Siamo all’ultima opera di misericordia. In un certo senso essa le riassume tutte. E’ la sintesi tra l’ora e il poi, tra il passato, il presente e il futuro. Tra quello e ‘chi’ è stato e non è scomparso nel nulla. E’ ricordo ed è attesa. La persona che la vive non si sente mai sola: come già scriveva Tomas Merton, ‘non è un’isola’. E’ sempre – e ne è cosciente – in relazione con un Tu che è la sua ragion d‘essere e, allo stesso tempo, la avvolge della sua misericordia e la supera. Ed è nel contempo nostalgia e certezza. E’ nostalgia: nessuno potrà mai sradicare dalla nostra memoria il mesto e dolce ricordo di parenti, amici, compagni di un viaggio che, a volte, è stato faticoso, anche se pur sempre affascinante. Ed è certezza su di un ‘al di là’ che non tramonterà mai; è anelito di un re-incontro ed è convinzione di una luminosa presenza del nostro Dio e in lui di tutti: presenti e assenti, ignoti e conosciuti.
Il cristiano che prega per i vivi e per i morti vive e si sente in comunione con tutti nella fede. Concretamente vive quella verità gioiosa che si identifica come comunione dei santi. Ha il suo inizio qui e continua nell’altra vita; è “una unione spirituale – afferma papa Francesco – che non viene spezzata dalla morte, ma, grazie a Cristo risorto, è destinata a trovare la sua pienezza nella vita eterna. C’è un legame profondo e indissolubile tra quanti siamo ancora pellegrini in questo mondo – fra noi – e quanti hanno varcato la soglia della morte per entrare nell’eternità… Questa comunione tra terra e cielo si realizza specialmente nella preghiera di intercessione, che è la più alta forma di solidarietà”.
Ricordiamo la commovente e insistente supplica di Abramo per il suo popolo. In una simpatica diatriba con Dio difende il popolo che Dio avrebbe voluto distruggere per il male che stava commettendo. Abramo intercede e Dio inverte il suo progetto in protezione. “Non la distruggerò…”. E quand’ebbe finito di parlare… il Signore se ne andò e Abramo ritornò alla sua residenza (cfr. Gen 18, 27-33).
Narrano gli Atti degli Apostoli: ”Pietro dunque era tenuto in prigione, mentre una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per lui” (At 12,5). L’apostolo Giacomo scriveva ai suoi discepoli: “Pregate gli uni per gli altri per essere guariti. Molto vale la preghiera del giusto fatta con insistenza. Elia era un uomo della nostra stessa natura: pregò intensamente che non piovesse e non piovve sulla terra per tre anni e sei mesi. Poi pregò di nuovo e il cielo diede la pioggia e la terra produsse il suo frutto” (Gc 5,15-17).
Il pregare diventa così un avvicinarsi a Dio e un farsi carico gli uni degli altri: della loro vita, della loro storia, dei loro interessi. Così è la preghiera di Gesù: “Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli». E Pietro gli disse: «Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte». Gli rispose: «Pietro, io ti dico: non canterà oggi il gallo prima che tu per tre volte avrai negato di conoscermi» Lc, 22,31-34). Scriveva Benedetto XVI in Spe salvi: “Pregare non significa uscire dalla storia e ritirarsi nell’angolo privato della propria felicità” (n. 33). Pregare è vivere in comunione, innanzitutto con Dio e in lui connessi con il mondo intero, quello di quaggiù e quello che esiste oltre le sponde del tempo.
sr Biancarosa Magliano, fsp
biancarosam@tiscali.it