“In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
Mendicanti di gioia
Siamo dei mendicanti di gioia. Tutti, credenti e non credenti, siamo dei mendicanti di gioia, perché sperimentiamo di non possedere ragioni a sufficienza per essere davvero realizzati, totalmente appagati. Sì, certo, viviamo momenti intensi, belli, memorabili, gioie semplici e vere che solcano – grazie a Dio! – il cuore e la vita. Ma non sufficienti a realizzare tutto il desiderio di assoluto che portiamo conficcato nel cuore. É possibile vivere la totalità dell’amore? La pienezza della felicità? Questi desideri ,che lo ammettiamo o no, ce li portiamo dentro! Matteo inizia oggi il lungo discorso della montagna e, come un nuovo Mosè, Gesù sale sulla montagna per consegnare la nuova legge, non più scolpita sulle tavole di pietra, ma incisa nel cuore dei discepoli. Gesù si rivolge a chi nella vita non sta dalla parte dei vincenti, ma dalla parte di quelli che ogni giorno tornano a casa con un carico di amarezza e di delusione perché ancora per un giorno qualcuno ha approfittato di loro. A questi tali Gesù annuncia che sono beati nella loro condizione di poveri, di afflitti, di miti, di perseguitati, di affamati e di assetati della giustizia. Sembra quasi che Gesù voglia esaltare la condizione del povero e del perseguitato, del perdente e dello sconfitto, perché in questa condizione vi vede le premesse per una felicità e una beatitudine, impossibile a trovarsi nella ricchezza e nella prepotenza di molti che se la ridono dei “piccoli”. Gesù ha una grande certezza e ci invita a farne il fondamento di tutta la nostra vita: Dio privilegia un cuore povero o un cuore affranto perché un cuore sazio di autosufficienza, purtroppo, non ha bisogno di nulla e, tanto meno, di Dio. La povertà e l’afflizione non sono valori in sé e non vanno mai difesi, anzi allontanati per quanto è possibile, ma sono una condizione indispensabile per accogliere l’intervento di Dio che colma il cuore di chi è affranto. Chi è povero, affranto e perseguitato, ma ha trovato Dio nella sua vita, è beato.
È Dio che gode la pienezza della beatitudine, Egli che è l’Amore è la Comunione, si compiace di fare dono della beatitudine a coloro che consegnano a Lui il desiderio di essere “beati” e rinunciano a percorrere la via della conquista della beatitudine, giacché la beatitudine conquistata non esiste. Se vuoi essere “beato” non puoi fare altro che aprire le tue mani e aspettare che Colui che la possiede ti faccia dono della beatitudine. Beati noi allora se ci decidiamo ad aprire le mani e non avere paura di essere mendicanti di gioia!
Sr M .Monica Baneschi SSM