A Natale nasce un bambino-Dio, Redentore dell’umanità e «punto focale» della storia.1 Il Dio della tenerezza infinita che si era manifestato «molte volte e in diversi modi nei tempi antichi» e aveva «parlato ai padri per mezzo dei profeti», si rivela ora nel suo Unigenito, «irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza» (Eb 1,1-3). Colui che aveva agito «con mano potente e braccio disteso»,2 appare adesso nelle vesti di un fragile neonato. E tale è il paradosso del Natale: l’onnipotenza della tenerezza di Dio si fa impotenza in un bambino. Questa la pedagogia di Dio: abbassare i «superbi» e «i potenti dai troni» e «innalzare gli umili» (Lc 1,51-52), scegliere ciò che è debole per confondere i forti (1Cor 1,27; 2Cor 12,10); una pedagogia che si rivelerà pienamente nella debolezza della croce. Niente rivela tanto il cuore amante di Dio-Trinità quanto quella culla, perché se è vero che la nascita di ogni bambino tocca il cuore di ognuno di noi e costituisce un dono per il mondo, a Betlemme nasce un bambino che è Dio; una nascita che trasforma la storia impigliata nel peccato in un inizio assolutamente nuovo. In quel neonato è racchiuso il senso totale dell’universo: è compendiato il passato ed è inaugurato il futuro. Quanto Is 7,14 aveva profetizzato circa una vergine che doveva dare alla luce un figlio viene ripreso da Mt 1,22-23 e riferito al concepimento e alla nascita di Gesù da Maria. Lo stesso Isaia in 9,5-6 aveva fatto cenno a un bambino-Messia, proclamato «figlio» e compimento escatologico del regno: «Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio».3
Ora, se è vero, come afferma il poeta indiano R. Tagore, che «ogni bambino che nasce dice al mondo che Dio non è stanco degli uomini», ciò è eminentemente vero per la nascita dell’Unigenito dalla Vergine Maria, prototipo di ogni nascita e di ogni figlio di Dio, «lieta notizia» per l’intera umanità (Lc 2,10-11). Gesù rappresenta il Logos, la Parola decisiva detta da Dio al mondo. Betlemme, «casa del pane», diventa «casa della Parola», una Parola insuperabile. Tutto quanto Dio doveva dire al mondo l’ha detto, in forma definitiva, nel suo Unigenito (Gv 1,17-18). Cristo rappresenta infatti «la chiave, il centro e il fine di tutta la storia» (GS 10); e non si tratta di qualcosa di astratto, ma di un accadimento di una nascita che tocca l’intera umanità, come afferma il Concilio Vaticano II: «Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo» (GS 22). Chi crede in Gesù è posto in grado di partecipare alla grazia della sua nascita e riconoscere la propria identità come figlio infinitamente amato da Dio.
È questa la tenerezza rivelata con il Natale. Ha ragione papa Francesco quando afferma che «il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla rivoluzione della tenerezza».4 Un bambino è stato donato al mondo, in quel bambino è racchiusa tutta la tenerezza immensa di Dio. L’Onnipotente si china sull’umanità. Il Creatore si trasforma nell’Emmanuele, il «Dio-con-noi». Nel neonato-Gesù, Dio si lascia allattare da Maria e accarezzare dalle sue mani, senza la paura che il suo mistero trascendente sia profanato. «La semplicità e la vicinanza dell’amore di Dio fatto Uomo è ciò che commuove pastori e angeli».5 Grazie a questo evento, Dio sarà per sempre il Dio-con-noi, il Dio vicino, che non dobbiamo andare a cercare nelle sfere celesti, ma che si è posto al nostro fianco e cammina con noi. Col Natale, Dio si è fatto tenerezza in persona, un Dio che accoglie la nostra miseria, un Dio innamorato della nostra piccolezza, che vuole solo salvarci da ogni condizione di schiavitù. La rivoluzione della tenerezza iniziata col Natale introduce una novità assoluta nel tempo, al punto da poter dire che niente, assolutamente niente, nessuna evoluzione, nessuna scoperta scientifica, nessuna rivoluzione epocale, avranno mai tanta importanza per l’umanità e il cosmo quanto l’incarnazione del Figlio di Dio.
Non è senza significato infatti che in Occidente la storia sia suddivisa in due tempi: prima della nascita di Cristo e dopo la nascita di Cristo. Come osserva acutamente O. Cullmann:
Il nostro sistema cronologico non conta gli anni partendo da un certo punto iniziale e seguendo una numerazione che progredisce unicamente verso il futuro; esso non parte da un punto iniziale, ma da un accadimento centrale. Questo centro è un evento accessibile alla ricerca storica e può venir fissato cronologicamente, se non con estrema precisione, almeno con uno scarto di qualche anno: la nascita di Gesù Cristo di Nazaret. Da questo punto si dipartono in direzioni opposte due numerazioni, l’una che si spinge verso il futuro, l’altra che risale verso il passato: «dopo Cristo» e «prima di Cristo».6
E se è vero che questa suddivisione si è definitivamente imposta solo col medioevo, è altrettanto vero che essa riveste – per i cristiani – un significato teologico fondamentale, in quanto attesta come la storia totale debba essere compresa a partire dall’éphapax decisivo della venuta del Figlio di Dio nella carne umana. E tale è la novità assoluta della fede evangelica: che l’Infinito Amore si sia donato all’umanità in Gesù, che l’universale si sia voluto iscrivere nel particolare, che il «tutto» sia dato nel «frammento».7
(tratto da C. ROCCHETTA – R. MANES, La tenerezza grembo di Dio amore, EDB, Bologna 2015, 114-116)
1 Cf. i cantici neotestamentari di Fil 2,6-11; Ef 1, 3-14.20-23; Col 1,3.4.13-20; 1Tm 3,16.
2 Cf. Sal 89,11;98,11;136,12; Is 40,10.
3 La medesima prospettiva è sottesa a Is 11,1-9 e 49,1-6 con il simbolo del virgulto che spunta dal tronco di Iesse, un eletto fin dal grembo della madre e destinato a diventare segno di grazia per tutti.
4 FRANCESCO, Evangelii gaudium, Città del Vaticano 2013, n. 88.
5 FRANCESCO, Dacci la grazia della tenerezza. Sullo spirito del Natale, Novara 2013,32. Il libretto raccoglie molte omelie del card. José Mario Bergoglio sul Natale.
6 O. CULLMANN, Cristo e il tempo, Bologna 1967, 39-40.
7 Cf. H.U. VON BALTHASAR, Teologia della storia, Brescia 1969; ID., Il tutto nel frammento, Milano 1970.