Sono stati due giorni molto ricchi e formativi quelli vissuti sabato 16 e domenica 17 novembre c.a. nel seminario per le suore che operano nella pastorale delle carceri. Siamo arrivate da tutta la Penisola; siamo di tanti istituti religiosi femminili, ma non tutti; siamo molte, ma potremmo e dovremmo essere di più; siamo giovani e anziane, con il comune desiderio di interrogarci e ascoltarci, approfondire e sostenerci nella grande e meravigliosa missione del servire le sorelle e i fratelli ristretti nelle centinaia di carceri sparse in tutta Italia.
Siamo donne portatrici della Buona Novella, che “con-passione”, rimanendo nell’assoluta libertà di non vantare poteri di alcun genere, doniamo instancabilmente solo le nostre vite, e ciò che ci fa sentire vive, Gesù Cristo! Così ci ha esortato Mons. Libanori Daniele, Vescovo Ausiliario per il Settore Centro e Delegato per il clero e per i seminari, invitandoci ad essere raccoglitrici di storie, “fomentatrici” di relazioni, annunciatrici della debolezza della Croce.
Anche la dott.ssa Silvia Landra, psichiatra e psicoterapeuta presso la casa circondariale di San Vittore e la Casa di Reclusione di Bollate, nonché Presidente dell’Azione Cattolica, ci ha esortate a portare la nostra presenza femminile nei luoghi ristretti e austeri che abitiamo quotidianamente. Ci ha invitate ad essere donne di equilibrio tra il greve e duro giudizio che incombe sulle vite dei detenuti e il facile vittimismo o pietismo che potrebbe sorgere visitando quei lunghi corridoi. Ci ricorda che siamo un corpo, siamo “un noi”, tutti, nessuno escluso, in cammino insieme verso la Gerusalemme Celeste. Noi, donne di Dio, chiamate ad avere questo sguardo di fede, dobbiamo essere “evidenziatrici” del bene e del bello, là dove sembra esserci buio, dolore, ingiustizia, morte.
Nei laboratori del pomeriggio abbiamo affrontato tre macro-argomenti: l’annuncio della Parola e il dono dell’iniziazione cristiana; la molteplicità delle relazioni che siamo chiamate a intessere all’interno, e non solo, delle carceri; il numero sempre più elevato di giovani che abitano le nostre prigioni oggi. Come il Seminatore, che ogni giorno esce a seminare senza temere di spargere il suo seme, certo che ogni terreno è capace di accogliere la Vita; così anche noi sappiamo che il nostro è un lavoro lento, capillare, paziente, ma anche ostinato, fermo, risoluto che porterà frutto a suo tempo.
Ci è stato fatto il dono di incontrare poi due donne tenaci e tenere allo stesso tempo, due testimoni che cercano con la loro vita di mettere umanità dove si vorrebbe nascondersi dietro la regola, di chiedere e proporre la presenza della comunità dove si tenderebbe solo a scansare il problema: Valeria Farina, italiana convertita all’islam, madre di Youssef Zaghba, morto sul London Bridge il 3 giugno 2017 dopo aver ucciso, insieme ad altri due attentatori, otto persone. Dopo la morte del figlio ha fondato l’associazione Rahma – “misericordia” – per la promozione dell’integrazione e la lotta contro la radicalizzazione dei giovani musulmani in Italia. Roberta Calzuola, Ispettrice Capo nella Casa Circondariale Femminile di Rebibbia, moglie e madre, vive il quotidiano incontro con donne che hanno infranto la legge, rimanendo in una relazione umana e raccogliendo le ferite inflitte e subite al di là dell’apparenza.
La celebrazione eucaristica della domenica nella III giornata mondiale del povero è stata celebrata dal Monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli, arcivescovo di Gorizia e presidente della Caritas italiana. Il Seminario è terminato, poi, con il grande dono della presenza di Agnese Moro, figlia di Aldo Moro, che ci ha aperto lo sguardo sulla mediazione riconciliativa come strumento per una nuova Giustizia penale. In un lento, doloroso ma risolutivo cammino, ci ha mostrato come solo nell’incontro, nell’ascolto e in un cambio reciproco di posizione è possibile riconciliarsi, è possibile liberarsi dall’immenso dolore che vive ogni vittima e ogni reo.
Il cammino di noi consacrate che lavoriamo nelle carceri è ancora lungo: Dio risponde al povero che grida mandando ciascuna di noi. Sentiamo la necessità, allora, di sollecitare a rispondere “senza se” e “senza ma”, in una continua e buona collaborazione con e tra l’USMI – a cui aderiscono i nostri Istituti Religiosi – e l’Ispettorato dei Cappellani; ad aprire sempre più i nostri orizzonti su tutte le realtà a servizio dell’uomo nella sua interezza (scuola, catechesi, pastorale giovanile e della famiglia, pastorale delle migrazioni e delle missioni, pastorale sanitaria, ecc.); ad allargare il nostro sguardo anche fuori le carceri per costruire nuovi ponti, luoghi di incontro tra il detenuto e la società civile. Solo allora ne scaturirà un frutto di vera comunione e di vita nuova.