenderli in mano e risolverli”.

Perché altrimenti davanti c’è il deserto. E il deserto “è brutto”, ha detto Francesco, “sia quello che è nel nostro cuore, sia quello delle città, delle periferie, ma anche quello dei quartieri protetti. Non dobbiamo avere paura. Andiamo al deserto per trasformarlo in foresta. C’è vita. Andare ad asciugare lacrime perché possano sorridere”.

Nel transito dal deserto alla foresta, dalla morte alla vita, c’è infatti “il sorriso”. Il Papa poi ha dato “un compito da fare a casa: guardate un giorno la faccia delle persone quando andate per la strada”. “Preoccupatevi, ognuno, chiuso in se stesso. Manca il sorriso. Manca tenerezza”. Manca “un’amicizia sociale”. E “dove non c’è l’amicizia sociale sempre c’è l’odio, la guerra”, in particolare in questo momento storico in cui si vive “una terza guerra mondiale a pezzi”.

Questa “amicizia sociale” si fa “col perdono, con l’avvicinarsi” a quel problema, a quel conflitto, a quella difficoltà, ha spiegato il Papa. Difficoltà che può essere ad esempio il gioco d’azzardo, una delle piaghe moderne più subdole dove “tanta gente perde tutto”. “A Buenos Aires – ha ricordato infatti papa Francesco – ho visto anziani che andavano alla banca a prendere la pensione e poi subito al casinò”.

Bisogna allora “avvicinarsi al posto del conflitto”. E farlo con “gratuità”, “una parola da non dimenticare in questo mondo in cui sembra che se tu non paghi non puoi vivere”. La gratuità è una “saggezza” che “si impara col gioco, con lo sport, con l’arte, con la gioia di essere insieme, con l’avvicinamento” ha sottolineato il Papa.

Tutti valori – ha detto – che sembrano dimenticati oggi, in cui “la persona che Dio ha creato per essere al centro del mondo non è più al centro dell’economia” perché “al centro c’è il dio denaro”. E “quelli che possono adorare questo dio si avvicinano e quelli che non possono finiscono nella fame, nelle malattie, nello sfruttamento”.

Gratuità allora è la parola chiave. La seconda è perdono, perché “col perdono – ha ribadito Papa Francesco –  il rammarico, il risentimento si allontana e si deve sempre costruire non distruggere”.

Tutto questo come si fa? “Semplicemente con la consapevolezza che tutti abbiamo qualcosa in comune. Tutti siamo umani e nell’umanità ci avviciniamo per lavorare insieme”. Tutti dobbiamo “rispettarci”, ha concluso, “e così vedremo questo miracolo”. Il miracolo di un deserto che diviene foresta. (D.S.)