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Esser grato non costa nulla ed è gradito a Dio come agli uomini

E‘ un distillato di sapienza estone. “Che cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto?” (1Cor 4,7b). Sono le incalzanti domande di Paolo. Domande motivate. La chiesa di Corinto in quel momento era divisa in fazioni e lacerata da gravi conflitti; una chiesa locale percorsa da forti divisioni interne, per cui erano possibili l’ansia per la propria promozione, l’arrivismo, la voglia di primato, l’esagerata esuberanza nella presentazione di sé. Paolo con sagacia porta ognuno a prendere coscienza della propria realtà, umana innanzitutto e poi, anche, quella battesimale e missionaria.
La vita naturale, semplicemente l’esistere, non è frutto di un impegno personale… la scienza acquisita, la salute riacquistata, le relazioni, le stesse amicizie, è tutto uno stupendo contorno di persone, di tempi, di metodi nei quali sono intervenuti altri. Innanzitutto un Totalmente Altro che ha alitato il suo soffio di vita sulla polvere del terreno (cfr. Gn 2,7). “Sono un miracolo di Dio” diceva il beato don Giacomo Alberione. “Senza di te, onnipotente, nulla: né azione, né intenzione, né pensiero, né respiro, nessuna di tutte le cose, conseguirà assolutamente il proprio fine” pregava san Massimo confessore.
La gratitudine è la capacità di essere e dimostrarsi veri, umili, semplici. E’ una elevata forma di pensiero sulla propria realtà e sulla realtà altrui. E’ la connotazione delle anime grandi. Ed è ammissione dei propri limiti. E’ segno di intelletto vivace che conosce e ammette i valori di altri, e quanto da loro si riceve; è non dare tutto per scontato, come dovuto. “La maggior parte degli esseri umani – scriveva Aldous Huxley – hanno una capacità quasi infinita di prendere le cose per scontate”, mentre Alice Walker ha lasciato scritto: “ ‘Grazie’ è la migliore preghiera che chiunque possa dire. Grazie esprime gratitudine estrema, umiltà, comprensione”. L’ingratitudine è segno di debolezza, di fragilità, di incapacità nel comprendere. E’ grettezza, ottusità mentale; è il rifiuto a ricambiare l’amore, il bene ricevuto.
Gesù stesso, secondo Luca, lamenta che, dei dieci lebbrosi guariti, uno solo si presenti a ringraziarlo. E, per farne notare la differenza, lo specifica nella sua identità: “straniero”.
Papa Francesco lamenta: “Impariamo a dire ‘Grazie’, a Dio, agli altri. Lo insegniamo ai bambini, ma poi lo dimentichiamo!”.
Se succede, è perché non ricordiamo che la gratitudine è amore. E che “per ogni ‘grazie’ non detto cade a terra un petalo di rosa” (Betti Genova).
sr Biancarosa Magliano, fsp
biancarosam@tiscali.it