“Gli animali si nutrono, l’uomo mangia, solo l’uomo sapiente sa mangiare”, avvertiva J.A.Brillat-Savarin, politico e gastronomo francese dell’Ottocento. Oggi i programmi TV che si occupano di cucina e di cibo continuano a proliferare, insieme a quelli sulle diete per dimagrire (…altra faccia della medaglia!). Grembiuli e tegami, mentre invadono il piccolo schermo, mostrano comunque la centralità del cibo… Sembrerebbe facile allora acquisire chiaramente quella consapevolezza del mangiare e bere, che si sperimenta a tavola quando si passa dalla logica del consumo alla logica della comunione. Imparare a mangiare significa imparare a farlo insieme agli altri. Per la Bibbia, come per la storia della cultura, la tavola condivisa è il luogo in cui si fondano e “si nutrono” rapporti autentici. Scambiarsi parole capaci di nutrire le relazioni dà senso alla vita sostentata dal cibo. Non è casuale che l’Eucaristia, fonte e culmine della vita della comunità cristiana, sia stata collocata da Gesù all’interno di una cena. Uno sa amare se e come è amato. Questo è certo. E, a patto che non ci si limiti a consumare cibo, la tavola è il luogo per eccellenza in cui le persone da sempre stringono amicizia, creano il tempo del perdono, imparano ad amarsi…
Ma davvero il cibo, nelle attuali relazioni con gli altri, è vissuto come strumento di condivisione e di incontro? Certo è che, a tavola, l’uomo rivela il rapporto che ha con se stesso; e – un po’ come accade a qualsiasi recipiente- di qualunque cosa è colmo, ciò che lo riempie finisce per traboccare e riversarsi su chi gli è accanto.
Se, per esempio, ci si sente considerati meno di zero o si è mossi dal bisogno di ‘contare’, sarà facile parlare ex cathedra, ridere di qualcuno più che con qualcuno; facile anche scegliere di immergersi in un silenzio che uccide e vivere la tavola condivisa come via per soddisfare il proprio piacere senza – se non contro – gli altri… Come discernere quello che, oltre il pane, è veramente necessario alla persona per ‘vivere’?…
Decidere di guardarsi intorno con gli occhiali giusti e lasciar cadere ciò a cui più si tiene consente di aprire le porte del proprio cuore a chi ci siede accanto. Cogliere poi i sentimenti di ognuno, e cercare di aiutarlo a portare il suo carico, dà il via ad una lotta quotidiana – invisibile ed essenziale – che azzittisce le proprie paure; e fa vivere da innamorati ogni istante e ogni incontro. Si ‘sente’ che nel proprio essere profondo è il Signore stesso a lottare; che l’unico merito della persona, nell’aprirsi alla fraternità autentica, è predisporre tutto in sé per lasciare a Lui la possibilità di agire in un cuore che ascolta e si orienta all’azione coerente. Anche a tavola. La fede viva segna sempre la vita, umanizza… E si traduce in una felicità che canta in fondo all’anima, anche quando si cammina faticosamente e si piange.
Luciagnese Cedrone