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Vestire gli ignudi

È la terza opera di misericordia. E’ presente una escalation. L’affamato vive una situazione di sofferenza, di povertà, di ansietà, di insicurezza, ma questa sua situazione non è così atroce come la morte per sete. La nudità le supera ambedue: investe tutto il corpo e lo investe soprattutto nei due estremi dell’esistenza: il nascere e il morire: “Nudo uscii dal ventre di mia madre e nudo vi farò ritorno” sentenzia Giobbe senza recriminazioni; egli era cosciente della ’identità’ dell’Essere in cui aveva posto la sua fiducia: “il Signore ha dato e il Signore ha tolto. Benedetto sia il nome del Signore” (Gb 1,21).
Molto diverse l’una dall’altra, ambedue le nudità vengono soccorse da altri: il neonato è vestito dalla madre; la nudità del cadavere non potrà mai essere rivestita dall’interessato. Nel tempo che scorre tra esse, salvo i casi-limite di malattia o handicap, la persona veste se stessa. E se la nudità è abbandono allo stato di natura, l’essere vestito esprime cultura, rispetto di sé e degli altri e segna la diversità dell’uomo dall’animale. Può indicare – o imporre – il sentire, il gusto, l’orientamento estetico di una zona geografica, di una stagione, di uno specifico servizio o ceto sociale. Da come veste, spesso, posso capire a quale categoria sociale appartiene la persona che incontro sulla mia strada.
Come gesto di carità, vestire chi è nudo esprime un prendersi cura del corpo dell’altro. Significa capire che il vedersi e il sentirsi nudo, o il vedere nudo l’altro, normalmente, origina disagio in sé e nell’altro. Dio stesso nell’Eden interviene. Dopo la caduta e la sentenza di condanna ai tre soggetti della disobbedienza – Eva, Adamo, il serpente – ”il Signore Dio fece all’uomo e a sua moglie delle tuniche di pelli e li vestì” (cfr. Gen 3,21). Sem e Jafet – che non vogliono vedere la nudità del loro padre – con il mantello sulle spalle camminano a ritroso e lo coprono senza guardarlo (cfr. Gen 9,20-23). La stessa Bibbia consiglia atteggiamenti di compassione e di carità concreta, fattiva, nei confronti di chi è nudo: “Fai parte dei tuoi vestiti agli ignudi” suggerisce Tobi al figlio Tobia (Tb 4,16); chi “veste l’ignudo” – secondo l’antico profeta – merita un elogio (cfr. Ez 18,16). Una certa diversa ‘nudità’ è consigliata da Paolo quando propone di spogliarsi dell’uomo vecchio con le sue azioni per diventare ‘nuovi’ con la ‘grazia’, con la vita di Dio: rivestiti dell’uomo nuovo, Cristo Gesù.
Il turbine di metamorfosi accelerata – indotto dalla predominante cultura egoistica del nostro tempo – ha prodotto un‘altra e ben visibile nudità: manca il ‘vestito’, la protezione del ‘sentirsi fratelli’, della fraternità, della prossimità. Siamo quasi tutti un po’ spogli, e, spesso, anche in comunità, possiamo trovarci a disagio.
Sapremo, in questo iniziato anno della misericordia, andare oltre i ristretti limiti del proprio stare bene; sapremo volgere lo sguardo e l’attenzione, l’affetto e la tenerezza verso chi ha meno, chi veste male, o sfugge perché quasi nudo, così da meritarci – alla fine dei tempi – l’invito: “venite, benedetti dal Padre mio, perché… ero nudo e mi copriste” (Mt 25,36)?
Biancarosa Magliano, fsp
biancarosam@tiscali.it