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Il punto. Di non ritorno

La famiglia italiana attende, dal 1948 ad oggi, che le venga garantito il diritto alla libertà di scelta educativa.scuola3

La famiglia può scegliere di ricoverare il nonno al San Raffaele pagando un ticket; non può scegliere di educare il nipote presso una buona scuola pubblica paritaria, perché i genitori, con il loro lavoro, non possono pagare e le tasse e la retta che fa funzionare la scuola. La famiglia povera deve iscrivere il pargolo alla scuola pubblica statale, cioè non è libera di scegliere tra “le due gambe del Sistema Nazionale di Istruzione”, come ha affermato, ad effetto e con verità, il ministro Giannini, donna còlta e non inquinata dagli intrallazzi della politica. Durante il dibattito sulla fiducia al governo Gentiloni, un parlamentare ha sostenuto con convinzione che nessun governo come l’ultimo si è prodigato per la libertà di scelta educativa della famiglia. Certamente, di fronte all’evidenza di un risparmio di 17 miliardi di euro all’anno attraverso l’attivazione del costo standard per alunno, qualche sopracciglio si è alzato; ma al momento resta il fatto incontrovertibile che il povero non può scegliere, peggio se ha il figlio portatore di h. I cento euro scarsi di detrazione annui e i mille euro per il sostegno del figlio disabile (a fronte dei 25 mila necessari per il docente ad hoc) denunciano quella che è stata definita la più grave ingiustizia a cui deve sottostare la famiglia italiana, facendo risultare il Paese al 47° posto al mondo in termini di “garanzia” dell’esercizio alla libertà di scelta educativa dei genitori. In Francia il genitore povero sceglie, come pure nei Paesi dell’ex URRS. In Italia no.

Matteo Renzi, il il 18 novembre u.s., durante la presentazione del bilancio dei mille giorni dell’esecutivo da lui guidato, ha affermato: “Ho tanti rimpianti, uno è la scuola.  A differenza dei governi precedenti abbiamo messo tre miliardi nella scuola. Nonostante questo siamo riusciti a fare arrabbiare tutti. Evidentemente qualcosa non ha funzionato”. Non bastavano i tre miliardi spesi, per risolvere il problema. Occorreva risparmiarne diciassette, come si chiarirà a seguire.

Lo scopo è far finalmente  funzionare meglio la scuola pubblica, sia statale che paritaria. Ma occorre avere le idee chiare, partendo dalla legge fondamentale dello Stato. L’art. 3 della Costituzione recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini (…)”

Ebbene, questa uguaglianza non è “concessa” ai genitori che scelgono di iscrivere i loro figli in quelle scuole che la legge 62/2000 ha dichiarato “pubbliche” paritarie, equiparandole in tutto alle statali, esclusa la parte economica.

Gli aggettivi “pubblico” e “statale” non sono sinonimi. Ciò che è “pubblico”, non è necessariamente “statale”. Il San Raffaele è “pubblico”, ma non “statale” (per sua fortuna, direbbero i maligni).

Le famiglie a basso reddito, ma ad alta aspettativa di bene per i propri figli, sono costrette a pagare una retta, dopo aver già contribuito alla spesa scolastica dello Stato mediante le tasse. Insomma devono pagare due volte per esercitare il loro diritto di libera scelta, nonostante la Costituzione reciti: “La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali (art. 33, comma 4).

Concetto ribadito dalla risoluzione del Parlamento Europeo del 14 marzo 1984 che all’art 7 afferma: “La libertà di insegnamento e di istruzione comporta il diritto di aprire una scuola e svolgervi attività didattica. Tale libertà comprende inoltre diritto dei genitori di scegliere per i propri figli, tra diverse scuole equiparabili, una scuola in cui questi ricevano l’istruzione desiderata.” E all’art. 9 leggiamo, dal punto di vista del docente: “Il diritto alla libertà d’insegnamento implica per sua natura l’obbligo per gli Stati membri di rendere possibile l’esercizio di tale diritto anche sotto il profilo finanziario e di accordare alle scuole le sovvenzioni pubbliche necessarie allo svolgimento dei loro compiti, all’adempimento dei loro obblighi in condizioni uguali a quelle di cui beneficiano gli istituti pubblici corrispondenti, senza discriminazione nei confronti degli organizzatori, dei genitori, degli alunni e del personale”. Affermazioni riproposte dallo stesso Parlamento Ue con la risoluzione dell’ottobre 2014.

 Non si chiedono dunque finanziamenti aggiuntivi per le scuole paritarie: lo Stato non potrebbe erogarli, perché il Welfare fa sempre più fatica a sostenere la spesa sociale. E’ necessario invece applicare il principio di sussidiarietà per spendere meglio e di meno.

  L’unica soluzione per risolvere il problema della scuola pubblica – statale e paritaria – italiana è il costo standard di sostenibilità. Lo dimostra scientificamente – dati alla mano – il saggio “Il diritto di apprendere. Nuove linee di investimento per un sistema integrato”, ed. Giappichelli, 2015, di Alfieri, Grumo, Parola, con la prefazione del già Ministro all’Istruzione Stefania Giannini.

La proposta prevede che lo Stato ponga al centro dell’attenzione lo studente. Individui un costo standard di sostenibilità e lo applichi a ogni allievo della scuola italiana, sia statale che paritaria. In pratica, dotando ogni alunno di un cachet da spendere nell’istituto che intende scegliere, si realizzerebbe finalmente il pluralismo educativo dando così alle famiglie la possibilità di decidere fra una buona scuola pubblica statale e una buona scuola pubblica paritaria; lo Stato risparmierebbe fino a 17 miliardi (!) di Euro  sull’attuale spesa scolastica; si attiverebbe infine una sana concorrenza tra le scuole, mirata al miglioramento dell’offerta educativa. L’alternativa dei finanziamenti a pioggia rappresenta il tracollo economico non solo della scuola pubblica statale, ma anche della pubblica paritaria. Tertium non datur.

sr Anna Monia Alfieri

srmonia@yahoo.it