La sapiente pedagogia della madre Chiesa ci ha ricondotto alle porte dell’Avvento per introdurci nel mistero del Natale del Signore Gesù e riconsegnarci alla certezza di essere gratuitamente amati e di essere definitivamente fatti figli nel Figlio e, in Lui, consanguinei di Dio e consanguinei di ogni respiro umano. Il tempo santo dell’Avvento riporta alla soglia della nostra attenzione di credenti quell’atteggiamento che i testi biblici e liturgici indicano come vigilanza. È interessante notare che
quanto il Primo Testamento offra tanta importanza al sonno e ai sogni come “orizzonte profetico” privilegiato da Dio per svelare le sue intenzioni, tanto il Nuovo Testamento inviti pressantemente a non dormire, non ubriacarsi, a non dissiparsi, non distrarsi, a vegliare, ad essere pronti. Possiamo proprio dire che la vigilanza appare come peculiarità del credente. Ma se ogni battezzato può a pieno titolo rivendicare per sé la funzione di vigilante, per voi donne e uomini “del di più”, profeti
di un amore più grande e gratuito che cercate di tradurre lo sguardo e la Parola di Dio nell’oggi del tempo, l’essere vigilantes vi identifica, vi racconta, vi spiega. Riunificati nel cuore dall’ascolto della Parola, interiormente attenti alle sue esigenze, voi vigilantes diventate non-indifferenti a Dio, non-indifferenti agli altri, non-indifferenti alla storia. Diventate decisamente coscienti di dovervi prendere cura di altro-da-voi, vigilando su altre donne e altri uomini per custodirli.
La familiarità con i testi biblici ci insegna che le espressioni “vigilare”, “essere pronti”, “essere svegli” – ben diversamente dall’uso corrente – non evocano diffidenza, sospetto, impaurimento.
Nulla hanno di inquietante spauracchio o di minaccioso ammonimento. Al contrario, nella logica della rivelazione ebraico-cristiana, la vigilanza rivendica, per la persona umana, la capacità di saper e poter cogliere e ac-cogliere Dio che si offre come dono di gratuità, come visita inattesa e
sempre salvifica, come eccedenza di Vita che irrompe nelle vite. Il nucleo infuocato, la “buona notizia” del discepolato cristiano, è proprio questo: accogliere il dono che è Dio, accogliere Dio come dono. La nostra chiamata non è a fare o a non fare qualcosa quanto piuttosto a spalancare cuore, mani e spazi vitali per diventare aperti e disponibili a questo Dono.
Capiamo dunque perché questo tempo liturgico di ad-ventus, di ad-divenire del Dono ci spinga a vigilare. Nella sacra Scrittura, il contrario di vigilare non è tanto il dormire, quanto piuttosto la distrazione, la dissipazione, la fuga dal centro dimenticando l’essenziale perché non (più) intravisto. È il sonno e l’ottundimento dello spirito. Quanti testi profetici, sapienziali ed evangelici ci ricordano che Dio stesso vigila, è “sentinella”, è all’erta perché sempre cura, mai dimentica,
mai abbandona! Dio vigila sull’umanità per accompagnarla, per recuperarla, perché non si rassegna che qualcuno vada perduto. Dio vigila perché è pastore buono che non vuole che il lupo gli sbrani le pecore. Dio vigila perché nulla ha di più caro che l’umano. Dio vigila perché il suo cuore solo ama, sempre ama. Se Dio mai si dimentica, la vigilanza riproposta dall’Avvento è dunque apertura e risposta attiva e dinamica al Vigilante, a Dio che vigila. Mi pare di scorgere in questo divino
vigilare la metafora più eloquente ed efficace di voi donne e uomini “del di più”. È di questa vostra diuturna imitatio Dei che la Chiesa gioisce, la Chiesa vi ringrazia, la Chiesa vi chiede di non desistere! Ma vigilare perché il Signore è veniente, è il Veniente, non significa trascurare il qui-e-ora, deprezzare o peggio disprezzare il “nostro” tempo. Al contrario. Dobbiamo vigilare per tenerci pronti per gli interventi ravvicinati di Dio nella nostra quotidianità, lui che ci passa accanto rivestito della ferialità del tempo umano e mai nell’appariscenza, nell’eclatanza, nella prepotenza, sì da attrarre l’attenzione. Vigilare è l’unico antidoto contro il trascurare: Dio, gli altri, noi stessi. Solo chi vigila diventa responsabile verso la storia, dà risposta ad ogni segmento di storia incrociata. Chi vigila lo fa innanzitutto su di sé perché il vero nemico è in se stessi, non fuori. Chi vigila
aderisce alla realtà senza sgattaiolare nell’immaginazione e nell’idolatria. Chi vigila lavora e non ozia. Chi vigila ri-conosce gli indizi e le orme del Dio vivente dentro le pieghe e le piaghe della storia. Chi vigila sa prendere adeguatamente tra le dite le trame dell’esistenza quotidiana vivendola non come storiella o come storiaccia, ma come storia di salvezza. Storia salvata. Chi vigila può permettersi il lusso di vivere il presente, ma tenendo lo sguardo rivolto all’incontro definitivo.
Chi vigila non svaluta né presente né passato e può diventare libero cittadino del futuro perché scarcerato dall’ansia per il domani. Chi vigila si accoglie senza compiacersi di sé e così fiorisce
al cambiamento, alla conversione. Chi vigila ha il domicilio in un’illuminata pazienza e, contemporaneamente, in un’urgenza quasi impaziente perché ormai libero prigioniero della speranza. Chi vigila sa che l’unico tempo su cui ha effettivo potere è solo il presente. Presente di cui sa cogliere il senso delle cose e del tempo, leggendovi in trasparenza le attese e le speranze terrene, illuminandole proprio nel loro essere penultime, nella loro peculiare dignità che è sempre quella di rinviare ad un Altro. Chi vigila vive capace di ascolto, trovando sempre la scelta più umana e umanizzante tra le molteplici e discutibili che la storia pone sotto gli occhi. Chi vigila fa di tutto per farsi compagno della verità, ma non dimentica che la verità si può solo servire senza mai servirsene.
Chi vigila non si consegna a corpo morto al torpore dell’immediato e allo scintillio dell’apparenza perché il suo domicilio è l’Ulteriorità di Dio. Chi vigila sa che Dio c’è e c’è da Dio e che ha urgenza di incontrarci. Nella carne gloriosa del Figlio Gesù la vigilanza del credente diventa certezza dell’amato. Non è stata forse questa la trama d’oro che ha intessuto le vite di tanti noti e sconosciuti fratelli e sorelle che lungo i secoli hanno vigilato nella Chiesa e per la Chiesa, custodendo altri
come umili eroi per solo gratuito amore?
Donne e uomini dell’hodie
Come ogni anno, l’Avvento mette in crisi il nostro presente, l’oggi. C’è un hodie da ripesare, da ripensare, da purificare e convertire. Il Salmo 84, quasi colonna sonora di questo tempo liturgico, ammonisce un presente saturo del giudizio di Dio: “Rialzaci, Dio nostra salvezza, e placa il tuo sdegno verso di noi, di età in età estenderai il tuo sdegno?” (Sal 84,5-6).
Ogni vostra comunità può dunque mettere in crisi, senza criticare, un oggi dis-umanizzato e privo
di speranza, solo a patto di vivere nel presente, una misura alta – la più alta – di umanità tra voi e con coloro che il Signore vi dona da amare e servire. Ogni vostra comunità così umanizzata, umanizza, e così, rifiuta di smentire la gioiosa corsa che il Regno già compie negli aridi solchi del presente. Come i profeti così nella Chiesa ogni comunità tutta datasi per il Vangelo, annuncia nell’oggi inquieto degli uomini il giudizio di Dio, giudizio che salva e che traccia strade per il ritorno a lui: “Signore, sei stato buono con la tua terra, hai ricondotto i deportati di Giacobbe. Hai perdonato l’iniquità del tuo popolo, hai cancellato tutti i suoi peccati. Hai deposto tutto il tuo sdegno e messo fine alla tua grande ira” (Sal 84,1-4). Come Maria, ogni vostra comunità incarna il Verbo della vita nel tribolato oggi dei popoli, in un presente che è sempre gravido di un Dio da generare non fuori dell’oggi, non oltre l’oggi, non nonostante l’oggi. Ma oggi. Come Giovanni, ciascuno di voi – ma voi insieme – lo indica presente come “Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”, nell’oggi incerto del mondo e mai altrove. A patto che ogni vostra comunità di uomini e donne “del di più”, cresca come esperta di umanità. È anche questo un lusso che vi potete permettere perché sempre ri-umanizzati dal Verbo della vita e dal salvifico Corpo del Signore. È ciò che auguro a ciascuno di voi: che il vostro appartenere di più a Dio e di più ai fratelli parli al nostro oggi.
È dono e compito di ogni profeta che deve accompagnare fratelli e sorelle dalla schiavitù alla libertà, dire nell’oggi il progetto di Dio già carico di futuro; è dono e compito di ogni assemblea liturgica di divenire più consapevole di essere convocata oggi, non ieri né domani; è dono e compito di ciascuno di voi che dell’amore di gratuità ha fatto la sua scelta di vita, non distogliere – oggi – i suoi occhi da chi vive miserie, fallimenti, fatiche, paure e disinganni. Solo vivendo intensamente, e così l’Avvento, e finalmente travolti da intima gioia, potrete giungere a cantare nel giorno santo del Natale, insieme all’intera Chiesa dove siete stati seminati come frumento buono e nutriente: “Oggi sapete che il Signore viene a salvarci” (Introito della messa vespertina della Vigilia); “Oggi è nato per voi un salvatore” (Vangelo della notte); “Oggi su di noi splenderà la luce, perché è nato per noi il Signore” (Introito della messa dell’aurora); “Oggi Cristo è nato, è apparso il Salvatore; oggi sulla terra cantano gli angeli… oggi esultano i giusti” (antifona al Magnificat dei
secondi Vespri di Natale).
Donne e uomini del cras
Ma la santa liturgia dell’Avvento ci ricorda anche che ogni hodie muore e diventa cras, ogni oggi tramonta e diventa domani. È proprio il tempo di Avvento, sobrio e teso all’Ulteriorità, che si fa carico di ri-cor-darci, di restituire alla memoria del cuore, che non tutto si chiude nell’oggi, nel presente, anche se tutto si gioca qui e non altrove. Non esiste un solo giorno che si avviti e si accartocci su se stesso, ma di oggi in oggi, Dio modella la storia e la conduce ad un inedito – ma quanto atteso! – domani. L’intera liturgia di Avvento trasuda di cras, fino ad erompere in quel grido vigiliare che fa scoppiare il cuore di esultanza: “Domani si rivelerà la gloria del Signore e ogni
uomo vedrà la salvezza del nostro Dio” (Antifona alla comunione della messa della vigilia di Natale: Is 40,5). Il luogo sacro e il vero roveto ardente e inestinguibile dove ogni oggi tramonta e diventa domani è la nostra stessa vita di donne e uomini “del di più”: nei nostri affetti, nelle nostre
scelte, nei nostri stili di vita, nella nostra fraternità sempre rilanciata, nel perdono tenacemente offerto e ricevuto, nella nostra solidarietà sempre riscelta “ogni uomo vedrà la salvezza di Dio”. Ecco anche perché il futuro è il tempo verbale più caro alle pagine bibliche e ai testi liturgici dell’Avvento: verrà; sorgerà; apparirà; Sion sarai rinnovata; ogni uomo vedrà la salvezza di Dio; il Signore farà sentire la sua voce… È certo: domani! E così, Parola e Liturgia, ci educano e ci abilitano ad una attesa gioiosa e non depressa: “Rallegratevi sempre nel Signore, ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino” (Fil 4,4.5). Il binomio attendere-gioire, nel nostro tempo, non pare essere vincente. Anzi. Ci siamo quasi convinti che si gioisce solo se si possiede e si trattiene, solo se si fagocita impadronendoci. Attesa e desiderio li si vive come fonte di ansia e di incertezza se non come frustrazione e smacco. L’attendere e il gioire guardano decisamente al domani e plasmano discepoli ed evangelizzatori capaci di puntare il dito per indicare la via nuova e appianata che Dio solo sa aprire nella steppa e nel deserto per condurre altrove il suo popolo.
Donne e uomini della Parola, dell’Eucarestia, della Fraternità
Ma chi vi formerà per questo ministero di indicatori del Veniente, quando, perché e come levare il dito per additarlo? C’è forse un tempo di sosta che abilita all’attesa gioiosa? C’è da qualche parte uno spazio santo che nutre la gioia senza consumare il cuore? C’è traccia di una parola che illumini
senza abbagliare e di un viatico che nutra senza appesantire? C’è un clima che rinfranchi il respiro e sostenga il passo? C’è. E le vostre vite di donne e uomini “del di più” lo rivelano a tutta la Chiesa: Parola, Eucarestia, Fraternità sono quel “tempo sospeso” e quello spazio già abitato dal cras, che permette di stare dentro la storia che scorre e attendere ed invocare l’avvento del Regno nella certezza che è già tra noi. Parola, Eucarestia, Fraternità sono la cattedra da cui apprendere il come, il quando e il perché alzare il dito, con parresia e umiltà, per indicare il Signore presente nella storia. Parola, Eucarestia, Fraternità sono il cibo sostanziale e la luce “alla cui luce vediamo la luce”, senza accecarci. Parola, Eucarestia, Fraternità danno sostegno e ritmo a passi talvolta lenti, talvolta insicuri, talvolta maldestri.
Per gentile concessione di S.E. Mons. Mauro Maria Morfino
Vescovo di Alghero – Bosa
Delegato per il Clero e la Vita consacrata