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La new economy… ‘capace di felicità’?

Pubblicità, mass media e un po’ tutta la cultura del nostro tempo abbinano la felicità al consumo di beni sempre piùeconomy1 complessi, consentiti per altro solo agli alti redditi. La grande tecnologia utilizzata nella new economy offre straordinarie opportunità a consumatori e investitori. Gli individui sognano, desiderano, gareggiano. La competizione si fa sempre più globale e velocemente muove verso un mercato globale incontrollato. I privilegiati accumulano straordinarie ricchezze e potere e le disuguaglianze crescono! Per i lavoratori la sensazione di essere abbandonati è forte. L’angoscia è reale; sfruttata e alimentata da politici in cerca di voti, incrementa fenomeni un po’ comuni, oggi, a tutto l’Occidente. L’indignazione generalizzata è espressione di un’obiezione di coscienza alla cinica logica dei numeri, che sono, o appaiono, parziali e perfino criminali: movimenti populisti antieuropei e antieuro, paura per la minaccia globale del terrorismo, rigetto delle frontiere aperte, muri di egoismo politico ed economico…

Il puro uomo economico è in effetti assai vicino all’idiota sociale: lo assicura Amartya Sen, Premio Nobel per l’economia. E Bob Kennedy rifletteva: il Pil misura tutto, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta. Nelle società avanzate il lavorare molto e il consumo sono segnali di posizione sociale, successo, potere e… spersonalizzazione delle relazioni sociali.

Il bisogno di bene comune nel nostro Paese e in Europa è enorme. Ma per arrivare al cuore del problema è necessario e urgente superare lo sguardo tipico dell’economia, capace solo di quantificare; disporre quindi di un ulteriore e più giusto “metro” di misura. Il bene economico è importante, ma nullo se contemporaneamente non si ricerca il benessere dell’uomo… Far lavorare una persona a ritmi forsennati e senza pagarla adeguatamente -e succede sempre più spesso – significa rubarle l’anima.

Solo se si fa un lavoro per il piacere di farlo, non si pensa a sé e si diventa liberi. E quando si ammira o si comunica realmente con qualcuno, allora la persona indietreggia sullo sfondo… ed è felice! L’amore, l’amicizia, un sorriso, un abbraccio, la riconoscenza, il poter osservare i figli che crescono, l’aprirsi alla fraternità…sono tutti beni che non hanno prezzo, non sono in vendita e non passano attraverso il mercato. E il qualcosa che l’economia trascura ha a che fare proprio con tali beni. La felicità o si alimenta di relazioni interpersonali genuine e gratuite, o muore.

Gli economisti in realtà hanno sempre saputo che la ricchezza non fa di per sé la felicità. La novità è che il rapporto tra vita economica e felicità sta uscendo dagli ambienti accademici. Lo dimostrano le pubblicazioni, i convegni, i dibattiti anche su quotidiani e riviste non specialistiche… Inizialmente reddito e felicità aumentano insieme; superata una certa soglia critica, possedere di più non aggiunge nulla, anzi sottrae: maggiore è il benessere materiale, minore è la felicità. Ma l’interesse degli economisti è in forte crescita. Si può essere ottimisti! È possibile una scienza economica ancora “capace di felicità”.

         Luciagnese Cedrone, ismc

         lucia.agnese@tiscali.it