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icona_annunciazione1Col suo «fiat», Maria diviene l’autentico soggetto di quell’unione con Dio, che si è realizzata nel mistero dell’incarnazione del Verbo consostanziale al Padre. Tutta l’azione di Dio nella storia degli uomini rispetta sempre la libera volontà dell’«io» umano. Lo stesso avviene nell’annunciazione a Nazareth. Questo evento possiede un chiaro carattere interpersonale: è un dialogo. Non lo comprendiamo pienamente se non inquadriamo tutta la conversazione tra l’Angelo e Maria nel saluto: «piena di grazia. L’intero dialogo dell’annunciazione rivela l’essenziale dimensione dell’evento: la dimensione soprannaturale (kecaritoméne).

Ma la grazia non mette mai da parte la natura né la annulla, anzi la perfeziona e nobilita. Pertanto, quella «pienezza di grazia», concessa alla Vergine di Nazareth, in vista del suo divenire «Theotókos», significa allo stesso tempo la pienezza della perfezione di ciò «che è caratteristico della donna», di «ciò che è femminile». Ci troviamo qui, in un certo senso, al punto culminante, all’archetipo della personale dignità della donna.

Quando Maria risponde alle parole del celeste messaggero col suo «fiat», la «piena di grazia» sente il bisogno di esprimere il suo personale rapporto riguardo al dono che le è stato rivelato, dicendo: «Eccomi, sono la serva del Signore» (Lc 1, 38). Questa frase non può essere privata né sminuita del suo senso profondo, estraendola artificialmente da tutto il contesto dell’evento e da tutto il contenuto della verità rivelata su Dio e sull’uomo. Nell’espressione «serva del Signore» si fa sentire tutta la consapevolezza di Maria di essere creatura in rapporto a Dio. Tuttavia, la parola «serva», verso la fine del dialogo dell’annunciazione, si inscrive nell’intera prospettiva della storia della Madre e del Figlio. Difatti, questo Figlio, che è vero e consostanziale «Figlio dell’Altissimo», dirà molte volte di sé, specialmente nel momento culminante della sua missione: «Il Figlio dell’uomo (…) non è venuto per essere servito, ma per servire» (Mc 10, 45).

 

Giovanni Paolo II

Dalla lettera apostolica Mulieris dignitatem, 1988