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La necessità di nuovi stili di vita (Simone Morandini)

La forte accentuazione della dimensione pratica della fede e della vita spirituale è certo un elemento qualificante del magistero di papa Francesco. Ne offre una testimonianza significativa, proprio nei giorni in cui stendo questo testo, la decisione di istituire nell’anno giubilare una “Porta Santa della carità” nell’Ostello Caritas di Roma, in modo che i volontari che vi presteranno servizio godano dell’indulgenza plenaria alle condizioni previste. La pratica della misericordia vissuta nel Signore viene cioè valorizzata da Francesco come segno espressivo di un’esistenza che sa accogliere fiduciosamente la grazia giustificante del Padre di misericordia, donataci in Gesù Cristo.

Stili di vita: la valenza testimoniale

Lo stessa attenzione per le buone pratiche caratterizza l’Enciclica Laudato si’, che – oltre ad indicare un orizzonte teologico e spirituale di grande forza in ordine alla cura della casa comune – offre anche numerosi orientamenti concreti in tal senso. Se ampie (specie nei capitoli I e V) sono le indicazioni politico- economiche, altrettanto significative sono quelle che interessano direttamente i comportamenti personali, familiari e comunitari. Papa Francesco, infatti, sa bene che non sarà possibile far fronte alla drammatica crisi socio-ambientale in atto senza un profondo rinnovamento anche a tale livello. Non si tratta soltanto di mettere in opera specifiche azioni di cura dell’ambiente o scelte puntuali di attenzione al grido dei poveri: ciò che occorre rivedere è la stessa forma assunta dalle nostre esistenze in una società profondamente segnata dal consumo. Non certo casuale in tal senso la dura critica indirizzata da papa Francesco ad una cultura dello scarto, che si rivela letale, nei confronti dei poveri, come della terra (LS, nn. 20-22.43). L’esigenza di un profondo rinnovamento degli stili di vita non è quindi solo un imperativo legato al nostro personale impatto sulla Madre terra, ma assume anche una significativa valenza testimoniale. I nostri stili di vita, infatti, contribuiscono in modo determinante – talvolta ben aldilà della nostra stessa percezione – a quell’espressione concreta di valori che viene offerta dalle nostre esistenze.

Si tratta, del resto, di un dato ben noto alla spiritualità della vita religiosa, che ha nella povertà uno dei riferimenti chiave. Ne offre un esempio particolarmente luminoso la figura di Francesco d’Assisi, non a caso così centrale nella Laudato si’: il rimando alle beatitudini e la testimonianza al Regno veniente si salda in essa con la solidarietà concreta nei confronti dei poveri, vissuta in un sobrio godimento dei beni della terra. In un tempo di crisi ambientale uno stile di povertà viene ad esprimere anche l’istanza di una forma di esistenza leggera, che non gravi eccessivamente su quella casa comune della famiglia umana che è la Terra.

Dinamiche di cambiamento

L’esigenza di rinnovare gli stili di vita appare dunque nell’Enciclica all’interno di un’istanza di cambiamento a vasto raggio. “Molte cose devono riorientare la propria rotta, ma prima di tutto è l’umanità che ha bisogno di cambiare”, ritrovando “la coscienza di un’origine comune, di una mutua appartenenza e di un futuro condiviso da tutti”: la crisi ecologica pone “una grande sfida culturale, spirituale ed educativa che implicherà lunghi processi di rigenerazione”, in vista dello “sviluppo di nuove convinzioni, nuovi atteggiamenti e stili di vita” (LS, n. 202). Più che come conclusione il capitolo VI si presenta come apertura, come indicazione una visione e di un percorso

di cambiamento. Questo, del resto, più ancora che la fissazione di specifici elementi etici o dottrinali, è il senso della LS: la promozione di processi di conversione ecologica necessari per custodire la casa comune – la creazione buona di Dio – nella sua vitalità feconda. Se, come già accennavamo, i capitoli precedenti dell’Enciclica accentuavano elementi strutturali, qui l’accento cade sulle persone, soggetti attivi che (oltre i vincoli della società dei consumi) sanno anche cambiare, “superarsi, ritornare a scegliere il bene e rigenerarsi” (n. 205). Neppure la rigida tecnocrazia analizzata nel capitolo III dell’Enciclica, infatti, può spegnere “l’apertura al bene, alla verità e alla bellezza, né la capacità di reagire, che Dio continua ad incoraggiare dal profondo dei nostri cuori” (ivi). È una dinamica che si alimenta ai vissuti relazionali, in chi si scopre interconnesso con l’intera famiglia umana, ma anche membro della comunità creaturale. Essa conduce al di là dell’individualismo, oltre se stessi. L’atteggiamento fondamentale di auto-trascendersi, infrangendo la coscienza isolata e l’autoreferenzialità, è la radice che rende possibile ogni cura per gli altri e per l’ambiente, e fa scaturire la reazione morale di considerare l’impatto provocato da ogni azione e da ogni decisione personale al di fuori di sé. Quando siamo capaci di superare l’individualismo, si può effettivamente produrre uno stile di vita alternativo e diventa possibile un cambiamento rilevante nella società (n. 208). Certo, non si tratta di un percorso facile: spesso “i giovani hanno una nuova sensibilità ecologica e uno spirito generoso, e alcuni di loro lottano in modo ammirevole per la difesa dell’ambiente, ma sono cresciuti in un contesto di altissimo consumo e di benessere che rende difficile la maturazione di altre abitudini. Per questo ci troviamo davanti ad una sfida educativa” (n. 209). Costruire stili di vita ecosostenibili comporta oggi una vera e propria battaglia culturale, un andare controcorrente che costituisce un campo di grande importanza anche sul piano della testimonianza. Chiara allora la rilevanza dell’educazione ambientale, intesa come educazione “all’alleanza tra l’umanità e l’ambiente” (titolo della sez. II del cap. VI): essa viene ad assumere un ruolo strategico in ordine al superamento di tale contraddizione,

ma deve articolarsi in forma autenticamente multidisciplinare, come percorso polidimensionale orientato ad un altro stile di vita, aldilà della coazione al consumo. Non solo informazione, dunque, ma anche orientamento a “solide virtù” nel quadro di una “cittadinanza ecologica” intessuta di legalità (n. 211): quello cui occorre formare è realmente un modo di esistere, sobrio e solidale, al cuore della città comune.

Buone pratiche

Una buona pratica, particolarmente significativa nella sua diffusione in questi anni, è l’attivazione

della “responsabilità sociale dei consumatori” (n. 206), che manifesta la valenza morale dei comportamenti quotidiani, ma esercita anche una pressione sul potere politico e sull’economia. Ma diversi sono i comportamenti che hanno un’incidenza diretta e importante nella cura per l’ambiente, come evitare l’uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone, piantare alberi, spegnere le luci inutili, e così via. (n. 211). La stessa nozione di rifiuto va profondamente ripensata: “riutilizzare qualcosa invece di disfarsene rapidamente, partendo da motivazioni profonde, può essere un atto di amore che esprime la nostra dignità” (n. 211). Le cose sono portatrici di una benedizione creatrice, che va valorizzata appieno e non può essere gettata via: davvero nelle pratiche quotidiane si cela una densità etica da valorizzare per la cura della casa comune.

Ma una conversione ecologica interesserà pure gli atteggiamenti nei confronti degli altri viventi. Se,

infatti, la LS critica duramente un “antropocentrismo dispotico” (n. 68), incurante delle altre creature, ed invita a vivere come membri di una “comunione sublime che ci spinge ad un rispetto sacro, amorevole e umile” (n. 89), occorrerà esplorare meglio le implicazioni di tali istanze. L’attenzione affettuosa che dobbiamo agli esseri umani – ed in primo luogo ai più fragili, ai poveri – andrà affiancata (in forme proporzionate) ad una pratica di cura per gli altri viventi, le specie a rischio, gli ecosistemi più fragili. Per rinnovare uno stile di vita, del resto, occorre davvero una riflessione attenta. Con i vescovi d’Australia, papa Francesco evidenzia che è necessario “esaminare

le nostre vite e riconoscere in che modo offendiamo la creazione di Dio con le nostre azioni e con la

nostra incapacità di agire”, per fare l’esperienza di una vera “trasformazione del cuore” (n. 218). Come Francesco notava, riprendendo il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, bisogna imparare a percepire i peccati contro la creazione: «Che gli esseri umani distruggano la diversità biologica nella creazione di Dio; che gli esseri umani compromettano l’integrità della terra e contribuiscano al cambiamento climatico, spogliando la terra delle sue foreste naturali o distruggendo le sue zone umide; che gli esseri umani inquinino le acque, il suolo, l’aria: tutti questi sono peccati» (n. 8). Un esame attento farà emergere “un modo alternativo di intendere la qualità della vita”, “uno stile di vita profetico e contemplativo, capace di gioire profondamente senza essere ossessionati dal consumo” (n. 222), una spiritualità ecologica capace di riconoscere che “meno è di più”, in una sobrietà liberante generatrice di nuova qualità di vita (n. 223).

Rinnovare gli sguardi

Si tratta insomma, in primo luogo di rinnovare lo sguardo sulla nostra quotidianità, imparando a “prestare attenzione alla bellezza e amarla”, in modo da “uscire dal pragmatismo utilitaristico” (n. 215), per radica in una dimensione contemplativa uno stile di vita mosso dalla gratuità. Un’esigenza

particolarmente forte nelle città, luoghi di vita per gran parte della famiglia umana; il IV capitolo della LS evidenzia quanto importante sia che in tali spazi, spesso apparentemente anonimi, destrutturati, insignificanti, prendano corpo comunità capaci di ritessere relazioni ricche di senso, centrate sulla cura di ciò che è comune. In una società dei consumi, in effetti, è difficile per i singoli reggere stili controculturali; occorrono reti, comunità di sostegno reciproco, capaci di indicare che un’altra vita è possibile. É un’indicazione forte per le comunità religiose, chiamate a presentarsi come veri laboratori di novità, spazi per sperimentare stili di vita sostenibili, quali testimonianze della fede nel Padre creatore ed espressioni della sua tenerezza vissuta nelle pratiche.

Simone Morandini
Fondazione Lanza
Istituto di Studi Ecumenici
“S. Bernardino”