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La grande bellezza… della vecchiaia

“Questo mondo nel quale viviamo ha bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione”, affermava profeticamente Paolo VI. Nel tempo in cui la vita si è allungata e inarrestabile è l’incremento del numero degli ultraottantenni nei Paesi industrializzati, non ci si è allargati però alla vita e alla sua bellezza, avverte Papa Francesco. Sotto la sua lente sono le lacune di una società che, programmata sull’efficienza e sul mito del corpo perfetto, proietta la vecchiaia oltre… la morte; anche perché, da un pezzo, questa società ha nascosto a se stessa la morte. Le sue lamentele più frequenti degli e sugli anziani si incentrano su ‘inutilità’ e perdita di indipendenza. Il compito che si assegna loro sembra essere uno solo: che non diventino un peso per nessuno, o almeno: lo diventino il più tardi possibile. Separarli dagli altri cittadini? è terribilmente ambiguo! Riempire artificiosamente il loro tempo di cose da fare… serve davvero? L’elusione del problema, in ogni caso, provoca un ripiegamento narcisistico sul proprio corpo e tanta angoscia nei confronti di quel tempo sospeso che è la vecchiaia, molto più che per la morte.
Come riuscire a dire insieme a Benedetto XVI: “È bello essere anziani!”? Urge un approccio diverso al ‘problema’… La dignità dei vecchi si coglie nello sguardo, nella tenerezza, nella speranza di chi ci accompagna nell’ultimo tratto del cammino. Passo preliminare per la maturazione di tale sguardo è accettare i limiti insiti nella dinamica della propria vecchiaia continuando a sapersi amati da Dio. Attraverso la prova del tempo e il lutto dei propri investimenti narcisistici, si scopre che ogni anziano è sempre più di ciò che si vede, si sente, si pensa di lui, perché come tutti è parte del rapporto fra vita e morte, fra desiderio di vita e limitatezza. Non prenderne atto significa solo mutilare se stessi.
Rivo­luzionario a questo punto è incominciare a prendere gli anziani sul se­rio; offrire quell’ascolto che per­mette loro di esprimersi e di farsi cono­scere; aspettare che ognuno renda percettibile ciò che è realmente. E, quando egli si è manifestato, aspettare ancora… Riuscire così a distinguere l’essenziale dal secondario, ciò che dura da ciò che passa. E finalmente poter partecipare a chiunque s’incontri lungo il proprio cammino la sapienza del cuore che ne scaturisce. Cosa che evidentemente non si improvvisa.
In una vita spesso dimentica degli interrogativi fondamentali sul destino dell’uomo, la ‘terza età’ è la bellezza di un tempo di meditazione e di chiarezza interiore. Soprattutto quando si soffre profondamente, essa è il grande momento della verità, quello in cui “il contingente lascia trasparire l’assoluto” (Romano Guardini). Perché bellezza è la grazia che lavora invisibilmente nel cuore di tutti gli uomini di buona volontà, che – come ricorda la Gaudium et Spes vengono a contatto col mistero pasquale nel modo che Dio solo conosce.
Luciagnese Cedrone ismc