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Visitare i carcerati

“Giovanni intanto, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, mandò a dirgli per mezzo dei suoi discepoli…” (cfr Mc 6,14-29). Ecco un semplice ed evangelico esempio di relazionalità tra un carcerato e suoi ‘discepoli’ in precedenti relazioni normali. Un carcerato speciale, ingiustamente condannato, ma pur sempre una persona illegale per l’opinione pubblica… I discepoli non si lasciano intimorire dalle possibili ciance (chiacchiere) della gente. Fanno da tramite fra l’antico maestro che morirà decapitato e il nuovo che subirà, anch’egli ingiustamente, un supplizio atroce.
Non sempre le cose stanno così. La normale via d’accesso al carcere è quella del crimine; comunque di un reato ammesso da ambo le parti: dall’accusa e dal condannato. Allora la visita al carcerato diventa un’autentica opera di misericordia, spesso ostica, perché non alla portata di tutti. Ma sempre doverosa: “venite benedetti… perché ero in carcere e siete venuti a trovarmi” (Mt 25,36). E’ quella ‘visita’ che profuma di comprensione e di com-passione, di vicinanza e di conforto, di sostegno e di accompagnamento solidale non nel possibile senso di colpa, ma nella accettazione vera, quieta di una giusta condanna. Perché è giusto e doveroso lasciare che la giustizia faccia il suo corso.
L’autore della Lettera agli Ebrei scriveva: “avete preso parte alle sofferenze dei carcerati”, non solo, ma “avete accettato di essere spogliati delle vostre sostanze, sapendo di possedere beni migliori e più duraturi” (cfr Eb 10,32ss). Più avanti lo stesso autore perfeziona e motiva, sublimandolo, il suo invito: ”Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere…” (Eb 13,3). I carcerati sono nostri fratelli a tutto tondo, che possono aver bisogno di riprendersi dallo smarrimento che li avvilisce, da amare quasi con maggiore partecipazione, perché sono quella parte debole del corpo di Cristo che necessita redenzione. Gesù, in effetti, è ‘la lieta notizia che consola e riscatta l’esistenza dal male che la avvilisce’. Far loro ‘sentire la tenerezza di Dio che perdona e invita al perdono: “perdonate e sarete perdonati”.
Nella nostra collettiva ricerca di Dio è ineluttabile essere e vivere da fratelli e sorelle anche con chi sta vivendo una vita coartata, pur solo per un po’ di tempo, un po’ di anni. Senza dimenticare quanto è scritto negli atti degli Apostoli al capitolo 16 versetti 22-40 in cui si narra che Paolo e Sila, usciti dal carcere, si recarono a casa di Lidia, dove incontrarono i fratelli.
Si impongono alcune domande: posso io, con la mia famiglia, la mia comunità, io stesso se solo, accogliere un carcerato e con lui camminare, possibilmente sulla via del ritorno o di una completa riabilitazione? Che posso fare perché le carceri siano ‘costruzioni decenti’, perché in esse vi siano opportune iniziative formative e di svago? “Non si vive senza scegliere; e non si sceglie senza impegnarsi in qualche modo” – scriveva Mazzolari –; ma per riuscirvi tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti a capire cosa siamo capaci di fare nella ricerca del bene, della gioia altrui, soprattutto dopo esperienze abnormi come quella del carcere. Sempre con deferenza, rispetto, umiltà perché non sempre è possibile conoscere la sofferenza che l’altro si porta dentro. Spesso in angosciante solitudine.
sr Biancarosa Magliano, fsp
biancarosam@tiscali.it