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Felicità in cammino

strada2Perché ‘Gioia di servire’? Il tema è sicuramente impopolare oggi e così diverso dai ‘valori’ che la società moderna propone. Papa Francesco a più riprese richiama sul fatto che la salute di un cristiano si vede dalla gioia. Ma non basta certo avere l’idea chiara di felicità per sapere come viverla secondo lo stile del Vangelo. Neppure è sufficiente affermare sono felice con Dio e questo mi basta perché la vita sia felicemente consacrata. Parole e propositi si misurano e si verificano nel vissuto quotidiano con gli altri e per gli altri. Certamente in ogni tappa del cammino, per tutti – credenti e religiosi compresi – rimane il rischio di cadere nell’individualismo che oggi chiude la vita interiore nella ricerca spasmodica dell’avere per sé o per brillare agli occhi degli altri. Il che finisce per trasformare in persone risentite e senza vita. Certo è istintivo per tutti fare dei propri desideri l’assoluto e persino scambiare la fede con le proprie sicurezze… La domanda è se e come ci si lascia interpellare dal Vangelo; se davvero se ne fa il vademecum per la vita di ogni giorno e per le scelte che ognuno, nel proprio piccolo spazio, è chiamato ad operare. La via per entrare nella gioia di servire è fondarsi sulla umile scoperta – poi consapevolezza crescente e sconvolgente esperienza – che Dio ci ama. Lontano da Lui l’amore si fa sempre accaparratore.

La gioia di servire non può quindi prescindere dalla fatica di passare dall’egocentrismo alla relazione. È terribile essere amati per ciò che si fa e non per ciò che si è: fa immaginare che “le persone intorno a noi guardino sempre e solo il ‘brutto’ che è dentro di noi; e questo sguardo è intollerabile” (J. Vanier). Allora ci si difende, si diventa duri, persino violenti. In ognuno c’è qualcosa di straordinariamente bello e integro. E di tutto questo il nostro mondo ha estremo bisogno perché in fondo al cuore di ognuno, più a fondo di ogni ferita, c’è un bambino in cerca di tenerezza… Dio, basterebbe una piccola scintilla di pura amicizia – e si sarebbe salvi; di amore – e si sarebbe redenti. Una mano tesa, un volto, uno sguardo aiutano a ritrovare l’immagine positiva di sé. Ma se la ‘mano tesa’ che dice ‘ti voglio bene’ non è sincera o non è fedele; se dice ‘ti amo’ solo perché lo ha imparato sui libri o semplicemente perché si ritiene autorizzata a dirlo, allora quel ‘bambino’ non oserà più prendere la mano che gli viene tesa e gli sarà insopportabile sentire qualcuno che dice: abbi fiducia!

È decisivo sapere quale padrone si serve, a chi ci si affida perché il Regno della gioia si sviluppi e cresca e diventi un grande albero alla cui ombra tanti possano trovare ospitalità.

Luciagnese Cedrone, ismc