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Il valore del non detto

È una disciplina interiore

 silenzio1L’abate Arsenio diceva d’essersi pentito spesso d’aver parlato, e mai d’aver taciuto. Intendeva che il silenzio è una disciplina interiore alla quale va prestata attenzione. Dice santa Teresa: «È grave colpa quando una sorella

abitualmente non osserva il silenzio». I mezzi di comunicazione di massa ci sottopongono a quella che potremmo chiamare un’«alluvione di parole». Esiste un consumismo di parole: parole dolci, seduttive, oggettive, colleriche…

di ogni tipo. Parole che cercano di entrarci rumorosamente nel cuore e non apportano niente alla verità. La Parola ha creato l’universo, la Parola di Dio, che ha detto e tutto fu fatto. La parola che usiamo è stata depotenziata della sua potenza creativa.

È espressione della solitudine

Ecco il cuore del problema: se non c’è solitudine non c’è silenzio, e senza entrambi non c’è verità. Il silenzio è l’espressione più alta della solitudine del cuore. Il silenzio trasforma la solitudine in realtà. E quando non cediamo al prurito di ascoltare noi stessi, cioè alla vanità dell’anti- silenzio, sfuggiamo alla solitudine di quelle innumerevoli

maniere formali, provocatorie, intimistiche, massificanti… Tutte parole che non danno vita, che non nascono da un cuore passato attraverso il crogiolo della solitudine, nella costanza e nell’affetto. Non nascono – in sostanza – da un cuore fecondo.

È forgia di parole vere

Le parole vere si forgiano nel silenzio. Più ancora: il nucleo stesso della parola dev’essere silenzioso. Se la parola è vera, nel suo cuore si annida il silenzio. E la parola, una volta pronunciata, torna al silenzio abissale e fecondo da cui proveniva. La parola muore per fare posto all’amore, alla bellezza, alla verità, che proprio essa ha portato.

La nostra parola, il nostro parlare, che nasce dal silenzio, dev’essere contenta di morire tornando al silenzio da cui era uscita. Il silenzio c’insegna a parlare, dà forza alla parola, la quale – per questo silenzio che racchiude – non è mero rumore (cfr. 1Cor 13,1). Il silenzio c’insegna a parlare perché mantiene nel nostro intimo il fervore religioso, l’attenzione allo Spirito Santo. Il silenzio alleva la vita dello Spirito Santo in noi.

È espressione della dignità

Infine, il silenzio è l’espressione più alta e più quotidiana della dignità. Tanto più nei momenti di prova e di crocifissione, quando la carne vorrebbe giustificarsi e sottrarsi alla croce. Nel momento supremo dell’ingiustizia, «Gesù taceva» (Mt 26,63; cfr. anche Is 53,7; At 8,32). Non è stato al gioco del rispondere a quanti gli dicevano di

scendere dalla croce. Tutta la pazienza di Dio, la pazienza di secoli, e anche il suo affetto, emergono qui, in questo silenzio del Cristo umiliato. Nella storia degli uomini fanno irruzione il silenzio eterno della Parola, la «contemplatività» amorosa del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, tutta la comunione trinitaria dal silenzio dei

secoli. È Parola, ma Parola che – nell’ora dell’annientamento provocato dall’ingiustizia – si fa silenzio.

Iesus autem tacebat. Contempliamo tutto il «viaggio» della Parola di Dio (cfr. Gv 1,1; 14,2-3; 14,10; 16,28); come si fa tenerezza nel seno di una Madre. Questa Madre «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19.51). Nel cuore silenzioso di Maria ha sede la memoria della Chiesa. Il silenzio «incarnato» del Verbo si esprime in quel momento d’ingiustizia, di umiliazione, di annientamento, nell’ora del potere delle tenebre.

Quella è la dignità di Gesù, ed è anche la nostra.

 

Tratto da: Jorge Mario Bergoglio-Papa Francesco

La forza del presepe (Emi, 2014).

Il volume raccoglie alcune riflessioni del 1987, inedite in Italia, dell’allora padre gesuita, dedicate alla festa del Natale.