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Editoriale – Memoria e progetto

In prima di copertina di questo numero c’è una lettera dell’ alfabeto romano L che indica una cifra della numerazione arabica: 50. E’ l’anno 50° di vita della “nostra” rivista, la rivista dell’USMI, o la rivista delle religiose come è riconosciuta ufficialmente dagli enti pubblici.

Faremo più avanti un numero unico dedicato a questa celebrazione; ne scriveremo la storia, parleremo dei contenuti, del cammino fatto.

Abbiamo appena oltrepassato la porta del nuovo anno, secolo, e millennio, un po’ titubanti e molto speranzosi. Titubanti e angosciati per una storia che è obbligata a registrare guerre e vendette fratricide, perché tutte le guerre fratricide sono. Si parla, si scrive, si legge di imboscate, di rappresaglie. Di malattie ancora da debellare; di regioni devastate da siccità o alluvioni, e sempre disastro è. Di non accordi mondiali sulla salvaguardia del creato e perciò di insicurezza cosmica. Di inquietudini politiche. Di torture. Di leggi antiuomo (eutanasia). Di povertà immani dal più ampio spettro, che abbracciano tutta la gamma della persona e della vicenda umana. Orrori su orrori. Odio su odio. Disavventure su disavventure che producono e portano con se laghi di dolore. E ritorna il gemito o I’interrogativo tormentato di Giobbe… Perché? All’interno dei nostri stessi istituti permangono dubbi e incertezze, fatiche e interrogativi.

E speranzosi perché l’anno giubilare non è passato invano Si scorgono qua e là segni visibili di positività e frutti. Dio – Padre, Figlio e Spirito -non passa mai invano. Il filo purpureo della sua presenza nella storia dell’umanità e della creazione tutta non è senza efficacia. E’ sempre adeguato ai tempi. Perché egli i segni dei tempi li conosce, li scruta e li penetra e spinge gli uomini e le donne di tutti i tempi a capire, e ad agire Nessun timore, nessuna paura, quindi. Sì speranza e attesa, anche perché la nostra finitezza è in se stessa un appello che si innalza verso di Lui che è il Tutto. La nostra fragilità non è inconsistenza, ma ha come supporto un impegno che, oltre al mettercela tutta, può diventare invocazione e fede, implorazione e certezza; compimento e realtà. Dio, infatti, “ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la sua grazia”.

Ne è esempio san Paolo.

Agli anziani di Efeso fatti chiamare da Milèto diceva: “voi sapete come fin dal primo giorno in cui arrivai nella provincia di Asia, mi sono sempre comportato con voi servendo il Signore in ogni genere di umiliazione, nelle lacrime e tra le prove che le insidie dei giudei mi hanno procurato... Sapete che non mi sono mai sottratto a ciò che poteva essere utile, al fine di predicare a voi… Ora, avvinto dallo Spirito, io vado a Gerusalemme senza sapere ciò che là mi accadrà. So soltanto che lo Spirito Santo in ogni città mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni: non ritengo tuttavia la mia vita meritevole di nulla, purché conduca a termine la mia corsa…”.

Paolo non fa dietrologie passatiste. Egli ha davanti a se nella propria coscienza l’ultimo pezzo della sua storia. Con sguardo attento lo ripensa. Ne parla. Lo pone davanti ai suoi uditori, “anziani” che hanno condiviso con lui la fatica dell’annunzio. E’ trasparente per se, per chi lo ascolta, perché è trasparente per Dio, che ha operato attraverso di lui. Questa trasparenza gli dà il coraggio di presentare il suo comportamento, e non semplicemente il ricordo del suo insegnamento. La testimonianza è la prima parola autorevole. Ha piena consapevolezza della propria fatica apostolica, delle energie spese, dei popoli evangelizzati. Non rinnega nulla ed è convinto che nulla è andato perduto. Le prove e le insidie dei giudei gli hanno creato problemi, ma non lo hanno inchiodato. E guarda al futuro. Sa che lo attendono ancora fatiche e persecuzioni, travagli e affanni. Non lo nasconde ne a se ne agli altri, perché vive con consapevolezza ogni istante. Ma soprattutto perché “tutto può in colui che gli dà forza”.

Come per Paolo anche a noi è stato affidato il servizio di Dio “rendere testimonianza al messaggio della grazia di Dio”. La nostra rivista vuoi continuare a proporre stimoli di ricerca e di riflessione. Faremo il nostro servizio: all’intelligenza perché abbia offerte di luce e di Verità; alla capacità decisionale perché possa orientarsi verso il Bene; alla sensibilità e all’affettività perché il cuore, riscaldato, si innamori sempre di più della Bellezza somma e ne diffonda il “soave profumo”.

Parleremo ancora di temi propri e specifici della nostra vita consacrata. Di teologia spirituale, dei consigli evangelici presi nel loro insieme perché l’uno non va mai disgiunto dall’altro, l’uno ingloba l’altro. Si è poveri se si è obbedienti e casti; si è obbedienti se si è poveri e casti; si è casti se si è obbedienti e poveri.

Vi sono problematiche che vanno tematizzate e approfondite. Cosa significa, per esempio, oggi essere poveri, e cosa comporta dare oggi testimonianza di povertà; cosa significa servire i poveri: e quali poveri e perché.

Allargheremo il nostro discorso alla collaborazione intercongregazionale dandone i fondamenti teologici e giuridici e indicando quando, come e dove è opportuno realizzarla. In un mondo sempre più pluralista e multietnico parleremo di dialogo: interreligioso, ecumenico, interrazziale.

La rivista nacque esattamente per essere luce alla vita religiosa femminile. M. Teresa Simionato, attuale Presidente dell’USMI nazionale, durante l’ultima Assemblea affermava: “Ci sembra indispensabile insistere sulla realtà della vita religiosa femminile”. In questa linea scriveremo sulle “beatitudini al femminile: Beata te che...” e l’ormai tradizionale supplemento al n. 2/febbraio avrà come tema: l volti della donna consacrata.

Nella stessa Assemblea le partecipanti ammettevano la necessità di vivere una spiritualità cristologica e incarnata. Per questo diamo inizio a una serie di articoli su questo tema che si protrarranno lungo l’anno. Apriremo il nostro sguardo ad accadimenti di argomento generale che andranno man mano succedendo. Saperli leggere e interpretare è necessario per un più efficace annunzio evangelico. Si tratta di capire e vivere in modo giusto questa nostra storia, per poter offrire una “diaconia sociale” al servizio della pace, della giustizia, della solidarietà, della salvaguardia del creato. Riconoscere ciò che è possibile in questo nostro tempo. Capire le scelte giuste e possibili, oggi, perché, nonostante le interpretazioni di GianBattista Vico dei corsi e ricorsi, il tempo non ritorna.

Due anni fa lanciavamo un concorso tra le juniores residenti in Italia. Da loro volevamo sapere che ne pensavano della vita consacrata del futuro. Come l’avrebbero voluta. Avevamo chiesto loro: diteci come la sognate. Hanno risposto in molte. Il sogno che ha vinto il primo premio è stato pubblicato sul numero 9/settembre del 2000. Ora non possiamo lasciare che il resto, frutto di pensiero, di fatica, di studio, vada perduto. Mese per mese pubblicheremo stralci presi dai loro “sogni”. Tutti abbiamo così la possibilità di cogliere il loro pensiero, i loro desideri. Il futuro delle nostre Congregazioni è nelle loro mani, che sono “buone mani”: noi lo crediamo. Il papa durante il giubileo delle famiglie ha detto che “i figli sono la primavera della famiglia e della società”. Ebbene, le nostre juniores sono la primavera dei nostri Istituti. Sono scampoli di vita fresca, gioiosa, limpida, vivace; che hanno tutta l’intensità di giovani innamorate non deluse, perciò capaci di abbracciare orizzonti immensi, perché grandi in umanità, forti nell’amore, trasparenti e fedeli nelle loro amicizie pur tra le ombre e le luci delle rispettive fragili realtà. Sono testimoni di possibilità di vita nuova e questa loro testimonianza sarà efficace per il raggiungimento di nuovi traguardi e per innescare e introdurre cambiamenti profondi.

Non lo crediamo!

E a Maria, Madre di Dio, la cui festa celebriamo in questo inizio di anno, secolo e millennio, affidiamo tutte loro e tutte e tutti noi, il nostro lavoro, le nostre speranze, le attese, le utopie…