È possibile riassumere una presentazione dell’Islam in poche battute? Assolutamente no. Mi limiterò a qualche veloce suggestione sui temi chiave lasciando al lettore l’interesse per ulteriori approfondimenti.
Forse nessun credo, nessun testo sacro, nessuna filosofia è così intrinsecamente unita alla biografia del proprio fondatore. La rivelazione proposta dal Corano è continuamente legata ad episodi vissuti dal Profeta e dalla nascente comunità.
Muhammad (Maometto) nasce nella potente tribù dei Quraish a La Mecca circa nel 570, da una donna da poco vedova. È cresciuto prima dal nonno e poi da uno zio che lo avviano all’attività di carovaniere. Giovane brillante e molto attivo, diventa segretario di una ricca vedova, Khadijia, che poi sposerà a 25 anni, pur avendone lei 40. Ne nasceranno diversi figli, tra cui la prediletta Fatima. Nel 610, a 40 anni, inizia a sentire la voce dell’arcangelo Gabriele che gli porta la rivelazione da parte del Dio “uno e unico”, Allah (Allah significa Dio nella lingua araba). Da qui si dipanano le rivelazioni che avranno termine solo nel 632, alla sua morte a Medina.
Inizia a diffondere il nuovo credo nella sua città dove viene attaccato e osteggiato tanto che nel 622 decide di emigrare a Yatrib (poi Medina) con pochi compagni convertiti. È l’anno dell’Egira da cui parte il computo del tempo per il mondo islamico. In questa città diventa il leader religioso, politico e sociale e da qui iniziano le spedizioni per assoggettare le tribù che abitano le circostanti oasi della penisola araba, fino ad occupare La Mecca nel 630.
La rivelazione, tutta orale, poi raccolta da Othman, suo terzo successore, nel testo che oggi noi conosciamo come Corano, ha una pretesa di assolutezza che nessun altro libro sacro propone. Il Corano non è considerato soltanto un testo rivelato bensì munzal, disceso, e quindi è la trascrizione letterale di un Corano “increato” che si trova da sempre presso Dio, la Parola di Dio. La rivelazione divina tocca tutti gli aspetti della vita: da quelli strettamente religiosi a quelli politici a quelli sociali, plasmando quindi a 360 gradi l’esistenza dell’uomo.
Se l’Islam si presenta come una rivelazione data e non intaccabile da mano umana, è pur vero che nella realtà storica si sono dovute dare interpretazioni e questo ha portato ad una continua tendenza alla pluralità di posizioni e di voci, tutte ugualmente autorevoli. L’Islam proclama che non esiste autorità se non quella di Allah, ma la mancanza di una gerarchia ufficiale, universalmente riconosciuta, ha determinato la nascita di molti poli autorevoli che spesso levano la loro voce in modo del tutto contraddittorio. Dimostrazione lampante di questo è il tema del jihad. L’argomento, diventato consueto dopo i tanti attentati e la presenza di al-Qaida e Isis, ha visto emergere dichiarazioni antinomiche sul suo significato: da chi lo intende solo uno sforzo spirituale sulla strada verso Dio, a chi invece insiste sul suo carattere bellicoso ed obbligatorio per tutti i musulmani autentici. Questo dipende dal fatto che esistono due letture del Corano e della Tradizione (sunna): una lettura opta per i versetti che invitano alla tolleranza nei confronti degli altri credenti, accanto ad una seconda lettura, altrettanto legittima, che preferisce i versetti che invitano al conflitto.
Su cosa basa la propria fede il pio muslim? Il credo si riduce a poche cose: Non c’è dio se non il Dio e Muhammad è il suo profeta. Questo è il testo della shahada, il primo dei 5 pilastri della fede. Chiunque recita con cuore sincero questa frase è automaticamente un musulmano. Altro pilastro è la preghiera quotidiana (salat), tributo di lode e di sottomissione ad Allah, da compiere secondo un ben preciso rituale cinque volte al giorno: al sorgere del sole, a mezzogiorno, all’inizio del calar del sole, all’imbrunire e alla sera.
Vi è poi una particolare attenzione alle esigenze della comunità dei fedeli (la umma), verso cui si deve versare una elemosina rituale annua (zakat) che ha lo scopo di sovvenire alle necessità della conversione degli infedeli, al sostegno verso le persone indigenti, a favorire il pellegrinaggio alla Mecca (altro pilastro, hajj), da compiere almeno una volta nella vita. Il pilastro forse più noto a tutti è il digiuno (sawn) nel mese di ramadan, che impegna tutti i musulmani adulti e sani ad astenersi da cibi e bevande dall’alba al tramonto per un mese lunare di 28 giorni.
In questo terzo millennio non si può evitare di parlare del rispetto dei diritti umani. Se il pensiero corre subito al problema della donna (anche se molte banalità non vere vengono dette a questo proposito), occorre invece partire dai principi ispiratori. Allah, dopo la creazione, ha proposto un patto di sottomissione ad Adamo che lui ha accettato per sé e per i suoi discendenti. Quindi tutti gli uomini nascono naturalmente muslim (sottomessi ad Allah). Sono poi le condizioni esistenziali che allontanano alcuni dalla verità e quindi anche dalla loro piena dignità di esseri umani. Gli uomini non sono uguali per dignità, in quanto partecipano tutti della comune umanità ma godono di diritti differenziati rispetto al loro livello più o meno vicino all’Islam, in una scala gerarchica che vede dopo il pio muslim, le Genti del Libro (cristiani ed ebrei) e poi tutti gli altri. Da questo discendono ovviamente preoccupanti violazioni della libertà religiosa (non è lecito convertirsi), della libertà personale (si può essere ridotti in schiavitù come recentemente succede nei territori dominati dall’Isis), si può essere messi di fronte all’alternativa “o conversione o morte”, una donna non può sposare un uomo che appartenga ad altra religione, e via dicendo.
La tradizione prevede che la pena da infliggere all’apostata sia la morte e che la condizione degli appartenenti ad altre religioni monoteiste sia quella di dhimmi, ovvero “protetti” dietro il pagamento di una apposita tassa (la jizya che nei territori dell’Isis viene oggi imposta, alternativa all’esilio entro 48 ore) e quindi mai cittadini a pari livello con un muslim.
Parlando di Islam oggi è inevitabile affrontare altri temi: la crescente presenza di musulmani in Europa; il rapporto con il mondo cristiano; il terrorismo di stampo jihadista sempre più presente; le forti tensioni interne al mondo arabo per cui molti politologi parlano di vera e propria guerra civile. Temi forti su cui non ci si può soffermare in questo articolo, ma su cui è doveroso evitare le chiacchiere qualunquiste per lasciare posto ad uno studio serio della realtà: il vero dialogo si può fare solo nella reciproca verità di posizioni e nella reale conoscenza di entrambe le fedi; l’azione politica si può svolgere solo nella consapevolezza che le mentalità e le tradizioni culturali sono realmente diverse.
Come ha detto Papa Benedetto XVI: “Al Dio del Corano vengono dati i nomi tra i più belli conosciuti dal linguaggio umano, ma in definitiva è un Dio al di fuori del mondo, un Dio che è soltanto Maestà, mai Emmanuele, Dio-con-noi. L’islamismo non è una religione di redenzione. Non vi è spazio in esso per la Croce e la Resurrezione”.
Silvia Scaranari
dalla Rivista Andare alle genti
per gentile concessione
L’autrice dell’articolo, Silvia Scaranari Introvigne, già preside del liceo Faà di Bruno di Torino, è un’esperta islamologa e collabora da molti anni con il Centro studi Peirone, organismo dell’Arcidiocesi di Torino, che ha come fine la promozione e cura delle corrette relazioni di dialogo religioso tra la Chiesa cattolica e il mondo musulmano. È redattrice della rivista “Il Dialogo/al-Hiwar” e dà il suo contributo nei diversi corsi che si svolgono presso il Centro.