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Quell’idolatria da cui nessuno è libero

simbol2È il tarlo dell’orgoglio, presente in ogni uomo più di quanto in genere si pensa. Nessun difetto rende più impopolari, così come di nessun difetto si è meno consapevoli. E più lo si ha in sé, più dà fastidio negli altri. Ammettere di esserne affetti spesso è un vero tabù. Ma pensare di non essere orgogliosi significa solo che lo si è davvero, e molto. Riconoscere invece le qualità e i successi degli altri aiuta a capire i propri limiti. E se si esorcizza la paura del proprio povero nulla, allora si può riconoscere in sé l’orgoglio e lasciare che Qualcuno lo curi. Solo oltre la paura infatti il cuore dell’uomo può decidere la sua strada (cfr Pr 16, 9).

I segnali della presenza dell’orgoglio sono tanti. Non si riesce a realizzare un progetto?… con reazione infantile se ne attribuisce la “colpa” sempre e solo a qualcun altro. Qualche proprio gesto di fede ci fa sentire buoni se non migliori di qualcun altro?… si può esser certi che non è Dio ad agire in noi. E poi: atteggiamento altezzoso, ostentato senso di superiorità, ricerca per sé di posizioni privilegiate; frustrazione per la mancanza di seguito altrui, arroganza… Di regola, l’orgoglio nasce come meccanismo di difesa, ma alla lunga stanca e incrina i rapporti. In sintesi: muove la persona a rifiutarsi di fare i conti con debolezze e ombre; le impedisce di riconoscersi fragile creatura; la conduce a rinnegare la propria umanità fino al disprezzo di chiunque. Di tutto ciò però gli altri fanno solo le spese, perché l’orgoglio affonda la sua vera radice in un falso rapporto con Dio.

Oggi è decisamente grande il bisogno di ritrovare il timore che è rispetto per l’Altro e per l’altro, nella diversità di ognuno. Proprio da tale sano timore scaturisce l’umiltà che fa accettare di essere semplicemente se stessi…perché umile è colui che si ricorda di essere uomo (I. di Poitiers). Sul tema, papa Francesco rilancia una grande verità: senza umiliazione non esiste umiltà. Che venga da Dio, da noi stessi o dagli altri, sempre l’umiliazione consente di scoprire la propria radicale povertà e accedere all’umiltà autentica.

La prova vera che ci si trova alla presenza di Dio è che ci si dimentichi di se stessi. Il combattimento, che allora la persona compie in sé con le proprie ombre, si trasfigura e diviene sorgente. E la solitudine umana, l’impressione di inutilità, tutto ciò, insomma, che potrebbe devastare l’essere, apre invece alla persona una via d’uscita dall’angoscia e dalla rassegnazione. Chiamare per nome il proprio orgoglio spalanca tutte le porte a Dio, che potrà così irrompere nella vita della sua creatura e guarirla. Avvicinarsi a tale libertà, anche solo per un istante, è come bere un sorso d’acqua fresca nel deserto. Ed è anche l’inizio del quotidiano e silenzioso dono di ciò che si è a chi ci vive accanto.

Luciagnese Cedrone

lucia.agnese@tiscali.it