Come il popolo d’Israele a Elim, ci troviamo oggi in pieno deserto, da ecologia profonda. Un deserto umano con nulla che accarezzi il cuore, mentre verità vive sono raggiungibili solo con l’incontro. Se non si compie la traversata, tale deserto non può che sfinire. Ma come accettarsi reciprocamente nell’incontro senza confondersi con le maschere dietro le quali ognuno si nasconde? Come ricevere dall’altro la conferma della propria esistenza, accoglierlo nella sua totalità senza per questo incappare nelle illusioni del dovere e della grandezza nelle quali si è immersi?… La distanza tra gli esseri s’impara subito dalla vita. E ogni comunità si accorge che è difficile vivere insieme. Le situazioni storiche poi complicano le cose… E così ciascuno tende a rimanere nel proprio modo di vedere le cose, pur ascoltando -a volte con pazienza- il punto di vista dell’altro. Insomma, come Israele abbiamo bisogno anche noi di individuare “dodici sorgenti d’acqua e settanta palme“ (Es. 15,27), sotto le quali riposare, fare il punto della situazione e riprendere decisamente il cammino verso la terra promessa. Questo è l’inizio del combattimento…
Per chi e per che cosa si agisce? Per piacere a qualcuno o per trovare la propria consistenza nell’essere in verità se stessi davanti agli altri e all’Altro? Accettare di rispondere a tale domanda aprirà il cammino per la traversata, nella consapevolezza che solo un agire gratuito e trasparente può dare autenticamente senso alla vita. L’ansia di emergere, invece, soprattutto per le persone insicure, è semplicemente un goffo desiderio di essere amati e stimati. Una carità intelligente, insomma, esige ‘antenne’ sempre vigili e alzate; sensibilità prima che idee e organizzazione… Detto altrimenti: la vera audacia non spara mai a zero in una sola direzione! Ma il coraggio ci vuole, perché la tentazione è evitare i confronti decisivi, riuscire a nascondersi dietro agli altri, non giocarsi in prima persona… E c’è la tentazione sottilissima di chi si ritiene virtuoso… Una malattia molto difficile da discernere, perché attacca da ogni parte la persona e facilmente si mescola a ogni sua azione muovendola a cercare applausi. Un po’ come fa il bambino che esige su di sé l’attenzione di tutti gli sguardi.
Ammettere i propri errori è il primo vero gesto liberatorio… Non reprimere poi le proprie emozioni e portarle all’esterno consente di viverle più intensamente; ne scaturisce la forza per chiedere scusa e ricominciare da capo. Ma è il confronto costante tra vita e Parola, tra esistenza di tutti i giorni e orizzonti di senso che affina la capacità di cogliere il meglio in ogni situazione concreta. Così lo Spirito irrompe nel cuore e fa nascere… fiori nel deserto. Papa Francesco chiarisce: “Tenere fisso lo sguardo sul Figlio di Dio ci fa capire quanta strada dobbiamo ancora fare; ma al tempo stesso ci infonde la gioia di sapere che stiamo camminando con Lui e non siamo mai soli”.
Luciagnese Cedrone