SINODO: UNA CHIESA “IN USCITA”
VERSO I BISOGNI E LE ATTESE DELLA FAMIGLIA

La chiesa che viene fuori da questo sinodo è una chiesa “in uscita”, come ama definirla papa Francesco, una chiesa attenta alla parola di Dio, nella ricerca della radicalità evangelica, ma attenta anche ai bisogni dell’uomo, alle sue tante parole, a volte angosciate, a volte gioiose, alla sua vita, alle sue aspettative in un contesto molto complesso e problematico.
Vorrei sottolineare questo aspetto, difficile e affascinante: il sinodo sulla famiglia non è stato un evento decisionale per creare nuove regole o nuovi teoremi rispetto alle famiglie, e, in particolare, alle famiglie in crisi. Il sinodo è stato un evento ecclesiale, che ha espresso il desiderio della Chiesa di comprendere come poter annunciare il vangelo della famiglia in un momento in cui l’istituto più sacro e più antico del mondo è messo in crisi da ideologie devastanti, da politiche fuorvianti, da problemi economici e sociali di difficile interpretazione e da tante tentazioni che ne minano alla base l’esistenza.
Al centro delle sue discussioni non c’è stato tanto il problema della comunione ai divorziati risposati o ai gay, come i mass media hanno cercato in tutti i modi di enfatizzare, ma il problema di come valorizzare la bellezza della famiglia, così come l’ha voluta il Signore, così come viene descritta nel disegno divino. è quanto recita il primo numero della Relatio finalis: “La Chiesa, esperta in umanità e fedele alla sua missione, annuncia con convinzione profonda il “Vangelo della famiglia” ricevuto con la Rivelazione di Gesù Cristo e ininterrottamente insegnato dai Padri, dai Maestri della spiritualità e dal Magistero della Chiesa”. E questo perché “la famiglia assume per il cammino della Chiesa un’importanza speciale”.
I padri sinodali hanno precisato anche la metodologia seguita, fatta di dialogo e riflessione, confronto e discernimento nella parresia e nell’ascolto dello Spirito, per focalizzare i punti nodali attorno alla realtà della famiglia oggi, nella prospettiva della fede, con la complessità delle sue luci e delle sue ombre. Lo sguardo sul Cristo, nonostante la fatica di mettere insieme pensieri diversi, ha permesso di “ripensare con rinnovata freschezza ed entusiasmo la rivelazione, trasmessa nella fede della Chiesa”, per discernere le vie con cui rinnovare la Chiesa e la società nel loro impegno per la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna.
Per questo la conclusione è che: “l’annuncio cristiano che riguarda la famiglia è davvero una buona notizia. La famiglia, oltre che sollecitata a rispondere alle problematiche odierne, è soprattutto chiamata da Dio a prendere sempre nuova coscienza della propria identità missionaria. L’Assemblea sinodale è stata arricchita dalla presenza di coppie e di famiglie all’interno di un dibattito che le riguarda direttamente. Conservando il prezioso frutto dell’Assemblea precedente, dedicato alle sfide sulla famiglia, abbiamo rivolto lo sguardo alla sua vocazione e missione nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”.
I punti più controversi, come l’accompagnamento ai divorziati risposati, sono stati affrontati in relazione alla dottrina perenne della Chiesa. Molto significative, a proposito, le citazioni di Humanae vitae e di Familiaris Consortio, che ribadiscono la singolarità del matrimonio cristiano nell’ordine della creazione e della pienezza sacramentale, come unione sponsale fra un uomo e una donna, indissolubile e feconda. Interessanti, infine, le due parole-chiave per affrontare queste problematiche: discernimento e integrazione, per capire come accompagnare e guarire, alla luce del vangelo, le famiglie in crisi, come guidare le coppie giovani, i fidanzati, come orientare l’educazione dei figli.
E concludo con la riflessione di papa Francesco circa i risultati del Sinodo:
“Mentre seguivo i lavori del Sinodo, mi sono chiesto: che cosa significherà per la Chiesa concludere questo Sinodo dedicato alla famiglia? Certamente non significa aver concluso tutti i temi inerenti la famiglia, ma aver cercato di illuminarli con la luce del Vangelo, della tradizione e della storia bimillenaria della Chiesa, infondendo in essi la gioia della speranza senza cadere nella facile ripetizione di ciò che è indiscutibile o già detto.
Sicuramente non significa aver trovato soluzioni esaurienti a tutte le difficoltà e ai dubbi che sfidano e minacciano la famiglia, ma aver messo tali difficoltà e dubbi sotto la luce della Fede, averli esaminati attentamente, averli affrontati senza paura e senza nascondere la testa sotto la sabbia.
Significa aver sollecitato tutti a comprendere l’importanza dell’istituzione della famiglia e del Matrimonio tra uomo e donna, fondato sull’unità e sull’indissolubilità, e ad apprezzarla come base fondamentale della società e della vita umana.
Significa aver ascoltato e fatto ascoltare le voci delle famiglie e dei pastori della Chiesa che sono venuti a Roma portando sulle loro spalle i pesi e le speranze, le ricchezze e le sfide delle famiglie di ogni parte del mondo.
Significa aver dato prova della vivacità della Chiesa cattolica, che non ha paura di scuotere le coscienze anestetizzate o di sporcarsi le mani discutendo animatamente e francamente sulla famiglia.
Significa aver cercato di guardare e di leggere la realtà, anzi le realtà, di oggi con gli occhi di Dio, per accendere e illuminare con la fiamma della fede i cuori degli uomini, in un momento storico di scoraggiamento e di crisi sociale, economica, morale e di prevalente negatività.
Significa aver testimoniato a tutti che il Vangelo rimane per la Chiesa la fonte viva di eterna novità, contro chi vuole “indottrinarlo” in pietre morte da scagliare contro gli altri.
Significa anche aver spogliato i cuori chiusi che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa, o dietro le buone intenzioni, per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite.
Significa aver affermato che la Chiesa è Chiesa dei poveri in spirito e dei peccatori in ricerca del perdono e non solo dei giusti e dei santi, anzi dei giusti e dei santi quando si sentono poveri e peccatori.
Significa aver cercato di aprire gli orizzonti per superare ogni ermeneutica cospirativa o chiusura di prospettive, per difendere e per diffondere la libertà dei figli di Dio, per trasmettere la bellezza della novità cristiana, qualche volta coperta dalla ruggine di un linguaggio arcaico o semplicemente non comprensibile.
sr Daniela Del Gaudio, sfi